Tempo Ordinario |
I° settimana Tempo Ordinario
- UR - Domenica
Dai «Discorsi», papa
(Disc. sull'Ascensione, 24;
PL 54, 395-396)
I giorni
tra la risurrezione e l'ascensione del Signore
di
san Leone Magno nel quinto secolo
Miei cari, i giorni
intercorsi tra la risurrezione del Signore e la sua ascensione, non
sono passati inutilmente, ma in essi sono stati confermati grandi
misteri e sono state rivelate grandi verità.
Venne eliminato il timore di
una morte crudele, e venne annunziata non solo l'immortalità
dell'anima, ma anche quella del corpo. Durante quei giorni, in virtù
del soffio divino, venne effuso su tutti gli apostoli lo Spirito
Santo, e a san Pietro apostolo, dopo la consegna delle chiavi del
Regno, venne affidata la cura suprema del gregge del Signore.
Perciò, o miei cari, durante
tutto questo tempo trascorso tra la risurrezione del Signore e la
sua ascensione, la divina Provvidenza questo ha avuto di mira,
questo ha comunicato, questo ha voluto insinuare negli occhi e nei
cuori dei suoi: la ferma certezza che il Signore Gesù Cristo era
veramente risuscitato, come realmente era nato, realmente aveva
patito ed era realmente morto.
Perciò i santi apostoli e
tutti i discepoli che avevano trepidato per la tragedia della croce
ed erano dubbiosi nel credere alla risurrezione, furono talmente
rinfrancati dall'evidenza della verità, che, al momento in cui il
Signore saliva nell'alto dei cieli, non solo non ne furono affatto
rattristati, ma anzi furono ricolmi di grande gioia.
Ed avevano davvero un grande
e ineffabile motivo di rallegrarsi. Essi infatti, insieme a quella
folla fortunata, contemplavano la natura umana mentre saliva ad una
dignità superiore a quella delle creature celesti. Essa oltrepassava
le gerarchie angeliche, per essere innalzata al di sopra della
sublimità degli arcangeli, senza incontrare a nessun livello per
quanto alto, un limite alla sua ascesa. Infine, chiamata a prender
posto presso l'eterno Padre, venne associata a lui nel trono della
gloria, mentre era unita alla sua natura nella Persona del Figlio.
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I°
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VESPRI - Domenica
« Ecco
l’Agnello di Dio »
San Cirillo
Alessandrino nel quinto secolo
È
unico, l’Agnello morto per tutti, egli che veglia su tutto il gregge
degli uomini per il suo Dio e Padre, unico per tutti, per
sottomettere tutti a Dio, unico per tutti, per guadagnare tutti,
affinché tutti finalmente « non vivano più per se stessi, ma per
colui che è morto e risuscitato per loro (2 Cor 5, 15). Infatti,
mentre eravamo immersi nel peccato e quindi sottomessi alla morte e
alla corruzione, il Padre ha dato suo Figlio come nostra redenzione,
lui solo per tutti, perché tutto è in lui, ed egli è più buono di
tutti. Uno è morto per tutti, perché noi vivessimo tutti in lui.
Infatti, come la morte aveva afferrato l’Agnello immolato per tutti,
così pure ci ha riscattati tutti in lui e con lui. Perché tutti
eravamo in Cristo, morto e risuscitato per causa nostra e per noi ;
in verità, abolito il peccato, come sarebbe stato possibile che la
morte, che viene dal peccato, non venisse abolita con lui. Morta la
radice, come il frutto sarebbe stato conservato ? Morto il peccato,
per quale ragione noi avremmo potuto morire ? Perciò, possiamo dire
con esultanza a proposito della condanna a morte dell’Agnello di
Dio : « Dov’è o morte la tua vittoria ? »
(1 Cor 15, 55).
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I°
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Martedì - LODI
« Di
sabato… insegnava come uno che ha autorità »
Sant’Ambrogio
nel quarto secolo
Di
sabato il Signore comincia ad operare guarigioni, per significare
che la nuova creazione inizia nel momento in cui l’antica si era
fermata, per marcare fin da principio che il Figlio di Dio non è
sottomesso alla Legge, ma è superiore alla Legge, che egli non
abolisce la Legge, bensì le dà compimento (Mt 5,17). Il mondo non è
stato fatto per mezzo della Legge bensì per mezzo del Verbo secondo
ciò che leggiamo : « Dalla parola del Signore furono fatti i cieli »
(Sal 32,6). La Legge dunque non è abolita bensì compiuta, per
rinnovare l’uomo decaduto. Per questo l’Apostolo Paolo dice : « Vi
siete spogliati dell’uomo vecchio e avete rivestito il nuovo che si
rinnova… ad immagine del suo creatore » (Col 3,9).
A
buon diritto egli comincia di sabato, per mostrare che lui è proprio
il Creatore, … proseguendo l’opera che aveva iniziato un tempo. Come
l’operaio che sta per riparare una casa, non comincia con le
fondamenta, bensì con i tetti… ; mette mano prima al quello con cui
un tempo aveva terminato. Inizia con ciò che è minimo per arrivare a
ciò che è più importante ; liberare dal demonio infatti, possono
farlo anche gli uomini - mediante la parola di Dio, s’intende -
invece spetta alla sola potenza di Dio ordinare ai morti di
risuscitare.
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I°
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VESPRI Martedì
Mc 1, 21-28
Trattati 6 ;
PL 204, 451-453
(In l'Ora
dell'Ascolto p. 2102)
« Gesù lo
sgridò : Taci ! Esci da quell’uomo »
Baldovino di
Ford nel dodicesimo secolo
« La
Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a
doppio taglio » (Eb 4,12). Ecco quanto è grande la potenza e la
sapienza racchiusa nella Parola di Dio ! Il testo è altamente
significativo per chi cerca Cristo, che è precisamente la parola, la
potenza e la sapienza di Dio… Quando questa parola viene predicata,
il Cristo dona alla voce del predicatore, che si percepisce
esteriormente, la virtù di operare interiormente, per cui i morti
riacquistano la vita (Lc 7,22), e rinascono nella gioia dei figli di
Abramo (Mt 3,9). Questa parola è dunque viva nel cuore di chi crede
e di chi ama. E appunto perché questa parola è così viva, non v’è
dubbio che sia anche efficace.
È
efficace nella creazione, è efficace nel governo del mondo, è
efficace nella redenzione. Che cosa potrebbe essere più efficace e
più potente ? « Chi può narrare i prodigi del Signore e far
risuonare tutta la sua lode ? »
(Sal 105,2).
È efficace quando opera, è efficace
quando viene predicata. Infatti non ritorna indietro vuota, ma
produce i suoi frutti dovunque viene annunziata (Is 55,11).
La
parola è efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio
quando viene creduta e amata. Che cosa infatti è impossibile a chi
crede, che cosa è impossibile a chi ama ?
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I°
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LODI
Mercoledì Mc 1, 29-39
Dal trattato
sul Padre nostro, 29-30
(In l'Ora
dell'Ascolto p. 1352,1357)
« Al
mattino si alzò quando era ancora buio e, uscito di casa, si ritirò
in un luogo deserto »
San Cipriano
nel terzo secolo
Dio
ci ha insegnato a pregare non solo con le parole, ma anche coi
fatti, pregando e supplicando egli stesso frequentemente e
dimostrando con la testimonianza del suo esempio come dobbiamo fare
anche noi ; sta scritto infatti : « Gesù si rititava in luoghi
solitari a pregare » (Lc 5,16) ; e ancora : « In quei giorni Gesù se
ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione » (Lc
6,12). Se pregava lui che era senza peccato, quanto più è necessario
che preghiamo noi peccatori ; e se lui passava l’intera notte
vegliando in continua orazione, quanto più noi dobbiamo vegliare
nella notte, in preghiera !
Certo
il Signore pregava e intercedeva non per sé – che cosa infatti
poteva domandare per sé egli che era innocente ? – ma per i nostri
peccati. Lo dichiara egli stesso quando dice rivolto a Pietro :
« Ecco, Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano. Ma io ho
pregato per te, che non venga meno la tua fede » (Lc 22,31). E dopo
questo supplica il Padre per tutti dicendo : « Non prego solo per
questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in
me ; perché tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre, sei in me e
io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola » (Gv 17,20-21).
Grande fu la bontà di Dio per la nostra salvezza, grande la sua
misericordia ! Egli non si accontentò di redimerci col suo sangue,
ma volle anche pregare per noi. E guardate quale fu il suo desiderio
mentre pregava : che come il Padre e il Figlio sono una cosa sola,
così anche noi rimaniamo nella stessa unità.
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I°
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VESPRI Mercoledì
Mc 1, 29-39
Meditazioni 1,
1-49
« Al
mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò
in un luogo deserto e là pregava »
Guigo
il Certosino nel dodicesimo secolo
Gesù
stesso, che è Dio e Signore, la cui fortezza non aveva bisogno di
trovare appoggio in alcun ritiro, e non veniva intralciata dalla
compagnia degli uomini, pur tuttavia ebbe cura di lasciarci un
esempio. Prima del suo ministero di predicazione e prima di fare
miracoli, si è sottomesso, nella solitudine, alla prova della
tentazione e del digiuno (Mt 4, 1s). La Scrittura ci riferisce che,
trascurata la folla dei discepoli, saliva sul monte a pregare, solo
(Mc 6, 46). Poi, nell’ora in cui la sua Passione si avvicina,
abbandona i suoi discepoli per andare a pregare solo (Mt 26, 36).
Questo è un esempio adatto per farci capire quanti vantaggi la
preghiera trae dalla solitudine, visto che egli non vuole pregare
accanto a dei compagni, fossero anche i suoi apostoli.
Non
bisogna passare sotto silenzio tale mistero che ci riguarda tutti.
Lui, il Signore, il Salvatore del genere umano, offre nella sua
persona un esempio vivo : Solo, nel deserto, si dedica alla
preghiera e agli esercizi della vita interiore – il digiuno, le
veglie, e altri frutti di penitenza – superando così le tentazioni
dell’ Avversario con le armi dello Spirito.
O
Gesù, accetto che all’esterno, non ci sia nessuno con me ; ma purché
dentro di me, io sia maggiormente con te. Guai all’uomo solitario,
se non sei con lui ! Quanti uomini mentre stanno nella folla, sono
veramente soli, perché non sono con te. Vorrei, con te, non essere
mai solo. Poiché in questo momento, anche se nessuno è con me, io
non sono solo : da solo sono una folla.
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I°
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- LODI - Giovedì
LIBRO DI VITA DI GERUSALEMME
CAPITOLO “MONACI E MONACHE” § 57
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I°
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VESPRI Giovedì
Mc 1, 40-45
Lettera 2
Esortazione ai monaci.
Sant’Antonio il
Grande nel IV secolo
O
amati nel Signore, Dio non ha visitato il creato una volta soltanto,
ma lo fa ogni momento dall’inizio del mondo alla sua fine. Pertanto
Dio sta con chiunque cerchi il Signore con zelo e con amore,
ascoltando i suoi comandamenti, e a costui fa dono dello Spirito
Santo.
Poiché
le facoltà spirituali congiunte al corpo vennero a indebolirsi e
alterarsi a causa dei moti dell’anima, fino a morire, e poiché gli
uomini non riuscivano più a ricordare la loro natura originaria, ma
erano diventati come animali e adoravano le creature al posto del
Creatore, allora il Creatore di tutto, in forza della sua bontà,
visitò il creato con le sue leggi che danno la vita. Coloro che
furono meritevoli di tale grazia e agirono secondo la legge con
tutta la forza e la volontà, ricevettero lo Spirito della filiazione
e vennero istruiti dallo Spirito Santo, sì da potere adorare il
Creatore come si conviene.
A
questo proposito l’apostolo Paolo ha detto che tutti costoro, pur
avendo ricevuto per la loro fede una buona testimonianza, non
conseguirono la promessa, avendo Dio predisposto qualcosa di meglio
in vista di noi, perché essi non ottenessero la perfezione senza di
noi…
D’ora
innanzi o amati, sia a voi manifesta questa parola: il Padre nella
sua bontà non risparmiò il proprio Figlio Unigenito ma lo consegnò
per salvarci dai nostri peccati e dalle nostre colpe. Egli si umiliò
per noi e con le sue sofferenze ci guarì. Con la parola della sua
potenza ci riunì da tutte le parti della terra e del mondo abitato,
diventando per noi risurrezione e salvezza dai nostri peccati e
insegnandoci che siamo membra gli uni degli altri.
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I°
settimana Tempo Ordinario
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LODI Venerdì
Mc 2, 1-12
Esposizione
sul salmo 36, no. 3, §3
(Nuova
Biblioteca Agostiniana)
« Si
recarono da lui con un paralitico »
Sant’Agostino
nel quinto secolo
Possiamo,
fratelli, sollevare costui che ha perduto in tutte le sue membra
interiori la facoltà di compiere opere buone, quasi fosse un
paralitico, e aprire il tetto di questa Scrittura, e presentarlo al
Signore?
Io intravvedo
un certo paralitico nell'anima. E vedo questo tetto (della
Scrittura), e sotto il tetto riconosco Cristo nascosto. Farò, per
quanto posso, ciò che si loda in coloro che, aperto il tetto,
presentarono a Cristo il paralitico, affinché Egli gli dicesse:
« Confida, figlio, ti sono rimessi i tuoi peccati ». Perché così
salvò l'uomo interiore dalla paralisi, rimettendo i peccati, e
rinsaldando la fede.
Ma vi erano là
uomini che non avevano occhi capaci di vedere che il paralitico
interiore era già guarito, e credettero che il Medico che lo curava
bestemmiasse. « Chi è questi - dicono - che rimette i peccati?
Costui bestemmia. Chi può rimettere i peccati, se non il solo Dio? »
E poiché egli era Dio, intendeva ciò che essi pensavano. Pensavano
queste cose di Dio, ma non vedevano il Dio presente. Compì allora
quel medico qualcosa anche nel corpo del paralitico, in modo da
risanare l'interiore paralisi di coloro che tali cose avevano detto.
Compì cose che essi potessero vedere, e dette loro modo di credere.
Orsù, chiunque
tu sia, tanto infermo e debole di cuore da attenerti agli esempi
umani e voler perciò rinunziare alle opere buone, ed essere come
colpito da una interiore paralisi, fatti forza per vedere se
possiamo, aperto questo tetto, presentarti al Signore.
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I°
settimana Tempo Ordinario
-
VESPRI Venerdì
Mc 2, 1-12
Discorsi 50,
CCL 24, p. 276-282. PL 52, 339
« Vista
la loro fede »
San Pietro
Crisologo nel quinto secolo
Venne
nella sua città ; ed ecco che gli fu presentato un paralitico che
giaceva su un lettuccio. Gesù, vista la loro fede, disse al
paralitico : « Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati ». Il
paralitico, pur avendo udito questo perdono, resta muto. Non
risponde con nessun ringraziamento. Desiderava infatti la guarigione
del corpo più della guarigione dell’anima. Piangeva i mali
passeggeri del suo corpo ammalato mentre non piangeva i mali eterni
della sua anima, ancor più malata. Riteneva infatti la vita presente
più preziosa della vita futura.
Cristo a ragione, tiene conto della fede di coloro che gli
presentano il malato, senza tenere in nessun conto la sciocchezza di
costui. Grazie alla fede altrui, l’anima del paralitico verrà
guarita prima del suo corpo. « Vista la loro fede », dice il
Vangelo. Notate bene, fratelli, che Dio non si preoccupa di quanto
vogliono gli uomini insensati. Non si aspetta di trovare la fede
dagli ignoranti, non presta riguardo agli sciocchi desideri di un
infermo. Invece, non rifiuta di portare aiuto alla fede altrui.
Questa fede è un regalo della grazia, e si accorda con la volontà di
Dio.
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I°
settimana Tempo Ordinario
-
LODI Sabato
Mc 2, 13-17
Esposizione
sul salmo 58, 1,7 ; CCL 39, 733-734
(Nuova
Biblioteca Agostiniana)
« Sono i
malati che hanno bisogno del medico »
Sant’Agostino
nel quinto secolo
Vi sono dei
forti…Essi confidano nella loro giustizia. Presumendo infatti di se
stessi e della loro giustizia e ritenendo di essere sani, hanno
respinto la medicina ed hanno ucciso lo stesso medico. Questi forti,
per nulla convinti di essere infermi, non è venuto a chiamare colui
che diceva: Non è necessario il medico ai sani, ma agli ammalati…
O forti, che
non avete bisogno del medico! Codesta forza non è salute, ma follia.
…. Ma il Maestro dell'umiltà, che si rese partecipe della nostra
debolezza donandoci insieme la partecipazione della sua divinità,
discese dal cielo per insegnarci la via e per essere lui stesso la
via; e, fra tutte le altre cose, si degnò inculcarci per prima la
sua umiltà… per insegnarci a confessare i nostri peccati, per
insegnarci ad essere deboli onde divenire forti, e fare nostre le
parole dell'Apostolo che dice: « Quando divengo debole, allora sono
forte » (2 Cor 12,10)…
Ma quei tali
che volevano essere forti, volevano cioè presumere troppo dalla loro
forza ritenendosi giusti, « incespicarono contro la pietra di
inciampo » (Rm 9,32)…. Questi sono, dunque, i forti, che fecero
irruzione addosso a Cristo, proclamando la loro giustizia…
Anteposero se medesimi alla debole folla che, nella sua infermità,
correva dal medico; e così fecero, appunto perché erano forti …e
uccisero il medico di tutti. Ma Cristo, proprio perché era stato
ucciso, del suo sangue fece medicina per gli ammalati.
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I°
settimana Tempo Ordinario
-
PRIMI VESPRI Sabato
La
Chiesa e noi
di san
Pier Damiani nell’ undicesimo secolo
La
Chiesa diversificata dalla molteplicità delle persone è una nella
pluralità dei suoi membri, e nello stesso tempo misteriosamente
tutta in ogni singolo.
Non a
torto questa Chiesa si presenta come l’unica Sposa di Cristo, e
contemporaneamente si crede che ogni anima è, in qualche modo, per
il mistero del sacramento, la Chiesa nella sua pienezza.
La
Chiesa intera è semplice nella pluralità dei suoi membri grazie
all’unità della fede, ed è molteplice in ciascuno di essi grazie
alla diversità dei carismi uniti dal cemento della carità. E tutto
ciò perché tutti procedono dall’Uno.
La
Chiesa diversificata dalla molteplicità delle persone non è meno
tutta fusa in uno dal fuoco dello Spirito Santo: Senza alcun dubbio
è questo Spirito, diffuso nei nostri cuori, uno nella maestà,
molteplice nei doni che, alla Chiesa che egli riempie, concede di
essere nello stesso tempo una nell’universalità e tutta nelle sue
parti… Così l’orante solitario può dire “noi” e la folla “io”.
Se
dunque la Chiesa intera è l’unico Corpo di Cristo, essendo noi,
malgrado il numero, uno in Cristo, possediamo ciascuno in Lui il
nostro tutto, e per questo, benché possiamo sembrare lontani per
l’isolamento del nostro corpo, rimaniamo alla Chiesa sempre
vicinissimi per il sacramento inviolabile dell’unità.
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II°
settimana Tempo Ordinario
- UR Domenica
Mt 28, 8-15
Discorsi, 80
; CCL 24A, 490
«
Non temete »
San Pietro
Crisologo nel quinto secolo
“So
che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui”. Così diceva alle donne
l’angelo che per questo motivo aveva aperto il sepolcro: Non per
farne uscire Cristo, che già non vi era più, bensì per fare sapere
che Cristo non vi era più. “È risorto come aveva detto; venite a
vedere il luogo dove era deposto” (Mt 28,5-6). Venite, donne,
venite. Vedete il luogo dove avevate deposto Adamo, dove il genere
umano era stato seppellito. Capite che tanto più grande è il suo
perdono, quanto più grande è stata l’ingiustizia fatta al Signore...
Quando le donne entrano nel sepolcro, partecipano alla sepoltura, si
uniscono alla Passione. Uscite dal sepolcro, si risollevano nella
fede prima di risorgere nella carne. “Abbandonato in fretta il
sepolcro, corsero con timore e gioia grande”... La Scrittura dice:
“Servite Dio con timore e con tremore esultate” (Sal 2,11).
“Ed
ecco Gesù venne loro incontro dicendo: Salute a voi”. Cristo viene
incontro a coloro che corrono con fede affinché riconoscano con i
loro occhi ciò che avevano creduto con la fede. Vuole confortare con
la sua presenza quelle che l’udito aveva lasciate tremanti fino a
quel momento. Viene loro incontro come un maestro, le saluta come un
parente, con il suo amore ridona loro la vita, le preserva con il
timore. Saluta coloro che lo servono amorosamente, perché il timore
non le faccia fuggire. “Salute a voi” Ed esse, avvicinatesi, gli
presero i piedi” ... “Salute a voi” cioè: toccatemi. Ha voluto
essere abbracciato, colui che si era lasciato gettare le mani
addosso...
Dice
loro: “Non temete”. Ciò che aveva detto l’angelo, anche il Signore
lo dice. L’angelo le aveva rafforzate, Cristo le rende più forti
ancora. “Non temete, andate ad annunziare ai miei fratelli che
vadano in Galilea e là mi vedranno”. Risorto dai morti, Cristo ha
riafferrato l’uomo, non l’ha abbandonato. Chiama dunque suoi
fratelli coloro che con il corpo ha reso suoi fratelli di carne;
chiama fratelli coloro che ha adottato come figli del Padre suo.
Chiama fratelli coloro che, erede pieno di bontà, ha reso suoi
coeredi.
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II°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Domenica
Lc 5, 1-11
Confessione,
38-40; SC 249, 111
« Non
temere ; d’ora in poi sarai pescatore di uomini »
San Patrizio
nel quinto secolo
Sono
grandemente debitore a Dio che mi ha concesso una grazia così grande
che cioè, per mio mezzo, “dei popoli numerosi” siano rinati per
Dio... : “Ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia
salvezza fino all'estremità della terra”... In questo modo voglio
“attendere che si adempisse la promessa” di colui che non fa mai
difetto, come ci viene attestato da lui nel Vangelo: “Verranno
dall'Oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo,
Isacco e Giacobbe”. Perciò abbiamo fiducia che i credenti verranno
dal mondo intero.
Per
questo importa dedicarsi alla pesca come si deve e con vigilanza,
secondo l'esortazione e l'insegnamento del Signore che dice:
“Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”. Dice ancora nei profeti:
“Ecco, io invierò numerosi pescatori e cacciatori”. Per questo era
molto importante tendere le nostre reti, affinché “una quantità
enorme [di pesci]”, cioè “una folla” di gente sia presa per Dio e
che, per battezzare ed esortare il popolo, ci siano ovunque
sacerdoti, secondo la parola del Signore: “Andate dunque e
ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del
Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò
che vi ho comandato; Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla
fine del mondo”.
(Riferimenti
biblici : Ez 38,6 ; Is 49,6 ; At 1,4 ; Mt 8,11 ; Mt 4,19 ; Ger 16,16
; Lc 5,6 ; Lc 6,17 ; Mt 28,19)
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II°
settimana Tempo Ordinario
- LODI Martedì
Mc 2, 23-28
Specchio
della carità, III, 3,4,6
« Il
signore del sabato »
Elredo di
Rievaulx nel dodicesimo secolo
Quando l’uomo, sradicandosi dal vocìo esteriore, si è raccolto nel
segreto del suo cuore, quando ha chiuso la sua porta alla folla
rumorosa delle vanità, e ha passato in rassegna i suoi tesori,
quando non c’è più in lui nessuna agitazione né disordine, nulla che
lo tiranneggi, nulla che lo attanagli, quando tutto il piccolo mondo
dei suoi pensieri, parole e azioni sorride all’anima, come si
sorride al padre in una famiglia tutta unita e in pace, allora nasce
nel cuore improvvisamente, una certezza meravigliosa. Da questa
certezza nasce una gioia straordinaria, e da questa gioia zampilla
un canto di esultanza che scoppia in lodi a Dio, tanto più ferventi,
quanto più siamo coscienti che tutto il bene che vediamo in noi
stessi è un puro dono di Dio.
Questo è la gioiosa celebrazione del sabato, che deve essere
preceduto da sei altri giorni, cioè dal pieno compimento delle
opere. Dobbiamo prima affaticarci nel fare opere buone, per poi
riposarci nella pace della nostra coscienza…
In questo sabato, l’anima
gode di quanto dolce sia Gesù.
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II°
settimana Tempo Ordinario
VESPRI Martedì
Mc 3, 1-6
Trattato
sui salmi, 91, 3,4-5,7 ; PL 9, 495-498
« È lecito
in giorno di sabato fare il bene ?... salvare una vita ? »
Sant’Ilario
di Poitiers nel quarto secolo
Opera
Dio in giorno di sabato? Certo che sì. Perché altrimenti il cielo
scomparirebbe, la luce del sole si spegnerebbe, la terra perderebbe
la sua consistenza, tutti i frutti si appassirebbero e la vita degli
uomini perirebbe se, a causa del sabato, la forza costitutiva
dell’universo cessasse di agire. Ma in effetti, non c’è tregua. Sia
durante il sabato che durante gli altri sei giorni, gli elementi
dell’universo continuano ad adempiere la loro funzione. In questo
modo il Padre opera dunque in ogni tempo, agisce nel Figlio nato da
lui, e mediante il quale ha fatto ogni cosa... Mediante il Figlio,
l’azione del Padre prosegue dunque anche in giorno di sabato.
Pertanto non c’è riposo in Dio, poiché nessun giorno vede cessare la
sua opera
Questo è quanto riguarda l’azione di Dio. Ma in cosa consiste il suo
riposo? L’opera di Dio, è l’opera di Cristo. E il riposo di Dio, è
Dio, il Cristo, poiché quanto appartiene a Dio è veramente in
Cristo, a tal punto che il Padre può riposarsi in lui.
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II°
settimana Tempo Ordinario
LODI Mercoledì
Mc 3, 1-6
Trattato
sui Salmi 91,3 ; PL 9,495
« Ogni
giorno, ogni cosa viene creata dal Figlio »
Sant’Ilario di
Poitiers nel quarto secolo
Il
giorno del sabato, era prescritto a tutti, nessuno escluso, di non
fare alcun lavoro e di riposarsi nell’inattività. Come dunque il
Signore ha potuto trascurare il sabato ? … In verità, grandi sono le
opere di Dio : Tiene il cielo nelle sue mani, dà la luce al sole e
agli altri astri, fa crescere le piante della terra, mantiene l’uomo
in vita… Si, tutto esiste e dura nel cielo e sulla terra per la
volontà di Dio Padre ; tutto viene da Dio e tutto esiste per mezzo
del Figlio. Egli è infatti il capo e il principio di tutto. In lui
tutto è stato fatto. E dalla sua pienezza, secondo l’iniziativa
della sua eterna potenza, ha creato ogni cosa.
Ora,
se Cristo agisce in tutto, è necessariamente mediante l’azione di
Colui che agisce in Cristo. Perciò è detto : « Il Padre mio opera
sempre e anch’io opero » (Gv 5, 17). Infatti tutto ciò che viene
fatto da Cristo, il Figlio di Dio abitato da Dio Padre, è opera del
Padre. Perciò, ogni giorno, ogni cosa viene creata dal Figlio,
perché tutto ciò che viene fatto dal Padre, è fatto per mezzo del
Figlio. Quindi, l’azione del Figlio è di ogni giorno ; e, secondo
me, i principi della vita, le forme dei corpi, lo sviluppo e la
crescita degli esseri viventi manifestano questa opera.
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II°
settimana Tempo Ordinario
VESPRI Mercoledì
Mc 2, 23-28
dimostrazioni, n°13, 1-2.13 ; SC 359, 589
Il signore
del sabato
Sant’Afraate
nel quarto secolo
Per
mezzo di Mosè suo servo, il Signore ha domandato ai figli di Israele
di osservare il sabato. Disse loro: “ Sei giorni faticherai e farai
ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del
Signore” (Es 20,9)... Li avvertì: “Non farai alcun lavoro, né tu, né
tuo figlio, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo
bestiame”. Aggiunse anche: “Perché possano goder quiete il tuo bue e
il tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava e il
forestiero” (Es 23,12)... Il sabato non è stato imposto come una
prova, una scelta da operare fra la vita e la morte, fra la
giustizia e il peccato come gli altri precetti secondo i quali
l’uomo può vivere o morire. No, il sabato, a suo tempo è stato dato
al popolo in vista del riposo – sia degli uomini che degli
animali...
Ascoltate ora quale è il sabato gradito al Signore. L’ha detto
Isaia: “Fate riposare lo stanco” (28,12). E altrove: “Quanti si
guardano dal profanare il sabato, restano fermi alla mia alleanza”
(56,4)... Dio abita in coloro che scelgono quello che piace a Dio e
non commettono il male; in essi Dio fa la sua dimora secondo la sua
parola: “Abiterò in mezzo a loro e con loro camminerò” (Lv 26,12; 2
Cor 6,16)... Noi dunque, custodiamo fedelmente il sabato di Dio,
cioè quello che piace al suo cuore. Così entreremo nel sabato del
grande riposo, il sabato del cielo e della terra in cui ogni
creatura si riposerà.
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II°
settimana Tempo Ordinario
- LODI Giovedì
Mc 3, 7-12
Conferenza 13
« Dalla
Galilea, dalla Giudea, dall’Idumea e da Tiro e Sidone, venite a me
voi tutti »
Giovanni
Cassiano nel quinto secolo
Dio
non ha creato l’uomo perché si perdesse, bensì perché vivesse in
eterno ; questo disegno rimane immutabile… Infatti, « Egli vuole che
tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della
verità » (1 Tm 2, 4). Questa è la volontà del Padre vostro celeste,
dice Gesù, « che non si perda neanche uno solo di questi piccoli »
(Mt 18, 14). E altrove sta scritto : « Dio non vuole che alcuna
anima perisca ; usa pazienza affinché tutti abbiano modo si
pentirsi » (2 Sm 14, 14 ; 2 Pt 3, 9). Dio è veritiero ; non mentisce
quando dichiara sotto giuramento : « Com’è vero ch’io vivo, io non
godo della morte dell’empio, ma che l’empio desista dalla sua
condotta e viva » (Ez 33, 11).
Possiamo allora pensare, senza commettere un sacrilegio enorme, che
egli voglia la salvezza soltanto di alcuni, e non di tutti in
generale ? Chiunque si perda, si perde contro la volontà di Dio.
Ogni giorno egli grida verso di lui : « Convertitevi dalla vostra
condotta perversa ! Perché volete perire, o casa d’Iraele ? » (Ez
33, 11). E di nuovo, insiste : « Perché allora questo popolo si
ribella con continua ribellione ? Hanno indurito la faccia più di
una rupe, non vogliono convertirsi » (Ger 8, 5 ; 5, 3). Quindi la
grazia di Cristo è sempre a vostra disposizione. Poiché egli vuole
che tutti gli uomini siano salvati, li chiama tutti, nessuno
escluso. « Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e
io vi ristorerò » (Mt 11, 28).
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II°
settimana Tempo Ordinario
- VESPRI Giovedì
Mc 3, 7-12
Giornale
dell’anima, § 1935-1944
« Lo seguì molta folla dalla
Galilea. Dalla Giudea e da Gerusalemme e dall’Idumea e dalla
Transgiordania…”
Beato Giovanni XXIII
« Signore, apri le
mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode » (Sal 50,17). Quando
pensiamo che queste parole sono ripetute ogni giorno durante la
preghiera del mattino, in nome della santa Chiesa che prega per se
stessa e per il mondo intero, da migliaia e centinaia di migliaia di
bocche, aperte dalla grazia così invocata, il nostro sguardo si apre
e si completa. Ecco la Chiesa che si presenta, non come un monumento
storico del passato, bensì come un’istituzione viva. La santa Chiesa
non è come un palazzo che si potrebbe costruire in un anno. È una
città immensa che dovrà contenere l’universo intero. « Il suo monte
santo, altura stupenda, è la gioia di tutta la terra. Il monte di
Sion, dimora divina, è la città del grande Sovrano » (Sal 47,3 volg.).
La
fondazione, iniziata da venti secoli, prosegue, e si estende per
tutta la terra finché il nome di Cristo non sia adorato ovunque. Via
via, nuovi popoli ai quali Cristo è stato annunziato esultano di
gioia : « I popoli si rallegrano e glorificano la parola » (At
13,48). È bello questo pensiero, è edificante per ogni sacerdote che
recita il breviario : occorre che ognuno si impegni
nell’edificazione di questa Chiesa santa.
Chi si
applica nella predicazione dica al Signore, in quanto messaggero del
suo Vangelo : « Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami
la tua lode ». Chi non è missionario, desideri ardentemente
cooperare anche lui al grande compito della missione, e mentre
salmodia in privato, solitario nella sua cella, dica anche lui :
« Signore, apri le mie labbra ». Infatti, nella comunione della
carità, deve considerare sua, ogni lingua che sta annunziando il
Vangelo, che è la suprema lode divina.
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II°
settimana Tempo Ordinario -
LODI Venerdì
Catechesi 10
« Costui
non è quel tale che ci perseguitava ? »
San Cirillo di
Gerusalemme nel quarto secolo
« Noi
non predichiamo noi stessi ; ma Cristo Gesù Signore ; quanto a noi,
siamo i vostri servitori per amore di Gesù » (2 Cor 4,5). Chi è
dunque questo testimone che annunzia Cristo ? Proprio colui che
prima lo perseguitava. Grande meraviglia ! Il persecutore di prima,
eccolo che annunzia Cristo. Perché ? Sarà forse stato comprato ? Ma
nessuno avrebbe potuto convincerlo in tal modo. Forse la vista di
Cristo su questa terra l’avrebbe accecato ? Gesù era già salito in
cielo. Saul era uscito da Gerusalemme per perseguitare la Chiesa di
Cristo e, tre giorni dopo, a Damasco, il persecutore è divenuto
predicatore. Sotto quale influenza ? Altri citano come testimone in
favore dei loro amici, gente della loro parte. Io, invece, ti ho
dato come testimone uno che prima era nemico.
Dubiti ancora ? Grande è la testimonianza di Pietro e Giovanni ma…
erano proprio della casa. Quando il testimone, un uomo che dopo
morrà per causa di Cristo, è colui che prima era nemico, chi
potrebbe ancora dubitare del valore della sua testimonianza ? Io
sono proprio in ammirazione davanti al piano dello Spirito… :
Concede a Paolo che era persecutore, di scrivere le sue quattordici
lettere… Siccome non si potrebbe contestare il suo insegnamento, ha
concesso a colui che era prima il nemico e il persecutore di
scrivere più di Pietro e Giovanni. In questo modo, la fede di noi
tutti può essere consolidata. Riguardo a Paolo infatti, tutti si
meravigliavano e dicevano : « Ma costui non è quel tale che a
Gerusalemme infieriva contro di noi, ed era venuto qua precisamente
per condurci in catene ? »
(At 9,21) Non meravigliatevi, dice Paolo.
Lo so bene, « duro è per me
ricalcitrare contro il pungolo » (At 26,14). « Non sono degno
neppure di essere chiamato apostolo » (1 Cor 15,9) ; « mi è stata
usata misericordia perché agivo senza saperlo » …
« La grazia del Signore
nostro ha sovrabbondato » (1 Tm 1,13-14).
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II°
settimana Tempo Ordinario
- VESPRI Venerdì
Omelia su
san Paolo, 4, § 1-2
« Che devo
fare, Signore ? »
San
Giovanni Crisostomo nel quarto secolo
Il
beato Paolo, che ci raduna oggi, ha illuminato la terra. Nell’ora
della sua chiamata è stato accecato ; eppure questa cecità ha fatto
di lui una fiaccola per il mondo. Vedeva chiaro per fare il male ;
nella sua sapienza, Dio lo ha accecato per poi rischiararlo per il
bene. Dio non gli ha semplicemente manifestato la sua potenza ; gli
ha anche rivelato il cuore della fede che avrebbe dovuto predicare.
Occorreva cacciare lontano da lui tutti i suoi pregiudizi, chiudere
gli occhi e abbandonare le false luci della ragione per scorgere la
retta dottrina, « farsi stolto per diventare sapiente », come egli
dirà più tardi (1 Cor 3,18)… Nessuno creda tuttavia che questa
vocazione gli fosse stata imposta ; Paolo era libero di scegliere…
Ardente, impetuoso, Paolo aveva bisogno di un freno energico per non
disprezzare, travolto dalla foga, la voce di Dio. Dio quindi ha
prima represso tale impeto ; mentre lo colpisce di cecità, placa la
sua ira ; poi gli parla. Gli fa conoscere la sua sapienza
ineffabile, perché riconosca colui che prima combatteva e capisca
che non può più resistere alla sua grazia. Non è la mancanza di luce
che lo ha accecato, bensì la sovrabbondanza di luce.
Dio
ha scelto proprio il momento ; Paolo è il primo a riconoscerlo :
« Quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò
con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio » (Gal
1, 15)…Impariamo dunque per bocca stessa di Paolo che nessuno ha mai
trovato Cristo per mezzo del proprio spirito. È Cristo ad essersi
rivelato e fatto conoscere. Così dice il Salvatore : « Non voi avete
scelto me, ma io ho scelto voi » (Gv 15,16).
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II°
settimana Tempo Ordinario
SABATO - Lodi
Dal Libro di Vita di Gerusalemme
Capitolo "nella Chiesa" § 149
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II°
settimana Tempo Ordinario - Sabato
PRIMI VESPRI
« Padre Santo,
siano come noi una cosa sola. »
di San
Gregorio Nisseno nel quarto secolo
Avendo dato ogni potere ai suoi discepoli, il Signore concede ogni
bene ai suoi santi nella preghiera che rivolge a suo Padre. Eppure
aggiunge il più importante dei beni : L’essere tutti una cosa sola,
mediante la loro unione col solo ed unico bene. Così, « uniti dallo
Spirito Santo, essendo legati per mezzo del vincolo della pace,
saranno tutti un solo corpo e un solo spirito, in virtù dell’unica
speranza alla quale sono stati tutti chiamati » (Ef 4, 4).
« Tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre sei in me e io in te ».
In effetti, il vincolo di questa unità è la gloria. Che lo Spirito
Santo sia chiamato gloria, nessuno lo potrebbe contraddire se è
attento alle parole del Signore : « La gloria che tu hai dato a me,
io l’ho data a loro » (Gv 17, 22). Infatti egli ha realmente dato
loro una tale gloria quando ha detto : « Ricevete lo Spirito
Santo » (Gv 20, 22). Egli ha ricevuto quella gloria che possedeva da
sempre, prima che il mondo fosse, quando si è rivestito della nostra
natura umana. E una volta che questa natura è stata glorificata
dallo Spirito, la gloria dello Spirito è stata comunicata a tutti
quelli che sono partecipi della stessa natura, cominciando dai
discepoli. Ecco perché dice : « Padre, la gloria che tu hai dato a
me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. »
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III°
settimana Tempo Ordinario -
UR Domenica
« Camminava
con loro »
Santa Teresa
Benedetta della Croce nel ventesimo secolo
Lo stesso
Signore che la Parola della Scrittura ci mette sotto gli occhi nella
sua umanità, mostrandocelo su tutte le strade che ha percorso sulla
terra, abita in mezzo a noi, nascosto sotto le specie del pane
eucaristico, viene a noi ogni giorno come Pane della Vita. In
ambedue questi aspetti, si fa vicino a noi, e sotto questi due
aspetti desidera che lo cerchiamo e lo troviamo. L’uno chiama
l’altro. Quando vediamo con gli occhi della fede il Salvatore
davanti a noi come la Scrittura ce lo dipinge, allora cresce il
nostro desiderio di accoglierlo in noi, nel Pane della Vita. Il pane
eucaristico a sua volta ravviva il nostro desiderio di fare sempre
più profondamente conoscenza con il Signore a partire dalla Parola
della Scrittura, e dona forze al nostro spirito per una migliore
comprensione.
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III°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
- Domenica
Discorsi per
la solennità di Tutti i Santi, 3; PL 85, 205
Beati i puri di cuore perché
vedranno Dio »
Beato Guerrico d’Igny nel dodicesimo
secolo
« Beati
i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei cieli ». L’inizio
del Nuovo Testamento è proprio gioioso e pieno della grazia nuova;
anzi, nel promettere la felicità ai miseri e il Regno dei cieli agli
esiliati, a coloro che sono nello sconforto provoca un po' il
miscredente o il pigro ad ascoltare, e più ancora ad agire. L’inizio
della Legge nuova è piacevole da intendere e comincia sotto buoni
auspici; tante sono infatti le parole confortanti di beatitudine che
il legislatore pronuncia fin da questo inizio. Così, coloro che
saranno stati attirati da esse cammineranno di virtù in virtù,
salendo gli otto gradini che il Vangelo ha costruito e sistemato nel
nostro cuore... Si tratta infatti, è ovvio, della salita dei cuori e
del progresso dei meriti mediante otto gradi di virtù, che conducono
gradualmente l’uomo dai più bassi ai più alti livelli della
perfezione evangelica. In questo modo entrerà in fine per vedere il
Dio degli dèi in Sion (Sal 49,1), nel suo Tempio, di cui diceva il
profeta: “I gradini per cui vi si accedeva erano otto” (Ez 40,37).
La
prima virtù dei principianti è la rinuncia del mondo, con la quale
diventiamo poveri di cuore; la seconda è la mitezza, con la quale ci
sottomettiamo all’obbedienza e ci abituiamo ad essa; poi il dolore
con il quale deploriamo i nostri peccati o, nei pianti, chiediamo le
virtù. Le assaporiamo proprio là dove avevamo maggiormente fame e
sete della giustizia, tanto per noi quanto per gli altri, e
cominciamo ad essere animati dallo zelo contro i peccatori. Allo
scopo però che un ardore smodato non si cambi in colpa, lo segue la
misericordia, dalla quale viene temperato. Con l’applicazione e
l’esercizio, quando avremo imparato ad essere giusti e
misericordiosi, saremo capaci di entrare nella contemplazione e di
dedicarsi a purificare il nostro cuore per vedere Dio.
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III°
settimana Tempo Ordinario - LODI
MARTEDI
Libro di Vita di Gerusalemme
Capitolo OBBEDIENZA § 107
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III°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Martedì
Discorso 25;
PL 46, 937
(in l' Ora
dell'Ascolto p. 2702)
« Costui è mio fratello, sorella e
madre »
Sant’Agostino
nel quinto secolo
Fate attenzione, vi prego, a
quello che disse il Signore Gesù Cristo, stendendo la mano verso i
suoi discepoli: “Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché
chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per
me fratello, sorella e madre”. Forse che non ha fatto la volontà del
Padre la Vergine Maria, la quale credette in virtù della fede,
concepì in virtù della fede, fu scelta come colei dalla quale doveva
nascere la nostra salvezza tra gli uomini, fu creata da Cristo,
prima che Cristo in lei fosse creato? Ha fatto, sì, certamente ha
fatto la volontà del Padre Maria santissima, e perciò conta di più
per Maria essere stata discepola di Cristo, che esser stata madre di
Cristo. Lo ripetiamo: fu per lei maggiore dignità e maggiore
felicità essere stata discepola di Cristo che esser stata madre di
Cristo. Perciò Maria era beata, perché, anche prima di dare alla
luce il Maestro, lo portò nel suo grembo...
Santa
è Maria, beata è Maria, ma è migliore la Chiesa che la Vergine
Maria. Perché? Perché Maria è una parte della Chiesa: un membro
santo, un membro eccellente, un membro che tutti sorpassa in
dignità, ma tuttavia è sempre un membro rispetto all’intero corpo...
Perciò, o carissimi, badate bene: anche voi siete membra di Cristo,
anche voi siete corpo di Cristo (1 Cor 12,27). Osservate in che modo
lo siete, perché egli dice: ‘Ecco mia madre, ed ecco i miei
fratelli”. Come potrete essere madre di Cristo? Chiunque ascolta e
“chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per
me fratello, sorella e madre”.
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III°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Mercoledì
Discorsi, n°
6 ; CCL 103, 32 ; SC 175, 327
Dare frutto
del trenta, del sessanta e del cento per uno
San Cesario di
Arles nel quarto secolo
Fratelli, ci sono due specie di campi: uno è il campo di Dio,
l’altro è il campo dell’uomo. Hai la tua tenuta; anche Dio ha la
sua. La tua tenuta è la terra; la tenuta di Dio è la tua anima. È
forse giusto che coltivi il tuo campo e lasci incolto il campo di
Dio? Coltivi la tua terra, e non coltivi la tua anima, forse perché
vuoi mettere in ordine la tua proprietà e lasciare incolta la
proprietà di Dio? È forse giusto questo? Forse Dio merita che
trascuriamo la nostra anima che egli ha tanto amata? Ti rallegri al
vedere la tua terra ben coltivata; perché non piangi al vedere la
tua anima incolta? I campi della nostra tenuta ci faranno vivere
alcuni giorni in questo mondo; la cura della nostra anima ci farà
vivere senza fine in cielo...
Dio
si è degnato di affidarci la nostra anima come sua tenuta;
mettiamoci dunque all’opera con tutte le nostre forze con il suo
aiuto, perché quando verrà a visitare la sua tenuta, egli la trovi
ben coltivata e perfettamente in ordine. Che vi trovi una messe
invece di rovi; che vi trovi vino invece di aceto; grano invece di
zizzania. Se vi troverà ciò che piace ai suoi occhi, ci darà in
cambio le ricompense eterne; invece i rovi saranno destinati al
fuoco.
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III°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Mercoledì
Discorsi 44
sul vangelo di Matteo, 3-4 ; PG 57, 467-469
« Chi ha orecchi per intendere
intenda ! »
San Giovanni Crisostomo nel quarto
secolo
Nella parabola del
seminatore, Cristo ci mostra che la sua parola è destinata a tutti,
indistintamente. Infatti come il seminatore della parabola, senza
fare nessuna distinzione fra i terreni, semina ai quattro venti,
così il Signore non distingue il ricco dal povero, il saggio dallo
stolto, il negligente dal diligente, il coraggioso dal vigliacco, ma
si rivolge a tutti e, pur conoscendo l’avvenire, fa da parte sua di
tutto finché non possa dire : « Che cosa dovevo fare ancora che io
non abbia fatto ? »
(Is 5,4)…
Inoltre, il Signore
dice questa parabola per incoraggiare i suoi discepoli ed educarli a
non lasciarsi abbattere, anche se coloro che accolgono la parola
sono meno numerosi di quelli che la sprecano. Così faceva il nostro
Maestro che, pur conoscendo l’avvenire, non cessava di spargere il
suo seme.
Ma,
dirai, a che pro seminare tra le spine, fra i sassi o lungo la
strada ? Se si trattasse di un seme e una terra materiali, non
avrebbe nessun senso ; ma poiché si tratta delle anime e della
Parola, la cosa è degna di elogi. A ragione si rimprovererebbe a un
coltivatore di agire così ; il sasso non può diventare terra, la
strada non può non essere una strada, né le spine non essere delle
spine. Ma nella sfera spirituale, non è lo stesso : il sasso può
diventare una terra fertile, la strada non essere più calpestata dai
passanti e diventare un campo fecondo, le spine essere sradicate e
permettere al seme di dare frutto liberamente. Se questo non fosse
possibile, il seminatore non avrebbe sparso il seme come ha fatto.
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III°
settimana Tempo Ordinario -
LODI Giovedì
Omelie per i
defunti
« Prima lo stelo, poi la spiga,
poi il chicco maturo nella spiga »
San Gregorio Nisseno nel quarto
secolo
La vita presente è un cammino
che ci porta al termine della nostra speranza, allo stesso modo in
cui si vede sui germogli il frutto che sta per sbocciare dal fiore;
grazie al fiore il frutto giunge all’esistenza, anche se il fiore,
non è il frutto. Allo stesso modo, la messe che nasce dai semi, non
appare subito con la spiga, ma dapprima cresce l’erba, poi quando è
morta l’erba, si erge lo stelo di grano e così il seme matura in
cima alla spiga...
Il
nostro Creatore non ci ha predestinati alla vita embrionale; lo
scopo della natura non è la vita dei neonati. Non mira neanche alle
età successive che raggiunge con il tempo nel processo di crescita
che trasforma l’apparenza dell’uomo, né ha per fine la dissoluzione
del corpo che sopravviene con la morte. Tutti questi stati non sono
altro che tappe sulla strada su cui camminiamo. La meta e il
termine della marcia, attraverso queste tappe, è la somiglianza con
Dio...; il termine atteso della vita, è la beatitudine. Oggi però,
per quanto riguarda il corpo – la morte, la vecchiaia, la
giovinezza, l’infanzia e la formazione dell’embrione – tutti questi
stati, sono come altrettante erbe, steli, e spighe, che formano un
cammino, una storia e una potenzialità che permettono la maturità
attesa.
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III°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Giovedì
Preghiera a
Gesù nel Santissimo, in Discorsi, Messaggi, Colloqui.
Gesù dà se stesso sino alla fine (Gv
13,1)
Beato Giovanni XXIII
O Gesù, cibo delle anime che
supera ogni realtà naturale, questo popolo immenso grida a te. Si
sforza di dare alla sua vocazione umana e cristiana uno slancio
nuovo, di abbellirla con virtù interiori, sempre pronto al
sacrificio di cui sei in prima persona l’immagine con la parola e
con l’esempio. Sei il primo tra i nostri fratelli; hai preceduto i
passi di ognuno di noi; hai perdonato le colpe di tutti. E li chiami
tutti a una testimonianza di vita più nobile, più attiva, più
comprensiva.
Gesù,
“pane della vita” (Gv 6,34), unico e solo alimento essenziale
dell’anima, accogli tutti i popoli alla tua mensa. Essa è già la
realtà divina sulla terra, il pegno delle bontà celesti; la certezza
di una beata concordia tra i popoli e di una lotta pacifica in vista
del vero progresso e della civilizzazione. Nutriti da te e di te,
gli uomini saranno forti nella fede, allegri nella speranza, attivi
nella carità. Le buone volontà trionferanno sulle trappole tese dal
male; trionferanno sull’egoismo e sulla pigrizia. E gli uomini retti
temendo Dio sentiranno alzarsi dalla terra di cui la Chiesa quaggiù
vuole essere l’immagine, i primi echi misteriosi e dolci della città
di Dio. Ci conduci verso i pascoli erbosi; ci proteggi. Mostraci,
Gesù, i beni della terra dei viventi (Sal 26,13).
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III°
settimana Tempo Ordinario -
LODI Venerdì
Mc 4, 26-34
Omelie su Matteo, cap. 13
« Se il chicco di grano
caduto in terra non muore, rimane solo ; se invece muore, produce
molto frutto »
(Gv 12,24)
San Gregorio Magno nel
sesto secolo
« Il regno dei cieli
si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e
semina nel suo campo ; una volta cresciuto, diventa un albero, tanto
che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami »
(Mt 13, 31). Questo granellino di senapa simboleggia per noi Gesù
Cristo che, messo in terra nel giardino dove è stato seppellito, ne
è uscito fuori dopo la sua risurrezione, in piedi come un grande
albero.
Possiamo dire che
quando morì, fu come un granellino di senapa. Fu un granellino di
senapa nell’umiliazione della sua carne e un grande albero nella
glorificazione della sua maestà. Fu un granellino di senapa quando
vi è apparso sfigurato, e un albero quando è risuscitato come « il
più bello tra i figli dell’uomo » (Sal 44,3).
I rami di questo
albero misterioso sono i santi predicatori del vangelo la cui
estensione ci è stata descritta nel salmo : « Per tutta la terra si
diffonde la loro voce e ai confini del mondo la loro parola » (Sal
19,5 ; cfr Rm 10,18). Gli uccelli si riposano fra i suoi rami quando
le anime giuste, che si sono elevate dai fascini della terra
appoggiandosi sulle ali della santità, trovano nelle parole dei
predicatori del vangelo la consolazione di cui hanno bisogno nelle
pene e le fatiche di questa vita.
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III°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Venerdì
Mc 4, 26-34
Commento sul
vangelo di Luca, VII, 183 ; SC 52, 77
«Gli uccelli del cielo possono
ripararsi alla sua ombra»
Sant’Ambrogio nel quarto secolo
Il Signore stesso è un
granello di senapa... Se Cristo è un granello di senapa, in quale
modo egli è il più piccolo, e come cresce? Non nella sua natura egli
cresce, ma secondo l’apparenza. Volete sapere come egli è il più
piccolo? “Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri
sguardi” (Is 53,2). Imparate che egli è il più grande: “Tu sei il
più bello tra i figli dell’uomo” (Sal 44,3). Infatti colui che non
aveva apparenza né bellezza è diventato superiore agli angeli (Eb
1,4) superando tutta la gloria dei profeti di Israele... Egli è il
più piccolo di tutti semi, perché non è venuto con la regalità, né
con le ricchezze, né con la sapienza di questo mondo. Ora, come un
albero, ha fatto crescere l’alta cima della sua potenza, cosicché
diciamo: “Alla sua ombra, cui anelavo, mi siedo” (Ct 2,3).
Secondo me, sovente sembrava contemporaneamente albero e seme. È
seme quando dicono: “Non è egli forse il figlio del carpentiere,”
(Mt 13,55). E proprio durante queste parole é improvvisamente
cresciuto: “Da dove mai viene a costui questa sapienza? ” (vs. 54).
Nel fogliame dei suoi rami potranno ripararsi con sicurezza
l’uccello notturno nella sua dimora, l’uccello solitario sopra il
tetto (Sal 101,7), quello che fu rapito fino al terzo cielo (2 Cor
12,3), e quello che sarà “rapito tra le nuvole, nell’aria” (1 Tes
4,17). Là riposeranno anche le potenze e gli angeli dei cieli e
quanti hanno, grazie alle loro azioni spirituali, preso il volo. San
Giovanni vi si è riparato quando riposava sul petto di Gesù (Gv
13,25)...
E noi
che “eravamo lontani” (Gal 2,13), radunati da mezzo alle nazioni, a
lungo sballottati nel vuoto del mondo dalle tempeste dello spirito
del male, spiegando le ali delle virtù, dirigiamo il nostro volo
affinché questa ombra dei santi ci ripari dal caldo soffocante di
questo mondo.
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III°
settimana Tempo Ordinario -
LODI Sabato
Sull’Hypapante
« Simeone prese il bambino tra le
braccia »
Elredo
di Rievaulx nel dodicesimo secolo
“Mosso dallo Spirito, Simeone
si recò al tempio”. Anche tu, se hai veramente cercato Gesù
dappertutto, cioè se – come la Sposa del Cantico dei cantici (Ct 3,
1-3) – l’hai cercato sul tuo letto, lungo la notte, leggendo,
pregando o meditando, se l’hai cercato anche nella città,
interrogando i tuoi fratelli, parlando di lui, scambiando parole su
di lui, se l’hai cercato per le strade e per le piazze approfittando
delle parole e degli esempi degli altri, se l’hai cercato presso le
guardie che fanno la ronda, cioè ascoltando coloro che sono giunti
alla perfezione, ti recherai allora al tempio, “mosso dallo
Spirito”. Questo è certo il luogo più adeguato per l’incontro del
Verbo con l’anima: lo si cerca dappertutto, lo si incontra nel
tempio... “Trovai l’amato del mio cuore” (Ct 3,4). Cerca dunque
dappertutto, cerca in tutto, cerca presso tutti, passa e oltrepassa
tutto per entrare infine nel luogo della tenda, fino alla dimora di
Dio, e allora lo troverai.
“Mosso dallo Spirito, Simeone si recò al tempio”. Mentre dunque i
suoi genitori vi portarono il Bambino Gesù, anche lui lo ricevette
nelle sue mani: tale è l’amore che gusta con il consenso, che si
lega con l’abbraccio, che assapora con l’affetto. Oh, fratelli, al
punto di far tacere ogni parola... Qui, nulla è più desiderabile del
silenzio: questi sono i segreti dello Sposo e della Sposa...
l’estraneo non può parteciparvi. “A me il mio segreto! A me il mio
segreto” (Is 24,16 Volg). Dov’è per te il tuo segreto, Sposa che
sola hai sperimentato quanta dolcezza si prova quando, in un
abbraccio spirituale, lo spirito creato e lo Spirito increato vanno
incontro l’uno dell’altro e si uniscono l’uno con l’altro, a tale
punto che sono due in una cosa , anzi in una cosa sola: colui che
giustifica e colui che viene giustificato, colui che santifica e
colui che viene santificato, colui che divinizza e colui che viene
divinizzato?...
Potessimo anche noi meritare di dire ciò che segue : “Lo strinsi
fortemente e non lo lascerò” (Ct 3,4). Questo è quanto ha meritato
il santo Simeone che ha detto: “Ora lascia, o Signore, che il tuo
servo vada in pace”. Ha voluto che lo si lascesse andare, liberato
dai legami della carne, per stringere più fortemente con l’abbraccio
del suo cuore Gesù Cristo nostro Signore, a lui la gloria e l’onore
nei secoli senza fine.
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III°
settimana Tempo Ordinario - Sabato
Primi Vespri
Il Figlio dell’uomo si gloria della sua croce
di San Tommaso d'Aquino nel
tredicesimo secolo
Certi
si gloriano del loro sapere; l’apostolo Paolo invece trova nella
croce la conoscenza suprema: “Io ritenni di non sapere altro in
mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso” (1 Cor 2,2). La
croce non è forse il compimento di tutta la legge, e l’arte di
vivere bene? A coloro che si gloriano della loro potenza, Paolo può
rispondere che ha ricevuto dalla croce una potenza senza pari: “La
parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in
perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio”
(1 Cor 1,18). Vi gloriate della libertà che avete acquistata? Paolo
invece si gloria della croce: “Il nostro uomo vecchio è stato
crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e
noi non fossimo più schiavi del peccato” (Rm 6,6).
Altri ancora si gloriano per essere stati eletti membri di qualche
gruppo illustre; quanto a noi, per mezzo della croce di Cristo,
siamo invitati all’assemblea dei cieli. “Piacque a Dio di
riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della
sua croce, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli” (Col
1,20). Certi infine si gloriano dei distintivi del trionfo concessi
a quelli che hanno vinto; la Croce è il vessillo trionfale della
vittoria di Cristo sui demoni: “Egli ha privato della loro forza i
Principati e le Potestà, ne ha fatto pubblico spettacolo dietro al
corteo trionfale di Cristo” (Col 2,15)...
Di
cosa l’apostolo vuole gloriarsi prima di tutto? Di ciò che può
unirlo a Cristo; questo egli desidera: essere con Cristo.
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IV°
settimana Tempo Ordinario -
UR
Domenica
CRISTO E’ RISORTO E ATTIRA A SE’ LA STORIA INTERA
di Giorgio
La Pira
Se Cristo è risorto,e lo è, allora il “punto propulsivo” il
“punto di Archimede” della storia intiera del mondo - cosmica e
umana; individuale e collettiva - è Lui; il corso intiero dei secoli
fa centro in Lui, Alfa e Omega; principio e fine; primo e ultimo: (Ap.
22,13); allora, è “vera” la grazia
che da Lui – per tutti gli uomini e tutti i popoli – deriva
(Gv. 1,16; 4,15); allora è “vera” – “necessitante”, in
un certo senso, per tutti gli uomini e per tutti i popoli, per tutta
la storia – la Chiesa, da Lui disegnata a Cesarea
(Mt. 16,18)
e lanciata – per opera dello Spirito Santo – a Pentecoste
(At. 2,2ss) e da Lui sostenuta ogni giorno,
nel corso intiero dei secoli
(Mt. 28,20);
allora sono “vere”, “valide”, ineliminabili – nella struttura e
nella dinamica della Chiesa e della storia – le “missioni” da Lui
affidate per tutte le genti
(Mt. 28,19), a Pietro e Paolo
(At. 9,15), a tutti gli apostoli per
pervenire sino alla “pienezza degli ebrei” ed alla “pienezza dei
gentili”
(Rm.11,25);
allora è fondamentalmente “vero”, fondamentalmente “valido”,
nonostante tutti i limiti e tutte le deficienze, l’intiero corso
bimillennario della storia della Chiesa in “espansione missionaria”
verso le genti…
Allora, in conclusione, la storia intiera – e quella del
nostro tempo, perciò – va vista - per essere interpretata nel suo
fondo, nel suo valore, nella sua struttura e nel suo fine - da un
solo angolo visuale: quello di Cristo Risorto e del “progetto di
signoria” che Egli, mediante la Chiesa, deve realizzare, nonostante
la libertà, la indocilità e la responsabilità degli uomini, nel
corso dei millenni
(Ap. 20,1ss)
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IV°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI DOMENICA
Una
dottrina nuova insegnata con autorità
di San
Girolamo nel quinto secolo
Gesù
si recò dunque nella sinagoga di Cafàrnao e si mise ad insegnare. Ed
erano stupiti del suo insegnamento, perché parlava loro “come uno
che ha autorità e non come gli scribi”. Non diceva per esempio:
“Parola del Signore!” oppure: “Così dice colui che mi ha mandato”.
No. Gesù parlava in nome proprio: era lui infatti ad aver parlato
una volta attraverso la voce dei profeti. È già bello poter dire,
fondandosi su un testo: “Sta scritto...” È meglio ancora proclamare,
nel nome del Signore stesso: “Parola del Signore!” Ma è tutt’altra
cosa poter affermare, come Gesù in persona: “In verità, vi dico!...”
Come osi dire, tu: “In verità vi dico!” se non sei colui che un
tempo ha dato la Legge e parlato attraverso i profeti?...
“Erano stupiti del suo insegnamento”. Che cosa insegnava che fosse
così nuovo. Non faceva nulla se non ridire ciò che aveva già
dichiarato tramite la voce dei profeti. Eppure erano stupiti, perché
non insegnava alla maniera degli scribi. Insegnava come se avesse in
prima persona l’autorità; non da rabbi ma in quanto Signore. Non
parlava riferendosi ad uno più grande di lui. No, la parola che
diceva era sua; e infine, usava questo linguaggio di autorità poiché
affermava presente colui di cui aveva parlato per mezzo dei profeti:
“Io dicevo. Eccomi qua” (Is 52,6)... Perciò, Gesù minaccia lo
spirito immondo che si esprime nel posseduto nella sinagoga: “Taci!
Esci da quell’uomo”. Cioè: “Esci da casa mia; cosa fai in costui che
è la mia dimora? Io voglio entrarvi. Taci! Esci da quell’uomo.
Lascia quella dimora che è stata preparata per me... Dio la vuole.
Lascia l’uomo; mi appartiene. Non voglio che sia tuo. Io abito
nell’uomo; questo è il mio Corpo. Vattene!”
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IV°
settimana Tempo Ordinario -
LODI martedì
Commento sul
vangelo di Luca 6, 58-61
Mc 5,21-43
Io dico a te, alzati !
di
Sant’Ambrogio nel quarto secolo
Prima
di risuscitare una morta, allo scopo di condurre alla fede, Gesù
comincia col guarire la donna affetta da emorragia. Il flusso si è
fermato per istruirci : quando Gesù si avvicina all’una, l’altra è
già guarita. Nello stesso modo, celebriamo la risurrezione nel tempo
del Signore, la quale seguì la sua Passione, allo scopo di credere
nella nostra vita eterna…
I
servi di Giàiro che vengono a dirgli : « non disturbare il Maestro »
non credono nella risurrezione predetta nella Legge e compiuta nel
Vangelo. Perciò Gesù prende con sé soltanto pochi testimoni della
risurrezione che sta per compiersi : infatti non un gran numero ha
creduto di primo acchito alla risurrezione. La folla deride Gesù
quando egli dichiara : « La bambina non è morta, ma dorme ». Coloro
che non credono lo deridano. Che piangano i loro morti, coloro che
li credono morti. Per quanti hanno fede nella risurrezione, la morte
non è vista come una fine ma come un riposo…
E
Gesù, presa la mano della bambina, la guarì ; poi ordinò di darle da
mangiare. Questo è una garanzia della vita, affinché non si possa
credere che sia un’illusione, ma proprio la realtà. Beata colei la
cui mano è tenuta dalla Sapienza ! Piaccia a Dio che anche la nostra
venga tenuta, nelle nostre azioni. Che la giustizia tenga la mia
mano ; che il Verbo di Dio la tenga ; Egli mi introduca dove egli
dimora, distolga il mio spirito dall’errore, e così riconduca colui
che egli ha salvato. Che ordini di darmi da mangiare : il pane del
cielo è il Verbo di Dio. Questa Sapienza che ha deposto sull’altare
il cibo del Corpo e del Sangue del Figlio di Dio ha dichiarato :
« Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato
per voi » ( Pr 9, 5).
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IV°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Martedì
Mc 5,21-43
IL SIGNORE E’
NOSTRA GIOIA E NOSTRA SPERANZA
di San Cirillo
d’Alessandria nel quarto secolo
“Eliminerà la morte per
sempre; il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto
(Is 25, 8).
All’insegnamento dei misteri della fede va unito molto
opportunamente il necessario discorso sulla risurrezione dei morti.
Perciò anche nel conferimento del battesimo, con la professione di
fede affermiamo di aspettare la risurrezione futura, e vi crediamo.
La
morte colse il nostro progenitore Adamo a causa del peccato, lo
assalì come una fiera selvaggia e crudele, e lo rapì; da allora
comparvero fra gli abitanti della terra i lamenti, i lutti, le
lacrime e i canti funebri. Ma cessarono in Cristo; il terzo giorno
egli risuscitò calpestando la morte, e divenne per tutta l’umanità
la via per vincerla definitivamente.
Egli è
il primogenito dei redivivi, la primizia di quanti sono morti: alla
primizia seguirà tutto il resto, cioè noi. Perciò il lamento funebre
si è mutato in gaudio, il sacco si è lacerato, e siamo rivestiti da
Dio della gioia di Cristo. In tal modo ogni lacrima è asciugata.
Voi
conoscerete, dice, colui che dà la gioia e perfino il vino, e che
unge con unguento quelli che in Sion hanno minore facoltà di
intendere; e conoscerete che è veramente Dio, il Figlio, della
stessa natura di Dio, sebbene si presenti nella natura di servo,
fatto uomo per la salvezza e la vita di tutti gli uomini, e simile
in tutto agli altri uomini, eccetto il peccato. Ecco il nostro Dio
nel quale abbiamo sperato, ed esultato per la nostra salvezza.
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IV°
settimana Tempo Ordinario -
LODI - mercoledì
Libro di Vita
di Gerusalemme
Cap. “Umiltà” §
124
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IV°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Mercoledì
La
fede ci fa’ riconoscere Gesù come Signore
di San Teofilo
di Antiochia
Se
dici: Fammi vedere il tuo Dio, io ti dirò: Fammi vedere l’uomo che è
in te, e io ti mostrerò il mio Dio. Fammi vedere quindi se gli occhi
della tua anima vedono e le orecchie del tuo cuore ascoltano.
Tu hai
gli occhi dell’anima annebbiati per i tuoi peccati e per le tue
cattive azioni. Come uno specchio risplendente, così deve essere
pura l’anima dell’uomo. Quando invece lo specchio si deteriora, il
viso dell’uomo non può più essere visto in esso. Allo stesso modo
quando il peccato ha preso possesso dell’uomo, egli non può più
vedere Dio.
Mostra
dunque te stesso. Fa’ vedere se per caso non sei operatore di cose
indegne, ladro, calunniatore, iracondo, invidioso, superbo, avaro,
arrogante con i tuoi genitori. Dio non si mostra a coloro che
operano tali cose, se prima non si siano purificati da ogni macchia.
Queste cose ti ottenebrano, come se le tue pupille avessero un
diaframma che impedisse loro di fissarsi sul sole.
Ma se
vuoi, puoi essere guarito. Affidati al medico ed egli opererà gli
occhi della tua anima e del tuo cuore. Chi è questo medico? E’ Dio,
il quale per mezzo del Verbo e della sapienza guarisce e dà la vita.
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IV°
settimana Tempo Ordinario
- LODI - giovedì
Sulla
Prescrizione degli eretici 19-21 ; SC 46, p.111
(in l’Ora
dell’Ascolto p. 2403)
Mc 6, 7-13
Credo
nella Chiesa…apostolica
di
Tertulliano nel secondo secolo
Cristo Gesù, Signore nostro, per tutto il tempo che visse sulla
terra manifestò chi egli era, chi era stato, qual era la volontà del
Padre, che cosa l’uomo dovesse fare. Questa rivelazione la fece
apertamente al popolo e separatamente ai discepoli, fra i quali
scelse i Dodici, come partecipi del suo magistero universale… Gli
apostoli, il cui nome significa « mandati »…avendo ricevuto, secondo
la promessa, lo Spirito Santo che doveva renderli capaci di fare i
miracoli e predicare, testimoniarono la fede in Gesù Cristo prima in
Giudea e poi in tutto il mondo, istituendo ovunque chiese
particolari. Ovunque fecero risuonare il medesimo insegnamento e
annunziarono la medesima fede. Così fondarono chiese in ogni città.
Da queste
ricevettero la linfa della fede e i segni della dottrina tutte le
altre chiese e tutte le altre popolazioni che tendono a divenire
chiese. Tutte queste chiese venivano considerate apostoliche, in
quanto figlie delle chiese degli apostoli…Tra tante e tanto grandi
chiese, unica è la prima fondata dagli apostoli e dalla quale
derivano tutte le altre… Che cosa poi gli apostoli abbiano
predicato, cioè che cosa Cristo abbia loro rivelato, non può essere
altrimenti provato che per mezzo delle chiese stesse che gli
apostoli hanno fondato.
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IV°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Giovedì
Mc 6, 7-13
Incominciò a mandarli
di
Beato Charles de Foucauld
Essere apostolo, in
che modo? Nei modi che Dio ci mette a disposizione: i sacerdoti
hanno dei superiori che dicono loro cosa devono fare. I laici devono
essere apostoli verso tutti quelli che riescono a raggiungere: i
parenti e gli amici, ma non soltanto loro; la carità non ha nulla di
stretto, abbraccia tutti coloro che abbraccia il Cuore di Gesù.
Con
quali mezzi? Con i mezzi migliori, tenendo conto delle persone alle
quali sono indirizzati: verso tutti quelli con cui sono in
relazione, nessuno escluso, con la bontà, con la tenerezza, con
l’affetto fraterno, con l’esempio della virtù, con l’umiltà e la
mitezza, sempre attraenti e così cristiane. Con alcuni occorre non
dire mai una parola su Dio o sulla religione, pazientando come Dio
pazienta, essendo buono come Dio è buono, essendo per loro come un
tenero fratello e pregando. Con altri, è opportuno parlare di Dio
nella misura che possono portare; e quando giungono al punto di
cercare la verità mediante lo studio della religione, occorre
metterli in rapporto con un sacerdote ben scelto e capace di fare
loro del bene. Soprattutto vedere in ogni essere umano un fratello.
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IV°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Venerdì
Omelie sul
vangelo di Luca, 2-4 ; SC 87, 347
Mc 6,14-29
Precursore di Cristo nella nascita e nella morte
di Origene nel
terzo secolo
Ammiriamo Giovanni Battista sopratutto a motivo di questa
testimonianza : « Tra i nati di donna, non c’è nessuno più grande di
Giovanni » (Lc 7,28) ;
ha infatti meritato di elevarsi ad una reputazione di virtù tale che
molta gente pensava che fosse Cristo
(Lc 3,15).
Eppure, c’è qualcosa di ancor più stupefacente : Erode il tetrarca
godeva del potere regale e poteva farlo morire quando avesse voluto.
Ora aveva commesso un’azione ingiusta e contraria alla legge di Mosè
sposando la moglie di suo fratello. Giovanni, senza avere paura di
lui, senza fare eccezione di persona, senza preoccuparsi del potere
regale, senza temere la morte…, conoscendo tutti questi pericoli, ha
biasimato Erode con la libertà dei profeti e gli ha rimproverato il
suo matrimonio. Gettato in prigione per tale audacia, non si
preoccupa della morte né del giudizio dall’esito incerto, ma, pur
incatenato, i suoi pensieri andavano a Cristo da lui annunciato.
Non
potendo andare a trovarlo di persona, manda i suoi discepoli a
informarsi : « Sei tu colui che viene, o dobbiamo aspettare un
altro ? » (Lc 7,19).
Notate bene che, persino
nella sua prigione, Giovanni insegnava ; persino in questo luogo
aveva dei discepoli ; persino in carcere, Giovanni compiva il suo
dovere e ammaestrava i suoi discepoli con colloqui su Dio. In questo
contesto, il problema di Gesù veniva posto, e Giovanni gli manda
dunque alcuni discepoli…
I
discepoli tornano e riferiscono al loro maestro ciò che il Salvatore
li aveva incaricati di annunciare. Questa risposta è per Giovanni
un’arma per affrontare lo scontro ; muore con franchezza e di gran
cuore si lascia decapitare, assicurato dalla parola del Signore
stesso, che colui nel quale aveva creduto era veramente il Figlio di
Dio. Tale è stata la libertà di Giovanni Battista, tale è stata la
follia di Erode che, a tanti crimini già commessi, ha aggiunto prima
la detenzione, poi l’omicidio di Giovanni Battista.
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IV°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Venerdì
Martirio di
San Giovanni Battista
Omelia per
la Decollazione di San Giovanni Battista,
Opera
omnia, t. 2, p. 514-515, 518-519
Mc 6,14-29
Beati i
perseguitati per causa della giustizia
di Lanspergo
il Certosino nel sedicesimo secolo
La
morte di Cristo è all’origine di una folla innumerevole di credenti.
Per la potenza dello stesso Signore Gesù, e grazie alla sua bontà,
la morte preziosa dei suoi martiri e dei suoi santi ha fatto nascere
una grande moltitudine di cristiani. Infatti, la religione cristiana
non è mai stata annientata dalla persecuzione dei tiranni e nemmeno
dall’omicidio ingiustificabile degli innocenti , piuttosto essa ne
ha tratto ogni volta un grande accrescimento.
San Giovanni, che ha battezzato Cristo, ne è per
noi un esempio. Erode, questo re infedele, volle, in fedeltà alla
propria promessa, cancellare completamente dalla memoria degli
uomini, il ricordo di Giovanni. Invece, non soltanto Giovanni non fu
annientato, ma migliaia di uomini, infiammati dal suo esempio,
accolsero la morte con gioia per la giustizia e la verità… Quale
cristiano, degno di questo nome, non venera oggi Giovanni, colui che
ha battezzato il Signore ? Ovunque nel mondo, i cristiani celebrano
la sua memoria, tutte le generazioni lo proclamano beato e le sue
virtù riempiono la Chiesa del loro profumo. Giovanni non ha vissuto
solo per se stesso, e non è morto solo per se stesso.
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IV°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Sabato
Commento sul vangelo secondo Matteo, 10, 23 ; SC 162, 257
Mc
6,30-34
Si commosse per loro
di Origene nel
terzo secolo
Gesù,
il Verbo di Dio, era in Giudea. Saputa l’esecuzione del profeta
Giovanni il Battista, partì su una barca - simbolo del suo corpo -
« verso un luogo solitario, in disparte ». In quel luogo solitario,
Gesù si trovava « in disparte » poiché la sua parola vi era isolata,
e il suo insegnamento contrastava con i costumi e con le idee
diffuse fra la gente. Allora la folla delle persone, saputo che
colui che è la Parola di Dio era venuto ad abitare nel loro
deserto…, lo seguirono, lasciando le loro città, lasciando cioè
ciascuno i costumi superstiziosi della propria patria e aderirono
alla legge di Cristo… Gesù venne loro incontro ; loro infatti erano
incapaci di andargli incontro ; mescolandosi a « quelli di fuori »
(Mc 4,11), li condusse
dentro.
È
molta questa folla di fuori che egli viene ad incontrare. Spargendo
su di essa la luce della sua presenza, la guarda e, vedendo quale
genere di persone lo circondino, li trova maggiormente degni di
pietà. Lui che, in quanto Dio, è al di là della sofferenza, soffre a
causa del suo amore per gli uomini ; la commozione lo prende alle
viscere. Non soltanto si commuove, ma anche li guarisce da ogni loro
malattia, li libera dal male.
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IV°
settimana Tempo Ordinario -
PV SABATO
Dalla
Costituzione «Sacrosanctum Concilium»
del Concilio
ecumenico Vaticano II sulla sacra Liturgia (Nn. 5-6)
L'opera
della salvezza
Dalla
Costituzione «Sacrosanctum Concilium»
Dio
«vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza
della verità» (1 Tm 2, 4),
perciò, egli «che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e
in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti»
(Eb 1, 1),
quando venne la pienezza dei tempi, mandò il suo Figlio, Verbo fatto
carne, unto di Spirito Santo, ad annunziare la buona novella ai
poveri, a risanare i cuori affranti
(cfr. Is 61, 1; Lc 4, 18)
«medico nella carne e nello spirito»
, Mediatore tra Dio e gli uomini
(cfr. 1 Tm 2, 5).
Infatti la sua umanità, nell'unità della persona del Verbo, fu lo
strumento della nostra salvezza. Per cui in Cristo avvenne il
perfetto riscatto della nostra riconciliazione e ci fu data la
pienezza del culto divino.
Quest'opera della redenzione umana e della perfetta
glorificazione di Dio, che ha il suo preludio nelle mirabili gesta
divine, operate nel popolo del Vecchio Testamento, fu compiuta da
Cristo Signore, specialmente per mezzo del mistero pasquale della
sua beata Passione, Risurrezione da morte e gloriosa Ascensione,
mistero per il quale morendo ha distrutto la nostra morte e
risorgendo ha ridato a noi la vita. Infatti dal costato di Cristo
morente sulla croce è nato il mirabile sacramento di tutta la
Chiesa.
Pertanto, come Cristo fu inviato dal Padre, così anch'egli ha
inviato gli apostoli, ripieni di Spirito Santo, non solo perché,
predicando il Vangelo a tutti gli uomini, annunziassero che il
Figlio di Dio con la sua morte e risurrezione ci ha liberati dal
potere di Satana e dalla morte, e ci ha trasferiti nel regno del
Padre, ma anche perché, per mezzo del sacrificio e dei sacramenti,
sui quali s'impernia tutta la vita liturgica, attuassero l'opera
della salvezza, che annunziavano.
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V°
settimana Tempo Ordinario - UR
Domenica
Dal
Salvatore venne la risurrezione e Cristo vive: anzi egli è la vita
Dal “Discorso sull’Incarnazione del Verbo”
di sant’Atanasio,
vescovo nel quarto secolo
Se col
vessillo della croce e la fede nel Cristo la morte viene calpestata,
bisogna concludere con certezza assoluta che non c’è nessun altro
all’infuori di Cristo, che abbia riportato la palma e il trionfo
sulla morte e l’abbia ridotta così all’impotenza. Se la morte che
prima dominava ed era perciò causa di terrore, dopo la venuta e la
morte e risurrezione del Salvatore vien disprezzata, appare evidente
che essa è stata distrutta e vinta dallo stesso Cristo, quando salì
sulla croce. Dopo la notte sorge il sole e illumina con i suoi raggi
la terra, e nessuno potrebbe dubitare che sia il sole, diffondendo
ovunque la sua luce, a scacciare le tenebre e illuminare tutte le
cose. Così, poiché la morte cominciò a essere disprezzata e
calpestata quando il Salvatore, venuto fra noi in forma umana per
salvarci, morì sulla croce, da ciò e evidente che lo stesso
Salvatore, apparendo nel corpo, ha distrutto la morte e ogni giorno
ne trionfa attraverso i suoi discepoli.
Che poi la
risurrezione di un corpo mortale sia stata compiuta dal Cristo,
salvatore di tutti e vera vita, risulta più evidente dai fatti che
dalle parole a coloro che hanno sano l’occhio interiore. Se infatti
la morte è stata annientata e tutti hanno il potere di vincerla per
mezzo di Cristo, tanto più egli stesso la vinse e l’annientò per
primo nel proprio corpo. Avendo egli abolita la morte, che cosa
rimaneva ancora se non che il corpo risorgesse, diventando come un
vessillo contro di essa? Come si sarebbe potuto vedere che la morte
era distrutta, se il corpo del Signore non fosse risorto?
Se poi a
qualcuno tutto ciò non bastasse a provare la risurrezione di lui,
creda almeno per quelle cose che si possono scorgere con gli occhi.
Chi è
morto, infatti, non può più fare assolutamente nulla, e il suo
ricordo resta vivo appena fino al sepolcro e poi svanisce; solo i
vivente possono agire ed essi soli hanno influenza sugli uomini.
Osservi dunque chi lo desidera, e giudicando da se stesso riconosca
la verità da ciò che avrà visto: se il Salvatore compie tra gli
uomini tante e così grandi cose e dappertutto persuade ogni giorno
silenziosamente greci e barbari ad abbracciare la sua fede e
obbedire alla sua legge, vi sarà ancora chi dubiti della sua
risurrezione e che il Cristo sia vivo, anzi sia la stessa vita?
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V°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Domenica
SUL DOVERE
DI AMARE DIO
di San
Bernardo di Clairvaux
nel dodicesimo
secolo
La
ragione per cui bisogna amare Dio è Dio stesso. E ho detto la
verità, perché egli è la causa efficiente e quella finale. Egli
offre l’occasione, egli crea il sentimento, egli appaga il
desiderio. Egli ha fatto in modo, o meglio si è fatto, perché lo si
amasse; egli ci suscita la speranza di doverlo amare più
felicemente, perché l’amore per lui non risulti vano. L’amore che
egli ha per noi prepara e ricompensa il nostro. E’ fin troppo
benevolo nel prevenirci, è fin troppo giusto nel farsi ripagare, è
fin troppo dolce nel farsi attendere. E’ assai ricco di beni per
tutti quelli che lo invocano, ma pure non ha da dare nulla di meglio
che se stesso. Si è offerto per ottenere in ricompensa il nostro
amore, si conserva per essere a sua volta la ricompensa per noi, si
associa alle anime sante per nutrirle, si prodiga alle anime
prigioniere del male per redimerle. Sei buono, o Signore, con
l’anima che ti ricerca. Come sarai dunque con quella che ti avrà
trovato? Ma in questo c’è da stupirsi che nessuno è capace di
cercarti se non ti ha prima trovato. Vuoi insomma essere trovato per
essere cercato, vuoi essere cercato per essere trovato. Puoi però
essere cercato ed essere trovato, ma non puoi mai essere prevenuto.
Perché anche se diciamo: “Di mattino la mia preghiera ti preverrà”,
pure non c’è dubbio che riesce tiepida ogni preghiera che non sia
stata preceduta da un’ispirazione. Ma ora è tempo di dire donde
incominci il nostro amore, dato che è stato già detto dove si
compie.
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V°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Martedì
Mc 7, 1-13
Prayer : Seeking the
Heart of God, con Fr.Roger
«
Il suo cuore è lontano da me »
Beata Teresa
di Calcutta nel ventesimo secolo
Lasciare che l’amore di Dio prenda pieno e assoluto possesso di un
cuore; così l’amore diventa per questo cuore come una seconda
natura; che il cuore non lasci entrare dentro di sé nulla che gli
sia contrario; che si applichi continuamente ad accrescere questo
amore di Dio, cercando di essergli gradito in tutto e non
rifiutandogli nulla; che accolga tutto ciò che gli succede come se
venisse dalla mano di Dio.
La
conoscenza di Dio produce l’amore, e la conoscenza di sé produce
l’umiltà. L’umiltà è null’altro che la verità. “Che cosa mai
possediamo che non abbiamo ricevuto?”
(1 Cor 4,7).
Poiché ho ricevuto tutto, non possiedo nulla di mio. Se saremo
convinti di questo non alzeremo mai la testa con superbia. Se sarete
umili nulla vi toccherà, né la lode, né l’ignominia poiché saprete
chi siete. Se vi biasimeranno, non vi scoraggerete. Se vi
proclameranno santo, non vi metterete su un piedestallo. La
conoscenza di noi stessi ci mette in ginocchio.
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V°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Martedì
Mc 7, 1-13
Libro
II, cap 5-6
« Questo popolo mi
onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me »
dall’
Imitazione di Cristo, trattato spirituale del 15o secolo
Spesso non ci accorgiamo neppure di essere così ciechi
interiormente: facciamo il male e, cosa ancora peggiore, ci andiamo
scusando. Talora siamo mossi dalla passione, e la prendiamo per
zelo; rimproveriamo negli altri piccole cose e passiamo sopra a
quelle più grosse, commesse da noi. Avvertiamo con prontezza, e
pesiamo ben bene ciò che gli altri ci fanno soffrire, ma non ci
accorgiamo di quanto gli altri soffrono per causa nostra. Chi
riflettesse bene e a fondo su se stesso, non giudicherebbe
severamente gli altri.
L'uomo
interiore, prima di occuparsi di altre cose, guarda dentro di sé; e,
intento diligentemente a se stesso, è portato a tacere degli altri.
Solamente se starai zitto sugli altri, guardando specialmente a te
stesso, giungerai a una vera e devota interiorità… L'anima che ama
Dio disprezza tutto ciò che sia inferiore a Dio. Conforto dell'anima
e vera letizia del cuore è soltanto Dio, l'eterno,
l'incommensurabile, colui che riempie di sé l'universo.
Dolce
riposo sarà il tuo, se il cuore non avrà nulla da rimproverarti. Non
rallegrarti se non quando avrai fatto del bene. I cattivi non godono
mai di una vera letizia e non sentono mai la pace dell'anima,
giacché « non c'è pace per gli empi », dice il Signore
(Is
57,21)…
Chi ha la coscienza pulita, si sentirà facilmente contento e
tranquillo. Tu non sei maggiormente santo se ricevi delle lodi, né
maggiormente cattivo se ricevi dei rimproveri; sei quello che sei, e
non puoi essere ritenuto più grande di quanto tu non sia agli occhi
di Dio. Se fai attenzione a quello che tu sei in te stesso,
interiormente, non baderai a ciò che possano dire di te gli uomini.
« L'uomo vede in superficie, Dio invece vede nel cuore »
(1 Sam 16,7).
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V°
settimana Tempo Ordinario - LODI
Mercoledì
Mc 7, 14-23
Libro di Vita di Gerusalemme
§ 108
Dal Libro di
vita di Gerusalemme
Al Capitolo
Obbedienza
La
vera obbedienza è dunque innanzitutto una conversione. Per mezzo suo
volta le spalle all’uomo vecchio e al mondo e volgiti verso le cose
di lassù e verso la ricerca di Dio nel più profondo di te stesso.
Così purificato e spogliato, ti renderai trasparente alla sua
volontà.
La
vera obbedienza è al tempo stesso ascolto e azione. Suppone dunque
in te una docilità attenta – porgi l’orecchio, vieni a Dio, ascolta
e vivrai – e l’attuazione pratica di ciò che hai ascoltato.
L’obbedienza è immediata e senza compromessi. I veri monaci
abbandonano subito le cose loro e rinunziano alla propria volontà,
liberandosi sull’istante di quanto avevano fra mano…L’obbedienza
allora sarà gradito a Dio e soave agli uomini quando il comando sarà
eseguito senza esitazione, senza indugio, senza tiepidezza, senza
mormorazione, senza rispondere con il rifiuto. Medita queste parole
del grande maestro dell’obbedienza. Vivendole, diventerà perfetto a
immagine del Figlio
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V°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
MERCOLEDI’
dagli scritti di sant'Ireneo
vescovo di Lione nel Secondo Secolo
IL DONO
DELLA SALVEZZA
Colui che ha
una retta conoscenza del Creatore - che è Dio il quale a tutti dà
l'esistenza - se rimane nel suo amore, sottomesso e riconoscente,
riceverà da lui una gloria sempre maggiore, avanzando fino ad essere
simile a colui che morì per noi.
Cristo,
infatti, venne ad esistere "nella somiglianza della carne del
peccato" (Rm 8, 3)
per condannare il peccato e come tale espellerlo dalla carne, per
stimolare così l'uomo assegnandogli il compito d'imitare Dio e
riconducendolo all'obbedienza del Padre affinché veda Dio,
facendogli la grazia di conoscere intimamente il Padre.
Egli è il Verbo
di Dio che abitò in mezzo agli uomini divenendo figlio dell'uomo
perché l'uomo si familiarizzasse nella conoscenza intima del Padre,
e Dio si familiarizzasse ad abitare con l'uomo, secondo il
beneplacito del Padre. Per questo, segno della nostra salvezza è lo
stesso Signore, Emmanuele nato dalla Vergine, perché era lui che
doveva salvare coloro che da sé non avrebbero potuto salvarsi.
In questo senso
Paolo afferma la debolezza dell'uomo: "So che nella mia carne non
abita il bene" (Rm 7 18),
significando che non da noi, ma da Dio viene il bene della nostra
salvezza. E ancora: "Povero me, chi mi libererà da questo corpo di
morte?" (Rm 7, 24).
Quindi addita il liberatore: "La grazia di Gesù Cristo Signore
nostro" (Rm 8, 25).
IRENEO di Lione,
Contro le
eresie, vol. I, Siena,
ed.
Cantagalli, 1984, p. 320-321. Testo adattato.
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V°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Giovedì
Mc 7, 24-30
Omelia «
Cristo sia annunziato »,
12-13; PG 51,
319-320
La preghiera umile e insistente
San
Giovanni Crisostomo nel quarto secolo
Una
donna Cananèa, si avvicinò a Gesù e si mise a supplicarlo a gran
voce per sua figlia posseduta da uno spirito immondo… Che altro era
questa donna, straniera, barbara, senza alcun legame con la comunità
ebraica, se non una cagna indegna di ottenere ciò che domandava ?
« Non è bene, dice Gesù, prendere il pane dei figli e gettarlo ai
cagnolini ». Eppure la sua perseveranza le ha meritato di essere
esaudita. Colei che era considerata non più di una cagna, è stata
innalzata da Gesù alla dignità dei figli ; anzi egli l’ha colmata di
elogi. Le disse, mentre la congedava : « Donna, davvero grande è la
tua fede ! Ti sia fatto come desideri »
(Mt 15, 28).
Quando udiamo Cristo dire : « La tua fede è grande », non dobbiamo
cercare altrove altre prove della grandezza di animo di questa
donna. Vedi come lei ha cancellato la sua indegnità con la sua
perseveranza. Inoltre, nota che otteniamo di più dal Signore con la
nostra preghiera che con la preghiera degli altri.
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V°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Giovedì
Mc 7, 24-30
«Grande è la tua fede ; ti sia
fatto come desideri»
San Beda il
Venerabile nell’ottavo secolo
Il
Vangelo ci mostra quanto sia grande la fede, la pazienza, la
perseveranza e l’umiltà della Cananèa…Questa donna era dotata di una
pazienza proprio non comune. Alla sua prima richiesta, il Signore
non risponde nemmeno con una parola. Nonostante ciò, lungi dallo
smettere un’istante di pregarlo, implora con un’insistenza
accresciuta il soccorso della sua bontà… Vedendo l’ardore della
nostra fede e la tenacia della nostra perseveranza, il Signore
finirà per avere pietà di noi e ci darà ciò che desideriamo.
La
figlia della Cananèa era «tormentata da un demonio». Cacciata
l’agitazione cattiva dei nostri pensieri e sciolti i nodi dei nostri
peccati, ritroveremo la serenità dello spirito e la possibilità di
agire correttamente… Se, come la Cananèa, persevereremo nella
preghiera, con una fermezza incrollabile, la grazia del nostro
Creatore ci sarà presente ; essa correggerà tutti i nostri errori,
santificherà quanto è impuro, placherà ogni agitazione. Infatti il
Signore è fedele e giusto. Egli ci perdonerà i nostri peccati e ci
purificherà da ogni macchia, se grideremo verso di lui con la voce
attenta del nostro cuore.
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V°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Venerdì
Mc 7, 31-37
Discorso « Sul Signore », 10-11
« Gli pose le dita sugli occhi »
Sant’Efrem
Siro nel quarto secolo
La
fortezza divina che non può essere toccata dall’uomo è discesa, si è
avvolta di un corpo palpabile, affinché i poveri possano toccarla e,
toccando l’umanità di Cristo, percepiscano la sua divinità.
Attraverso le dita di carne il sordomuto ha sentito che gli si
toccavano gli occhi e la lingua. Attraverso le dita palpabili, ha
percepito la divinità intoccabile quando il nodo della sua lingua
venne sciolto e le porte chiuse dei suoi occhi vennero aperte.
Infatti l’architetto e l’artigiano del corpo è venuto fino a lui e,
con una parola dolce, ha creato senza dolore, delle aperture nei
suoi orecchi sordi ; allora, anche questa bocca chiusa, finora
incapace di dare alla luce la parola, ha messo al mondo la lode di
colui che ha fatto portare frutto alla sua sterilità.
Allo
stesso modo, il Signore fece del fango con la saliva e spalmò il
fango sugli occhi del cieco nato
(Gv 9,6)
per farci capire che, come al sordo muto, qualcosa gli mancava.
Un’imperfezione innata della nostra pasta umana è stata soppressa
grazie al lievito che veniva dal suo corpo perfetto… Per colmare ciò
che mancava a questi corpi umani, ha dato qualcosa della sua
persona, proprio come dà se stesso in cibo [nell’eucaristia]. Con
questo mezzo fa scomparire i difetti e risuscita i morti, perché
possiamo riconoscere che, grazie al suo corpo in cui « abita tutta
la pienezza della divinità »
(Col 2,9), i difetti della
nostra umanità sono corretti e che, mediante questo corpo in cui
abita la vera vita, la vera vita viene data ai mortali.
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V°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Venerdì
Omelia 1, Dom XI dopo Pent.1.9.11.12
in “L’Ora dell’Ascolto” p. 1778-9
Il Signore ha fatto bene ogni cosa
di San
Lorenzo da Brindisi nel diciassettesimo secolo
Come la divina
legge mosaica narrando l’opera della creazione del mondo dice: “Dio
vide quanto aveva creato ed ecco era cosa molto buona, così il
Vangelo narrando l’opera della redenzione e della rigenerazione
dice: “Ha fatto bene ogni cosa”. “Ogni albero buono produce frutti
buoni; un albero buono non può produrre frutti cattivi”:
Come il fuoco
non può emanare che calore ed è impossibile che emani freddo, come
il sole irradia solo luce e non può emettere tenebre, così Dio non
può fare che il bene, essendo bontà infinita, la luce stessa, sole
di uno splendore immenso fuoco di un calore senza limiti: “Ha fatto
bene ogni cosa”.
Oggi dobbiamo
dire con semplicità assieme a questa folla santa: “Ha fatto bene
ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti”. Ma questa
moltitudine di gente parlò certo per ispirazione dello Spirito
Santo, come l’asina di Balaam.
Infatti è lo
Spirito Santo che dice per bocca della folla: “Ha fatto bene ogni
cosa”, cioè egli è il vero Dio, che fa bene ogni cosa, poiché fa
udire i sordi e fa parlare i muti, cosa che solo la potenza divina
può fare. Ma da un’opera si passa a tutte le altre: ha fatto un
miracolo che solo Dio può fare, dunque è Dio che “ha fatto bene ogni
cosa, fa udire i sordi e fa parlare i muti” cioè è dotato di virtù
e potenza divina.
E se Dio ha
fatto tutte le sue opere bene e buone per noi, sapendo che il nostro
animo si diletta delle cose buone, mi domando perché non procuriamo
anche noi di compiere tutte buone azioni e bene, sapendo che Dio si
compiace di tali opere?
Ma se
domandaste: Che cosa dobbiamo fare per meritar di godere sempre i
divini benefici? Risponderò con una sola parola: quel che fa la
sposa e una buona moglie per il suo sposo: per questo, infatti, la
Chiesa è detta sposa di Cristo e di Dio; e allora Dio si comporterà
con noi come lo sposo buono verso la sposa, che ama al di sopra di
tutto. Per questo dice per bocca di Osea: “Ti farò mia sposa nella
giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore, ti
fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore”:
Così, fratelli,
saremo felici anche il questa vita, questo mondo sarà per noi il
paradiso terrestre, ci nutriremo, come gli Ebrei, della manna del
cielo nel deserto di questa vita se, seguendo l’esempio di Cristo ci
sforzeremo di far bene ogni nostra azione, così che si possa dire,
di ogni cosa fatta da noi: “Ha fatto bene ogni cosa”.
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V°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Sabato
Ut unum sint,
19
Santi Cirillo e
Metodio, apostoli degli slavi
di Papa
Giovanni Paolo Secondo
La dottrina
deve essere presentata in un modo che la renda comprensibile a
coloro ai quali Dio stesso la destina. Nell'Epistola enciclica
Slavorum apostoli, ricordavo come Cirillo e Metodio, per questo
stesso motivo, si adoperassero a tradurre le nozioni della Bibbia e
i concetti della teologia greca in un contesto di esperienze
storiche e di pensiero molto diversi.
Essi volevano
che l'unica parola di Dio fosse « resa così accessibile secondo le
forme espressive, proprie di ciascuna civiltà ». Compresero di non
poter dunque « imporre ai popoli assegnati alla loro predicazione
neppure l'indiscutibile superiorità della lingua greca e della
cultura bizantina, o gli usi e i comportamenti della società più
progredita, in cui essi erano cresciuti ». Essi mettevano così in
atto quella « perfetta comunione nell'amore [che] preserva la Chiesa
da qualsiasi forma di particolarismo o di esclusivismo etnico o di
pregiudizio razziale, come da ogni alterigia nazionalistica ».
Cirillo, in
punto di morte, pregava così : « Signore Dio, fa’ crescere la tua
Chiesa, e raduna tutti gli uomini nell’unità ; stabilisci i tuoi
eletti nella concordia della vera fede e della retta confessione di
fede : fa’ penetrare le tue parole nel loro cuore affinché si
consacrino a ciò che è buono e ti è gradito. »
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V°
settimana Tempo Ordinario -
Primi Vespri Sabato
DELLE VIRTU’ CHE DANNO LODE A DIO
dagli scritti
di San Francesco d’Assisi nel XIII secolo
Dove c’è
carità e pazienza, ivi non c’è timore né ignoranza.
Dove c’è pazienza e umiltà,
ivi non c’è né ira né turbamento.
Dove c’è povertà e letizia,
ivi non c’è cupidità né avarizia.
Dove c’è quiete e
meditazione, ivi non c’è inquietudine.
Dove c’è il timore di Dio a
custodire la porta, ivi il nemico non può trovare il modo di
entrare.
Dove c’è misericordia e
discrezione, ivi non c’è né superficialità, né durezza.
Beato il servo che si fa un
tesoro in cielo dei beni che il Signore gli confida, e non desidera
di manifestarli agli uomini con la speranza di mercede, perché
l’Altissimo stesso manifesterà l’opera di costui a chiunque gli
piacerà. Beato il servo che custodisce i segreti del Signore in cuor
suo.
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VI°
settimana Tempo Ordinario -
U.R.
Domenica
AMA
IL SIGNORE E CAMMINA PER LE SUE VIE
di San Giovanni
il Mediocre
“Il
Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura?”
(Sal 26, 1).
Era un grande servo quello che sapeva come, da dove e da chi era
illuminato. Egli vedeva la luce, non questa che volge al tramonto,
ma la luce “che occhio non vede” (1Cor 2, 9).
Le anime illuminate da questa luce non cadono nel peccato, non
incorrono nei vizi. Infatti il Signore diceva: “Camminate mentre
avete la luce” (Gv 12, 35).
Di
quale luce parlava, se non di se stesso, lui che disse “Io come la
luce sono venuto nel mondo” (Giov 12, 46), perché chi vede non veda, e i ciechi ricevano la luce? E’ il Signore
dunque la nostra luce, il sole di giustizia che illuminò la sua
Chiesa diffusa in tutto il mondo, e che il profeta proclamava: “Il
Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura?”.
L’uomo
interiormente illuminato non zoppica, non si allontana dalla via,
tollera tutto. Chi da lontano intravede la patria, è forte nelle
avversità, non si rattrista per le difficoltà temporali, ma è
stabilito in Dio: se il cuore è depresso sopporta ed è paziente per
la sua umiltà. Questa “luce vera che illumina ogni uomo” (Gv
1, 9) si dona a coloro che lo
temono, penetra chi vuole e dove vuole, si rivela a chi il Figlio
voglia rivelarla (cfr. Mt 11, 27)
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VI°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Domenica
dall’Ora
dell’Ascolto p. 1089-1090
Gesù toccò il
lebbroso per sanarlo
di San Giovanni
Crisostomo nel quarto secolo
“Signore,
se vuoi, puoi guarirmi”
(Mc 1, 40). È grande la
prudenza e la fede di questo lebbroso che si avvicina a Cristo. Non
interrompe il suo discorso, né si fa strada tra la folla degli
ascoltatori, ma attende il momento opportuno: si accosta quando
Cristo discende dal monte. E non lo supplica in modo qualunque, ma
con molto fervore, prostrandosi ai suoi piedi, con fede sincera e
con une giusta opinione di lui.
Gesù
non si accontentò di dire : “Lo voglio, guarisce!” ma
contemporaneamente “stese la mano e lo toccò”
(Mc 1, 14);
la qual cosa è degna di maggior riflessione. Come mai, infatti,
mentre lo guarisce con la volontà e la parola, aggiunge il tocco
della mano? Penso che l’abbia fatto unicamente per mostrare anche in
questa circostanza che lui non è soggetto alla legge, ma al di sopra
della legge; e anche come da quel momento niente più vi sarebbe
stato di immondo per i puri.
Il
Signore infatti non era venuto solo per guarire i corpi, ma anche
per condurre le anime all’amore della sapienza. Perciò come altrove
dice che non è più proibito mangiare senza lavarsi le mani, e come
istituisce quell’ottima legge che permette di cibarsi di qualunque
cibo, così agisce in questo caso per insegnare che bisogna curare
l’anima mantenendola pura, senza far caso delle esteriori
purificazioni e temendo soltanto la lebbra spirituale che è il
peccato.
Gesù
quindi per primo tocca il lebbroso, e nessuno lo rimprovera. Quel
tribunale infatti non era corrotto, e la folla che ne rea
spettatrice non era guastata dall’invidia. Perciò non solo non lo
criticano, ma presi da stupore per il miracolo, si ritirano adorando
la sua inestimabile potenza che si manifestava nelle parole e nelle
opere.
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VI°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Martedì
6°
Settimana Tempo Ordinario A
Mc 8, 14-21
Commonitorio,
23, PL 50, 667-668
(In l' Ora
dell'Ascolto p. 1073)
« Non intendete e non capite
ancora ? »
San Vincenzo
di Lerino nel quinto secolo
Forse che
nella Chiesa di Cristo nessun progresso sarà possibile per la
dottrina?... Certo che ci sarà, e grandissimo! Chi sarebbe tanto
avversario agli uomini e ostile a Dio da impedirlo? A condizione
però che si tratti di vero progresso nella fede, non di mutamento.
Progresso significa che una cosa si accresce rimanendo se stessa;
nel mutamento invece, una cosa si modifica trasformandosi in
un’altra. Cresca dunque, e progredisca in ogni modo possibile,
l’intelligenza, la scienza, la sapienza dei singoli e della
collettività, di ogni individuo come di tutta la Chiesa, secondo il
progredire dell’età e dei secoli: purché questo avvenga esattamente
secondo la loro peculiare natura, cioè nello stesso dogma, nel
medesimo senso, secondo una stessa interpretazione.
La
religione delle anime deve imitare lo sviluppo dei corpi, i cui
elementi, benché col passare degli anni si evolvano e crescano,
rimangono però sempre gli stessi. C’è tanto differenza infatti fra
il fiore dell’infanzia e la maturità della vecchiaia, e tuttavia,
quelli che ora sono vecchi sono gli stessi che furono adolescenti;
per cui se mutano l’aspetto e le abitudini di un uomo, si tratta
sempre però della stessa natura e della stessa persona. Le membra
dei lattanti sono piccole, grandi quelle dei giovani, ma sono sempre
quelle. Tante ne hanno i bambini, quanti gli adulti; e se qualcosa
di nuovo appare in età più matura, già preesisteva nell’embrione...
Le
stesse leggi di crescita deve seguire il dogma della religione
cristiana. Col passare degli anni si deve consolidare, deve
svilupparsi nel tempo, divenire sempre più alto con l’età. I nostri
padri, nel passato, seminarono nel campo della Chiesa il buon grano
della fede: sarebbe davvero ingiusto e sconveniente che noi, loro
discendenti, cogliessimo la zizzania del subdolo errore in luogo del
frumento dell’antica verità (Mt 13,24). Al contrario è giusto e
logico che la mietitura non differisca dalla semina e che quindi,
quando il grano della dottrina è giunto a maturazione, noi possiamo
mietere il frumento del dogma che se, col procedere del tempo,
qualcosa si è sviluppato da quei semi originali, ciò sia motivo di
gioia e di approfondimento.
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VI°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Martedì
6°
Settimana Tempo Ordinario A.
Mc 8, 14-21
Trattato
sulla Trinità 1, 37-38
(in l’Ora
dell’Ascolto p.2273)
« Non intendete e non capite
ancora ? Avete il cuore indurito ? »
Sant’Ilario di Poitiers nel quarto
secolo
Io
sono consapevole che tu, o Dio Padre Onnipotente, devi essere il
fine principale della mia vita, in maniera che ogni mia parola, ogni
mio sentimento, esprima te… Noi, poveri come siamo, ti chiederemo
ciò che ci manca e scruteremo con zelo tenace le parole dei tuoi
profeti e dei tuoi apostoli, e busseremo a tutte le porte che
sbarrano il riconoscimento della verità.
Ma
dipende da te concedere l’oggetto della nostra preghiera, essere
presente a quanto si chiede, aprire a chi bussa. La natura è presa
da una strana pigrizia e non possiamo capire ciò che ti riguarda per
la debolezza della nostra intelligenza.
Ma lo
studio dei tuoi insegnamenti ci mette in grado di intendere la tua
divinità, e la sottomissione alla fede ci innalza al di sopra della
conoscenza naturale. Attendiamo dunque che tu dia slancio agl’inizi
di questa impresa, causa per noi di trepidazione, che la consolidi
con crescente successo e ci chiami a partecipare dello spirito dei
profeti e degli apostoli, perché possiamo capire le loro parole
nello stesso senso con cui essi le hanno pronunziate e le
interpretiamo nel loro significato. Aprici dunque l’autentico
significato delle parole, e donaci luce per comprendere, efficacia
di parola, vera fede.
Fa’ che possiamo esprimere
ciò che crediamo.
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VI°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Mercoledì
6°
Settimana Tempo Ordinario A
La perenne giovinezza della Chiesa
Papa Paolo VI
Noi ora
lasciamo correre il nostro pensiero ad un effetto proprio della
Pentecoste, di questa misteriosa e meravigliosa animazione
soprannaturale, prodotta dall’infusione dello Spirito Santo nel
corpo visibile, sociale, umano dei seguaci di Cristo; ed è questo:
la perenne giovinezza della Chiesa… L’umanità che compone la Chiesa,
subendo la sorte del tempo è sepolta nella morte temporale, ma con
ciò non si sospende, non si interrompe la testimonianza della Chiesa
nella storia per il passare dei secoli; lo ha profetato e promesso
Gesù: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt
28,20). Lo aveva lasciato capire anche a Simone, quando gli impose
un nome d’immortalità: «Tu sei Pietro, e su questa Pietra edificherò
la mia Chiesa, e le potenze degli inferi non potranno prevalere
contro di essa» (Mt 16,18).
Si può subito
obiettare, con tanta gente del giorno d’oggi: che la Chiesa sia
permanente, può essere; dura da quasi venti secoli; ma proprio per
questa sua durata, essa è antica, è vecchia… Ora la Chiesa sarà
venerabile per la sua antichità … ma, essi dicono, non è viva di
quel respiro odierno ch’è sempre nuovo; non è giovane. L’obiezione è
forte, e meriterebbe un lungo trattato… per rispondervi. Ma poi
l’equazione perennità-giovinezza può bastare da sé alle menti aperte
alla verità. Perché è proprio così, e «questo è cosa meravigliosa ai
nostri occhi» (Mt 21,42): la Chiesa è giovane.
E ciò
che stupisce ancor più si è che i nervi della sua gioventù derivano
dalla sua inalterabile persistenza nel tempo. Il tempo non fa
invecchiare la Chiesa; la fa crescere, la provoca alla vita, alla
pienezza… Muoiono, come tutti i mortali tutti coloro che umanamente
compongono la Chiesa; ma essa, la Chiesa, non solo ha in se stessa
un invincibile principio soprannaturale, ultrastorico, di
immortalità, ma possiede altresì energie incalcolabili di
rinnovamento.
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VI°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Mercoledì
6°
Settimana Tempo Ordinario
Mc 8, 22-26
Dai
«Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo
(Tratt. 34, 8-9; CCL 36, 315-316)
Cristo è via alla
luce, alla verità, alla vita
di Sant’Agostino nel quinto secolo
Il Signore in maniera concisa ha detto: «Io sono
la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle
tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv
8, 12), e con
queste parole comanda una cosa e ne promette un'altra.
Cerchiamo, dunque, di eseguire ciò che comanda, perché
altrimenti saremmo impudenti e sfacciati nell'esigere
quanto ha promesso, senza dire che, nel giudizio, ci
sentiremmo rinfacciare: Hai fatto ciò che ti ho
comandato, per poter ora chiedere ciò che ti ho
promesso? Che cosa, dunque, hai comandato, o Signore
nostro Dio? Ti risponderà: Che tu mi segua.
Che cosa seguono quelli che sono stati liberati e
rialzati, se non la luce dalla quale si sentono dire:
«Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà
nelle tenebre»? (Gv
8, 12). Sì, perché
il Signore illumina i ciechi. O fratelli, ora i nostri
occhi sono curati con il collirio della fede.
L'Apostolo dice: Ora conosciamo in modo
imperfetto; ora vediamo come in uno specchio, in maniera
confusa; ma allora vedremo faccia a faccia
(cfr. 1 Core 13, 12). E l'apostolo Giovanni nella sua lettera aggiunge: «Carissimi, noi fin
d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato
ancora rivelato. Sappiamo però che, quando egli si sarà
manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo
così come egli è»
(1 Gv 3, 2).
Questa è la grande promessa. Se lo ami, seguilo.
Tu replichi: Sì, ho i piedi sani, ma non vedo
la strada. Ebbene, sappi che egli ha illuminato perfino
i ciechi.
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VI°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Giovedì
Omelie sul
Vangelo di San Matteo 54, 1-3
Mc 8, 27-33
Ordinò loro
severamente di non riferire a nessuno che era il Cristo di Dio
di San
Giovanni Crisostomo nel quarto secolo
« Egli allora raccomanda ai
discepoli di non riferire a nessuno che era il Cristo ». Perché
quest’ordine ? Perché, scartato ogni motivo di scandalo, compiute la
croce e la sua passione, respinto ogni ostacolo in grado di
distogliere la folla dal credere in lui, possa imprimersi
profondamente e per sempre nelle anime la conoscenza esatta di
quello che era. La sua potenza non aveva ancora brillato in modo
eclatante. Attendeva che, prima che lo predicassero, l’evidenza
della verità e dell’autorità dei fatti potessero confermare la
testimonianza degli Apostoli.
Una
cosa era vederlo ora moltiplicare i prodigi in Palestina, poi
esposto alle persecuzioni e agli oltraggi – e la croce stava per
seguire questi prodigi – ; tutt’altro era vederlo adorato, creduto
da tutta la terra, al riparo dagli abusi che aveva subito un tempo.
Per questo raccomanda loro di non dire niente a nessuno… Se gli
Apostoli, che erano stati testimoni dei miracoli, che avevano
partecipato a tanti misteri ineffabili, si scandalizzavano all’udire
una sola parola, e con essi, Pietro stesso, il capo di tutti loro
(Mt 16, 22),
cosa avrebbero pensato i comuni mortali se, dopo aver sentito dire
che Gesù era il Figlio di Dio, egli fosse stato riempito di sputi e
inchiodato alla croce ; e tutto questo mentre non si conosceva
ancora la ragione di quei misteri e prima della venuta dello Spirito
Santo ?
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VI°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Giovedì
Mc
8, 27-33
E voi chi dite che io sia ?
di Paolo VI
Devo
proclamare il suo nome: Gesù è “il Cristo, il Figlio del Dio
vivente” (Mt 16,16). Egli ci
ha rivelato il Dio invisibile, egli è “generato prima di ogni
creatura”, egli è il “primo di tutte le cose e tutte sussistono in
lui” (Col 1,15.17).
Egli è il maestro dell’umanità, e il suo redentore; è nato, è morto,
è risuscitato per noi.
Egli
è il centro della storia del mondo ; ci conosce e ci ama; egli è il
compagno e l’amico della nostra vita, l’“uomo dei dolori” (Is
53,3) e della speranza; è lui che
deve venire, e sarà infine il nostro giudice e anche, ne abbiamo la
certezza, la nostra vita in pienezza e la nostra beatitudine.
Non
finirò mai di parlare di lui; egli è la luce, è la verità; anzi, è
“la via, la verità e la vita” (Gv 14,6).
Egli è il pane, la fonte di acqua viva che colma la nostra fame e la
nostra sete. Egli è il nostro pastore, il nostro capo, il nostro
modello, il nostro conforto, il nostro fratello. Come noi, e più di
noi, è stato piccolo, povero, umiliato, lavoratore, oppresso,
sofferente.
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VI°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Venerdì 16
Mc 8, 34 -
9, 1
Meditationen zur Karwoche, 1969
« Mi segua
»
Cardinale
Joseph Ratzinger ora Papa Benedetto XVI
I
sacramenti della Chiesa sono, come pure la Chiesa stessa, i frutti
del chicco di grano che muore (Gv 12,24). Per riceverli dobbiamo
entrare nello stesso movimento da cui essi provengono. Questo
movimento consiste nel perdere se stessi, altrimenti non ci si può
trovare : « Chi vorrà salvare la propria vita la perderà ; ma chi
perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà ».
Questa parola del Signore è la formula fondamentale di una vita
cristiana. Credere, in definitiva, è dire di sì a questa santa
avventura della « perdita di se stessi » ; nella sua quintessenza,
la fede non è altro che il vero amore. Per cui la forma
caratteristica della vita cristiana le viene dalla croce. L’apertura
cristiana al mondo, tanto esaltata oggi, non può trovare il suo vero
modello se non nel fianco aperto del Signore (Gv 19,34), espressione
di quell’amore radicale, il solo capace di salvare.
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VI°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Venerdì
Mc 8, 34 -
9, 1
Discorsi
ascetici, 1a parte, n° 4
« Chi vorrà
salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita
per causa mia e del vangelo la salverà »
Sant’Isacco
Siriano nel settimo secolo
La
via di Dio è una croce quotidiana. Nessuno è salito al cielo
comodamente; sappiamo dove porta la via dell’agio. Dio non lascia
mai senza preoccupazione chi si consacra a lui con tutto il cuore;
gli dà di stare in pensiero per la verità. Del resto, da questo si
riconosce che Dio veglia su un tale uomo: lo conduce attraverso
delle afflizioni.
La
provvidenza non lascia mai cadere fra le mani dei demoni coloro che
passano la vita nelle prove. E soprattutto se abbracciano i piedi
dei loro fratelli, se coprono le loro colpe (1 Pt 4,8) e le
nascondono come se fossero le proprie colpe. Colui che vuole essere
senza preoccupazione nel mondo, colui che nutre questo desiderio e
allo stesso tempo cerca di camminare sulla via delle virtù, questi
ha già abbandonato il cammino. Infatti i giusti non solo combattono
con tutta la volontà per compiere opere buone, ma anche lottano loro
malgrado nelle tentazioni; così è provata la loro pazienza.
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VI°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Sabato
Mc 9, 2-13
Sul salmo
45, 2; CSEL 64, 6, 330-331
(In l' Ora
dell'Ascolto p. 346)
La
testimonianza dei profeti porta alla testimonianza degli apostoli
Sant’Ambrogio
nel quarto secolo
Fu lo
stesso Gesù a volere che salisse sul monte il solo Mosè per ricevere
la Legge e tuttavia non senza Giosuè (Es 24,12). Anche nel vangelo
leggiamo che, fra i suoi discepoli, egli rivelò la gloria della sua
risurrezione solo a Pietro, Giovanni e Giacomo. Così volle che il
suo mistero rimanesse nascosto, e li ammoniva frequentemente di non
parlare a chiunque di quel che avevano visto, affinché qualcuno più
debole, non essendo in grado di penetrare la forza delle cose sacre
per la sua indole incostante, non ne fosse scandalizzato. Del resto
Pietro stesso non sapeva quel che diceva, credendo di dover
preparare tre tende per il Signore e i suoi servi. Quindi non poté
resistere al fulgore della gloria del Signore trasfigurato, ma cadde
a terra. Caddero anche i “figli del tuono” (Mc 3,17) Giacomo e
Giovanni, e una nube li avvolse.
Entrarono nella nube per conoscere le cose nascoste e occulte, e
udirono la voce di Dio che diceva: “Questi è il Figlio mio
prediletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo” (Mt 17,5).
Che significa “questi è il Figlio mio prediletto”? Vuol dire: Non
ingannati, Simone, col credere che si possa attribuire il titolo di
Figlio di Dio ai suoi servi. Questi è il Figlio mio: non di Mosè,
non di Elia, quantunque l’uno abbia aperto il mare e l’altro abbia
chiuso il cielo. Nella parola del Signore, tutti e due vinsero gli
elementi delle natura, ma essi furono solo strumenti: è invece
questi che consolidò le acque, chiuse il cielo con la siccità, e
quando volle lo sciolse con le piogge.
Quando si richiede la testimonianza della risurrezione, è consentito
il ministero dei servi, ma quando la gloria del Signore risorto si
manifesta, allora rimane nascosto lo splendore dei servi. Infatti il
sole che sorge copre la moltitudine delle stelle, e tutta la loro
luce svanisce dinanzi al sole che illumina il mondo.
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VI°
settimana Tempo Ordinario -
PRIMI VESPRI Sabato
Luce,
splendore e grazia della Trinità
Sant’Atanasio
nel quarto secolo
L’apostolo Paolo, allorché scrive ai Corinzi sulle realtà
spirituali, riconduce tutte le cose ad un solo Dio Padre come al
principio, in questo modo: «Vi sono diversità di carismi, ma uno
soli è lo Spirito; e vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è
il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che
opera tutto in tutti» ( 1Cor 12, 46).
Quelle cose
infatti che lo Spirito distribuisce ai singoli, sono date dal Padre
per mezzo del Verbo.
In
verità tutte le cose che sono del Padre sono pure del Figlio. Onde
quelle cose che sono concesse dal Figlio nello Spirito sono veri
doni del Padre. Parimenti quando lo Spirito è in noi, è anche in noi
il Verbo dal quale lo riceviamo, e nel Verbo vi è anche il Padre, e
così si realizza quanto è detto: «Verremo io e il Padre e prenderemo
dimore presso di lui» ( Gv 14, 23). Dove infatti vi è la luce, là vi
è anche lo splendore: e dove vi è lo splendore, ivi c’è parimenti la
sua efficacia e la sua splendida grazia.
Questa stessa
cosa insegna Paolo (…) ai Corinzi, con queste parole: «La grazia del
Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito
Santo siano con tutti voi » ( 2 Cor 13, 13).
Infatti la grazia è il dono che viene dato nella Trinità, è concesso
dal Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo. Come dal Padre
per mezzo del Figlio viene data la grazia, così in noi non può
avvenire la partecipazione del dono se non nello Spirito Santo. E
allora, resi partecipi di esso, noi abbiamo l’amore del Padre, la
grazia del Figlio e la comunione dello stesso Spirito.
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VII°
settimana Tempo Ordinario -
U.R.
Domenica
commento al vangelo di Luca, IV, 7-12
; PL 15,1614
« Allora, Gesù
fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo
»
di
Sant’Ambrogio nel quarto secolo
Bisogna ricordarti come il primo Adamo è stato cacciato fuori dal
paradiso nel deserto, perché la tua attenzione sia richiamata sul
modo in cui il secondo Adamo torna dal deserto al paradiso. Vedi
infatti come la prima condanna viene sciolta nello stesso modo in
cui era stata legata, e come i benefici divini sono ristabiliti
sulle tracce degli antichi. Adamo viene da una terra vergine, Cristo
viene dalla Vergine ; quello è stato fatto a immagine di Dio, questo
è l’Immagine di Dio (Col 1,15). Quello è stato posto sopra tutti gli
animali senza ragione, questo al di sopra di ogni essere vivente.
Mediante una donna è venuta la stoltezza, mediante una vergine, la
sapienza ; la morte è venuta da un albero, la vita dalla croce. Uno,
spogliato del vestito spirituale, si è tessuto una tunica con le
foglie di un albero; l’altro, spogliato del vestito di questo mondo,
non ha più voluto nessun vestito materiale (Gv 19,23).
Adamo
è stato cacciato nel deserto, Cristo viene nel deserto : infatti
sapeva dove trovare il condannato che sarebbe stato ricondotto al
paradiso, liberato dalla sua colpa… Senza guida, come avrebbe potuto
ritrovare nel deserto la strada smarrita, colui che nel paradiso
aveva perso per mancanza di una guida, la strada che stava
seguendo ?
Là,
le tentazioni sono numerose, lo sforzo verso la virtù difficile, e
facili i passi falsi nell’errore… Seguiamo quindi Cristo secondo la
Scrittura : « Seguirete il Signore vostro Dio, e gli resterete
fedeli » (Dt 13,5)… Seguiamo dunque le sue orme, e potremo tornare
dal deserto al paradiso.
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VII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Domenica
Il cristiano
può vincere le tentazioni
di San
Gregorio Nazianzeno nel IV secolo
Se
dopo il battesimo il tentatore, persecutore della luce, ti avrà
assalito, e certo ti assalirà – infatti tentò anche il Verbo mio Dio
nascosto nella carne, ossia la stessa luce velata dall’umanità – tu
sai come vincerlo: non temere la lotta. Opponigli l’acqua, opponigli
lo Spirito nel quale saranno distrutti tutti i dardi infuocati di
quel maligno.
Se ti
farà presente la tua povertà – non dubitò infatti di farlo anche con
Cristo, facendogli notare la sua fame perché trasformasse in pane le
pietre – ricorda le sue risposte (cfr. Mt 4,4). Insegnagli quel che
non sa; opponigli quella parola di vita che è pane disceso dal cielo
e dà la vita al mondo. Se t’insidia con la vanagloria – come fece
con lui quando lo portò sul pinnacolo del tempio e gli disse: “Gettati
giù” per mostrare la tua divinità (Mt 4, 6) – non lasciarti
trasportare dalla superbia. Se ti vincerà in questo, non si fermerà
qui. È insaziabile, tutto brama; adesca anche con l’aspetto della
bontà e travolge il bene in male: questo è il suo modo di
combattere.
Quel
ladro è un esperto conoscitore anche della Scrittura. Qui quel “sta
scritto” riguarda il pane; là riguarda gli angeli. Infatti sta
scritto : “Ai suoi angeli darà ordine per te, essi ti sosterranno
con le mani” (Lc 4, 10.11). O sofista del vizio! Perché passi
sotto silenzio quel che segue ? Lo comprendo esattamente, anche se
tu l’hai taciuto, perché diceva: camminerò su di te, aspide e
basilisco, calpesterò serpenti e scorpioni; protetto e fortificato,
ben inteso, dalla Trinità.
Se ti
assalirà con l’avarizia, facendo balenare in un attimo ai tuoi occhi
tutti i regni come se gli appartenessero ed esigendo la tua
adorazione, disprezzalo come un miserabile. Difeso dal segno della
croce, digli: anch’io sono immagine di Dio; non sono stato ancora
scacciato come te, per la superbia, dalla gloria celeste ; sono
rivestito di Cristo; col battesimo Cristo è diventato mia eredità:
sei tu che mi devi adorare. Credimi, vinto e svergognato da queste
parole, si ritirerà da tutti quelli che sono illuminati, come si è
allontanato dal Cristo, principio della luce.
Il
battesimo conferisce questi beneficio a chi ne riconosce la forza.
Offre tali sontuosi banchetti a coloro che soffrono una fame degna
di lode.
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VII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI - martedì
Omelie
sull'umiltà, 5-6
L’abbassamento del Figlio dell’Uomo
di
San Basilio nel quarto secolo
« Chi si abbasserà sarà innalzato, e chi si
innalzerà sarà abbassato » (Mt 23, 12)… Imitiamo il Signore che
scese dal cielo fino all’ultimo abbassamento, e di rimando, fu
innalzato dall’ultimo posto all’altezza che gli si addiceva.
Scopriamo tutto ciò che il Signore ci insegna per condurci
all’umiltà.
Da
bimbo, eccolo già in una grotta, sdraiato non in una culla, ma in
una mangiatoia. Nella casa di un artigiano e di una madre senza
risorse, è sottomesso a sua madre e al suo sposo. Lasciandosi
insegnare, ascoltando coloro di cui non aveva alcun bisogno,
interrogava, in tal modo che, all’udire le sue interrogazioni, si
meravigliavano della sua saggezza. Si sottomette a Giovanni, e il
Maestro riceve il battesimo dal suo servo. Mai resistette a coloro
che insorgevano contro di lui, e non diede prova della sua potenza
invincibile per liberarsi dalle mani che lo incatenavano, ma si
lasciò convincere, come se fosse impotente, e nella misura in cui lo
giudicò opportuno, diede adito a un potere effimero. Comparve
davanti al sommo sacerdote, in qualità di imputato ; condotto
davanti al governatore, si sottomise al suo giudizio, e mentre era
in grado di rispondere ai calunniatori, sopportò in silenzio le loro
calunnie. Coperto di sputi dagli schiavi e da volgari valletti, fu
infine consegnato alla morte, ad una morte infamante agli occhi
degli uomini. Tale fu la sua vita di uomo dalla sua nascita fino
alla sua fine. Ma dopo un tal abbassamento, fece risplendere la sua
gloria… Imitiamolo
per giungere, anche noi, alla gloria eterna.
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VII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI martedì
Il nostro vanto, la Croce di
Cristo
di San
Tommaso d'Aquino nel tredicesimo secolo
« Quanto a me
invece, disse san Paolo, non ci sia altro vanto che nella croce del
Signore nostro Gesù Cristo » (Gal 6,14). Vedi, nota sant’Agostino,
là dove il saggio secondo questo mondo ha creduto di trovare la
vergogna, l’apostolo Paolo scopre un tesoro ; ciò che questi
riteneva una stoltezza, per lui è divenuto sapienza (1 Cor 1,17s) e
vanto.
Ognuno infatti si gloria di ciò che lo rende grande ai propri occhi.
Se si crede un grande uomo perché è ricco, si gloria dei propri
beni. Chi non vede in sé altra grandezza se non in Gesù Cristo, si
gloria in Gesù solo ; così faceva l’apostolo Paolo : « Non sono più
io che vivo, ma Cristo vive in me » diceva (Gal 2,20). Per questo
non si gloria se non in Gesù Cristo, e innanzi tutto nella croce di
Cristo. Perché in essa sono riuniti tutti i motivi di gloria.
Ci
sono delle persone che si gloriano dell’amicizia dei grandi e dei
potenti ; Paolo non ha bisogno di nulla se non della croce di
Cristo, per scoprirvi il segno più evidente dell’amicizia di Dio.
« Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo
ancora peccatori, Cristo è morto per noi » (Rm 5,8). Proprio nulla
manifesta maggiormente l’amore di Dio per noi, che la morte di
Cristo. « O testimonianza inestimabile dell’amore ! esclama san
Gregorio. Per riscattare lo schiavo, hai consegnato il Figlio. »
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VII°
settimana Tempo Ordinario - LODI
Mercoledì
Dal Libro di Vita di Gerusalemme
al Capitolo MONACI E MONACHE
§59
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VII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Mercoledì
Capita
theologica, 1, 8-13 : PG 90, 1182-1186.
La
fede nel Verbo di Dio ci rivela il suo mistero
San Massimo
il Confessore nel settimo secolo
Il
Verbo di Dio è nato una volta per tutte secondo la carne. A motivo
però del suo amore per gli uomini, desidera nascere senza sosta
secondo lo spirito per coloro che lo desiderano ; si fa bambino e si
forma in loro insieme con le virtù ; si manifesta nella misura in
cui sa quanto colui che lo riceve ne è capace. In questo modo, non è
per gelosia che attenua lo splendore della sua grandezza, bensì
perché valuta e misura la capacità di coloro che desiderano vederlo.
Perciò, il Verbo di Dio si rivela sempre a noi nel modo che ci si
confà e tuttavia rimane invisibile a tutti, a causa dell’immensità
del suo mistero.
Questo è il motivo per cui, l’Apostolo per eccellenza, considerando
la forza di questo mistero, dice con saggezza : « Gesù Cristo è lo
stesso ieri, oggi e sempre » (Eb 13, 8) ; contemplava questo mistero
sempre nuovo che l’intelligenza non avrà mai finito di scrutare…
Solo la fede può afferrare questo mistero, essa che è al fondo di
tutto ciò che oltrepassa l’intelligenza e sfida l’espressione.
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VII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Giovedì
Mc 9, 41-50
« Abbiate
sale in voi stessi »
San Tommaso
d'Aquino nel tredicesimo secolo
Concedimi, o
Dio misericordioso,
di desiderare
con ardore ciò che approvi,
di ricercarlo
con prudenza,
di
riconoscerlo in verità,
di
comprenderlo perfettamente,
a lode e
gloria del tuo nome.
Metti ordine
nella mia vita, o Dio mio,
e dammi di
conoscere ciò che vuoi che io faccia,
concedimi di
compierlo come conviene
e come è utile
alla mia anima.
Dammi, Signore
mio Dio,
di non
smarrirmi in mezzo alla prosperità
e
all’avversità ;
non lasciare
che l’avversità mi deprima,
né che la
prosperità mi esalti.
Che nulla mi
rallegri, né mi rattristi
se non ciò che
conduce a te,
o mi distoglie
da te.
Che io non
desideri di piacere
o tema di
dispiacere ad alcuno,
se
non a te.
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VII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Giovedì
Omelie sulla
lettera ai Romani, 8 ; PG 60, 464-466
« Io sono in mezzo a loro»
San Giovanni
Crisostomo nel quarto secolo
Se vi dico di
imitare l’apostolo Paolo, non è per dirvi : Risuscitate i morti,
guarite i lebbrosi. Fate ancora meglio : abbiate la carità. Abbiate
l’amore che animava san Paolo. Questa virtù infatti è molto
superiore al potere di compiere dei miracoli. Dove c’è la carità,
Dio il Figlio regna con suo Padre, e lo Spirito Santo. L’ha detto
lui : « Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a
loro ». Amare trovarsi insieme, questo è il carattere di un’amicizia
tanto forte quanto reale.
Ci
sono forse persone così miserabili, direte, da non desiderare che
Cristo sia in mezzo a loro ? Si, noi stessi, figlioli miei ; lo
cacciamo di mezzo di noi quando siamo in lotta gli uni contro gli
altri. Mi direte : Cosa dici ? Non vedi forse che siamo radunati nel
suo nome, tutti fra gli stessi muri, nel recinto della stessa
Chiesa, attenti alla voce del nostro pastore ? Senza nessun
dissenso, nell’unità dei canti e delle voci, ascoltando insieme il
nostro pastore. Dov’è la discordia ?
So
che siamo nello stesso ovile e dietro lo stesso pastore. Piango
tanto più amaramente… Perché se siete calmi e tranquilli in questo
momento, all’uscire della Chiesa, questo critica quello ; uno
ingiuria pubblicamente l’altro, taluno è divorato dall’invidia, la
gelosia o l’avarizia ; tale altro medita vendetta, talaltro la
sensualità, la duplicità o la frode… Rispettate pure, rispettate
questa tavola santa alla quale comunichiamo tutti ; rispettate
Cristo immolato per noi ; rispettate il sacrificio offerto su questo
altare in mezzo a noi.
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VII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Venerdì
Discorsi,
99
« Questo
mistero è grande » (Ef 5, 32)
San Pietro
Crisologo nel quinto secolo
« Nel
Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo è senza la donna »
dice l’apostolo Paolo (1 Cor 11, 11). Attraverso il Vangelo l’uomo e
la donna si incamminano insieme verso il Regno. Cristo chiama
insieme, senza separarli, l’uomo e la donna, che Dio unisce e la
natura raduna donando loro, grazie a una conformità mirabile, di
condividere gli stessi gesti e le stesse funzioni. Con il vincolo
del matrimonio, Dio fa di due esseri una cosa sola, e di uno fa due,
cosicché nell’altro si scopra un’alter ego, senza perdere la propria
personalità, né confondersi nella coppia.
Perché allora, nelle immagini che Dio ci dà del suo regno, egli fa
intervenire l’uomo e la donna in questo modo ? Perché egli
suggerisce tanta grandezza con esempi che possono sembrare deboli e
sproporzionati ? Fratelli, un mistero prezioso si nasconde sotto
questa povertà. Secondo la parola dell’apostolo Paolo : « Questo
mistero è grande ; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa ! »
(Ef 5, 32).
Questo evoca
il progetto più grande dell’umanità : l’uomo e la donna hanno messo
fine al processo del mondo, un processo che durava da secoli. Adamo,
il primo uomo, e Eva, la prima donna, sono condotti dall’albero
della conoscenza del bene e del male al fuoco del fermento della
Buona Novella. L’albero della tentazione aveva chiuso questi occhi
alla verità, aprendoli all’illusione del male ; la luce della Buona
Novella li apre, chiudendoli. Il frutto dell’albero avvelenato aveva
ammalato queste bocche ; il sapore caloroso dell’albero della
Salvezza li guarirà, quest’albero dal sapore di fuoco che infiamma i
cuori.
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VII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Venerdì
« Rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele »
Beato
Isacco della Stella nel dodicesimo secolo
Cristo è venuto a cercare l’unica pecora che si era persa (Mt 18,
12). È per lei che il Buon Pastore è stato mandato nel tempo, lui,
che da sempre è stato promesso ; per lei è nato ed è stato inviato.
È unica, proveniente sia dei giudei che dalle nazioni, proveniente
da tutte le nazioni, unica nel mistero, molteplice nelle persone,
molteplice nel corpo, secondo la natura, unica nello Spirito secondo
la grazia, insomma, una sola pecora, e una folla senza numero.
Questo è il motivo per cui, Colui che è venuto a cercare l’unica
pecora, è stato mandato « alle pecore perdute della casa d’Israele »
(Mt 15, 24). Ora ciò che il pastore riconosce come suo « nessuno lo
rapirà dalla sua mano » (Gv 10, 28). Poiché non si può costringere
la potenza, ingannare la saggezza, distruggere la carità.
Perciò egli
parla con franchezza, dicendo : « Di coloro che mi hai dato, nessuno
è andato perduto » (Gv 17, 12). Ed è stato mandato come verità per
coloro che erano stati ingannati, come vita per coloro che erano
morti, come saggezza per coloro che erano insensati, come rimedio
per i malati, come riscatto per i prigionieri e come cibo per quelli
che morivano di fame. In tutti loro, si può dire che è stato mandato
« alle pecore perdute della casa d’Israele », affinché, non fossero
perdute per sempre.
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VII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Sabato
Sull’unità
della Chiesa cattolica
Beati gli
operatori di pace
San Cipriano
nel terzo secolo
Lo
spirito Santo ci dà questo avvertimento : « Cerca la pace e
perseguila » (Sal 34, 15). Il figlio di pace deve cercare e
perseguire la pace. Chi conosce e ama il vincolo della carità deve
preservare la sua lingua dal peccato della discordia. Fra le sue
prescrizioni divine e i suoi comandamenti di salvezza, il Signore,
la vigilia della sua Passione, ha aggiunto questo : « Vi lascio la
mia pace, vi do la mia pace. » (Gv 14, 27) Tale è l’eredità che ci
ha lasciata : la promessa di tutti i doni, di tutte le ricompense
che vediamo in prospettiva, è stata legata alla custodia della pace.
Se siamo eredi di Cristo, rimaniamo nella pace di Cristo. Se siamo
figli di Dio, dobbiamo essere pacifici : « Beati gli operatori di
pace perché saranno chiamati figli di Dio. » (Mt 5, 9) Bisogna che i
figli di Dio siano pacifici, miti di cuore, semplici nelle parole,
in perfetto accordo di sentimenti, uniti fedelmente con il vincolo
di un pensiero unanime.
Questa concordia esisteva un tempo, sotto l’autorità degli Apostoli.
In questo modo, il nuovo popolo dei credenti, fedele alle
prescrizioni del Signore, mantenne la carità. Da lì sorge
l’efficacia delle loro preghiere : potevano essere sicuri di
ottenere tutto ciò che domandavano alla misericordia di Dio.
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VII°
settimana Tempo Ordinario -
SABATO Primi Vespri
« Dacci
sempre questo pane »
Beato
Jan Ruysbroeck nel quattordicesimo secolo
Ecco
il primo segno dell’amore : Gesù ci ha dato da mangiare la sua
carne, e da bere il suo sangue. Ecco una cosa inaudita, che richiede
da noi ammirazione e stupore. È la caratteristica dell’amore di dare
sempre e di ricevere sempre. Ora, l’amore di Gesù è nello stesso
tempo prodigo e avido. Tutto ciò che egli ha, tutto ciò che egli è,
lo dà ; tutto ciò che noi abbiamo, tutto ciò che noi siamo, egli lo
prende.
Ha
una fame immensa… Quanto più il nostro amore lo lascia agire, tanto
più lo gustiamo con ampiezza. Ha una fame immensa, insaziabile. Sa
bene che siamo poveri, ma non ne tiene in alcun conto. In noi, lui
stesso si fa pane, facendo scomparire dapprima, nel suo amore, vizi,
colpe e peccati. Poi, quando vede che siamo puri, viene, avido, per
prendere la nostra vita e cambiarla come la sua, la nostra piena di
peccati, la sua piena di grazia e di gloria, tutta pronta per noi,
se soltanto rinunciamo… Quanti amano mi capiranno. Ci ha fatto il
dono di una fame e di una sete eterne.
A
questa fame e a questa sete, dà in cibo il suo corpo e il suo
sangue. Quando li riceviamo con abnegazione interiore, il suo
sangue, pieno di calore e di gloria, scorre da Dio nelle nostre
vene. Il fuoco si accende dentro di noi e il gusto spirituale ci
penetra l’anima e il corpo, il gusto e il desiderio. Ci dà di
assomigliare alle sue virtù ; vive in noi e noi viviamo in lui.
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VIII°
settimana Tempo Ordinario -
UR
Domenica
Discorso 179,
8-9 ; PL 38, 970-971
(Nuova
Biblioteca Agostiniana)
Ascoltare e mettere in pratica
Sant’Agostino
nel quinto secolo
Non
ingannate voi stessi, fratelli miei, che pure siete venuti con
desiderio ad ascoltare la parola ; se non mettete in pratica ciò che
avete ascoltato, smentite voi stessi.
Considerate che, se è attraente l'ascoltare, quanto
più il realizzare. Se non ascolti, se trascuri di ascoltare, non
edifichi nulla. Se ascolti e non metti in pratica, metti mano ad una
rovina… Ascoltare e mettere in pratica equivale ad edificare sulla
roccia. L'ascolto stesso è appunto un edificare.
« Chi invece – dice il Signore - ascolta queste mie parole e non le
mette in pratica lo rassomiglierò ad un uomo stolto che edifica ».
Anche costui edifica. Che cosa edifica? Questo: Edifica la propria
casa; ma per il fatto che non mette in pratica ciò che ascolta, pur
ascoltando edifica sulla sabbia.
« Quale
necessità ho di ascoltare ciò che non intendo fare ? dice allora
qualcuno.
Ascoltando infatti e non mettendo in pratica, io metterò mano ad una
rovina. Non è più
sicuro non ascoltare affatto ? » In realtà, nella similitudine da
lui proposta, il Signore non volle toccare questo caso, ma lo diede
ad intendere. Infatti, in questa vita non hanno tregua la pioggia, i
venti, i fiumi. Non edifichi sulla roccia, per non farti precipitare,
se vi si abbattono ? Non edifichi sulla sabbia nell'intento che,
venendo, non mandino in rovina la casa ? In conseguenza, resterai
così, senza il riparo di alcun tetto se nulla ascolti…
Considera
dunque quale parte vai a scegliere.
Non ascoltando, non sarai
sicuro, come credi; privo di ogni riparo è di necessità che tu sia
sepolto, asportato, sommerso.
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VIII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Domenica
Discorsi 1, 4-8 ;
«
Svégliati, o tu che dormi » (Ef 5,14)
Filosseno di
Mabbug nel quinto secolo
« Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica è simile
a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia ».
Occorre dunque, secondo le parole del nostro Maestro, che ci
applichiamo non soltanto ad ascoltare la parola di Dio, ma anche a
conformarvi la nostra vita… L’ascolto della legge è cosa buona,
perché ci spinge alle opere virtuose. A ragione, leggiamo e
meditiamo le Scritture, perché così purifichiamo il fondo del nostro
animo dai pensieri cattivi.
Tuttavia, leggere e meditare assiduamente la parola di Dio senza
metterla in pratica, è una colpa che lo Spirito di Dio ha condannata
in anticipo… Anzi ha vietato a colui che si trova in tali
disposizioni di tenere in mano il libro santo. All’empio dice Dio :
« Perché vai ripetendo i miei decreti e hai sempre in bocca la mia
alleanza, tu che detesti la disciplina e le mie parole te li getti
alle spalle ? » (Sal 49, 16-17)… Chi legge assiduamente le Scritture
senza metterle in pratica trova la sua accusa nella sua stessa
lettura ; merita una condanna tanto più grande in quanto disprezza e
trascura ogni giorno ciò che ascolta ogni giorno. È come un morto,
un cadavere senz’anima. Migliaia di trombe e di corni possono
suonare agli orecchi di un morto, non li sentirà. Così, l’anima che
è morta a causa del peccato, il cuore che ha perso il ricordo di
Dio, non sente il suono né le grida delle parole divine, e la tromba
della morte spirituale non lo impressiona; tale anima è immersa nel
sonno della morte…
Occorre dunque che il discepolo di Dio porti, radicato nel suo
animo, il ricordo del suo Maestro, Gesù Cristo, e che pensi a lui
giorno e notte.
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VIII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Martedì
Mc 10,
28-31
Lettera
Enciclica Rerum novarum, 21
« Già al
presente cento volte tanto… e nel futuro la vita eterna »
Papa
Leone Tredicesimo
Queste verità
[della dottrina sociale della Chiesa] sono molto efficaci ad
abbassar l'orgoglio dei fortunati e togliere all'avvilimento i
miseri, ad ispirare indulgenza negli uni e modestia negli altri.
Così le distanze, tanto care all'orgoglio, si accorciano; né riesce
difficile ottenere che le due classi, stringendosi la mano, scendano
ad amichevole accordo. Ma esse, obbedendo alla legge evangelica, non
saranno paghe di una semplice amicizia, ma vorranno darsi l'amplesso
dell'amore fraterno. Poiché conosceranno e sentiranno che tutti gli
uomini hanno origine da Dio, Padre comune; che tutti tendono a Dio,
fine supremo, che solo può rendere perfettamente felici gli uomini e
gli angeli; che tutti sono stati ugualmente redenti da Gesù Cristo e
chiamati alla dignità della figliolanza divina, in modo che non solo
tra loro, ma con Cristo Signore, « primogenito fra molti fratelli »
(Rm 8,29), sono congiunti col vincolo di una santa fraternità.
Conosceranno e sentiranno che i beni di natura e di grazia sono
patrimonio comune del genere umano e che nessuno, senza proprio
merito, verrà diseredato dal retaggio dei beni celesti: perché « se
tutti figli, dunque tutti eredi; eredi di Dio, e coeredi di Gesù
Cristo » (Rm 8,17).
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VIII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Martedì 27 maggio
2008
Mc 10,
28-31
PPS, vol. 8,
n° 2
« Divine
Calls »
« Noi abbiamo lasciato tutto e ti
abbiamo seguito »
Cardinal
John Henry Newman nel diciannovesimo secolo
Non
veniamo chiamati una sola volta, ma tante volte ; per tutta la
nostra vita, Cristo ci chiama. Ci ha chiamati dapprima nel
battesimo, ma anche dopo ; sia che obbediamo alla sua voce sia che
non obbediamo , ci chiama ancora nella sua misericordia. Se veniamo
meno alle promesse battesimali, ci chiama al pentimento. Se ci
sforziamo di rispondere alla nostra vocazione, ci chiama sempre più
avanti, di grazia in grazia, di santità in santità finché ci sarà
lasciata la vita per questo.
Abramo è stato chiamato a lasciare la sua casa e il suo paese (Gen
12,1), Pietro le sue reti (Mt 4,18), Matteo il suo lavoro (Mt 9,9),
Eliseo la sua fattoria (1 Re 19,19), Natanaèle il suo luogo in
disparte (Gv 1,47). Senza sosta tutti siamo chiamati, da una cosa ad
un’altra, sempre più avanti, senza avere nessun luogo per riposarci,
ma salendo verso il nostro riposo eterno, e obbedendo ad una
chiamata interiore nell’unico scopo di essere pronti a sentirne
un’altra.
Cristo ci chiama senza sosta, per giustificarci senza sosta ; senza
sosta e sempre di più, egli vuole santificarci e glorificarci.
Occorre che lo capiamo, ma siamo lenti ad accorgerci di questa
grande verità, che cioè Cristo cammina, in un certo senso, in mezzo
a noi, e con la mano, gli occhi, la voce, ci fa cenno di seguirlo.
Non comprendiamo che la sua chiamata ha luogo proprio in questo
momento. Pensiamo che ha avuto luogo al tempo degli apostoli ; ma
non ci crediamo, non l’aspettiamo veramente per noi stessi.
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VIII°
settimana Tempo Ordinario - LODI
Mercoledì
Mc 10, 32-45
(Disc. 4, 12; PG 89, 1347-1349)
Cristo doveva patire e così
entrare nella sua gloria
di sant'Anastasio
di Antiochia nel sesto secolo
Cristo, dopo aver mostrato con l'insegnamento e con le sue opere di
essere il vero Dio e il Signore dell'universo, mentre stava per
recarsi a Gerusalemme diceva ai suoi discepoli: Ecco stiamo salendo
a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo verrà dato in mano ai pagani, ai
sommi sacerdoti e agli scribi per essere flagellato, vilipeso e
crocifisso (cfr. Mt 20, 18-19). Diceva che queste cose erano
conformi alle predizioni dei profeti, i quali avevano preannunziato
la sua morte, che doveva avvenire in Gerusalemme. Avendo pertanto la
Sacra Scrittura predetto fin dal principio la morte di Cristo e la
sua passione prima della morte, predice ancora ciò che accadde al
suo corpo dopo la morte. Afferma però anche che, come Dio, era
impassibile e immortale.
Osservando la verità dell'incarnazione, ne deduciamo i motivi per
proclamare rettamente e giustamente l'una e l'altra cosa, cioè la
passione e l'impassibilità. Il motivo per cui il Verbo di Dio,
impassibile in se stesso, sostenne la passione era che l'uomo non
poteva essere salvato in altro modo. Egli lo sapeva bene e con lui
anche coloro ai quali volle manifestarlo. Il Verbo, infatti, conosce
tutto del Padre, come lo «Spirito ne scruta le profondità» (1 Cor 2,
10) cioè i misteri impenetrabili.
Era davvero necessario che Cristo soffrisse, e non poteva non farlo,
come egli stesso affermò.…
La
salvezza era l'evento che doveva maturare attraverso la passione
dell'autore della vita. Lo insegna san Paolo: Egli è l'autore della
vita, reso perfetto mediante le sofferenze (cfr. Eb 2, 10). La
gloria di Unigenito, poi, che egli aveva abbandonato per noi, gli
venne restituita per mezzo della croce, nella carne che aveva
assunta. Dice infatti san Giovanni nel suo vangelo, quando spiega
quale fosse l'acqua di cui parlò il Salvatore: «Scorrerà come fiume
dal seno di chi crede. Questo disse riferendosi allo Spirito che
avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non c'era ancora lo
Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato» (Gv 7,
38-39), e chiama gloria la morte in croce. Perciò il Signore, mentre
innalzava preghiere prima di subire la croce, supplicava il Padre di
essere glorificato con quella gloria che aveva presso di lui, prima
che il mondo esistesse.
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VIII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Mercoledì
Mc 10,
32-45
Opere, t.14
« Dare la
propria vita in riscatto per molti »
Sant
Alfonso-Maria de Liguori nel diciottesimo secolo
Un
Dio che serve, che spazza la casa, che si dedica a lavori penosi –
quanto uno solo di questi pensieri dovrebbe colmarci di amore!
Quando il Salvatore ha cominciato a predicare il suo Vangelo, si è
fatto “il servo di tutti”, dichiarando lui stesso che “non era
venuto per essere servito, ma per servire”. È come se avesse detto
che voleva essere il servitore di tutti gli uomini. E, al termine
della sua vita, non si è contentato, dice san Bernardo, “di aver
preso la condizione di servo per mettersi al servizio degli uomini;
ha voluto prendere la forma del servo indegno, per lasciarsi
colpire, e subire la pena che era dovuta a noi, a causa dei nostri
peccati”.
Ecco
che il Signore, obbediente servo di tutti, si sottomette alla
sentenza di Pilato, per quanto ingiusta sia, e si consegna ai suoi
carnefici... Così, Dio ci ha tanto amato, da voler obbedire come
schiavo, per amore nostro, fino a morire e a morire di una morte
dolorosa e infame, il supplizio della croce (Fil 2,8).
Ora,
in tutto questo, obbediva non in quanto Dio, ma in quanto uomo, che
aveva assunto la condizione di schiavo. Un certo santo si è
consegnato come schiavo per riscattare un povero, e si è attirato
l’ammirazione del mondo per questo atto eroico di carità. Ma cos’è
questa carità in confronto a quella del Redentore? Essendo Dio e
volendo riscattarci dalla schiavitù del diavolo e della morte che
avevamo meritata, si fa lui stesso schiavo, si lascia legare e
inchiodare sulla croce. “Perché il servo diventasse maestro, dice
san Agostino, Dio ha voluto farsi servo”.
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VIII°
settimana Tempo Ordinario - LODI
Giovedì
Libro di Vita di Gerusalemme
Capitolo: Monaci e Monache
Paragrafo 60 e 61
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VIII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Giovedì
Mc 10, 46-52
Liturgia delle ore
L’Ora dell’Ascolto
Accogliamo
la luce e diventiamo discepoli del Signore
Clemente
Alessandrino nel terzo secolo
«I comandi del Signore sono limpidi, danno luce agli occhi » (
Sal 18, 9). Ricevi Cristo, ricevi la vista, ricevi la luce per
conoscere a un tempo Dio e l’uomo. È più desiderabile il Verbo dal
quale siamo illuminati «dell’oro, di molto oro fino; più dolce del
miele e di un favo stillante» (Sal 18, 11). E come potrebbe
non essere desiderabile, dal momento che ha portato verso la luce la
mente avvolta dalle tenebre e ha reso più luminosi e più acuti gli
occhi dell’anima?
Se non ci fosse il sole, la notte sarebbe diffusa dovunque
nonostante tutte le stelle; così, se non avessimo conosciuto il
Verbo e non fossimo stati da lui illuminati, saremmo come galline
nutrite al buio per poi subire la morte.
Apriamoci dunque alla luce per possedere Dio. Accogliamo la luce per
diventare discepoli del Signore. Egli infatti la ha promesso al
Padre: «Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo
all’assemblea» (Sal 21,3). Esaltalo, e poi parlami di Dio tuo
Padre: le tue parole apportano salvezza. Il tuo cantico mi insegnerà
che nel cercare Dio, finora sono andando errando.
Quando invece sei tu, o Signore, a condurmi alla luce e per tuo
mezzo trovo Dio e da te accolgo il padre divento tuo coerede, perché
non ti sei vergognato di chiamarmi fratello (cfr. Eb 2,11).
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VIII°
settimana Tempo Ordinario -
venerdì - lodi
Discorsi, 46
La mia casa sarà
chiamata casa di preghiera
Giovanni
Taulero nel quattordicesimo secolo
Il
nostro Signore entrò nel Tempio e, con l’aiuto di una sferza,
scacciò fuori dal Tempio tutti coloro che compravano e vendevano e
disse : « La mia casa sarà chiamata casa di preghiera. Voi invece ne
avete fatto una spelonca di ladri ». Quale tempio è questo, divenuto
una spelonca di ladri ? È l’anima e il corpo dell’uomo, i quali sono
ben più realmente il tempio di Dio, di tutti i templi mai edificati
(1 Cor 3,17 ; 6,19).
Quando il Nostro Signore vuole entrare in questo tempio, lo trova
mutato in una spelonca di ladri e in un luogo di mercato. Chi sono
questi mercanti ? Sono coloro che danno quello che hanno – il libero
arbitrio – per ciò che non hanno – le cose di questo mondo. Quanto
il mondo intero è pieno di tali mercanti ! Ce ne sono fra i
sacerdoti e i laici, fra i religiosi, i monaci e le monache. Che
vasto argomento di ricerca per chi volesse studiare come tanta gente
sia così piena della propria volontà !… Dappertutto non vi si trova
altro se non natura e volontà propria ; tanti sono coloro che
cercano in ogni cosa il proprio interesse. Se volessero, invece,
concludere con Dio un contratto, donandogli la loro volontà, che
felice affare farebbero !
Occorre che l’uomo voglia, segua, cerchi Dio in tutto quello che
fa ; e quando avrà fatto tutto questo – bere, dormire, mangiare,
parlare, ascoltare – lasci allora interamente le immagini delle
cose, cosicché il suo tempio rimanga vuoto. Una volta che il tempio
sarà vuotato, una volta che ne avrai scacciato questa frotta di
ladri, cioè le immagini che lo ingombrano, potrai essere una casa di
Dio (Ef 2,19), ma non prima, qualunque altra cosa tu faccia. Avrai
allora la pace e la gioia del cuore, e nulla potrà più turbarti,
nulla di ciò che ora ti preoccupa senza sosta, ti deprime e ti fa
soffrire.
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VIII°
settimana Tempo Ordinario -
VENERDI - vespri
Discorsi per
la Quaresima, 5, 5
Se chiederete
qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà
San
Bernardo nel dodicesimo secolo
Ogni
volta mentre parlo a proposito della preghiera, mi sembra di sentire
nel vostro cuore certi pensieri umani che ho sentito tante volte,
anche nel mio cuore. Anche se non cessiamo mai di pregare, come
accade che così raramente ci sembra di sperimentare il frutto della
preghiera? Abbiamo l’impressione di uscire dalla preghiera così come
ne siamo entrati; nessuno ci risponde una parola, nessuno ci dà
niente, abbiamo l’impressione di avere faticato invano. Cosa dice
però il Signore nel Vangelo? “Non giudicate secondo le apparenze, ma
giudicate con giusto giudizio” (Gv 7,24). Cos’è un giusto giudizio
se non un giudizio di fede? Infatti “ il giusto vivrà in virtù della
fede” (Gal 3,11). Segui dunque il giudizio della fede piuttosto che
la tua esperienza, perché la fede non inganna, mentre l’esperienza
può indurti in errore.
E
quale è la verità della fede, se non ciò che il Figlio stesso
promette: “Tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede
di averlo ottenuto e vi sarà accordato” (Mc 11,24). Quindi nessuno
fra di voi, fratelli, ritenga poca cosa la sua preghiera! Affermo
infatti che colui al quale viene rivolta non la ritiene poca cosa;
prima che essa fosse uscita dalla nostra bocca, egli l’ha iscritta
nel suo libro. Senza il minimo dubbio, possiamo essere sicuri che
Dio ci accorderà ciò che gli chiediamo, oppure ci darà qualche cosa
che egli sà esserci più vantaggioso. Infatti “non sappiamo che cosa
sia conveniente domandare” (Rm 8,28) ma Dio ha compassione della
nostra ignoranza e accoglie la nostra preghiera con bontà... Allora
“cerca la gioia del Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore” (Sal
36,4).
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VIII°
settimana Tempo Ordinario -
sabato - LODI
De Trinitate,
VII, 26-27
Con quale autorità
fai queste cose?
Sant’Ilario
di Poitiers nel quarto secolo
Dipende dal Padre, il fatto che il Figlio gli assomigli. Viene da
lui, quel Figlio che gli si può paragonare, perché è simile a lui. È
pari a lui, il Figlio che compie le stesse opere di lui (Gv 5,36)…
Sì, il Figlio compie le opere del Padre ; perciò ci chiede di
credere che egli è il Figlio di Dio. Non si arroga in questo un
titolo che non gli sarebbe dovuto ; non fonda la sua rivendicazione
sulle sue opere. No, rende testimonianza che queste non sono le sue
opere, bensì quelle del Padre suo. E attesta così che lo splendore
delle sue azioni è dovuto alla sua divina nascita. Ma come gli
uomini avrebbero potuto riconoscere in lui il Figlio di Dio, nel
mistero di questo corpo che aveva assunto, in questo uomo nato da
Maria ? Il Signore compieva dunque tutte queste opere allo scopo di
fare penetrare nel loro cuore la fede in lui : « Se compio le opere
del Padre mio, anche se non volete credere in me, credete almeno
alle opere ! » (Gv
10,38).
Se l’umile
condizione del suo corpo sembra costituire un ostacolo per credere
alla sua parola, ci chiede di credere almeno alle sue opere. Perché,
infatti, il mistero della sua nascita umana ci impedirebbe di
percepire la sua nascita divina ? … « Se non volete credere a me,
credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in
me e io nel Padre »…
Tale
è la natura che egli possiede fin dalla sua nascita ; tale è il
mistero di una fede che ci garantirà la salvezza : occorre non
dividere coloro che sono una cosa sola, non privare il Figlio dalla
sua natura e proclamare la verità del Dio Vivo nato dal Dio Vivo…
« Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me, così io vivo per il
Padre » (Gv 6,57). « Come il Padre ha la vita in se stesso, così ha
concesso al Figlio di avere la vita in se stesso » (Gv 5,26).
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VIII°
settimana Tempo Ordinario -
sabato - PRIMI VESPRI
La Vita in
Cristo, 2; PG 150, 532-533
Battezzateli nel
nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo
Nicola Cabasilas
nel quattordicesimo secolo
Benché la Santa Trinità abbia dato la salvezza al genere umano per
un solo ed unico amore degli uomini, la fede ci dice che ciascuna
persona divina vi dà il proprio contributo. Il Padre si riconciliò
con noi. Il Figlio operò la riconciliazione, e lo Spirito Santo fu
il dono concesso a quelli che erano diventati gli amici di Dio. Il
Padre ci ha liberati, il Figlio fu il riscatto per la nostra
liberazione ; quanto allo Spirito, egli è la libertà in persona (cf
2 Cor 3, 17). Se il Padre ci ha creati, il Figlio ci ha ri-creati,
ed « è lo Spirito che dà la vita » (Gv 6, 63). Infatti nella
creazione iniziale, la Trinità era iscritta come in filigrana. Il
Padre era il modellatore, il Figlio era la sua mano, lo Spirito
Paraclito il soffio di chi ispirava la vita. Tuttavia è soltanto
nella nuova creazione che ci sono state rivelate queste distinzioni
che esistono in Dio.
Nel
piano della salvezza secondo il quale essa ha restaurato il nostro
genere umano, rinnovandolo, è proprio la Trinità tutta intera che ha
voluto la mia salvezza e che ha previsto come essa si sarebbe
realizzata. Però non l’ha realizzata la Trinità tutta intera. Il suo
artefice è solo il Verbo, solo il Figlio unico. E’ da lui che la
natura ha ricevuto una vita nuova, che il battesimo fu istituito
come nascita nuova e creazione nuova. Ecco perché quando uno
battezza, conviene invocare Dio, distinguendo le persone: il Padre,
il Figlio, lo Spirito Santo che solo questa nuova creazione viene a
rivelarci.
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IX°
settimana Tempo Ordinario -
UR
Domenica
L’opera
della salvezza
Dalla
Costituzione “Sacrosanctum Concilium” del Concilio Vaticano II
Dio” vuole che
tutti gli uomini vengano salvati e arrivino alla conoscenza della
verità “(1 Tm 2,4), perciò, egli “che aveva parlato nei tempi
antichi, molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei
profeti”(Eb 1,1), quando venne la pienezza dei tempi, mandò il suo
Figlio, Verbo fatto carne, unto di Spirito Santo, ad annunziare la
buona novella ai poveri, a risanare i cuori affranti “medico nella
carne e nello spirito (S. Ignazio), Mediatore tra Dio e gli uomini.
Infatti la sua umanità, nell’unità della persona del Verbo, fu lo
strumento della nostra salvezza. Per cui in Cristo avvenne il
perfetto riscatto della nostra riconciliazione e ci fu data la
pienezza del culto divino.
Quest’opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione
di Dio, che ha il suo preludio nelle mirabili gesta divine, operate
nel popolo del Vecchio Testamento, fu compiuta da Cristo Signore
specialmente per mezzo del mistero pasquale della sua Beata
Passione, Risurrezione da morte e gloriosa Ascensione, mistero per
il quale morendo ha distrutto la nostra morte e risorgendo ha ridato
a noi la vita. Infatti dal costato di Cristo morente sulla Croce è
nato il mirabile sacramento di tutta la Chiesa.
Pertanto, come Cristo fu inviato dal Padre, così anch’egli ha
inviato gli Apostoli, ripieni di Spirito Santo, non solo perché,
predicando il Vangelo a tutti gli uomini, annunziassero che il
Figlio di Dio con la sua morte e la sua risurrezione ci ha liberati
dal potere di Satana e dalla morte, e ci ha trasferiti nel Regno del
Padre, ma anche perché per mezzo del sacrificio e dei sacramenti,
sui quali s’impermea tutta la vita liturgica, attuassero l’opera
della salvezza che annunziavano. Così, mediante il Battesimo gli
uomini vengono iscritti nel mistero pasquale di Cristo, con lui
morti, sepolti e risuscitati; ricevono lo Spirito di figli adottivi
“per mezzo del quale gridiamo: Abbà Padre!” (Rm 8,15) e diventano
quei veri adoratori che il Padre ricerca.
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IX°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Domenica
« Seguimi »
Sant’Ambrogio
nel quarto secolo
Ecco la
misteriosa vocazione del pubblicano. Il Cristo gli da l’ordine di
seguirlo, non con un passo materiale, bensì con il moto del
suo cuore. E quest’uomo che fino a quel momento aveva tratto
avidamente il suo profitto dalle merci, che sfruttava duramente le
fatiche e i pericoli dei marinai, lascia tutto su una parola di
chiamata. Lui che prendeva i beni altrui, abbandona i propri beni.
Lui che stava seduto dietro il suo triste banco, cammina con tutta
l’anima dietro il Signore. E prepara un grande banchetto : l’uomo
che riceve il Cristo nella sua dimora interiore viene saziato di
delizie senza misura, di sovrabbondanti gioie. Quanto al Signore,
entra volentieri, e si mette alla tavola apparecchiata dall’amore di
colui che ha creduto.
Allo
stesso momento, si rivela la differenza fra i sostenitori della
Legge e i discepoli della grazia. Fermarsi alla Legge, equivale a
subire, in un cuore a digiuno, una fame senza rimedio. Accogliere
interiormente la Parola, riceverla nell’anima, è trovare il
rinnovamento nell’abbondanza del cibo e della sorgente eterni, cioè
non avere più fame, non avere più sete.
Se il
Signore mangia con i peccatori, sarebbe forse per vietare a noi, di
condividere la tavola e la vita con i pagani ? Ci dice : "non sono i
sani che hanno bisogno del medico, ma i malati." Il medico nuovo ci
porta un rimedio nuovo. Non si tratta di un prodotto che la terra fa
germogliare, e tutte le scienze della creazione non lo saprebbero
preparare.
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IX°
settimana Tempo Ordinario -
Lodi
Martedì
Instruzioni
11, 1-4 : PL 80, 250-252
9(In l'Ora
dell'Ascolto p. 2706)
Di chi è
questa immagine?
di San
Colombano nel sesto secolo
Mosè ha scritto nella Legge : « Dio creò l’uomo a sua immagine e
somiglianza » (Gen 1, 26). Considerate, vi prego, la grandezza di
questa espressione. Dio onnipotente, invisibile, incomprensibile,
ineffabile, inestimabile, plasmò l’uomo dal fango della terra e lo
nobilitò con la dignità della sua immagine. Che cosa vi può essere
di comune tra l’uomo e Dio, tra il fango e lo spirito ? « Dio,
infatti è spirito » (Gv 4, 24). Quale grande degnazione è stata
questa, che Dio abbia dato all’uomo l’immagine della sua eternità e
la somiglianza del suo divino operare ! Grande dignità deriva
all’uomo da questa somiglianza con Dio, purché sappia conservarla…
Se
l’uomo userà rettamente di quelle facoltà che Dio ha concesso alla
sua anima, allora sarà simile a Dio. Ricordiamoci che gli dobbiamo
restituire tutti quei doni che egli ha depositato in noi quando
eravamo nella condizione originaria. Ce ne ha insegnato il modo con
i suoi comandamenti. Il primo di essi è quello di amare il Signore
nostro con tutto il cuore « perché egli per primo ci ha amati » (1
Gv 4, 19) fin dall’inizio dei tempi, prima ancora che noi venissimo
alla luce di questo mondo. L’amore di Dio è la rinnovazione della
sua immagine. Ama veramente Dio chi osserva i suoi comandamenti…
Dobbiamo quindi restituire al Dio e Padre nostro la sua immagine non
deformata, ma conservata integra mediante la santità della vita,
perché egli è santo. Per questo è stato detto : « Siate santi,
perché io sono santo » (Lv 11, 45). Dobbiamo restituirgliela nella
carità, perché è carità, secondo quanto dice Giovanni : « Dio è
carità » (1 Gv 4, 16). Dobbiamo restituirgliela nella bontà e nella
verità, perché egli è buono e verace. Non siamo dunque pittori di
una immagine diversa da questa… Perché non avvenga che dipingiamo
nel nostro animo immagini tiranniche, intervenga Cristo stesso e
tracci nel nostro spirito i lineamenti precisi di Dio.
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IX°
settimana Tempo Ordinario -
Vespri
Martedì
Dialogo
della Divina Provvidenza, cap. 13
(In l' Ora
dell'Ascolto p. 1833)
Mc 12,
13-17
Dio rinnova in noi
l’immagine della Trinità
di
Santa Caterina da Siena nel quattordicesimo secolo
Eterno Amore..., ti chiedo misericordia per il tuo popolo nel nome
della carità increata che mosse te medesimo a creare l’uomo a tua
immagine e somiglianza (Gen 1,26)... Questo hai fatto, o Trinità
eterna, perché volevi fare partecipare l’uomo a tutto il tuo essere.
Per questo gli hai dato la memoria, affinché egli ricordasse i tuoi
benefici e partecipasse così alla tua potenza, o Padre eterno. Per
questo gli hai dato l’intelligenza perché egli potesse afferrare la
tua bontà e partecipasse così alla Sapienza del tuo Figlio
unigenito. Per questo gli hai dato la volontà, affinché potesse
amare ciò che vede e conosce della tua verità, e partecipasse così
del tuo Spirito Santo. Quale fu la ragione per cui tu hai dato
all’uomo tanta dignità? Certo l’amore inestimabile col quale hai
guardato in te medesimo la tua creatura...
Ma
poi per il peccato commesso perdette quella sublimità alla quale
l’avevi elevata. Tu, mosso dal quel medesimo fuoco col quale ci hai
creati... ci hai dato il Verbo, tuo unico Figlio... Egli ha compiuto
la tua volontà, Padre eterno, quando l’hai rivestito della nostra
umanità, a immagine e somiglianza della nostra natura. O abisso di
carità! Qual cuore non si sentirà gonfio di commozione al vedere
tanta altezza discesa a tanta bassezza, cioè alla condizione della
nostra umanità? Noi siamo immagine tua, e tu immagine nostra per
l’unione che hai stabilito fra te e l’uomo, velando la dignità
eterna con la povera nube dell’umanità di Adamo (Gen 2,7)... Quale
il motivo? Certo l’amore. Per questo amore ineffabile ti prego e ti
sollecito a usare misericordia alle tue creature.
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IX°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Mercoledì
Proslògion,
25-26
La
risurrezione : pienezza di vita
Sant’Anselmo
d’Aosta nell’undicesimo secolo
Perché smarrirti così lontano alla ricerca dei beni dell’anima e del
corpo ? Ami dunque l’unico Bene in cui sono tutti i beni : questo
basta… Lassù si trova tutto ciò che si può amare e desiderare.
Ami
la bellezza ? « I giusti splenderanno come il sole » (Mt 13,43).
Oppure l’agilità o la forza di un corpo libero e svincolato da ogni
ostacolo ? « Saranno come angeli nei cieli »… Oppure una vita lunga
e sana ? Lassù ti aspetta l’eterna salute, perché « i giusti vivono
per sempre » (Sap 5,16)… Desideri essere saziato ? Lo sarai quando
Dio ti mostrerà il suo volto nella gloria (Sal 16,15). Essere
inebriato ? « Si saziano dell’abbondanza della casa di Dio » (Sal
35,9). Ami forse un canto melodioso ? Lassù, i cori angelici cantano
senza fine la lode di Dio. Cerchi pure delizie ? Dio ti disseti al
torrente delle sue delizie (Sal 35,9). Ami la sapienza ? La sapienza
di Dio in persona si manifesterà. L'amicizia ? Ameranno Dio più di
se stessi, si ameranno gli uni gli altri come se stessi, e Dio li
amerà più di quanto potranno mai amare… Ami la concordia ? Avranno
tutti una sola volontà, perché non avranno altra volontà che quella
di Dio… Gli onori e le ricchezze ? Dio stabilirà i suoi buoni e
fedeli su molto (Mt 25,21) ; anzi, « saranno chiamati figli di Dio»
(Mt 5,9) e lo saranno veramente, perché dov’è il Figlio, saranno
anche « gli eredi di Dio e coeredi di Cristo » (Rm 8,17).
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IX°
settimana Tempo Ordinario
- VESPRI Mercoledì
Trattato
sulla risurrezione, 2.4.7-9
Credo la
risurrezione della carne (Credo)
di
San Giustino nel secondo secolo
Coloro che sono in errore dicono che non c’è risurrezione della
carne, che è impossibile che essa, dopo esser stata distrutta e
ridotta in polvere, ritrovi la sua integrità. Ancora, secondo loro,
la salvezza della carne sarebbe non soltanto impossibile, ma pure
nociva; biasimano la carne, denunciando i suoi difetti, la rendono
responsabile dei peccati; dicono quindi che se questa carne dovesse
risuscitare, anche i suoi difetti risusciterebbero... Inoltre, il
Salvatore ha detto: “Quando risusciteranno dai morti, non
prenderanno moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli.”
Ora, dicono, gli angeli non hanno carne, né mangiano né si uniscono.
Dunque, dicono, non ci sarà risurrezione della carne...
Quanto sono ciechi gli occhi del solo intelletto! Non hanno visto
infatti sulla terra “i ciechi ricuperare la vista, gli storpi
camminare” (Mt 11,5) grazie alla parola del Salvatore..., allo scopo
di farci credere che, alla risurrezione, l’intera carne risusciterà.
Se sulla terra, egli ha guarito le infermità della carne e ha reso
al corpo la sua integrità, quanto più lo farà al momento della
risurrezione, affinché la carne risusciti senza difetto,
integralmente... Questa gente mi sembra ignorare l’operare divino
nel suo insieme, all’origine della creazione, quando l’uomo è stato
plasmato; ignorano il motivo per il quale le cose terrene sono state
fatte.
Il
Verbo ha detto: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra
somiglianza (Gen 1,26)... È ovvio che l’uomo, pur plasmato a
immagine di Dio, era di carne. Quanto è assurdo allora considerare
disprezzabile e senza alcun merito, la carne plasmata da Dio secondo
la sua immagine! Che la carne sia preziosa agli occhi di Dio, questo
è evidente, poiché essa è opera sua. E poiché proprio in questo si
trova il principio del suo progetto per il resto della creazione,
essa è ciò che c’è di più prezioso agli occhi del creatore.
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IX°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Giovedì
Lettera 142
La
banca dell’amore
Santa Teresa
del Bambin Gesù e del Volto Santo
« I
miei pensieri non sono i vostri pensieri », dice il Signore (Is 55,
8). Il merito non consiste nel fare né nel dare molto, ma piuttosto
nel ricevere, nell’amare molto. È detto che vi è più dolcezza nel
dare che nel ricevere (At 20, 35), ed è vero. Ma allora, quando Gesù
vuole prendere per sè la dolcezza di dare, non sarebbe grazioso
rifiutare. Lasciamolo prendere e dare quanto vorrà. Infatti la
perfezione consiste nel fare la sua volontà, e l’anima che si
consegna interamente a lui viene chiamata da Gesù stesso « sua
madre, sua sorella » e tutta la sua famiglia (Mt 12, 50). E
altrove : « Se uno mi ama, osserverà la mia parola, cioè farà la mia
volontà, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo
dimora presso di lui » (Gv 14, 23). Oh ! Com’è facile piacere a
Gesù, rapire il suo cuore, basta amarlo senza guardare sé stessi,
senza esaminare troppo i propri difetti. In questo momento, la tua
Teresa non si trova sulle alture, ma Gesù le insegna a trarre
profitto da tutto, dal bene come pure dal male che lei trova in sé.
Le insegna a giocare alla banca dell’amore, o piuttosto, no, gioca
lui, per lei, senza dirle come ci sa fare, perché questo è affar suo
e non quello di Teresa ; ciò che spetta a lei, è abbandonarsi,
consegnarsi senza trattenere nulla, nemmeno la soddisfazione di
sapere quanto la banca le rende…
Infatti i direttori per far progredire nella perfezione, fanno fare
molti atti di virtù, e hanno ragione. Ma il mio direttore che è
Gesù, non mi insegna a contare i miei atti ; mi insegna a fare tutto
per amore, a non rifiutargli niente, ad essere contenta quando mi dà
un’occasione di dargli prova che lo amo. Ma questo si fa nella pace,
nell’abbandono. Gesù fa tutto lui, ed io non faccio niente.
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IX°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Giovedì
Quinta Dimora,
3
Il grande
comandamento
Santa Teresa
d'Avila nel sedicesimo secolo
Dio
ci chiede soltanto due cose : che lo amiamo, e che amiamo il nostro
prossimo. Tale deve essere la meta dei nostri sforzi. Se ci
conformiamo ad esso, di un modo perfetto, adempiamo la sua volontà e
gli siamo uniti. Quanto, però siamo lungi dall’adempiere questo
doppio precetto, come lo dovremmo al servizio di un Dio così
grande ! Voglia Sua Maestà darci la sua grazia, affinché meritiamo
di giungere a questa perfezione, perché questo è in nostro potere,
se lo vogliamo.
Il
segno più sicuro, secondo me, per sapere se abbiamo questo doppio
amore, consiste nell’amare veramente il prossimo. Perché, non
possiamo avere la certezza che amiamo Dio, anche se ne abbiamo degli
indizi molto seri ; invece possiamo sapere sicuramente se amiamo il
prossimo. Siate certe che quanto più scoprirete in voi progressi
nell’amore del prossimo, tanto più avrete progredito nell’amore di
Dio. L’amore che Dio nutre per noi è così profondo che, ricambiando
quello che abbiamo per il prossimo, perfeziona in mille modi, quello
che proviamo per lui stesso ; non posso avere nessun dubbio su
questo punto. È il motivo per cui è molto importante considerare
bene come amiamo il prossimo ; dal momento che questo amore è
perfetto, abbiamo fatto tutto ciò che occorreva. Perché, secondo me,
la nostra natura è così depravata che, se il nostro amore per il
prossimo non prendesse le sue radici nell’amore stesso di Dio, non
potrebbe innalzarsi alla perfezione.
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IX°
settimana Tempo Ordinario - LODI
Venerdì
Dal Libro di Vita di Gerusalemme
Capitolo Gerusalemme § 161
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IX°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Venerdì
Catechesi
battesimale 10, 2,4,5 : PG 33, 662.663-667
Il suo nome è Re dei re e Signore
dei signori
San Cirillo di Gerusalemme nel
quarto secolo
Chi
vuole onorare Dio, si prosterni davanti a suo Figlio. Altrimenti, il
Padre non accetta di essere adorato. Dall’alto del cielo, il Padre
ha fatto udire queste parole : « Questi è il Figlio mio prediletto,
nel quale mi sono compiaciuto » (Mt 3, 17). Il Padre si è
compiaciuto nel Figlio, …chiamato « Signore » (Lc 2, 11) non
impropriamente come lo sono i signori umani, bensì perché la
signoria appartiene a lui per natura, da sempre…
Pur
rimanendo se stesso e conservando veramente la gloria immutabile del
suo essere Figlio, si aggiusta alle nostre debolezze, come un medico
abilissimo e un maestro compassionevole. E tutto ciò, l’ha fatto
mentre era realmente Signore, senza dover a nessun avanzamento il
suo potere ; infatti la gloria della signoria era sua per natura.
Non era Signore alla maniera dei signori umani ; era Signore in
tutta verità, esercitando la signoria sulle proprie creature con il
consenso del Padre. Noi, infatti, possiamo esercitare un dominio su
uomini che sono i nostri pari, sia in dignità che nelle sofferenze,
anzi sovente che ci sono superiori. Invece, la signoria di Nostro
Signore non è di questa natura : egli è innanzi tutto Creatore, e in
secondo luogo Signore. Ha creato tutto secondo la volontà del Padre,
ora esercita la signoria su quanto esiste solo per mezzo di lui.
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IX°
settimana Tempo Ordinario -
Lodi
Sabato
Lettere, 112
giugno (In
l' Ora dell'Ascolto p. 1701)
Ha dato tutto quello che aveva
di
Sant’Anselmo d’Aosta nel undicesimo secolo
In
cielo tutti insieme con Dio saranno un solo re e come un sol uomo,
perché tutti vorranno una cosa sola e ciò che vorranno si
realizzerà. Dal cielo Dio proclama che tutto questo è in vendita.
Se
uno domanda a quale prezzo, gli vien risposto: non ha bisogno di un
compenso terreno chi vuol dare il Regno del cielo, né alcuno può
dare a Dio ciò che non possiede, perché tutto ciò che esiste
appartiene a lui. D’altra parte Dio non dà del tutto gratuitamente
una cosa di tanto valore, perché non la dà a chi non ama. Nessuno
infatti dà ciò che ha di più caro a chi non l’ama. Dio quindi non ha
bisogno di qualcosa di tuo, né deve dare una cosa tanto grande a chi
non si cura di amarla; non cerca che l’amore, senza il quale non è
tenuto a dare nulla. Dagli dunque l’amore e otterrai il regno: ama
ed avrai... Ama Dio più di te stesso e già comincerai ad avere su
questa terra quanto vuoi avere perfettamente in cielo.
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IX°
settimana Tempo Ordinario -
PRIMI VESPRI
Sabato
Trattato
sulla Trinità 1, 37-38
(in l’Ora
dell’Ascolto p.2273)
La
crescita nella fede
Sant’Ilario
di Poitiers nel quarto secolo
Io
sono consapevole che tu, o Dio Padre Onnipotente, devi essere il
fine principale della mia vita, in maniera che ogni mia parola, ogni
mio sentimento, esprima te… Noi, poveri come siamo, ti chiederemo
ciò che ci manca e scruteremo con zelo tenace le parole dei tuoi
profeti e dei tuoi apostoli, e busseremo a tutte le porte che
sbarrano il riconoscimento della verità.
Ma
dipende da te concedere l’oggetto della nostra preghiera, essere
presente a quanto si chiede, aprire a chi bussa. La natura è presa
da una strana pigrizia e non possiamo capire ciò che ti riguarda per
la debolezza della nostra intelligenza.
Ma lo
studio dei tuoi insegnamenti ci mette in grado di intendere la tua
divinità, e la sottomissione alla fede ci innalza al di sopra della
conoscenza naturale. Attendiamo dunque che tu dia slancio agl’inizi
di questa impresa, causa per noi di trepidazione, che la consolidi
con crescente successo e ci chiami a partecipare dello spirito dei
profeti e degli apostoli, perché possiamo capire le loro parole
nello stesso senso con cui essi le hanno pronunziate e le
interpretiamo nel loro significato. Aprici dunque l’autentico
significato delle parole, e donaci luce per comprendere, efficacia
di parola, vera fede.
Fa’ che possiamo esprimere
ciò che crediamo.
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XI°
settimana Tempo Ordinario -
Lodi
Martedì
Mt 5, 43-48
Discorsi
ascetici, 1a parte , n° 60
« Fa sorgere il suo sole sopra i
malvagi e sopra i buoni »
Sant’Isacco
Siriano nel settimo secolo
Annuncia la bontà di Dio. Infatti nonostante tu sia indegno, egli
ti guida, e mentre tu gli devi tutto, non reclama nulla da te. E
per aver fatto delle piccole cose, ti dà in cambio grandi cose. Non
limitarti a chiamare dunque Dio semplicemente giusto. Poiché non è
in rapporto a ciò che fai tu che egli rivela la sua giustizia. Se
Davide lo chiama giusto e retto (Sal 32,5), il Figlio suo ci ha
rivelato che piuttosto egli è buono e mite: “Egli è benevolo verso
gl’ingrati e i malvagi” (Lc 6,35).
Come
puoi fermarti alla semplice giustizia di Dio, quando leggi il
capitolo sulla paga degli operai? “Amico, non ti faccio torto; io
voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Sei invidioso perché
io sono buono?” (Mt 20,13-15). Come possiamo dire semplicemente che
Dio è giusto quando leggiamo nel capitolo del figlio prodigo che ha
dissipato la ricchezza del padre vivendo da dissoluto, come alla
sola compunzione mostrata dal figlio, il padre gli corse incontro,
gli si gettò al collo e gli diede ogni potere su tutta la sua
ricchezza (Lc 15,11s)? Tutto ciò non ci viene detto da uno qualunque
di cui poter dubitare, ma proprio il Figlio suo rende in prima
persona questa testimonianza a Dio. Dov’è la giustizia di Dio? Non è
forse in questo “mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per
noi” (Rm 5,8)? Se Dio si mostra compassionevole quaggiù, crediamo
che lo è da sempre.
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XI°
settimana Tempo Ordinario -VESPRI
Martedì
Mt 5, 38-42
Contro le
eresie, IV, 13, 3 ; SC 100, 531
« La legge perfetta della
libertà » (Gc 1,25)
Sant’Ireneo
di Lione nel secondo secolo
“A
chi ti leva il mantello, dice Cristo, non rifiutare la tunica; dà a
chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che
volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Lc 6,
30-31). Per cui non ci rattristeremo come qualcuno che sia stato
spossessato suo malgrado, bensì ci rallegreremo come qualcuno che ha
dato di buon cuore, poiché così avremo fatto un dono gratuito al
prossimo, invece di aver subito un torto. “E, dice, se uno ti
costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due”. In questo modo,
non lo seguiremo come uno schiavo, ma lo precederemo da uomo libero.
In ogni cosa dunque, Cristo ti invita a renderti utile al tuo
prossimo, non tenendo conto della sua malvagità, ma spingendo la
tua bontà al suo culmine. Ci invita così a renderci simili al Padre
nostro “che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e
fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti” (Mt 5,45).
Tutto
questo non ci viene proposto da qualcuno che avesse abolito la
Legge, bensì di colui che la compie e la amplia per noi (Mt 5,17).
Il servizio della libertà è un servizio maggiore; il nostro
liberatore ci propone una sottomissione e una devozione più profonda
a suo riguardo. Non ci ha infatti liberati dalle costrizioni della
Legge antica perché ci distaccassimo da lui... bensì perché,
ricevuta una grazia più abbondante, lo amassimo maggiormente e,
avendolo amato maggiormente, ricevessimo da lui una gioia più
grande, quando saremo per sempre davanti al Padre suo.
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XI°
settimana Tempo Ordinario -
LODI - mercoledì
Esposizione
sul salmo 33, §8 ; PL 36,312
(Nuova
Biblioteca Agostiniana)
Mt 6, 1-6.
16-18
Quando preghi, entra nella tua
camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto
di
Sant’Agostino nel quinto secolo
Entrando nella tua camera, entri nel tuo cuore. Beati coloro che si
allietano quando entrano nel loro cuore e non vi trovano niente di
male…
Se
sono ben miseri coloro i quali, rientrando tra le loro pareti,
temono di dover subire la mala accoglienza dei familiari, quanto
sono più miseri coloro che non vogliono rientrare nella loro
coscienza, per non essere travolti dalle violenze dei peccati!
Orbene, per poter liberamente rientrare nel tuo cuore, purificalo;
« Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio » (Mt 15,8). Spazza via
dal tuo cuore i sordidi desideri, spazza via la macchia
dell'avarizia, la vergogna delle superstizioni, le bestemmie e i
cattivi pensieri; getta fuori i risentimenti, non dico che nutri
verso l'amico ma anche verso il nemico; togli via tutte queste cose,
poi entra nel tuo cuore, e là troverai la gioia.
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XI°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Mercoledì
Mt 6,
1-6.16-18
La preghiera
della Chiesa
« Quando preghi, entra nella tua
camera »
Santa
Teresa Benedetta della Croce
Tutto
è una medesima cosa, per coloro che hanno raggiunto l’unità profonda
della vita divina: il riposo e l’azione, contemplare e agire, tacere
e parlare, ascoltare e aprirsi, ricevere in sé il dono di Dio e
rendere l’amore a fiumi nell’azione di grazie e la lode... Occorre
per lunghe ore ascoltare in silenzio, lasciare la parola divina
sbocciare in noi, finché ci inciti a lodare Dio nella preghiera e
nel lavoro.
Anche
le forme tradizionali ci sono necessarie e dobbiamo partecipare al
culto pubblico ordinato dalla Chiesa, perché la nostra vita
interiore si svegli, rimanga nella via retta e trovi l’espressione
che le si addice. Occorre che la lode solenne di Dio abbia i suoi
santuari sulla terra per essere celebrata con tutta la perfezione di
cui sono capaci gli uomini. Da essi, nel nome della Santa Chiesa,
essa può salire verso il cielo, agire su tutte le sue membra,
svegliare la loro vita interiore e stimolare il loro sforzo
fraterno. Tuttavia, perché questo canto di lode sia vivificato
dall’interno, bisogna che ci siano, in queste luoghi di preghiera
dei tempi riservati all’approfondimento spirituale nel silenzio;
altrimenti, questa lode degenererà in un balbettio delle labbra
spogliato di vita. Grazie a questi focolari di vita interiore questo
pericolo è respinto; le anime possono meditarvi davanti a Dio nel
silenzio e nella solitudine, per essere nel cuore della Chiesa i
cantori dell’amore che tutto vivifica.
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XI°
settimana Tempo Ordinario -
Lodi
Giovedì
Mt 6, 7-15
Il cammino di
perfezione, cap.32/34
« Sia fatta la tua volontà »
Santa Teresa d'Avila
nel sedicesimo secolo
“Sia
fatta la tua volontà come in cielo così in terra”. O mio tenero
Maestro, quale gioia per me che tu non abbia fatto dipendere il
compimento della tua volontà, da un volere così debole quanto il
mio! ... Quanto infelice sarei, se tu avessi voluto che dipendesse
da me che si compia o no la tua volontà. Ora, ti do liberamente la
mia volontà, anche se in un momento in cui questo dono non è
meramente desinteressato, poiché una lunga esperienza mi ha fatto
conoscere i vantaggi di tale abbandono. Che profitto immenso,
amiche mie! Ma d’altra parte, che perdita immensa, se non adempiamo
ciò che offriamo al Signore in questa domanda del Padre nostro...
Voglio dunque dirvi, o richiamarvi, qual’è questa volontà. Non
temete che questa sia di darvi delle ricchezze, dei piaceri, degli
onori né alcun bene di quaggiù. Egli non nutre per voi un amore così
piccolo da darvi queste cose! Egli dà molta importanza al presente
che gli offrite, e intende ricompensarvi molto per questo, poiché
fin da questa vita vi dà il suo Regno... Guardate figlie mie, ciò
che Dio ha dato al Figlio suo che egli amava al di sopra di tutto;
in questo potrete riconoscere quale sia la sua volontà. Sì, tali
sono proprio i beni che egli fa a noi in questo mondo. Dà in
proporzione all’amore che nutre per ognuno di noi..., tenendo conto
anche del coraggio che vede in ognuno e dell’amore che abbiamo per
lui. Colui che lo ama molto, viene riconosciuto come capace di
soffrire molto per lui, e colui che lo ama poco, di soffrire poco.
Per parte mia, sono certa che la misura della nostra forza per
portare una grande croce oppure una piccola croce, è la misura del
nostro amore...
Tutti
i miei consigli in questo libro tendono a questo scopo: darci
interamente al Creatore, sottomettere la nostra volontà alla sua,
distaccarci dalle creature; sicuramente ne avete capito tutta
l’importanza, non dirò di più a questo proposito.
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XI°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI - giovedì
L'Orazione
domenicale 8, 11
Mt 6, 7-15
Voi dunque pregate così : Padre
nostro…
di San Cipriano nel terzo secolo
Prima di tutto Gesù, il Dottore della pace e il Maestro dell’unità
non ha voluto che la preghiera fosse individuale e privata, cosicché
pregando, ognuno preghi solo per sé. Non diciamo : « Padre mio che
sei nei cieli » ; né « dammi il mio pane ». Ognuno domanda non che
il debito sia rimesso soltanto a lui, e non è per lui solo
che sollecita di non essere indotto in tentazione e di essere
liberato dal male. Per noi la preghiera è pubblica e comunitaria. E
quando preghiamo, intercediamo non per uno solo ma per tutto il
popolo. Perché noi, popolo tutto intero, siamo una cosa sola.
Il Dio della pace e il Maestro della concordia, che ci ha insegnato
l’unità, ha voluto che uno solo pregasse per tutti, come lui stesso
ha portato tutti gli uomini. I tre giovani Ebrei circondati dalla
fornace ardente hanno osservato questa legge della preghiera (cf Dn
3, 51). E gli Apostoli e i discepoli, dopo l’Ascensione del Signore,
pregavano in tal modo. « Tutti erano assidui e concordi nella
preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e
con i fratelli di lui » (At 1, 14). Erano assidui e concordi nella
preghiera ; per il loro fervore e il loro amore reciproco,
testimoniavano che Dio, che fa abitare in una stessa casa gli uomini
unanimi, ammette nella sua dimora soltanto quelli la cui preghiera
traduce l’unione delle anime (cf Sal 67,7).
Fratelli carissimi, quando chiamiamo Dio « Padre », dobbiamo sapere
e ricordarci che dobbiamo agire come figli di Dio ; Come noi ci
rallegriamo di aver Dio per Padre, così che lui si rallegri di avere
noi per figli.
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XI°
settimana Tempo Ordinario -
LODI - VENERDI
Su Nabaoth,
58
Mt 6, 19-23
Accumulatevi tesori in cielo
di
Sant’Ambrogio nel quarto secolo
Tu
che seppellisci il tuo oro sottoterra (Mt 25,25), sei il suo servo e
non il suo padrone : « Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo
cuore ». In quest’oro, hai quindi sepolto il tuo cuore. Vendi
piuttosto il tuo oro e compra la salvezza ; vendi il minerale e
acquista il Regno di Dio, vendi il campo e riscatta per te la vita
eterna.
Dico
questo in verità, poiché mi baso sulla parola stessa di colui che è
la Verità : « Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che
possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo » (Mt 19,21).
Non rattristarti all’udire queste parole, per paura che ti sia detto
come al giovane ricco : « Difficilmente un ricco entrerà nel regno
dei cieli » (Mt 19,23). Anzi, mentre leggi questa frase, considera
che la morte può strapparti questi beni, che la violenza di un
potente può rapirteli. Alla fin fine, avrai mirato solo a dei beni
minuscoli in luogo di grandi ricchezze ; questi sono soltanto tesori
di moneta invece di essere tesori di grazia. Per questo stesso
fatto, sono corruttibili invece di rimanere per sempre. |
XI°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI - venerdì
Omelia sulla
carità : PG 31, 266 - 267; 275
Mt 6, 19-23
Non accumulatevi tesori sulla
terra
di San Basilio Magno nel quarto
secolo
Perché
tormentarti e fare tanti sforzi per mettere la tua ricchezza al
riparo dietro la malta e i mattoni ? « Un buon nome vale più di
grandi ricchezze » (Pr 22 ,1). Ami il denaro per la considerazione
che esso ti procura. Pensa quanto più grande sarà la tua fama se ti
si può chiamare il padre, il protettore di migliaia di figli,
piuttosto che tenere nelle tue borse migliaia di monete d’oro. Che
tu lo voglia o no, dovrai ben lasciare qui il tuo denaro, un giorno.
Invece, la gloria di tutto il bene che avrai fatto, la porterai con
te fino davanti al sovrano Maestro, quando tutto un popolo,
accalcandosi per difenderti presso il giudice comune, ti chiamerà
per nomi che diranno che l’hai nutrito, che l’hai assistito, che sei
stato buono.
Quanto dovresti essere grato, felice e fiero dell’onore che ti viene
fatto. Non sarai tu a dover importunare gli altri alla loro porta.
Saranno loro ad accalcarsi alla tua. Però a questo punto, si
rabbuia il tuo viso, diventi inabbordabile, fuggi gli incontri per
paura di dovere lasciare un po’ di quello che tieni così
gelosamente. Non sai dire altro che : « non ho niente, non vi darò
niente, perché sono povero ». Povero lo sei, in realtà, e povero di
ogni bene : povero di amore, povero di bontà, povero di fiducia in
Dio, povero di speranza eterna.
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XI°
settimana Tempo Ordinario -
LODI sabato
Omelia sul
Vangelo di San Matteo, 1 ; PG 57, 294-296
Mt 6, 24-34
Non potete servire a Dio e a
Mammona
di San Giovanni Crisostomo nel
quarto secolo
Vedete quali vantaggi Gesù Cristo ci promette e quanto i suoi
precetti ci sono utili, poiché ci liberano da mali così grandi. Il
male che vi causano le ricchezze, dice, non è soltanto fornire arme
ai ladri contro di voi e riempire la vostra mente di spesse tenebre.
La grande piaga che fanno è staccarvi dalla beata servitù di Gesù
Cristo per rendervi schiavi di un metallo insensibile e inanimato.
« Non
potete servire a Dio e al Denaro ». Tremiamo, fratelli, al pensiero
che costringiamo Gesù Cristo a parlarci del denaro come di una
divinità opposta a Dio ! Però, direte voi, gli antichi patriarchi
non hanno forse trovato il modo di servire insieme a Dio e al
denaro ? Niente affatto. Ma come Abramo, come Giobbe hanno emanato
tanto splendore per la loro magnificenza ? Vi rispondo che non
bisogna considerare qui coloro che hanno posseduto ricchezze, bensì
coloro che sono stati posseduti da esse. Giobbe era ricco ;
si serviva del denaro, però non serviva al denaro, ne era il padrone
e non l’adoratore. Considerava il suo bene, come se fosse stato
altro, si riteneva come suo dispensatore e non come suo
proprietario. Ecco perché non si afflisse quando lo perse.
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XI°
settimana Tempo Ordinario -
PRIMI VESPRI
Sabato
Mt 6, 24-34
Scritti
« Non affannatevi per la
vostra vita »
San
Silvano del Monte Athos
Il
Signore ha detto ai suoi discepoli: “Vi do la mia pace” (Gv 14,27).
Questa pace di Cristo occorre domandarla a Dio, e il Signore la darà
a chi la domanda; quando la riceviamo, dobbiamo vegliare santamente
su di essa e farla crescere.
Colui
che, nell’afflizione, non si abbandona alla volontà di Dio non può
conoscere la misericordia di Dio. Se ti colpisce una disgrazia, non
lasciarti abbattere, ma ricordati che il Signore ti guarda con
benevolenza. Non accettare questo pensiero: “Il Signore getterà
forse lo sguardo su di me che l’ho offeso?” perché il Signore è
benevolenza per natura. Invece rivolgiti con fede a Dio e di’ come
il figlio prodigo nel Vangelo: “Non sono degno di essere chiamato
tuo figlio” (Lc 15,21). Allora vedrai quanto sei caro al Padre, e il
tuo animo conoscerà una gioia indescrivibile.
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XII°
settimana Tempo Ordinario -
U.R. Domenica
Discorso 1
sulla risurrezione del Signore, 4 ; PL 185A, 143-144
Perché siete turbati ?
del Beato Guerrico d’Igny nel
dodicesimo secolo
Quando Gesù venne dai suoi apostoli, mentre “erano chiuse le porte e
si fermò in mezzo a loro, furono stupiti e spaventati poiché
credevano di vedere un fantasma” (Gv 20,19; Lc 24,37). Ma quando
alitò su di loro e disse : “Ricevete lo Spirito Santo” (Gv 20,22), e
poi quando mandò loro dal cielo questo stesso Spirito come un dono
nuovo, questo dono è stato una prova indubitabile della sua
risurrezione e della sua vita nuova. Infatti, lo Spirito testimonia
nel cuore dei santi e, poi, con la loro bocca, che Cristo è la
verità, la vera risurrezione e la vita. Per cui i discepoli, che
prima avevano dubitato, persino mentre vedevano il suo corpo
vivente, “con grande forza rendevano testimonianza della
risurrezione del Signore” (At 4,33) avendo gustato a questo Spirito
che dà la vita. È molto più vantaggioso accogliere Gesù nel nostro
cuore che vederlo con i nostri occhi o sentirlo parlare. L’azione
dello Spirito Santo sui nostri sensi interiori è molto più potente
dell’impressione che fanno gli oggetti materiali sui nostri sensi
esteriori.
Ora,
fratelli, quale testimonianza rende la gioia del vostro cuore al
vostro amore per Cristo?... Oggi nella Chiesa tanti messaggeri
proclamano la risurrezione e il vostro cuore esulta e grida: “Gesù,
mio Dio, è vivente, me l’hanno annunciato! A questa notizia, il mio
spirito scoraggiato, tiepido e assopito dal dolore, ha ripreso vita.
La voce che proclama la buona notizia risveglia dalla morte persino
i più colpevoli...” Fratello, l’indizio a cui riconoscerai che il
tuo spirito ha ripreso vita in Cristo è questo: Se dice: “Se Gesù è
vivente, questo mi basta!” O parola di fede e quanto degna degli
amici di Gesù!... “Se Gesù è vivente, questo mi basta!”
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XII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Domenica
Omelia « Al
momento di partire in esilio », 1-3 ; PG 52, 427-430
Omelia « Al momento di partire
in esilio »
San
Giovanni Crisostomo nel quarto secolo
Alte sono le onde e si abbatte la tempesta, ma non temiamo di essere
sommersi: stiamo in piedi sulla roccia. Anche se il mare si
scatenasse, non spezzerà questa roccia. Anche se si sollevassero le
onde, non potranno inghiottire la barca di Gesù. Cosa temeremmo,
ditemi ? La morte ? « Per me il vivere è Cristo e il morire un
guadagno » (Fil 1,21). L’esilio ? « Del Signore è la terra e quanto
contiene » (Sal 2, 31). La confisca dei beni ? « Non abbiamo portato
nulla in questo mondo e nulla possiamo portare via » (1 Tm 6,7). Ciò
che è temibile nel mondo, io non me ne curo ; quanto ai suoi beni,
ne rido. Non temo la povertà, non desiderio la ricchezza. Non ho
paura della morte…
Il
Signore mi ha dato dei pegni. Mi fido forse delle mie forze ? Tengo
in mano il suo scritto : Ecco il mio punto d’appoggio, ecco la mia
sicurezza, ecco il mio porto tranquillo. Anche se l’universo intero
si mettesse a tremare, io terrei stretto questo scritto, lo
rileggerei : è il mio baluardo, è la mia sicurezza. Che cosa
contiene ? « Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine
del mondo » (Mt 28, 20).
Il
Cristo è con me, di chi avrò timore ? Che vengano ad assalirmi le
acque del mare e la collera dei grandi : tutto questo non peserebbe
più di una ragnatela.
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XII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Martedì
STRETTA E ANGUSTA LA VIA CHE
CONDUCE ALLA VITA
di Origene
nel terzo secolo
Tu
forse credevi che le cose mostrate da Dio fossero facili e
piacevoli, senza difficoltà e fatica. E’ un’ascesa la via della
virtù, un’ascesa faticosa. Non è una discesa, ma una salita stretta
e ardua. Ascolta, lo dice anche il Signore nel vangelo: “Quanto
stretta e angusta è la via che conduce alla vita!”
(Mt 7, 11).
Da qui
puoi notare come il vangelo concordi con la legge. Nella legge la
via della virtù è mostrata come una salita tortuosa. Nel vangelo è
scritto che la via che conduce alla vita è stretta e angusta. Non
possono vedere chiaramente anche i ciechi che un solo Spirito
scrisse la legge e i Vangeli? Il percorso da seguire è dunque
un’ascesa faticosa, l’ascensione di una vetta, o che porta a una
vetta. L’ascesa riguarda l’azione, la vetta è la fede.
Quando
proclamerai che vi è un solo Dio, e nello stesso tempo asserirai che
il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono un solo Dio, tutto ciò
non sembrerà oscuro, difficile e inestricabile agli infedeli? E
tanto più quando dirai che il Signore della maestà è stato
crocifisso, e che il Figlio dell’uomo è disceso dal cielo, come
tutto questo non sembrerà inspiegabile e difficile? Chi ascolta, se
non ha fede, dice che i giusti sbagliano; ma tu sta’ saldo, non
dubitare di questa fede, riconoscendo che Dio stesso ti ha mostrato
tale via.
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XII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Martedì
Passare attraverso la porta
stretta al Regno dei cieli
di Simone
il Nuovo Teologo, nell’ undicesimo secolo
Poiché il regno dei cieli è
soggetto a violenza e i violenti lo rapiscono, e non vi è i
fedeli altro modo di entrarvi se non per la porta stretta delle
prove e delle tribolazioni, giustamente la Parola di Dio comanda: “Lottate
per entrare per la porta stretta”, e ancora: “Con la vostra
sopportazione acquistate le anime vostre”, e : “Attraverso
molte tribolazioni dovete entrare nel regno dei cieli”. Chi
infatti distribuisce le proprie ricchezze ai bisognosi e si ritira
dal mondo e dagli affari del mondo nella speranza della ricompensa
grava la propria coscienza del grande piacere che ne prova, e può
accadere anche che la vanagloria lo defraudi della ricompensa. Chi
invece, dopo aver dato tutto ai poveri, sopporta anche le cose
penose rendendo grazie nella sua anima e persevera nelle difficoltà,
sente, sì, tutta l’amarezza e la pena delle sofferenze, ma serba
inviolato il suo pensiero nel presente e la sua ricompensa sarà
grande nel futuro, perché ha imitato i patimenti del Cristo e lo ha
atteso con pazienza nei giorni in cui lo assalivano le prove e le
tribolazioni.
Bisogna che ti spogli del sentire della carne, come un tempo
dei tuoi abiti, per assumere, in conformità dell’abito, che hai
rivestito per Cristo, gli atteggiamenti dell’anima e anche un
sentire spirituale; e non solo, ma anche rivestire, mediante la
penitenza, quella tunica luminosa che è lo stesso Spirito Santo. E
questo si attua unicamente mediante la pratica costante della virtù
e la sopportazione delle tribolazioni, Poiché quando l’anima è
tribolata dalle prove è spinta alle lacrime, e le lacrime,
purificando il cuore, ne fanno un tempio e una dimora del Spirito
Santo. Non è infatti sufficiente per la nostra salvezza e perfezione
il solo fatto di portare l’abito monastico e ornare all’esterno la
statua; ma, come facciamo per l’uomo esteriore, così bisogna che
adorniamo l’uomo interiore con il vestito dello Spirito e che ci
sacrifichiamo integralmente a Dio.
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XII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Mercoledì
Mt 7, 15-20
Sul Discorso
dalla montagna, 24, 81-82
(Nuova
Biblioteca Agostiniana)
« Dai loro frutti li
riconoscerete »
Sant’Agostino
nel quinto secolo
L’Apostolo
insegna quali sono i frutti, riconosciuti i quali, riconosciamo
l’albero cattivo: « Son ben note le opere della carne: fornicazione,
impurità, libertinaggio, idolatria, stregoneria, inimicizie,
discordia, gelosia, dissensi, eresie, fazioni, invidie, ubriachezze,
orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho
detto, che chi le commette non erediterà il regno di Dio ». Ed egli
di seguito insegna quali sono i frutti, dai quali possiamo
riconoscere l’albero buono: « Frutto dello spirito è invece amore,
gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio
di sé » (Gal 5,19-23).
È opportuno riflettere che nel brano gioia è stata usata in senso
proprio, poiché non si può dire con proprietà che i cattivi
gioiscono ma che sono ebbri di gioia… Secondo questa proprietà, per
cui la gioia si dice soltanto dei buoni, anche il profeta afferma:
« Non c’è gioia per i malvagi, dice il Signore » (Is 48,22). Così la
fede, di cui si è parlato, certamente non una fede qualunque ma la
vera fede, e gli altri concetti, di cui si è parlato, hanno una
certa apparenza negli uomini cattivi e impostori, sicché ingannano
se l’altro non ha ormai l’occhio puro e sincero, con cui è
consapevole di questi fatti.
Nell’enumerazione dei frutti dello Spirito, il termine gioia è
stato usato in senso forte : solo i giusti possono godere di questa
gioia. Invece quella che rallegra l’empio non è nient’altro che
un’agitazione della mente.
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XII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Mercoledì
Mt 7, 15-20
Il castello
interiore,
5a
dimora, 3,10-11
« Dai loro frutti li
riconoscerete »
Santa Teresa d'Avila nel
sedicesimo secolo
Quanto è facile riconoscere coloro che hanno il vero amore per il
prossimo, da coloro che l’hanno in una misura minore. Se capiste
bene quanto questa virtù sia importante, non avreste altra
preoccupazione. Quando vedo delle persone tutte preoccupate ad
esaminare il loro raccoglimento e così incappucciate mentre lo
praticano, da non osare muoversi per non distoglierne il loro
pensiero, per timore di perdere il gusto e la devozione che trovano
in esso, dico tra me che non hanno capito bene il cammino verso
l’unione. Si immaginano che, in questo, sia la perfezione. No, no ;
non è questo il cammino.
Il
Signore ci domanda delle opere. Se per esempio, vedete una malata
alla quale possiate procurare qualche sollievo, egli vuole che
lasciate qui le vostre devozioni per assisterla e mostrarle
compassione – e se lei soffre, condividere il suo dolore ; e
digiunare, se occorre, perché lei abbia il cibo necessario. E tutto
questo, non solo per amore di lei, ma piuttosto perché questa è la
volontà del nostro Maestro.
Ecco l’unione veritiera
alla sua volontà.
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XII°
settimana Tempo Ordinario - LODI
Giovedì
Mt 7, 21-29
Fondiamo in Cristo la nostra fede
Epifanio Latino,
nel quinto secolo
«Chiunque ascolta le mie parole e le mette in pratica è simile a un
uomo saggio, che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la
pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono
su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la
roccia» ( Mt 7, 24-25). Perciò il Signore, che ci vuole fedeli fino
alla morte e salvi per sempre, non attraverso il riposo ma
attraverso la fatica, dopo tutte le beatitudini e i vari precetti ha
esposto come conclusione questa parabola, per insegnarci che sarà
salvo chi avrà perseverato sino alla fine.
Nella
casa edificata sulla roccia, che non poté essere scossa da nessuna
tempesta, volle raffigurare la nostra salda fede in Cristo, che non
può essere scossa da nessuna tentazione del diavolo. Ma opponendoci
a lui con le armi spirituali, dopo averlo vinto, meriteremo di
ricevere la corona. La casa dunque può significare la santa Chiesa,
oppure anche la nostra fede, fondata sul nome di Cristo, come lo
stesso Signore disse al beato apostolo Pietro: «Tu sei Pietro e su
questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non
prevarranno contro di essa» ( Mt 16,18). Perciò, dilettissimi,
finché è tempo di costruire, fondiamo in Cristo la nostra fede e
arricchiamoci interiormente di opere sante, affinché quando verrà la
tempesta, cioè il nemico occulto, invece di annientarci sia
stroncato. Ma anche adesso il nemico è con noi, è nascosto in noi,
come ci avverte l’apostolo: «Il vostro nemico, il diavolo, come
leone ruggente, va in giro cercando chi divorare»( 1 Pt 5, 8).
Quindi miei cari, chi nel tempo favorevole avrà costruito da uomo
saggio e solidamente, nelle avversità è trovato più forte, ma anche
più degno di lode, perché una volta superata la prova riceverà la
corona della vita che il Signore ha promesso a quelli che lo amano (Gc
1,12). E allora carissimi, vigiliamo, lavoriamo alacremente,
affatichiamoci affinché con l’aiuto di Cristo possiamo superare le
difficoltà e conseguire la felicità eterna.
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XII°
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VESPRI
Giovedì
Mt 7, 21-29
Discorsi 1,
4-8 ;
SC 44, 27-31
« Svégliati, o tu che dormi
» (Ef 5,14)
Filosseno di
Mabbug nel quinto secolo
« Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica è simile
a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia ».
Occorre dunque, secondo le parole del nostro Maestro, che ci
applichiamo non soltanto ad ascoltare la parola di Dio, ma anche a
conformarvi la nostra vita… L’ascolto della legge è cosa buona,
perché ci spinge alle opere virtuose. A ragione, leggiamo e
meditiamo le Scritture, perché così purifichiamo il fondo del nostro
animo dai pensieri cattivi.
Tuttavia, leggere e meditare assiduamente la parola di Dio senza
metterla in pratica, è una colpa che lo Spirito di Dio ha condannata
in anticipo… Anzi ha vietato a colui che si trova in tali
disposizioni di tenere in mano il libro santo. All’empio dice Dio :
« Perché vai ripetendo i miei decreti e hai sempre in bocca la mia
alleanza, tu che detesti la disciplina e le mie parole te li getti
alle spalle ? » (Sal 49, 16-17)… Chi legge assiduamente le
Scritture senza metterle in pratica trova la sua accusa nella sua
stessa lettura ; merita una condanna tanto più grande in quanto
disprezza e trascura ogni giorno ciò che ascolta ogni giorno. È come
un morto, un cadavere senz’anima. Migliaia di trombe e di corni
possono suonare agli orecchi di un morto, non li sentirà. Così,
l’anima che è morta a causa del peccato, il cuore che ha perso il
ricordo di Dio, non sente il suono né le grida delle parole divine,
e la tromba della morte spirituale non lo impressiona ; tale anima è
immersa nel sonno della morte…
Occorre dunque che il discepolo di Dio porti, radicato nel suo
animo, il ricordo del suo Maestro, Gesù Cristo, e che pensi a lui
giorno e notte.
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XII°
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LODI
Venerdì
A Simple Path
« Gesù stese la mano e lo toccò »
Beata Teresa di Calcutta nel
ventesimo secolo
Ai
nostri giorni, la malattia più terribile in occidente non è la
tubercolosi o la lebbra, ma il fatto di sentirsi indesiderabile, non
amato e abbandonato. Sappiamo curare le malattie del corpo con la
medicina, ma l’unico rimedio alla solitudine, allo smarrimento, alla
disperazione, è l’amore. Molti muoiono sulla terra per mancanza di
un pezzo di pane, ma più ancora, per mancanza di un po’ di amore. La
povertà in occidente è un’altra specie di povertà ; non è soltanto
una povertà di solitudine, ma anche di spiritualità. C’è una fame di
amore come c’è una fame di Dio.
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XII°
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VESPRI
Venerdì
Inno 30 ; SC
174, 357
« Gesù lo toccò dicendo : ‘ Lo
voglio, sii sanato ’ »
Simeone
il Nuovo Teologo nell’undicesimo secolo
Prima che
brillasse la luce divina,
io non
conoscevo me stesso.
Allora, al
vedere me nelle tenebre e in carcere,
rinchiuso in
un pantano,
coperto di
immondizie, ferito, la carne gonfia...,
sono caduto ai
piedi di colui che mi aveva illuminato.
E colui che mi
aveva illuminato tocca con le sue mani
i miei legami
e le mie ferite;
là dove la sua
mano tocca e il suo dito si avvicina,
subito cadono
i miei legami,
scompaiono le
ferite, e ogni sporcizia.
L’impurità
della mia carne scompaia...
sicché egli la
rende simile alla sua mano divina.
Strana
meraviglia: la mia carne, la mia anima e il mio corpo
partecipano
della gloria divina.
Appena sono
stato purificato e liberato dai miei legami,
ecco che
stende verso di me la sua mano divina,
mi tira fuori
del pantano interamente,
mi abbraccia,
mi si getta al collo,
mi bacia (Lc
15,20).
Mi prende
sulle spalle
io che ero
completamente esausto,
e avevo perso
le mie forze,
e mi porta
fuori dall’inferno...
La luce stessa
mi porta e mi sostiene;
mi trascina
verso una grande luce...
Egli mi dona
di contemplare con quale strano rimodellare
lui stesso mi
ha plasmato nuovamente (Gen 2,7)
e mi ha
strappato dalla corruzione.
Mi ha fatto il
dono di una vita immortale
e mi ha
rivestito di una tunica immateriale e luminosa
e mi ha dato
dei sandali, un anello e una corona
incorruttibili
e eterni (Lc 15,22).
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XII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Sabato
Mt 8, 5-17
Omelie sul
vangelo di Matteo, 27,1
« Guarì molti malati »
San Giovanni Crisostomo nel quarto
secolo
« Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò
gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati ». Vedi come la
fede della folla si accresce a poco a poco ? Nonostante l’ora
avanzata, non hanno voluto lasciare il Signore, hanno pensato che la
sera permetteva loro di portargli dei malati. Pensi a tutte le
guarigioni che gli evangelisti tralasciano ; non le raccontano tutte
una a una, ma in una sola frase, ci fanno vedere un oceano infinito
di miracoli. E affinché la grandezza del prodigio non ci porti
all’incredulità, affinché non siamo sconcertati al pensiero che tale
folla colpita da mali così diversi sia guarita in un istante, il
vangelo porta la testimonianza del profeta, tanto straordinaria e
sorprendente quanto i fatti stessi : « Perché si adempisse ciò che
era stato detto per mezzo del profeta Isaia : Egli ha preso le
nostre infermità e si è addossato le nostre malattie » (Is 53,4).
Non dice : « Egli ha distrutto », ma : « Egli ha preso » e « si è
addossato », dimostrando così, secondo me, che il profeta parla più
del peccato che delle malattie del corpo, ciò che è conforme alla
parola di Giovanni : « Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie
il peccato del mondo » (Gv 1,29).
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XII°
settimana Tempo Ordinario -
Primi Vespri SABATO
Enchiridion
Vaticanum, Gaudium et Spes, 93
, Bologna,
ed. Devoniane. 1970, p. 963-965.
La
testimonianza dei cristiani
dalla
Costituzione “Gaudium et spes” del Concilio Vaticano II
I cristiani, ricordando le parole del Signore: “In questo
conosceranno tutti che siete i miei discepoli, se vi amerete gli uni
gli altri” (Gv 13, 35),
niente possono desiderare più ardentemente che servire con maggiore
generosità ed efficacia gli uomini del mondo contemporaneo.
Perciò, aderendo fedelmente al Vangelo e usufruendo della sua forza,
uniti con tutti coloro che amano e cercano la giustizia, hanno
assunto un compito immenso da adempiere su questa terra: di esso
dovranno rendere conto a Colui che tutti giudicherà nell’ultimo
giorno.
Non
tutti infatti quelli che dicono “Signore, Signore”
(Mt 7, 21),
entreranno nel Regno dei cieli, ma quelli che fanno la volontà del
Padre e lavorano sul serio. Perché il Padre vuole che in tutti gli
uomini noi riconosciamo ed efficacemente amiamo Cristo fratello, con
la parola e con l’azione, rendendo così testimonianza alla Verità, e
comunicando agli altri il mistero dell’amore del Padre celeste.
Così
facendo, risveglieremo in tutti gli uomini della terra una viva
speranza, dono dello Spirito Santo, affinché finalmente essi vengano
assunti nella pace e felicità somma, nella patria che risplende
della gloria del Signore.
“A
Colui che, mediante la potenza che opera in noi, può compiere
infinitamente di più di tutto ciò che noi possiamo domandare o
pensare, a Lui sia la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù, per
tutte le generazioni nei secoli dei secoli. Amen”
(Ef 3, 20-21).
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XIII°
settimana Tempo Ordinario -
U.R.
Domenica
L’ottavo giorno
di
S. Gregorio Magno nel sesto secolo
Il
numero sette simboleggia l’universalità del tempo. Ecco perché tutto
il tempo della vita presente si svolge al ritmo di sette giorni.
Ecco perché l’arca del Signore, profezia della santa chiesa, che in
tutto questo tempo gira il mondo predicando, abbatté le mura di
Gerico dopo aver girato attorno ad esse per sette giorni al suono
delle trombe. Ecco perché il profeta dice : “Sette volte al giorno
io ti lodo” (Sal 118, 164). Egli stesso, facendo intendere che dice
questo in ordine a ogni istante di tutto il tempo della sua
preghiera, aggiunge : “Sulla mia bocca sempre la sua lode” (Sal 33,
2).
Che
poi il numero sette indichi la totalità della vita presente risulta
più chiaramente quando ad esso si aggiunge l’ottavo. Quando al sette
si aggiunge uno, con questa aggiunta si vuol significare che il
tempo destinato a finire si conclude con l’eternità. Ecco perché
Salomone esorta : “Fanne sette od otto parti” (Qo 11, 2). Col numero
sette fa riferimento al tempo presente che è legato al ritmo di
sette giorni, col numero otto invece indica la vita eterna, che il
Signore ci ha manifestato con la sua risurrezione. Egli è risorto di
domenica, che, facendo seguito al settimo giorno, cioè al sabato,
risulta l’ottavo giorno in ordine alla creazione. Dicendo : “Fanne
sette od otto parti”, Salmone intendeva dire : Disponi le cose
temporali in modo da non dimenticarti di aspirare a quelle eterne.
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XIII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI - Domenica
Il rispetto e l’amore per gli
avversari
Dalla costituzione “Gaudium et
Spes” del Concilio Vaticano Secondo
Il rispetto e
l’amore deve estendersi pure a coloro che pensano o operano
diversamente da noi nelle cose sociali, politiche e persino
religiose, poiché con quanta maggiore umanità e amore penetreremo
nei loro modi di sentire, tanto più facilmente potremo con loro
iniziare un colloquio. Certamente tale amore e amabilità non possono
in alcun modo renderci indifferenti verso la verità e il bene.
Anzi lo stesso
amore spinge i discepoli di Cristo ad annunciare a tutti gli uomini
la verità che salva. Ma occorre distinguere tra errore, sempre da
rifiutarsi, ed errante, che conserva sempre la dignità di persona
anche quando è macchiato da false o meno accurate nozioni religiose.
Solo Dio è giudice e scrutatore dei cuori ; perciò ci vieta di
giudicare la colpevolezza interiore di chiunque.
La dottrina del
Cristo esige che noi perdoniamo anche le ingiurie, ed estende a
tutti i nemici il precetto dell’amore, che è il comandamento della
Nuova Legge : “Udiste che fu detto : amerai il tuo prossimo e
odierai il tuo nemico. Ma io vi dico : amate i vostri nemici e fate
del bene a coloro che vi odiano e pregate per i vostri persecutori e
calunniatori” (Mt 5, 43-44).
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XIII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI - martedì
Dal libro di vita di Gerusalemme
Capitolo Umiltà
§ 124
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XIII°
settimana Tempo Ordinario -
Vespri
Martedì
« Perché avere paura ? »
Beato Charles
de Foucauld
Figlioli, qualunque cosa vi succeda, ricordatevi che sono sempre con
voi. Ricordatevi che, che io sia visibile o invisibile, che sembri
agire oppure dormire, veglio sempre, sono dovunque, sono
onnipotente. Non abbiate nessuna paura, nessuna inquietudine : sono
qui, sto vegliando, vi voglio bene, posso tutto… Cosa di più vi
occorre ? …Ricordatevi di quelle tempeste sedate con una sola mia
parola, subito seguite da una grande bonaccia. Abbiate fiducia, fede
e coraggio ; state senza inquietudine, sia per il vostro corpo che
per la vostra anima, poiché sono qui, onnipotente e benevolente.
Però la vostra
fiducia non nasca dalla noncuranza, dall’ignoranza dei pericoli o
dalla fiducia in voi stessi o in altre creature. In effetti, correte
pericoli imminenti. ; I demoni, nemici forti e furbi, la vostra
natura peccatrice e il mondo stesso vi fanno una guerra furiosa… E
in questa vita, la tempesta è quasi continua, e la vostra barca
sempre sul punto di affondare. Tuttavia, non dimenticatevi, io sono
qui ; con me, questa barca è insommergibile ! Diffidate di tutto, e
sopratutto di voi stessi, però abbiate in me una fiducia totale che
scacci ogni inquietudine.
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XIII°
settimana Tempo Ordinario -
Mercoledì - Lodi
Vegliamo che il tempio del Dio
vivente sia puro
di
san Leone Magno nel quinto secolo
Carissimi, l’insegnamento
degli apostoli ci ammonisce affinché, deposto l’uomo vecchio con le
sue azioni, ogni giorno ci rinnoviamo con uno stile di vita santa (cfr.
Col 3, 9-10). Se infatti siamo il tempio di Dio e lo Spirito Santo
abita nella nostra anima come dice l’Apostolo : “Noi siamo il
tempio del Dio vivente” (2 Cor 6, 16), dobbiamo stare molto
attenti a che la dimora del nostro cuore sia indegna di tanto
ospite.
E come nelle abitazioni
umane si provvede con lodevole diligenza a riparare tempestivamente
le lesioni dovuto all’infiltrazione delle piogge, alla furia delle
intemperie o alla stessa antichità, con uguale sollecitudine
dobbiamo preoccuparci affinché nei nostri animi nulla vi sia di
scomposto, nulla di impuro. Quantunque infatti il nostro edificio
non sussista senza l’opera del suo artefice, e la nostra fabbrica
non possa essere incolume senza l’anticipata protezione del
costruttore, tuttavia, poiché siamo pietre razionali e il materiale
vivente, la mano del nostro autore ci ha strutturati in modo tale
che chi subisce riparazioni lavori anch’esso con chi le opera.
La sottomissione umana
dunque non si sottragga alla grazia divina, né si allontani da quel
Bene senza il quale i beni non esistono. E se nel praticare i
comandamenti troviamo qualcosa che chi è personalmente impossibile o
difficile a eseguirsi, non restiamo in noi stessi, ma ricorriamo a
colui che ce l’impone; egli infatti ci dà il precetto proprio per
suscitare il nostro desiderio e offrirci l’aiuto, come dice il
profeta: “Getta nel Signore il tuo affanno, ed egli ti darà
sostegno” (Sal 54, 23).
O forse c’è qualcuno tanto
insolente e superbo, che si ritiene così intatto e puro da non aver
bisogno di nessun rinnovamento? È molto ingannevole simile
persuasione, e chiunque tra le tentazioni di questa vita si crede
immune da ogni ferita, invecchia in una grande stoltezza.
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XIII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI - mercoledì
Constituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo (Gaudium et spes),
9-10
Lo pregarono che si allontanasse dal
loro territorio
dalla costituzione “Gaudium
et Spes del Concilio Vaticano II
Il mondo si presenta oggi potente a
un tempo e debole, capace di operare il meglio e il peggio, mentre
gli si apre dinanzi la strada della libertà o della schiavitù, del
progresso o del regresso, della fraternità o dell'odio. Inoltre
l'uomo prende coscienza che dipende da lui orientare bene le forze
da lui stesso suscitate e che possono schiacciarlo o servirgli. Per
questo si pone degli interrogativi.
In verità gli squilibri di cui soffre
il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio
che è radicato nel cuore dell'uomo. È proprio all'interno dell'uomo
che molti elementi si combattono a vicenda. Da una parte infatti,
come creatura, esperimenta in mille modi i suoi limiti; d'altra
parte sente di essere senza confini nelle sue aspirazioni e chiamato
ad una vita superiore. Sollecitato da molte attrattive, è costretto
sempre a sceglierne qualcuna e a rinunziare alle altre. Inoltre,
debole e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e non fa
quello che vorrebbe (Rm 7,14). Con tutto ciò, di fronte
all'evoluzione attuale del mondo, diventano sempre più numerosi
quelli che si pongono o sentono con nuova acutezza gli interrogativi
più fondamentali: cos'è l'uomo?
Qual è il significato del dolore, del
male, della morte, che continuano a sussistere malgrado ogni
progresso? Cosa valgono quelle conquiste pagate a così caro prezzo?
Che apporta l'uomo alla società, e cosa può attendersi da essa? Cosa
ci sarà dopo questa vita?
Ecco: la Chiesa crede che Cristo, per
tutti morto e risorto, dà sempre all'uomo, mediante il suo Spirito,
luce e forza per rispondere alla sua altissima vocazione; né “è dato
in terra un altro Nome agli uomini, mediante il quale possono essere
salvati” (At 4,12). Essa crede anche di trovare nel suo Signore e
Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana.
Inoltre la Chiesa afferma che al di là di tutto ciò che muta stanno
realtà immutabili; esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo,
che “è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli” (Eb 13,8).
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XIII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI giovedì
Commento sul
vangelo di Giovanni, 12, 22; PG 74, 729-736
(In l'Ora
dell'Ascolto p. 647)
Beati quelli che pur non avendo visto
crederanno
di San Cirillo Alessandrino nel
quinto secolo
Questa espressione del Salvatore è piena di una singolare
provvidenza e ci può essere di massima utilità. Infatti anche in ciò
ha provveduto non poco alle nostre anime, perché è buono, e « vuole
che tutti gli uomini si salvino e giungano alla coscienza della
verità » (1 Tm 2, 4).
Tutto
ciò è veramente degno di ammirazione. Per offrire indistintamente a
tutti gli uomini la credibilità della fede, era necessario aver
pazienza con Tommaso che parlava in quel modo e con gli altri
discepoli che ritenevano Cristo uno spirito e un fantasma ; e
mostrare i segni dei chiodi e la ferita del costato, e prender cibo
in modo inconsueto e senza necessità ; affinché non rimanesse
assolutamente nessun motivo di incredulità in coloro che cercavano
queste cose per poter credere.
Ma
chi invece accoglie ciò che non ha visto e crede vero ciò che il
Maestro gli fa giungere alle orecchie, questi onora con grande fede
colui che viene predicato. Perciò è detto beato chiunque crederà
alla voce dei santi apostoli che, come dice Luca, furono « testimoni
dei fatti e ministri della parola » (Lc 1, 2). Ad essi dobbiamo
anche obbedire, se bramiamo la vita eterna e stimiamo cosa grande
abitare nelle celesti dimore.
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XIII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI - giovedì
Omelie per
la Risurrezione, 1-4
Mio Signore e mio Dio
di Basilio di Seleucia nel quinto
secolo
“Metti il dito nel posto dei chiodi”. Mi cercavi quando io non
c’ero, ora approfitta della mia presenza. Io conosco il tuo
desiderio nonostante il tuo silenzio. Prima che tu me lo dica, io so
quel che pensi. Ti ho sentito parlare e, pur invisibile, ero vicino
a te, vicino ai tuoi dubbi; senza farmi vedere, ti ho fatto
aspettare, per scrutare meglio la tua impazienza. “Metti il dito nel
posto dei chiodi; e non essere più incredulo ma credente”.
Allora Tommaso lo tocca, e s’infrange tutta la sua diffidenza;
pieno di una fede sincera e di tutto l’amore dovuto al suo Dio,
grida: “Mio Signore e mio Dio!” E il Signore gli dice: “Perché mi
hai veduto, hai creduto; beati quelli che pur non avendo visto
crederanno”. Tommaso, porta la novella della mia risurrezione a
coloro che non mi hanno visto. Porta tutta la terra a credere non a
quello che vede, bensì alla tua parola. Percorri i popoli e le città
lontane. Insegna loro a portare la croce sulle spalle invece delle
armi. Non fare null’altro che annunciare me: crederanno e mi
adoreranno. Non esigeranno altra prova. Di’ loro che sono chiamati
per grazia, e tu, contempla la loro fede: Beati, in verità, coloro
che pur non avendo visto hanno creduto!
Tale
è l’esercito che arruola il Signore; tali sono i figli del fonte
battesimale, le opere della grazia, la messe dello Spirito. Hanno
seguito Cristo, pur senza averlo visto, l’hanno cercato e hanno
creduto. L’hanno riconosciuto con gli occhi della fede, non con
quelli del corpo. Non hanno messo il dito nel posto dei chiodi, ma
si sono attaccati alla sua croce e hanno abbracciato le sue
sofferenze. Non hanno visto il costato del Signore ma, per la
grazia, si sono uniti alle sue membra e hanno fatto propria questa
parola del Signore: “Beati coloro che pur non avendo visto hanno
creduto!”
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XIII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI - venerdì
Dicorsi, 30
: PL 52, 285-286
« Mangia e beve in compagnia dei
pubblicani e dei peccatori!»
San Pietro
Crisologo nel quinto secolo
Dio è
accusato di chinarsi verso l’uomo, di sedersi accanto al peccatore,
di avere fame della sua conversione e sete del suo ritorno, di
prendere il cibo della misericordia e la coppa della benevolenza.
Eppure Cristo, fratelli miei, è venuto al pranzo; la Vita è venuta
al convito per fare vivere insieme con sé quelli che erano destinati
alla morte; giacque la Risurrezione perché coloro che giacevano si
alzassero dalle loro tombe; la Bontà si è abbassata per elevare i
peccatori al perdono; Dio è venuto all’uomo perché l’uomo giungesse
a Dio; il Giudice è venuto al pranzo dei colpevoli per sottrare
l’umanità dalla sentenza di condanna; il medico è venuto dai malati
per ristabilirli mangiando con loro; il buon pastore ha chinato la
spalla per riportare la pecora perduta all’ovile della salvezza.
“Mangia in compagnia dei pubblicani e dei peccatori”. Ma chi è
peccatore se non colui che rifiuta di vedersi tale? Non è forse
affondare nel proprio peccato, e a dire il vero, identificarsi con
esso, il cessare di vedersi peccatore? E chi è ingiusto se non colui
che si giudica giusto?... Su, fariseo, confessa il tuo peccato, e
potrai venire a mensa con Cristo; per te Cristo si farà pane, questo
pane che verrà spezzato per il perdono dei tuoi peccati; Cristo
diverrà per te il calice, questo calice che verrà versato per la
remissione delle tue colpe. Su fariseo, condividi la mensa dei
peccatori, e Cristo condividerà la tua mensa; riconosci che sei
peccatore, e Cristo mangerà con te; entra con i peccatori al
banchetto del tuo Signore, e potrai non essere più peccatore; entra
con il perdono di Cristo nella casa della misericordia.
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XIII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI venerdì
Omelie sui
vangeli, I, 21 ; CCL 122, 149-151
(In l'Ora
dell'Ascolto p.2610)
A tavola con Gesù
di San Beda il Venerabile nel
settimo secolo
« Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti
pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i suoi
discepoli ». Se desideriamo penetrare più a fondo nel significato di
ciò che è accaduto, capiremo che Matteo non si limitò ad offrire al
Signore un banchetto per il suo corpo nella propria abitazione
materiale ma, con la fede e l’amore, gli preparò un convito molto
più gradito nell’intimo del suo cuore. Lo afferma colui che dice :
« Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi
apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me » (Ap
3, 20).
Gli
apriamo la porte per accoglierlo, quando, udita la sua voce, diamo
volentieri il nostro assenso ai suoi segreti o palesi inviti e ci
applichiamo con impegno nel compito da lui affidatoci. Entra quindi
per cenare con noi e noi con lui, perché con la grazia del suo
amore, viene ad abitare nei cuori degli eletti, per ristorarli con
la luce della sua presenza. Essi così sono in grado di avanzare
sempre più nei desideri del cielo. A sua volta, riceve anche lui
ristoro mediante il loro amore per le cose celesti, come se gli
offrissero vivande gustosissime.
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XIII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI sabato
Il digiuno degli amici dello Sposo
di San Pietro Crisologo nel quinto
secolo
« Perché, mentre noi e i farisei
digiuniamo spesso, i tuoi discepoli non digiunano ? » Perché per voi
il digiuno è questione di legge e non un dono spontaneo. In se
stesso, il digiuno non ha nessun valore. Ciò che importa è il
desiderio di colui che digiuna. Quale profitto pensate trarre, voi
che digiunate solo perché costretti ? Il digiuno è un aratro
stupendo per arare il campo della santità : rivolta i cuori, sradica
il male, estirpa il peccato, sotterra il vizio, semina la carità ;
mantiene la fecondità e prepara la mietitura dell’innocenza. I
discepoli di Cristo, invece, sono posti al cuore stesso del campo
maturo della santità, raccolgono i covoni delle virtù, gioiscono del
Pane della nuova raccolta : non possono dunque praticare digiuni
ormai sorpassati.
« Perché i tuoi discepoli non digiunano ? » Il Signore
risponde loro : « Possono forse digiunare gli invitati a nozze
quando lo Sposo è con loro ? » Chi prende moglie lascia il digiuno
da parte, abbandona l’austerità ; si dedica completamente alla
gioia, partecipa ai banchetti ; si mostra in tutto affabile, amabile
e allegro ; fa tutto ciò che gli ispira il suo affetto per la sua
sposa. Il Cristo celebrava allora le sue nozze con la Chiesa :
perciò accettava di prendere parte a dei convivi, e non si rifiutava
a coloro che lo invitavano ; pieno di benevolenza e di amore, si
mostrava umano, abbordabile, amabile. Voleva infatti unire l’uomo a
Dio, e fare dei suoi compagni i membri della famiglia divina
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XIII°
settimana Tempo Ordinario -
PRIMI VESPRI - sabato
La santa novità
di vita degli amici dello Sposo
del Beato
Guglielmo di Saint-Thierry, nel XII sec.
La
santa novità di vita degli amici dello Sposo è la sostanza
dell’antica vita religiosa, la perfezione della pietà fondata da
Cristo, l’antica eredità della Chiesa di Dio; prefigurata fin dal
tempo dei Profeti e, sorto ormai il sole della nuova grazia,
realizzata e rinnovata in Giovanni il Battista, celebrata dallo
stesso Signore con grande intimità e ardentemente desiderata dai
suoi discepoli alla sua stessa presenza.
Non
siate negligenti, non indugiate! Avete ancora tanta strada davanti.
La vostra consacrazione è eccelsa, attraversa i cieli, raggiunge gli
angeli ed è simile alla loro purezza. Infatti, non vi siete votati
solamente ad ogni forma di santità, ma alla perfezione in ognuna di
esse “e al vertice di ogni perfezione” (Sal 118, 96).
Non è da voi adagiarsi nella pratica dei precetti ordinari né
attendere semplicemente ai comandamenti di Dio, ma a ciò che Egli
vuole da voi, “per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è
buono, a lui gradito e perfetto ”(Rm 12, 1).
Ad
altri, infatti, il compito di servire Dio, a voi quello di
immedesimarvi a Lui; ad altri credere in Dio, sapere che esiste,
amarlo e venerarlo; a voi gustarlo, comprenderlo, conoscerlo e
goderne. Ciò è grande e difficile, ma è buono e onnipotente colui
che abita in voi, garante misericordioso, remuneratore fedele, aiuto
instancabile. A coloro che, presi da grande amore per Lui, gli fanno
grandi promesse e che, per la fede e la speranza nella sua grazia,
intraprendono compiti superiori alle loro forze, Egli infonde la
volontà e il desiderio necessari; ed avendo elargito dapprima la
grazia di proporsi tali obiettivi, ha dato anche la forza per
riuscirvi. E quando l’uomo avrà fatto tutto ciò che è nelle sue
possibilità, nonostante il calunniatore e le sue calunnie, Egli con
la sua misericordia renderà giustizia al suo povero servo e ne
sosterrà la causa, perché quanto poteva fare, l’ha fatto.
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XIV°
settimana Tempo Ordinario - UR
Domenica
Cantate a Colui
che è
di San Cromazio
di Aquileia, nel IV sec.
Il
termine ebraico alleluia che echeggia continuamente nella chiesa, ci
invita a rendere lode a Dio e a confessare la vera fede. Alleluia,
dall’ebraico, si traduce: “Cantate a colui che è”, oppure : “Dio,
benedici tutti noi”, e ancora : “Lodate il Signore”. Tutti questi
elementi sono necessari per la nostra salvezza e per la nostra fede.
Dobbiamo cantare a colui che è perché un tempo sia noi che i nostri
antenati abbiamo cantato a coloro che non erano, cioè agli dèi
pagani e ai simulacri degli idoli. Allora ricantava invano perché
vane erano le cose che si adoravano. Dopo che siamo giunti alla fede
e alla conoscenza divina, abbiamo incominciato a cantare a colui che
è, cioè a Dio onnipotente, creatore del cielo e della terra. A buon
diritto dobbiamo cantare a lui, perché se siamo e se viviamo non è
per la nostra forza né per la nostra potenza, ma per la sua
benevolenza e per la sua misericordia. Dunque a questo Dio così
grande che è sempre stato e sempre è, dobbiamo cantare ciò che è
degno, ciò che conviene alla lode della sua maestà, perché è eterno,
onnipotente, immenso, creatore e salvatore del mondo, che ha tanto
amato gli uomini da mandare anche il Figlio suo per la salvezza del
mondo, come egli stesso dice nel vangelo : “Dio ha tanto amato il
mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui
non muoia, ma abbia la vita eterna.” (Gv 3, 16)
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XIV°
settimana Tempo Ordinario -
Vespri
Domenica
Il Cielo
nella fede
« Proclamo la tua lode »
Beata
Elisabetta della Trinità
Siamo
stati predestinati secondo il piano di colui che tutto opera
efficacemente conforme alla sua volontà, perché noi fossimo “a lode
della sua gloria” (Ef 1, 6.11.12). Parla così san Paolo, istruito da
Dio stesso. Come realizzare questo grande sogno del Cuore del nostro
Dio, questo suo volere immutabile sulle nostre anime? Come, in una
parola, rispondere alla nostra vocazione e diventare cioè perfette
“lodi della gloria” della santissima Trinità?
In
cielo, ogni anima è lode di gloria al Padre, al Verbo, allo Spirito
Santo, essendo ogni anima fissata nel puro amore, e non vivendo più
della propria vita, ma della vita di Dio. Allora lo conosce, dice
ancora San Paolo, come anch’essa è conosciuta da lui (1 Cor 13,12);
in altri termini, il suo intendimento è l’intendimento di Dio, la
sua volontà è la volontà di Dio, il suo amore è l’amore stesso di
Dio. In realtà, è lo Spirito di amore e di fortezza che trasforma
l’anima; infatti, essendole stato dato per sopperire alla sua
mancanza, come dice ancora san Paolo, opera in essa questa gloriosa
trasformazione (cfr Rm 8,26)...
Lode
di gloria, è un’anima che dimora in Dio, che lo ama di un amore puro
e disinteressato, senza cercarsi nella dolcezza di tale amore; è
un’anima che lo ama più di tutti i suoi doni, quand’anche non avesse
ricevuto nulla da lui... Una lode di gloria è un essere sempre in
azione di grazie. Ogni suo atto, ogni suo moto, ogni suo pensiero,
ogni sua aspirazione allo stesso tempo la radica più profondamente
nell’amore, ed è un’eco del Sanctus eterno.
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XIV°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Martedì
Mt 9, 32-38
Omelia del
3/5/1850,
in Omelie,
istruzioni e allocuzioni,
1885, t.II
« La messe è molta, ma gli operai
sono pochi »
Lacordaire nel
diciannovesimo secolo
È
forse stata rivolta a uomini poco numerosi e scelti questa parola :
« Andate ed ammaestrate » (Mt 28, 19) ? L’apostolato è forse
una particolarità nella Chiesa cattolica, oppure è una generalità ?
Cristo ha forse detto soltanto ai suoi discepoli « andate ed
ammaestrate » ? No, la Chiesa tutta intera è solidale con tutto ciò
che viene fatto nella Chiesa. C’è una comunione di tutto e in tutto
fra tutti i membri della famiglia di Cristo. Dire : « Questo è il
dovere di tali cristiani nella Chiesa e non è il mio dovere » è dire
una parola anticristiana. San Pietro, rivoltandosi ai primi fedeli,
diceva loro : « Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la
nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le
opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua
ammirabile luce » (1 Pt 2, 9). Eredi della luce dai nostri antenati,
siamo i dispensatori della luce ai nostri contemporanei e alla
nostra posterità.
Non
soltanto per voi il « sole di giustizia » (Mal 4, 2) è stato acceso
in voi ; ma affinché risplenda tutto attorno a voi. Nella natura, i
vostri occhi non hanno ricevuto la luce allo scopo di tenerla ; la
riflettono. Portano fuori il vostro animo e chiunque vuole
comunicare con voi vi guarda negli occhi per discernervi la luce che
vi si trova, che è il vostro spirito. Tutto quello che siete
risplende. Perciò, se le vostre facoltà naturali, e tutte le vostre
potenze risplendono, quanto più dovete risplendere nell’ordine
soprannaturale !
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XIV°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Martedì
Mt 9,
32-38
Sermons on Subjects of the Day, § 21
« Vedendo le folle ne sentì
compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza
pastore »
Cardinal John
Henry Newman nel diciannovesimo secolo
Guardatevi intorno, fratelli miei… ; perché tanti cambiamenti e
lotte, tanti partiti e sette, tante credenze ? Perché gli uomini
sono insodisfatti e inquieti. E perché sono inquieti, ognuno con il
proprio salmo, la propria dottrina, la propria lingua, la propria
rivelazione, la propria interpretazione ? Sono inquieti perché non
hanno trovato. Purtroppo ! è proprio così in questo paese, detto
cristiano : tanti uomini non hanno tratto quasi nulla dalla
religione, se non una sete per ciò che non possiedono, una sete cioè
della vera pace, insieme con la febbre e l’agitazione generate dalle
sete. Eppure tutto ciò non li ha ancora portato alla presenza di
Cristo che è « pienezza della gioia » (Gv 15,11) e « dolcezza
senza fine » (Sal 15,11)…
Triste spettacolo : il popolo di Cristo erra sui colli « come pecore
senza pastore ». Invece di cercarlo nei luoghi che egli ha sempre
frequentato e nella dimora che egli ha stabilita, si affaccenda con
espedienti umani, segue guide straniere e si lascia affascinare da
opinioni nuove, diventa il burattino del caso e dell’umore del
momento e la vittima della volontà propria. È pieno di ansietà, di
perplessità, di gelosia e di allarme, « sbalottato dalle onde e
portato qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno
degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre
nell’errore » (Ef 4,14). Tutto ciò perché non cercano questo
« unico Corpo, questo unico Spirito, questa unica Speranza della
loro vocazione, questo unico Signore, questa unica fede, questo
unico battesimo, questo unico Dio Padre di tutti » (Ef 4, 5-6) per
poter trovarvi « ristoro per le loro anime » (Mt 11,29).
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XIV°
settimana Tempo Ordinario - LODI
Mercoledì
Mt 10, 1-7
Prima Apologia, 39-42
« Strada facendo, predicate che il
regno dei cieli è vicino »
San Giustino
nel secondo secolo
Quando
lo Spirito profetico annuncia il futuro, ecco come parla: «Da Sion
uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà
giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le
loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà
più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più
nell’arte della guerra» (Is 2,3).
Queste
parole si sono realizzate in un modo molto convincente . Dodici
uomini sono andati via da Gerusalemme per percorrere la terra. Erano
uomini semplici e non sapevano parlare. Eppure, in virtù della
potenza divina, hanno annunciato a tutti gli uomini che erano stati
mandati da Cristo per insegnare a tutti la parola di Dio. E noi, che
un tempo non sapevamo far altro che ucciderci l’un l’altro, non
soltanto non combattiamo più i nostri nemici, ma, per non mentire,
né ingannare i nostri giudici, confessiamo Cristo con gioia e
moriamo martiri…
Ascoltate ciò che è stato detto riguardo a coloro che avrebbero
annunciato la sua venuta. Parla il re profeta Davide, ispirato dallo
Spirito profetico: «Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la
notte alla notte ne trasmette notizia. Non è linguaggio e non sono
parole, di cui non si oda il suono. Per tutta la terra si diffonde
la loro voce e ai confini del mondo la loro parola» (Sal 18, 2)
… In un’altra profezia, lo Spirito profetico annuncia allo stesso
Davide: «Da tutta la terra, cantate al Signore un canto nuovo,
annunciate di giorno in giorno la sua salvezza… dite tra i popoli il
Signore regna » ( Sal 95)
Davide
ha fatto questa profezia millecinquecento anni prima che Cristo
fatto uomo fosse crocifisso; ora prima di lui, nessuno è stato
crocifisso per la salvezza delle nazioni, e neanche dopo di lui.
Invece, nostro Gesù Cristo è stato crocifisso, è morto, è
risuscitato, è salito in cielo dove regna e questa buona notizia,
sparsa nel mondo intero dagli apostoli, è la gioia di coloro che
aspettano l’immortalità che egli ha promesso.
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XIV°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Mercoledì
Mt 10, 1-7
« Rivolgetevi piuttosto alle
pecore perdute della casa d’Israele »
Isacco della
Stella nel dodicesimo secolo
Cristo è venuto a cercare l’unica pecora che si era persa (Mt 18,
12). È per lei che il Buon Pastore è stato mandato nel tempo, lui,
che da sempre è stato promesso ; per lei è nato ed è stato inviato.
È unica, proveniente sia dei giudei che dalle nazioni, proveniente
da tutte le nazioni, unica nel mistero, molteplice nelle persone,
molteplice nel corpo, secondo la natura, unica nello Spirito secondo
la grazia, insomma, una sola pecora, e una folla senza numero.
Questo è il motivo per cui, Colui che è venuto a cercare l’unica
pecora, è stato mandato « alle pecore perdute della casa d’Israele »
(Mt 15, 24). Ora ciò che il pastore riconosce come suo « nessuno lo
rapirà dalla sua mano » (Gv 10, 28). Poiché non si può costringere
la potenza, ingannare la saggezza, distruggere la carità.
Perciò egli
parla con franchezza, dicendo : « Di coloro che mi hai dato, nessuno
è andato perduto » (Gv 17, 12). Ed è stato mandato come verità per
coloro che erano stati ingannati, come vita per coloro che erano
morti, come saggezza per coloro che erano insensati, come rimedio
per i malati, come riscatto per i prigionieri e come cibo per quelli
che morivano di fame. In tutti loro, si può dire che è stato mandato
« alle pecore perdute della casa d’Israele », affinché, non fossero
perdute per sempre.
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XIV°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Giovedì
Mt 10, 7-15
Commento sul
Diatèssaron
8,3-4 ; SC
121, 159
« Se quella casa ne sarà degna, la
vostra pace scenderà sopra di essa »
Sant’Efrem
Siro nel quarto secolo
« In
qualunque casa entriate, prima dite : Pace a questa casa » (Lc 10,5)
affinché il Signore stesso vi entri e vi soggiorni, come presso
Maria… Questo saluto è il mistero della fede che illumina il mondo ;
in esso, l’inimicizia viene spenta, la guerra fermata e gli uomini
si riconoscono a vicenda. L’effetto di questo saluto era nascosto da
un velo, nonostante la prefigurazione del mistero della
risurrezione… quando sorge la luce e l’aurora caccia la notte. A
partire da questo invio di Cristo, gli uomini hanno cominciato a
dare e a ricevere questo saluto, fonte di guarigione e di
benedizione…
Tale
saluto, con la sua potenza nascosta… basta ampiamente per tutti gli
uomini. Per questo il Nostro Signore l’ha mandato con i suoi
discepoli come annunciatori, affinché esso realizzasse la pace e,
portato dalla voce degli apostoli, suoi inviati, preparasse la via
davanti a loro. Esso era seminato in ogni casa… ; entrava in tutti
coloro che lo intendevano, per separare e mettere da parte i suoi
figli che esso riconosceva. In essi rimaneva, mentre denunziava
coloro che gli erano stranieri, poiché non lo accoglievano.
Questo saluto di pace non inaridiva, sgorgando dagli apostoli verso
i loro fratelli, svelando i tesori inesauribili del Signore…
Presente in coloro che lo davano e in coloro che lo accoglievano,
quest’annuncio di pace non ne subiva né diminuzione, né divisione.
Dal Padre, annunciava che egli è vicino a tutti e in tutti ; dalla
missione del Figlio, rivelava che egli è in persona presso tutti,
anche se la sua dimora è presso il Padre suo. Non smette di
proclamare che le figure sono ormai compiute e che la verità caccia
finalmente le ombre.
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XIV°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Giovedì
Mt 10, 7-15
Omelie
sui vangeli, 6
«
Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date »
San Gregorio
Magno nel sesto secolo
Potete anche voi, se lo volete, meritare quel bel nome di messaggero
di Dio. Infatti, se ognuno di voi, secondo le sue possibilità, nella
misura in cui ne ha ricevuto l’ispirazione dal cielo, distoglie il
suo prossimo dal male, si prende cura di portarlo al bene, richiama
allo smarrito il Regno o il castigo che lo aspettano nell’eternità,
è certamente un messaggero delle sante parole di Gesù. E nessuno
venga a dirmi: Sono incapace di ammaestrare gli altri, di esortarli.
Fate almeno il possibile, perché un giorno non vi sia domandato il
conto del talento ricevuto e disgraziatamente conservato. Infatti,
il servo della parabola non aveva neanche lui ricevuto più di un
talento, ed ha preferito nascondere in suo talento invece di farlo
fruttare (Mt 25,14)...
Trascinate gli altri con voi; siano i vostri compagni sulla strada
che conduce a Dio. Quando, andando sulle piazze, incontrate qualche
sfaccendato, invitatelo dunque ad accompagnarvi. Infatti le vostre
stesse azioni quotidiane servono a unirvi agli altri. Stavate
andando a Dio? Provate di non arrivarvi soli. Che colui che ha già
sentito nel suo cuore la chiamata dell’amore divino, ne tragga per
il suo prossimo una parola di incoraggiamento.
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XIV°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Venerdì
(Prologo 4-22; cap. 72, 1-12; CSEL 75, 2-5. 162-163)
Non antepongano a Cristo
assolutamente nulla
Dalla «Regola»
di san Benedetto nel sesto secolo
Prima
di ogni altra cosa devi chiedere a Dio con insistenti preghiere che
egli voglia condurre a termine le opere di bene da te incominciate,
perché non debba rattristarsi delle nostre cattive azioni dopo che
si è degnato di chiamarci ad essere suoi figli. In cambio dei suoi
doni, gli dobbiamo obbedienza continua. Se non faremo così, egli
come padre sdegnato, sarà costretto a diseredare un giorno i suoi
figli e, come Signore tremendo, irritato per le nostre colpe,
condannerà alla pena eterna quei malvagi che non l'hanno voluto
seguire alla gloria.
Destiamoci, dunque, una buona volta al richiamo della Scrittura che
dice: E' tempo ormai di levarci dal sonno (cfr. Rm 13, 11).
Apriamo gli occhi alla luce divina, ascoltiamo attentamente la voce
ammonitrice che Dio ci rivolge ogni giorno: «Oggi se udite la sua
voce non indurite i vostri cuori» (Sal 94, 8). E ancora: «Chi
ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese» (Ap 2, 7).
E che cosa
dice? Venite, figli, ascoltate, vi insegnerò il timore del Signore.
Camminate mentre avete la luce della vita, perché non vi sorprendono
le tenebre della morte (cfr. Gv 12, 35).
Il
Signore cerca nella moltitudine del popolo il suo operaio e dice:
C'è qualcuno che desidera la vita e brama trascorrere giorni felici?
(cfr. Sal 33, 13). Se tu all'udire queste parole rispondi: Io lo
voglio! Iddio ti dice: Se vuoi possedere la vera e perpetua vita,
preserva la lingua dal male e le tue labbra non pronunzino menzogna:
fuggi il male e fa` il bene: cerca la pace e seguila (cfr. Sal
33, 14-15). E se farete questo, i miei occhi saranno sopra di
voi e le mie orecchie saranno attente alle vostre preghiere: prima
ancora che mi invochiate dirò: Eccomi.
Che
cosa vi è di più dolce, carissimi fratelli, di questa voce del
Signore che ci invita? Ecco, poiché ci ama, ci mostra il cammino
della vita.
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XIV°
settimana Tempo Ordinario -VESPRI
Venerdì
Discorso ai
Giovanni, Norcia, Italia 23/3/80
L’esempio di San Benedetto : « Ora et labora
Giovanni Paolo II
I
tempi, in cui si inserisce la vicenda spirituale di san Benedetto,
erano densi di intime contraddizioni, di ambigue ed utopistiche
aspirazioni, di vani propositi di grandezza ; … Il santo di Norcia,
tuttavia, nutrito delle certezze della fede, riaffermò la forza di
un cristianesimo maestro di dignità morale, di libertà spirituale,
ed insieme artefice di civiltà.
La conquista
di spazi interiori, che offrano a Dio il giusto posto nello spirito
umano, tutto quell’impegno, insomma, che potremmo contraddistinguere
col primato dell’“ora”, del “prega”, non è assolutamente in
contrasto, ma anzi concede respiro e dona intuizione creativa alla
vera apertura verso la sfera sociale, verso il sofferto dovere
quotidiano, verso le vive forze del lavoro e della cultura, animando
così di fervido afflato, di spirito di servizio il grande e
travagliato mondo del “labora”.
Voi avete
avvertito l’urgente bisogno di incontrarvi con l’assoluto e quindi
avete scoperto l’importanza dell’interiorità, del silenzio, della
meditazione, per poter cogliere il senso definitivo e rappacificante
della propria esistenza. Avete assaporato la dolcezza della
preghiera e di quella sempre rinnovata e perseverante
riconciliazione di amicizia col Signore, stabilita nei cuori da un
atteggiamento esistenziale di umile ed operosa ubbidienza al Padre
celeste. Con san Benedetto, allora, vi rivolgerò il paterno invito:
“ascoltate, o figli, gli insegnamenti dei veri maestri, e rendete
attenti i vostri cuori nel silenzio orante… Mettetevi spesso di
fronte al Maestro interiore ….”
La carità e
l’amore si manifestano nella sollecitudine per il prossimo ed in un
aperto dialogo con i fratelli, rispettandone la dignità ed essendo
disponibili ad un’osmosi di reciproci contributi… Pieno di
delicatezza nel trattare i monaci, nell’accogliere i pellegrini, nel
curare i malati, il santo elenca tra gli strumenti per operare
rettamente: « soccorrere i poveri,...
visitare i malati,... aiutare chi è
colpito da sventura, consolare gli afflitti,... nulla anteporre
all’amore di Cristo » (Regola, IV).
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XIV°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Sabato
Commento sul
salmo 118, 20 ;
CSEL 62,
467s
(In l' Ora
dell'Ascolto p. 2639)
Riconoscere
Cristo davanti agli uomini
Sant’Ambrogio
nel quarto secolo
Ogni
giorno tu sei testimone di Cristo. Sei stato tentato dallo spirito
di impurità, ma... hai conservato la castità dell’anima e del corpo:
sei martire, cioè testimone, di Cristo... Sei stato tentato dallo
spirito di superbia, ma, vedendo il misero e il povero, ne hai
sentito profonda pietà e hai amato l’umiltà più che l’arroganza: sei
testimone di Cristo. E, quel che è più, hai reso testimonianza non
soltanto a parole, ma anche con le opere.
Quale
uomo infatti, è testimone più autorevole e credibile di chi attesta
“che Gesù Cristo è venuto nella carne” (1 Gv 4,2) proprio osservando
le norme del Vangelo?... Dio solo sa quanti soffrono quotidianamente
il martirio in segreto e confessano nel loro cuore il Signore Gesù
Cristo! L’Apostolo conobbe questo martirio e questa fedele
testimonianza a Cristo, egli che disse: “Questo infatti è il nostro
vanto e la testimonianza della coscienza” (2 Cor 1,12). Si verifica
anche il contrario. Quanti hanno confessato esternamente e negato
internamente! Perciò sii fedele e forte nelle persecuzioni interne,
per essere approvato anche in quelle che sono pubbliche. Anche nelle
persecuzioni interne ci sono re e prèsidi e giudici terribili per il
loro potere. Hai un esempio nella tentazione che ha subìto il
Signore (Mt 4,1).
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XIV°
settimana Tempo Ordinario -
PRIMI VESPRI Sabato
Il cristiano nella persecuzione e
nel tempo di pace
San Cipriano
nel terzo secolo
«Le
sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria
futura che dovrà essere rivelata in noi » (Rm 8, 18). Chi
dunque non si sforzerebbe in tutti i modi di raggiungere tanta
gloria da divenire amico di Dio, da entrare subito nel gaudio di
Cristo, in modo che, dopo i momenti e i supplizi della terra, possa
ricevere i premi del cielo? Per i soldati della terra è un titolo di
gloria ritornare in patria trionfanti, dopo che hanno vinto il
nemico. Ma non sarà, allora, molto più grande, molto Più stimabile,
la gloria di chi ritorna trionfante in paradiso, dopo aver vinto il
diavolo?
Nel
luogo da cui Adamo peccatore fu cacciato, là riporteremo trofei
vittoriosi, dopo aver gettato a terra colui che ci aveva dapprima
ingannati. Offriremo a Dio come dono graditissimo la nostra fede
incontaminata, la virtù della mente intatta, e la lode luminosa
della nostra devozione. Ci accompagneremo a lui quando verrà il
momento di ottenere la vendetta sui nemici. Staremo al suo fianco
quando si siederà per giudicare. Saremo fatti coeredi di Cristo e
reso uguali agli angeli. Avremo la gioia di possedere il regno
celeste insieme ai patriarchi, agli apostoli, ai profeti.
Un
cuore pieno di queste promesse diventa saldo; un animo certo di tale
premio, non potrà essere piegato da nessun terrore del diavolo e da
nessuna minaccia del mondo; l’animo, dico, corroborato dalla fede
certa e solida nella vita futura
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XV°
settimana Tempo Ordinario -
UR
Domenica
Allocuzione del
9/4/1975
« Pace a voi »
Papa Paolo VI
Fermiamo la
nostra attenzione sull’improvviso saluto, tre volte ripetuto nel
medesimo contesto evangelico, di Gesù risorto, apparso ai suoi
discepoli, raccolti e chiusi nel Cenacolo per paura dei Giudei ; il
saluto che doveva essere allora consueto, ma che nelle circostanze
in cui è pronunciato acquista una pienezza stupefacente ; lo
ricordate, è questo : « Pace a voi ! » Un saluto che era risuonato
nel canto angelico del Natale (Lc 2, 14) : « Pace in terra »
; un saluto biblico, già preannunciato come promessa effettiva del
regno messianico (Gv 14, 27), ma ora comunicato come una
realtà che è inaugurata da quel primo nucleo di Chiesa nascente : la
pace, la pace di Cristo vittorioso della morte e delle sue cause
vicine e lontane, dei suoi effetti tremendi ed ignoti.
Gesù risorto
annuncia, anzi infonde la pace agli animi smarriti dei suoi
discepoli. È la pace del Signore nel suo primo significato, quello
personale, quello interiore, quello che S. Paolo iscrive nella lista
dei frutti dello Spirito, dopo la carità e il gaudio, quasi confuso
con essi (Ga 5, 22). Che cosa v’è di meglio per un uomo
cosciente ed onesto ? La pace della coscienza non è il migliore
conforto che noi possiamo trovare in noi stessi? …
La pace della coscienza è la prima autentica felicità. Essa aiuta ad
essere forti nelle avversità ; essa conserva la nobiltà e la libertà
della persona umana nelle condizioni peggiori, in cui essa si può
trovare ; la pace della coscienza per di più rimane la fune di
salvataggio, cioè la speranza, … quando la disperazione dovrebbe
avere il sopravvento nel giudizio di sé. … È il primo dono fatto da
Cristo risorto ai suoi, cioè il sacramento del perdono, un perdono
che risuscita.
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XV°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Domenica
Discorso su
Lazzaro § 2
« Chi ha orecchi intenda ! »
San Giovanni
Crisostomo nel quarto secolo
Un
seminatore andò a seminare, e una parte del seme cadde sulla strada,
un’altra in un luogo sassoso, un’altra sulle spine, e un’altra sulla
terra buona. Tre parti furono perse, una sola diede frutto. Eppure
il seminatore non cessò di coltivare il suo campo ; per lui è
sufficiente che una parte sia conservata per non sospendere i
lavori. In questo momento, è impossibile che il seme che sto
lanciando in mezzo a un uditorio così numeroso non germogli. Se non
tutti mi ascoltano, un terzo ascolterà. Se non un terzo, almeno un
decimo ; se neanche un decimo ascolta, purché ascolti un solo membro
di questa assemblea, io non cesserò di parlare.
Non è
poca cosa la salvezza, anche di una sola pecora. Il Buon Pastore
lasciò le novantanove per correre dietro a quella perduta (Lc 15,
4). Io non posso disprezzare nessuno. Anche se ce n’è uno solo,
questi è comunque un uomo, una persona tanto cara agli occhi di Dio.
Fosse anche uno schiavo, non lo disdegnerei ; infatti non cerco la
condizione sociale, bensì il valore personale, non il potere o la
schiavitù, ma un uomo. Anche se ce n’è uno solo, questi è comunque
l’uomo, per il quale il sole, l’aria, le fonti e il mare sono stati
creati, i profeti sono stati mandati, la Legge è stata data. È
comunque per questa persona che il Figlio unico di Dio si è fatto
uomo. Il mio Maestro è stato immolato, il suo sangue è stato versato
per l’uomo, e io oserei disprezzare qualcuno ?
No,
non cesserò di seminare la parola, anche se nessuno mi ascoltasse.
Sono medico, propongo i miei rimedi. Devo insegnare, mi è stato
ordinato di ammaestrare ; infatti sta scritto : « Ti ho posto come
sentinella alla casa d’Israele » (Ez 3, 17).
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XV°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Martedì
Mt 11,
20-24
A Simple Path,
69
Chiamati a scegliere di amare e di essere amati
Beata
Teresa di Calcutta nel ventesimo secolo
Tutti
siamo capaci di fare il bene come di fare il male. Non siamo nati
cattivi : ognuno ha in sè qualcosa di buono ; alcuni lo nascondono,
altri lo trascurano ; ma la bontà c’è. Dio ci ha creati per amare ed
essere amati ; perciò scegliere una via o l’altra è una specie di
test mandato da Dio. Trascurare di amare può portarci a dire di sì
al male e allora non ci accorgiamo fin dove questo può condurci… Per
fortuna, abbiamo il potere di superare tutto con la preghiera.
Se ci
volgeremo verso Dio, diffonderemo la gioia e l’amore su tutti coloro
che ci circondano. Invece, se il male si impadronisce di noi,
diffonderemo il male attorno a noi. Se siamo accanto a qualcuno che
sta sulla via del male, facciamo tutto per aiutarlo e per mostrargli
che Dio si prende ancora cura di lui. Preghiamo forte affinché
riscopra la preghiera, riveda Dio dentro di sè e lo ritrovi negli
altri… Tutti siamo stati creati dalla stessa mano amorevole. L’amore
di Cristo è sempre più forte del male nel mondo. Abbiamo quindi
bisogno di amare e di essere amati. Questo è semplicissimo, e non
dovrebbe necessitare una tale battaglia.
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XV°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Martedì
Mt 11,
20-24
Exposizioni
sui 7 salmi penitenziali ;
PL 79, 581s
«
Gesù si mise a rimproverare le
città... che non si erano convertite
»
San Gregorio
Magno nel sesto secolo
Gridiamo con Davide; ascoltiamolo piangere e versiamo lacrime
insieme con lui. Vediamo come egli si rialza e rallegriamoci con
lui: “Pietà di me, o Dio, nella tua grande bontà” (Sal 50,3).
Poniamo davanti agli occhi della nostra anima un uomo gravemente
ferito, in procinto di esalare l’ultimo respiro, che giace nudo
nella polvere. Desiderando che giunga il medico, geme e prega di
aver pietà colui che capisce il suo stato. Ora il peccato è una
ferita dell’anima. Tu che sei questo ferito, impara che dentro di te
sta il tuo medico e svela per lui le piaghe dei tuoi peccati. Che
senta il gemito del tuo cuore, lui che conosce ogni pensiero
segreto. Che le tue lacrime lo scuotano, e se bisogna cercarlo con
insistenza, dal fondo del tuo cuore fa salire verso di lui profondi
sospiri. Il tuo dolore salga a lui e ti sia detto, come a Davide:
“Il Signore ha cancellato il tuo peccato” (2 Sam 12,13).
“Pietà di me, o Dio, nella tua grande bontà”. Coloro che sminuiscono
le loro colpe perché non conoscono questa grande bontà, attirano
verso di loro poco bontà. Quanto a me, sono caduto pesantemente, ho
peccato con cognizione di causa. Ma tu, medico Onnipotente, correggi
coloro che ti disprezzano, istruisci coloro che ignorano la loro
colpa, e perdoni a coloro che te la confessano.
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XV°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Mercoledì
Mt 11,25-27
Discorso 34
sull’Antico Testamento,
1,6 : CCL 41,
423-426.
(Nuova
Biblioteca Agostiniana)
« Padre, ... ti rendo lode »
Sant’Agostino
nel quinto secolo
Siamo stati esortati a cantare al Signore un cantico nuovo
(Sal 149,1). L'uomo nuovo conosce il cantico nuovo. Il cantico è un
fatto d'allegrezza e, se consideriamo la cosa con maggior diligenza,
è un fatto d'amore, sicché chi sa amare la vita nuova sa cantare il
cantico nuovo. Occorre quindi che ci si precisi quale sia la nuova
vita a motivo del cantico nuovo. Rientrano infatti nell'unico regno
tutte queste cose: l'uomo nuovo, il cantico nuovo, il testamento
nuovo, per cui l'uomo nuovo e canta il cantico nuovo e appartiene al
Testamento nuovo.
Eccomi - dici - io sto cantando. Stai cantando, è vero, stai
cantando : lo ascolto. Ma che la tua vita non proferisca
testimonianza contrastante con la tua lingua. Cantate con le voci,
cantate con i cuori; cantate con le labbra, cantate con i costumi.
« Cantate al Signore un cantico nuovo ». Volete sapere cosa occorra
cantare di colui che amate? Vuoi conoscere le sue lodi per cantarle.
« La sua lode nella Chiesa dei santi » (Sal 149,1). La lode da
cantare è lo stesso cantore. Volete innalzare lodi a Dio? Siate voi
la lode che volete proferire; e sarete sua lode se vivrete bene.
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XV°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Mercoledì
Mt 11,
25-27
Trattato sulla
Trinità 2, 6-7
« Nessuno conosce
il Padre se non il Figlio e colui al quale il figlio lo voglia
rivelare »
Sant’Ilario
di Poitiers nel quarto secolo
Dal
Padre viene tutto quanto esiste. Lui in persona, in Cristo e per
Cristo, è all’origine di tutto. Del resto, è in se stesso il suo
essere, e non riceve da nessuno quello che è… È infinito perché non
sta in qualche luogo, ma tutto è in lui… È prima del tempo, il tempo
viene da lui. Il tuo pensiero corra dietro a lui, se credi di
giungere ai limiti del suo essere, sempre lo ritroverai, perché
mentre avanzi senza sosta verso di lui, la meta verso la quale ti
dirigi si allontana sempre di più… Tale è la verità del mistero di
Dio, tale è l’espressione della natura impenetrabile del Padre… Per
esprimerla, la parola può soltanto tacere, per scrutarlo, il
pensiero rimane inerte, e per afferrarlo, l’intelligenza si sente
allo stretto.
Eppure, questo
nome di Padre indica la sua natura : egli è in tutto Padre. Infatti
non riceve da nessuno, come gli uomini, il fatto di essere Padre.
Egli è l’Eterno non generato… È conosciuto soltanto dal Figlio
poiché : « Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al
quale il Figlio lo voglia rivelare », e « Nessuno conosce il Figlio
se non il Padre ». Tutti e due si conoscono l’un l’altro e questa
conoscenza mutua è perfetta. Perciò, poiché : « Nessuno conosce il
Padre se non il Figlio », riteniamo dal Padre il solo pensiero
conforme a quello che è stato rivelato a noi dal Figlio, l’unico
« testimone fedele » (Ap 1, 5).
È meglio
pensare a quanto riguarda il Padre che parlarne. Infatti ogni parola
è incapace di tradurre le sue perfezioni… Possiamo soltanto
riconoscere la sua gloria, avere di essa una certa idea, e provare
di precisarla con l’immaginazione. Ma il linguaggio degli uomini
prova la sua impotenza e le parole non spiegano la realtà così come
è… Perciò, per quanto riconosciamo Dio, dobbiamo rinunciare a
chiamarlo : qualsiasi siano le parole usate, non potranno esprimere
Dio così come egli è, né tradurre la sua grandezza… Dobbiamo credere
in lui, provare di comprenderlo e adorarlo ; facendo questo,
parleremo di lui.
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XV°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Giovedì
Mt 11,28-30
« Venite a me, voi tutti che siete
affaticati »
Filosseno di
Mabbug nel quinto secolo
Venite a me, e
io vi ristorerò… Avete assaggiato la via del mondo ; assaggiate ora
la mia, e se non vi piace, la fuggirete ; avete portato i fardelli
pesanti del mondo, e avete sentito quanto sono pesanti : lasciatevi
persuadere e prendete il mio giogo sopra di voi ; imparerete con
l’esperienza quanto esso sia dolce e leggero. Non farò di voi dei
ricchi come quelli che hanno bisogno di tante cose, ma dei veri
ricchi che non hanno bisogno di nulla ; perché il ricco non è colui
che possiede molto, ma colui a cui non manca nulla. Con me, se
rinuncerete a tutto, sarete ricchi… Invece se cercherete di saziare
le vostre cupidigie, esse vi affameranno. La fame vien mangiando :
quanto più il ricco si arricchisce, tanto più è povero ; quanto più
il denaro si accumula, tanto più vuole accumularsi ; quanto più si
acquista, tanto più si vuole acquistare…
Venite a me, voi tutti che siete affaticati dalla ricchezza, e
riposatevi nella povertà ; venite, padroni di beni e di averi e
provate il piacere della rinuncia. Venite, amici del mondo che passa
e provate il gusto del mondo eterno. Avete sperimentato il vostro
mondo : venite a sperimentare il mio. Avete provato la vostra
ricchezza, venite a provare la mia povertà. La vostra ricchezza è
una ricchezza, la mia povertà è la ricchezza. Non è grande cosa che
la ricchezza sia chiamata una ricchezza. Invece è ammirabile e
grande che la povertà sia la ricchezza, e l’umiltà, la grandezza.
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XV°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Giovedì
Mt 11,
28-30
Specchio
della carità, I, 30-31
«
Il mio giogo è dolce
»
Elredo
di Rievaulx nel dodicesimo secolo
Coloro che si lamentano della durezza del giogo del Signore, forse
non hanno rigettato completamente il giogo pesantissimo della
cupidigia del mondo o, se l’hanno rigettato, si sono di nuovo
assoggettati ad esso, a loro massima vergogna. Fuori, portano il
giogo del Signore, ma dentro sottomettono le loro spalle al fardello
delle preoccupazioni del mondo. Attribuiscono alla pesantezza del
giogo del Signore le pene e le fatiche che loro stessi si
infliggono... Quanto al giogo del Signore, “è dolce e il suo carico
leggero”.
Infatti cos’è più dolce, cos’è più glorioso del vedersi elevato al
di sopra del mondo per il disprezzo che abbiamo di esso e, collocato
all’apice grazie alla pace della coscienza, avere il mondo intero ai
piedi? Non vediamo allora più nulla da desiderare, nulla da temere,
nulla da invidiare, nulla che potrebbe esserci tolto, nessun male
che potrebbe esserci arrecato dagli altri. Lo sguardo del cuore si
rivolge verso “l’eredità che non si corrompe, non si macchia e non
marcisce, conservata nei cieli per noi” (1 Pt 1,4). Con questo
genere di elevazione di animo, si tengono in poco conto le
ricchezze del mondo: passano; i piaceri della carne: si macchiano; i
fasti del mondo: marciscono; e nella gioia si riprende questa parola
del profeta: “Ogni uomo è come l’erba e tutta la sua gloria è come
un fiore del campo. Secca l’erba, il fiore appassisce ma la Parola
del nostro Dio dura sempre” (Is 40,6-8)... Nella carità, e solo
nella carità, risiedono la vera tranquillità, la vera mitezza,
poiché la carità è il giogo del Signore.
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XV°
settimana Tempo Ordinario - LODI
Venerdì
Mt 12, 1-8
Discorsi sul libro dei Numeri,
23 ; SC
29, 444
« Il Figlio
dell’uomo è signore del Sabato »
Origene nel
terzo secolo
Non
vediamo che le parole della Genesi : « Dio cessò nel settimo giorno
da ogni suo lavoro » (2,2), si siano realizzate in quel settimo
giorno della creazione, neppure che si realizzino oggi. Vediamo
infatti sempre Dio al lavoro. Non c’è sabato in cui Dio cessi di
lavorare, né giorno in cui non faccia « sorgere il suo sole sopra i
malvagi e sopra i buoni, e piovere sopra i giusti e sopra gli
ingiusti » (Mt 5,45), in cui non faccia « germogliare l’erba sui
monti » (Sal 146,8)…, in cui non faccia « morire e vivere » (1 Sam
2,6).
Perciò il Signore risponde a coloro che lo accusavano di lavorare e
di guarire il giorno di sabato : « Il Padre mio opera sempre e
anch’io opero » (Gv 5,17). Mostrava così che, durante il tempo di
questo mondo, non c’è sabato in cui Dio cessi di vegliare sulla
marcia del mondo e sui destini del genere umano… Nella sua sapienza
creatrice, egli non cessa di esercitare sulle sue creature la sua
provvidenza e benevolenza, « fino alla fine del mondo » (Mt 28,20).
Quindi il vero sabato in cui Dio cesserà da ogni suo lavoro sarà il
mondo futuro, quando « fuggiranno tristezza e pianto » (Is 35,10), e
Dio sarà « tutto in tutti » (Col 3,11).
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XV°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Venerdì
Mt 12, 1-8
Le
Confessioni, Libro 13, cap. 35-38
(Nuova
Biblioteca Agostiniana)
« Il Figlio
dell’uomo è signore del Sabato »
Sant’Agostino
nel quinto secolo
Signore Dio, poiché tutto ci hai fornito, donaci la pace (Is 26,12),
la pace del riposo, la pace del sabato, la pace senza tramonto.
Tutta questa stupenda armonia di cose ‘molto buone’ (Gen 1,31), una
volta colmata la sua misura, è destinata a passare. Esse ebbero un
mattino, e una sera. Ma il settimo giorno è senza tramonto e non ha
occaso. L'hai santificato per farlo durare eternamente. Il riposo
che prendesti al settimo giorno, dopo compiute le tue opere buone
assai pur rimanendo in riposo, è una predizione che ci fa l'oracolo
del tuo Libro: noi pure, dopo compiute le nostre opere, buone assai
per tua generosità (Is 26,12), nel sabato della vita eterna
riposeremo in te. Anche allora sarai tu a riposare in noi, come ora
sei tu a operare in noi. Sarà, quello, un riposo tuo per mezzo
nostro, come sono, queste, opere tue per mezzo nostro.
Tu però,
Signore, operi sempre e riposi sempre... Noi ora siamo spinti a fare
il bene, dopo che il nostro cuore ne ebbe il concetto dal tuo
spirito, mentre prima eravamo spinti a fare il male abbandonandoti;
ma tu, Dio unico buono, mai cessasti di fare il bene. Possono alcune
opere nostre essere buone, certamente per tuo dono, ma non eterne;
eppure dopo di esse speriamo di riposare nella tua grandiosa
santità. Tu però, Bene mancante di nessun bene, riposi eternamente,
poiché tu stesso sei il tuo riposo.
La
comprensione di questa verità quale uomo potrà darla a un uomo?
quale angelo a un angelo? quale angelo a un uomo? Chiediamo a te,
cerchiamo in te, bussiamo da te. Cosi, così otterremo, così
troveremo, così ci sarà aperto (Mt 7,8).
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XV°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Sabato
Mt 12,
14-21
Contro
Marcione,
III, 2, 27 ;
PL II, 316-317
«
Ecco il mio servo... Non contenderà, né griderà »
Tertulliano
nel secondo secolo
Dio
non poteva vivere con gli uomini, senza assumere un modo umano di
pensare e di agire. Per questo ha velato sotto l’umiltà lo splendore
della sua maestà, che la debolezza umana non avrebbe potuto
sopportare. Questa non era degna di lui, ma era necessaria all’uomo,
e di conseguenza diveniva degna di Dio. Nulla infatti è tanto degno
di Dio quanto la salvezza dell’uomo...
Quanto viene perso da Dio, viene guadagnato dall’uomo. Cosicché
tutti gli abbassamenti che il mio Dio ha sopportato per essere
vicino a noi sono il sacramento della salvezza degli uomini. Dio
agiva con gli uomini, perché loro imparassero ad agire in modo
divino. Dio trattava l’uomo da pari a pari, perché l’uomo potesse
agire da pari a pari con Dio. Dio si è fatto piccolo perché l’uomo
diventasse grande.
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XV°
settimana Tempo Ordinario -
PRIMI VESPRI Sabato
Lo Spirito
intercede per noi
Sant’Agostino
nel quinto secolo
Vi
sono tante cose che noi rigettiamo, rifiutiamo, disprezziamo, quando
la loro immagine si affaccia alla nostra mente. Sappiamo che non è
ciò che cerchiamo, quantunque non sappiamo ancora come sia in realtà
l’oggetto dei nostri desideri.
Vi è
dunque in noi, per così dire, una dotta ignoranza, ma istruita dallo
Spirito di Dio, che aiuta la nostra debolezza. Avendo infatti detto
l’Apostolo: «Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo
con perseveranza», subito aggiunge: «Allo stesso modo anche lo
Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno
sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso
intercede con insistenza per noi con gemiti inesprimibili; e colui
che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, perché
egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio» (Rm 8,
25-27).
Non
dobbiamo intendere però questo nel senso che lo Spirito Santo di
Dio, il quale nella Trinità è Dio immortale e un solo Dio con il
Padre e il Figlio, interceda per i santi, come uno che non sia
quello che è, cioè Dio. In realtà è detto: «Intercede per i santi»,
perché muove i santi alla preghiera. Allo stesso modo è scritto: «Il
Signore vostro Dio vi mette alla prova per sapere se lo amate» (Dt
13, 4), cioè per far conoscere a voi stessi se lo amate.
Lo
Spirito di Dio dunque muove i santi a pregare con gemiti
inesprimibili, ispirando loro il desiderio di una cosa tanto grande,
ma ancora sconosciuta, che noi aspettiamo mediante la speranza.
Altrimenti come si potrebbe descrivere nella preghiera u bene che si
desidera senza conoscerlo? In realtà se fosse del tutto sconosciuto
non sarebbe oggetto di desiderio, e se d’altra parte lo si vedesse,
come realtà già posseduta, non sarebbe né desiderato, né ricercato
con gemiti.
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XVI°
settimana Tempo Ordinario - UR
Domenica
“Cantate a Colui che è”
San Cromazio di
Aquileia nel quarto secolo
Il termine
ebraico alleluia che echeggia continuamente nella chiesa, ci invita
a rendere lode a Dio e a confessare la vera fedi. Alleluia,
dall’ebraico, si traduce: «Cantate a colui che è», oppure: «Dio,
benedici tutti noi», e ancora: «Lodate il Signore». Tutti questi
elementi sono necessari per la nostra salvezza e per la nostra fede.
Dobbiamo
cantare a colui che è, perché un tempo sia noi che i nostri antenati
abbiamo cantato a coloro che non erano, cioè agli dèi pagani e ai
simulacri degli idoli. Allora si cantava invano perché vane erano le
cose che si adoravano. Dopo che siamo giunti alla fede e alla
conoscenza divina, abbiamo incominciato a cantare a colui che è,
cioè a Dio onnipotente, creatore del cielo e della terra.
A buon diritto
dobbiamo cantare a lui, perché se siamo e se viviamo non è per la
nostra forza né per la nostra potenza, ma per la sua benevolenza e
per la sua misericordia. Dunque a questo Dio così grande che è
sempre stato e sempre è, dobbiamo cantare ciò che è degno, ciò che
conviene alla lode della sua maestà, perché è eterno, onnipotente,
immenso, creatore e salvatore del mondo, come egli stesso dice nel
vangelo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio
unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita
eterna» (Gv 3, 16)
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XVI°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Domenica
Mt 13,24-43
Omelie sul
Vangelo
di San Matteo,
46, 1-2
La parabola della zizzania
San Giovanni
Crisostomo nel quarto secolo
Il
metodo del diavolo è quello di mescolare sempre alla verità,
l’errore rivestito delle apparenze e dei colori della verità, per
poter sedurre facilmente coloro che si lasciano ingannare. Ecco
perché Nostro Signore parla soltanto della zizzania, poiché questa
pianta assomiglia al grano. Poi, indica come costui ci sappia fare a
ingannare : « Mentre tutti dormivano ». Qui, si vede il grave
pericolo che corrono i capi, soprattutto coloro ai quali è stata
affidata la guardia del campo. Questo pericolo del resto, non
minaccia soltanto i capi, ma anche i loro subordinati. Ci mostra
pure che l’errore viene dopo la verità…
Cristo ci dice tutto ciò per insegnarci a non addormentarci…, ne
consegue la necessità di una guardia vigilante. Perciò diceva :
« Chi persevererà sino alla fine sarà salvato » (Mt 10, 22)… Ora
considera lo zelo dei servi. Vogliono sradicare la zizzania
immediatamente. Anche se manca loro la riflessione, questo prova la
loro sollecitudine per il seme. Cercano una cosa sola, non trarre
vendetta da costui che ha seminato la zizzania, ma salvare la messe.
Ecco perché cercano come scacciare totalmente il male… Cosa risponde
allora il Padrone ? … Glielo impedisce per due motivi : il primo, il
timore di nuocere al grano ; il secondo, la certezza che un castigo
inevitabile si abbatterà su quelli che sono colpiti da questa
malattia mortale. Se vogliamo la loro punizione senza che ne soffra
la messe, aspettiamo il momento opportuno…Forse, una parte di quella
zizzania si muterà in grano ? Se quindi la sradicate ora, nuocerete
alla messe prossima, sradicando quelli che potranno cambiare a
diventare migliori.
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XVI°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Martedì
LIBRO DI VITA
di GERUSALEMME
capitolo”
Castità” - § 86
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XVI°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Martedì
Mt 12,
46-50
Colloqui
spirituali
« Chiunque fa la volontà del Padre
mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre »
di Maestro Eckhart
nel quattordicesimo secolo
Tanti
dicono : « Siamo di buona volontà ». Ma non sono della volontà di
Dio ; vogliono essere della loro volontà propria ; vogliono
avvertire il Signore che occorre agire in tale modo o tal altro… In
ogni cosa, questo è il disegno di Dio, che rinunciamo alla nostra
volontà. San Paolo conversava spesso con il Signore e il Signore con
lui, eppure tutto ciò non era servito a nulla finché non fosse
riuscito a dirgli : « Che devo fare, Signore ? »
(At 22,10).
Il Signore infatti sapeva
benissimo quello che era necessario che facesse con Paolo.
Fu lo
stesso quando l’angelo apparve alla Vergine Maria. Quanto avevano
detto l’uno e l’altra non avrebbe mai potuto fare di lei la Madre di
Dio. Invece non appena lei aveva rinunciato alla volontà propria, è
divenuta subito la vera Madre del Verbo eterno. Immediatamente ha
concepito Dio, che è divenuto suo figlio secondo la natura.
Nulla
nel mondo può fare di noi degli uomini veri, come il fatto di
rinunciare alla volontà propria davanti a Dio… Se riusciremo ad
abbandonare la volontà propria, se per amore di Dio oseremo lasciare
ogni cosa dentro di noi, come pure al di fuori di noi, allora
realizzeremo il nostro essere intimo. Devi dunque abbandonare te
stesso completamente a Dio, con tutto quello che sei, e non
preoccuparti più di ciò che egli farà con ciò che è suo… Quanto più
avanzeremo su questa via, tanto più saremo veramente in Dio.
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XVI°
settimana Tempo Ordinario -
LODI - mercoledì
Libro di Vita
di Gerusalemme
Capitolo
"PREGHIERA" - § 21
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XVI°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI mercoledì
Mt 13, 1-9
MercoledìDiscorso su Lazzaro § 2
« Chi ha orecchi intenda ! »
San Giovanni
Crisostomo nel quarto secolo
Un
seminatore andò a seminare, e una parte del seme cadde sulla strada,
un’altra in un luogo sassoso, un’altra sulle spine, e un’altra sulla
terra buona. Tre parti furono perse, una sola diede frutto. Eppure
il seminatore non cessò di coltivare il suo campo ; per lui è
sufficiente che una parte sia conservata per non sospendere i
lavori. In questo momento, è impossibile che il seme che sto
lanciando in mezzo a un uditorio così numeroso non germogli. Se non
tutti mi ascoltano, un terzo ascolterà. Se non un terzo, almeno un
decimo ; se neanche un decimo ascolta, purché ascolti un solo membro
di questa assemblea, io non cesserò di parlare.
Non è poca cosa la salvezza, anche di una sola pecora. Il
Buon Pastore lasciò le novantanove per correre dietro a quella
perduta (Lc 15, 4). Io non posso disprezzare nessuno. Anche se ce
n’è uno solo, questi è comunque un uomo, una persona tanto cara agli
occhi di Dio. Fosse anche uno schiavo, non lo disdegnerei ; infatti
non cerco la condizione sociale, bensì il valore personale, non il
potere o la schiavitù, ma un uomo. Anche se ce n’è uno solo, questi
è comunque l’uomo, per il quale il sole, l’aria, le fonti e il mare
sono stati creati, i profeti sono stati mandati, la Legge è stata
data. È comunque per questa persona che il Figlio unico di Dio si è
fatto uomo. Il mio Maestro è stato immolato, il suo sangue è stato
versato per l’uomo, e io oserei disprezzare qualcuno ?
No, non cesserò di seminare la parola, anche se nessuno mi
ascoltasse. Sono medico, propongo i miei rimedi. Devo insegnare, mi
è stato ordinato di ammaestrare ; infatti sta scritto : « Ti ho
posto come sentinella alla casa d’Israele » (Ez 3, 17).
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XVI°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Giovedì
Mt 13,10-17
Commento sul
salmo 118,
discorso 20, 1
: CCL 40, 1730-1731.
(Nuova
Biblioteca Agostiniana)
« Molti profeti e giusti
hanno desiderato vedere ciò che vedete »
Sant’Agostino nel
quinto secolo
Nei tempi
della Chiesa decorsi prima che la Vergine partorisse ci furono santi
che desiderarono la venuta del Cristo incarnato, mentre nei nostri
tempi, a cominciare dalla sua Ascensione al cielo, ci sono santi che
desiderano la sua manifestazione in cui verrà a giudicare i vivi e i
morti. Questo desiderio della Chiesa, dagli inizi del mondo sino
alla fine, è senza interruzione, se si voglia escludere il periodo
che il Signore incarnato trascorse con i discepoli. Per cui molto a
proposito si applica all'intero corpo di Cristo, gemente in questa
vita, la voce: « La mia anima è calata verso la tua salute, e io ho
sperato nella tua parola. » (Sal 118, 81) Ho sperato cioè
nella tua promessa, ed è questa speranza che fa aspettare con
pazienza quel che, finché dura il tempo della fede, è impossibile
vedere.
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XVI°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Giovedì
Mt 13,
10-17
Trattato sui
misteri,
Prefazio ;
SC 19, 72
« A voi è dato di conoscere i
misteri del regno dei cieli »
Sant’Ilario di
Poitiers nel quarto secolo
Tutta
l'opera contenuta nei santi libri annuncia con le parole, rivela con
i fatti, stabilisce con gli esempi, la venuta di Gesù Cristo nostro
Signore che, inviato da suo Padre, si è fatto uomo nascendo da una
vergine per l’intervento dello Spirito Santo. Infatti, durante tutta
la durata della creazione, mediante prefigurazioni vere e manifeste,
egli, nei patriarchi, genera, lava, santifica, sceglie, separa e
riscatta la Chiesa: attraverso il sonno di Adamo, attraverso il
diluvio di Noè, attraverso la giustificazione di Abramo, attraverso
la nascita di Isacco, attraverso la schiavitù di Giacobbe. Durante
tutto lo svolgersi del tempo, in una parola, l'insieme delle
profezie, lo attuazione del piano segreto di Dio, ci sono state date
per benevolenza affinché conoscessimo la sua incarnazione che stava
per realizzarsi...
In ogni
personaggio, in ogni epoca, in ogni fatto, l'insieme delle profezie
proietta, come in uno specchio, l'immagine della sua venuta, della
sua predicazione, della sua Passione, della sua risurrezione e del
nostro raduno nella Chiesa... A cominciare da Adamo, punto di
partenza della nostra conoscenza del genere umano, troviamo
annunciato fin dall'origine del mondo, in molte prefigurazioni,
tutto ciò che, nel Signore, ha ricevuto il suo pieno compimento.
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XVI°
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LODI venerdì
Discorsi, n°
7, 1 ; SC 175, 338
Accogliere
la parola nella terra buona
di San Cesario
di Arles nel sesto secolo
Cristo vi aiuti, fratelli carissimi, ad accogliere sempre
la lettura della parola di Dio con un cuore bramoso ed assetato;
allora la vostra obbedienza fedelissima vi colmerà di gioia
spirituale. Ma se volete che le sante Scritture abbiano per voi
questa dolcezza, e che i precetti divini vi giovino quanto occorre,
sottraetevi per alcune ore dalle vostre preoccupazioni materiali.
Rileggete nelle vostre case le parole di Dio, dedicatevi interamente
alla sua misericordia. Così riuscirete a realizzare in voi ciò che
sta scritto dell’uomo beato: “La legge del Signore medita giorno e
notte” (Sal 1,2)
e ancora: “Beato chi è fedele ai suoi insegnamenti e lo cerca con
tutto il cuore” (Sal 118,2).
I
commercianti non cercano di ricavare interessi da una sola merce
bensì da diverse merci. I coltivatori cercano una resa migliore
seminando varie specie di semi. Voi che cercate benefici spirituali,
non accontentatevi di ascoltare i testi sacri in chiesa. Leggete i
testi sacri in casa; quando i giorni sono brevi, approfittate delle
lunghe serate. Così potrete ammassare del frumento spirituale nel
granaio del vostro cuore e raccogliere nel tesoro delle vostre anime
le perle preziose delle Scritture.
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XVI°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Venerdì
Dagli scritti
IL FESTINO DELLA PAROLA CELESTE
Di S. Pier
Damiani nell'undicesimo secolo
Leggi con Gesù,
con lui canta continuamente, prosternati a terra con lui per la
preghiera. Che sia tuo amico, tuo familiare. Che sia tutta la tua
parola, tutta la tua gioia, la tua saggezza, la tua vita.
Respira il
Cristo, dì incessantemente il Cristo, medita la vita di Cristo. Che
il vostro cuore sia costantemente occupato dalla lettura dei sacri
testi. Abitateli, fatene la vostra dimora, perseverate con tenacia,
una tenacia sempre all'erta.
Al vostro
cammino bastano i campi della Parola. Avanziamo senza fermarci mai,
passeggiamo con diletto. Ci è permesso correre in tutta libertà
attraverso gli spazi delle storie sacre. Grazie alle intuizioni
dell'intelligenza mistica ci sarà possibile accedere in qualche modo
fin sulle cime dei monti scoscesi. Là, dilettandoci della dolce
compagnia degli amici fedeli, conosceremo la magnificenza dei
festini, l'eterno banchetto delle vivande celesti. L'anima fedele,
innalzata dal desiderio, nutrita dall'alimento della lettura
assidua, non cessa di fortificarsi, di crescere.
Carissimo,
questa manna, questo pane di vita, sfarinalo dolcemente nel mortaio
della meditazione, riscaldalo continuamente al forno di un amore
fervente per potere così nutrire la sostanza stessa della tua anima
come di un alimento celeste. Questo intimo festino addolcirà il
palato del tuo cuore, provocando il tuo spirito al desiderio del
banchetto eterno.
Andiamo,
qualsiasi sia la tua miseria, converti il tuo cuore, tana di
rimorsi, in una dimora silenziosa dove, con una meditazione molto
semplice, non cesserai di sfarinare la manna della Parola di Dio,
per farne un pane oleoso che mangerai. Questo pane non è altro che
l'intelligenza delle Scritture, tutta impregnata della soavità dello
Spirito Santo.
Fratello
carissimo, che ti sia accordata questa grazia!
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XVI°
settimana Tempo Ordinario -
LODI sabato
Omelie sul
Vangelo di San Matteo, 46, 1-2
La parabola della zizzania
di San
Giovanni Crisostomo nel quarto secolo
Il
metodo del diavolo è quello di mescolare sempre alla verità,
l’errore rivestito delle apparenze e dei colori della verità, per
poter sedurre facilmente coloro che si lasciano ingannare. Ecco
perché Nostro Signore parla soltanto della zizzania, poiché questa
pianta assomiglia al grano. Poi, indica come costui ci sappia fare a
ingannare : « Mentre tutti dormivano ». Qui, si vede il grave
pericolo che corrono i capi, soprattutto coloro ai quali è stata
affidata la guardia del campo. Questo pericolo del resto, non
minaccia soltanto i capi, ma anche i loro subordinati. Ci mostra
pure che l’errore viene dopo la verità…
Cristo ci dice tutto ciò per insegnarci a non addormentarci…, ne
consegue la necessità di una guardia vigilante. Perciò diceva :
« Chi persevererà sino alla fine sarà salvato » (Mt 10, 22)… Ora
considera lo zelo dei servi. Vogliono sradicare la zizzania
immediatamente. Anche se manca loro la riflessione, questo prova la
loro sollecitudine per il seme. Cercano una cosa sola, non trarre
vendetta da costui che ha seminato la zizzania, ma salvare la messe.
Ecco perché cercano come scacciare totalmente il male… Cosa risponde
allora il Padrone ? … Glielo impedisce per due motivi : il primo, il
timore di nuocere al grano ; il secondo, la certezza che un castigo
inevitabile si abbatterà su quelli che sono colpiti da questa
malattia mortale. Se vogliamo la loro punizione senza che ne soffra
la messe, aspettiamo il momento opportuno…Forse, una parte di quella
zizzania si muterà in grano ? Se quindi la sradicate ora, nocerete
alla messe prossima, sradicando quelli che potranno cambiare a
diventare migliori.
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XVI°
settimana Tempo Ordinario -
PRIMI VESPRI Sabato
Clemente
I "Lettera ai Corinzi" Nn. 49-50.
da "L'Ora dell'Ascolto", 1997
Ed. PIEMME - Casale Monferrato (Al)
pp. 297-298
CHI PUÒ ESPRIMERE
L'AMORE DI DIO ?
di san Clemente
Primo, papa al primo secolo.
Chi
ama Cristo osserva i suoi comandamenti.
Chi è
in grado di parlare della carità di Dio ? Chi saprebbe dire la sua
incomparabile bellezza ? l'altezza a cui giunge la carità è
inenarrabile. La carità ci rende una cosa sola con Dio, "la carità
copre la moltitudine dei peccati"
(1 Pt 4,8).
La carità sopporta tutto, tollera ogni causa con pazienza
(Cfr. 1 Cor 13, 4-7).
Nella carità, tutto è puro, non c'è
orgoglio ; la carità non suscita divisioni, non genera dissensi,
tutto opera nella concordia ; gli eletti di Dio sono tutti perfetti
nella carità, perché senza di essa nulla è accetto a Dio. Nella sua
carità il Signore ci unì a sé ; per la carità che ebbe verso di noi,
il nostro Signore Gesù Cristo diede per volontà divina il suo sangue
per noi e il suo corpo per il nostro, e la sua vita per la nostra
vita. Voi capite, carissimi, quanto grande e meravigliosa sia la
carità, e come non sia possibile spiegare la sua perfezione.
Chi merita di
essere trovato in essa all'infuori di quelli che Dio avrà stimati
degni ? Preghiamo dunque, e chiediamo alla sua misericordia di
essere trovati nella carità perfetta, senza alcuna parzialità umana.
Tutte le generazione, di Adamo fino a oggi, sono passate : ma quelli
che per grazia di Dio si sono perfezionati nella carità ottengono il
posto riservato ai giusti e all'avvento del Regno di Dio saranno
riconosciuti. Infatti è scritto : "Va, popolo mio, entra nelle tue
stanze e chiudi la porta dietro di te. Nasconditi per un momento
finché non sia passato lo sdegno"(Is
26,20), "e ricorderò la mia alleanza"(Gn
9,15), "e vi risusciterò dai vostri sepolcri"
(Ez 37,13).Amici,
beati noi se avremo adempiuto nell'unione della carità i precetti
del Signore…
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XVII°
settimana Tempo Ordinario - UR
Domenica
Omelie sui vangeli, 25; PL 76, 1188-1196
(In l’Ora dell’ascolto p. 2492)
Ti chiama per nome
San Gregorio
Magno nel sesto secolo
«Se
l’hai portato via tu …». Come se Maria avesse già detto il motivo
delle sue lacrime, parla di «lui», senza nemmeno aver pronunciato il
suo nome. Tale è il segno dell’amore : sempre fissi in colui che si
ama, si crede che tutti gli altri ne siano ugualmente occupati…
Maria non immagina che si possa ignorare l’oggetto del suo immenso
dolore.
Gesù
le disse: «Maria !» Dopo averla chiamata con l’appellativo generico
di donna, senza esser riconosciuto, la chiama per nome; come se
volesse dire : «Riconosci colui dal quale sei riconosciuta». Dio
diceva lo stesso a Mosè, l’uomo perfetto : «Ti ho conosciuto per
nome» (Es 33, 12). «Uomo» è il nome comune a tutti, invece, «Mosè» è
il nome proprio, e il Signore gli dice chiaramente che lo conosce
con il suo nome, e sembra dichiarargli : «Io ti conosco non come si
conosce una persona qualunque, ma in modo del tutto speciale».
Maria
dunque chiamata per nome, riconosce il suo creatore e subito grida
:«Rabbuni», cioè Maestro : era lui che lei cercava all’esterno, ed
era ancora lui che la guidava interiormente nella ricerca… «Maria di
Magdala andò subito ad annunziare ai discepoli : ‘Ho visto il
Signore’e anche ciò che le aveva detto ». In questo momento il
peccato degli uomini abbandona il cuore da cui era entrato. Poiché
nel paradiso, stata una donna a tendere all’uomo il frutto della
morte; al sepolcro, è nuovamente una donna, ad annunciare la vita
agli uomini e a riportare le parole di colui che dà la vita.
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XVII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Domenica
Mt 13,44-52
Omelie sul
Vangelo di San Matteo, 47, 2
Le parabole del tesoro e della
perla
San Giovanni
Crisostomo nel quarto secolo
La somiglianza
che si può vedere tra la parabola del granello di senapa e quella
del lievito si ritrova fra quelle del tesoro e della perla : tutte e
due significano che bisogna preferire il messaggio evangelico ad
ogni altra cosa… Infatti il Vangelo si sviluppa come il granello di
senapa e impone la sua forza come il lievito ; come la perla, è di
grande valore ; in fine, come il tesoro, procura i più preziosi
vantaggi.
A questo
riguardo, conviene sapere, non soltanto che bisogna spogliarsi di
tutto per accogliere il Vangelo, ma pure che bisogna farlo con
gioia… Nota quanto la predicazione del Vangelo passa inosservata nel
mondo, e come il mondo non vede i numerosi beni che ne sono la
ricompensa… Due condizioni sono quindi necessarie : la rinuncia dei
beni del mondo e un coraggio saldo. Si tratta infatti di « un
mercante in cerca di perle preziose » che « trovata una perla di
grande valore, va, vende tutti i suoi averi » per comprarla. La
verità è una, non si divide. Come il possessore della perla conosce
la sua ricchezza, quando sovente, mentre la tiene in mano, coloro
che la guardano non lo sospettano nemmeno, a causa della piccolezza
della perla, così coloro che sono stati istruiti dal Vangelo
conoscono la loro felicità, mentre gli infedeli, ignorando questo
tesoro, non hanno alcuna idea della nostra ricchezza.
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XVII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Martedì
§ 760-769
« Allora i giusti splenderanno come
il sole nel Regno del Padre loro »
dal
Catechismo della Chiesa cattolica
« Il mondo fu creato
in vista della Chiesa », dicevano i cristiani dei primi tempi
(Erma). Dio ha creato il mondo in vista della comunione alla sua
vita divina, comunione che si realizza mediante la « convocazione »
degli uomini in Cristo, e questa « convocazione » è la Chiesa. La
Chiesa è il fine di tutte le cose e le stesse vicissitudini
dolorose, come la caduta degli angeli e il peccato dell'uomo, furono
permesse da Dio solo in quanto occasione e mezzo per dispiegare
tutta la potenza del suo braccio
(Lc 1,51),
tutta l'immensità d'amore che voleva donare al mondo: « Come la
volontà di Dio è un atto, e questo atto si chiama mondo, così la sua
intenzione è la salvezza dell'uomo, ed essa si chiama Chiesa »
(Clemente Alessandrino).
La
convocazione del popolo di Dio ha inizio nel momento in cui il
peccato distrugge la comunione degli uomini con Dio e quella degli
uomini tra di loro. La convocazione della Chiesa è, per così dire,
la reazione di Dio di fronte al caos provocato dal peccato. Questa
riunificazione si realizza segretamente in seno a tutti i popoli: «
Chi teme [...] [Dio] e pratica la giustizia, a qualunque popolo
appartenga, è a lui accetto »
(At 10,35). La preparazione
remota della riunione del popolo di Dio comincia con la vocazione di
Abramo, al quale Dio promette che diverrà padre di un grande popolo
(Gen 12,2).
La preparazione immediata comincia con l'elezione di Israele come
popolo di Dio (Es 19,5).
Con la sua elezione, Israele deve essere il segno della riunione
futura di tutte le nazioni (Is
2,2)…
È compito del Figlio realizzare, nella pienezza dei tempi, il piano
di salvezza del Padre; è questo il motivo della sua « missione »…
Cristo inaugurò il
regno dei cieli sulla terra.
La Chiesa è « il regno di Cristo già presente in mistero»
(Vaticano II, LG 3).
« La Chiesa [...] non avrà il suo compimento se non nella gloria del
cielo » (LG 48),
al momento del ritorno glorioso di Cristo… Quaggiù « anela al regno
perfetto…». Il compimento della Chiesa – e per suo mezzo del mondo –
nella gloria non avverrà se non attraverso molte prove. Allora
soltanto, « tutti i giusti, a partire da Adamo, "dal giusto Abele
fino all'ultimo eletto", saranno riuniti presso il Padre nella
Chiesa universale » (LG 2).
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XVII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Martedì
Cap 8 ; SC
33, 71
La pazienza di Dio
Dalla
Lettera A Diogneto
nel secondo secolo
Dio,
Signore e Creatore dell'universo, che ha fatto tutte le cose e le ha
stabilite in ordine, non solo si mostrò amico degli uomini, ma anche
magnanimo. Tale fu sempre, è e sarà: eccellente, buono, mite e
veritiero, il solo buono. Avendo pensato un piano grande e
ineffabile lo comunicò solo al Figlio. Finché lo teneva nel mistero
e custodiva il suo saggio volere, pareva che non si curasse e non
pensasse a noi. Dopo che per mezzo del suo Figlio diletto rivelò e
manifestò ciò che aveva stabilito sin dall'inizio, ci concesse
insieme ogni cosa, cioè di partecipare ai suoi benefici, di vederli
e di comprenderli. Chi di noi se lo sarebbe aspettato?
Dio dunque
avendo da sé tutto disposto con il Figlio, permise che noi fino
all'ultimo, trascinati dai piaceri e dalle brame come volevamo,
fossimo travolti dai piaceri e dalle passioni. Non si compiaceva
affatto dei nostri peccati, ma ci sopportava e non approvava quel
tempo di ingiustizia. Invece, preparava il tempo della giustizia
perché noi fossimo convinti che in quel periodo, per le nostre
opere, eravamo indegni della vita, e ora solo per bontà di Dio ne
siamo degni, e dimostrassimo, per quanto fosse in noi, che era
impossibile entrare nel regno di Dio e che solo per sua potenza ne
diventiamo capaci... Dio non ci odiò, non ci respinse e non si
vendicò, ma fu magnanimo e ci sopportò.
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XVII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Mercoledì
Mt 13,
44-46
Omelie sul
Vangelo di San Matteo, 47, 2
Le
parabole del tesoro e della perla
San Giovanni
Crisostomo nel quarto secolo
La somiglianza
che si può vedere tra la parabola del granello di senapa e quella
del lievito si ritrova fra quelle del tesoro e della perla : tutte e
due significano che bisogna preferire il messaggio evangelico ad
ogni altra cosa… Infatti il Vangelo si sviluppa come il granello di
senapa e impone la sua forza come il lievito ; come la perla, è di
grande valore ; in fine, come il tesoro, procura i più preziosi
vantaggi.
A questo
riguardo, conviene sapere, non soltanto che bisogna spogliarsi di
tutto per accogliere il Vangelo, ma pure che bisogna farlo con
gioia… Nota quanto la predicazione del Vangelo passa inosservata nel
mondo, e come il mondo non vede i numerosi beni che ne sono la
ricompensa… Due condizioni sono quindi necessarie : la rinuncia dei
beni del mondo e un coraggio saldo. Si tratta infatti di « un
mercante in cerca di perle preziose » che « trovata una perla di
grande valore, va, vende tutti i suoi averi » per comprarla. La
verità è una, non si divide. Come il possessore della perla conosce
la sua ricchezza, quando sovente, mentre la tiene in mano, coloro
che la guardano non lo sospettano nemmeno, a causa della piccolezza
della perla, così coloro che sono stati istruiti dal Vangelo
conoscono la loro felicità, mentre gli infedeli, ignorando questo
tesoro, non hanno alcuna idea della nostra ricchezza.
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XVII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Mercoledì
Mt 13,
44-46
Contro le
Eresie, IV, 26 ; SC 100, 711
Il tesoro nascosto nel campo delle
Scritture
Sant’Ireneo di
Lione nel secondo secolo
Cristo era presente a tutti coloro ai quali, dal principio, Dio
comunicava la sua Parola, il suo Verbo. E se qualcuno legge la
Scrittura in questa prospettiva, troverà in essa un’espressione
concernente Cristo e una prefigurazione della chiamata nuova.
Infatti è lui « il tesoro nascosto nel campo » cioè nel mondo (Mt
13, 38). Tesoro nascosto nelle Scritture, perché veniva
manifestato attraverso figure e parabole che, umanamente parlando,
non potevano essere intese prima che le profezie fossero compiute,
cioè prima della venuta del Signore. Perciò è stato detto al profeta
Daniele : « Chiudi queste parole e sigilla questo libro, fino al
tempo della fine » (Dn 12, 4)… Anche Geremia dice : « Alla
fine dei giorni comprenderete tutto ! » (Ger 22, 20)…
Letta
dai cristiani la legge è un tesoro, un tempo nascosto in un campo,
ma rivelato e spiegato dalla croce di Cristo ; … essa manifesta la
sapienza di Dio, rivela i suoi disegni di salvezza per l’uomo,
prefigura il Regno di Cristo, preannuncia la Buona Novella
dell’eredità della Gerusalemme santa, predice che l’uomo che ama Dio
progredirà fino a vederlo ed a udire la sua parola, e sarà
glorificato da questa parola…
In
questo modo, dopo la sua risurrezione, il Signore ha spiegato le
Scritture ai suoi discepoli, dimostrando loro con esse che
« bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare
nella sua gloria » (Lc 24, 26). Quindi se qualcuno legge le
Scritture in questo modo, sarà un discepolo perfetto, « simile a un
padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e antiche » (Mt
13, 52).
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XVII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Giovedì
Mt 13,
47-53
« Il Regno dei cieli è simile a
una rete gettata nel mare »
Dalla
Costituzione “Gaudium et Spes” del Concilio Vaticano
Secondo
Certo, siamo
avvertiti che niente giova all'uomo se guadagna il mondo intero ma
perde se stesso (Lc 9, 25).
Tuttavia l'attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì
piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra
presente, dove cresce quel corpo della umanità nuova che già riesce
ad offrire una certa prefigurazione, che adombra il mondo nuovo.
Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso
terreno dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia, tale
progresso, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare
l'umana società, è di grande importanza per il regno di Dio.
Ed infatti
quei valori, quali la dignità dell'uomo, la comunione fraterna e la
libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra
operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del
Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma
purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando
il Cristo rimetterà al Padre « il regno eterno ed universale: che è
regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di
giustizia, di amore e di pace »
(Rm 8, 19-21).
Qui sulla terra il regno è già presente, in mistero; ma con la
venuta del Signore, giungerà a perfezione.
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XVII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Giovedì
Mt 13,
47-53
Esposizione
sul salmo 95, 14-15
(Nuova
Biblioteca Agostiniana)
« Sulla riva… raccolgono i buoni »
Sant’Agostino
nel quinto secolo
« Giudicherà
il mondo secondo giustizia, i popoli secondo la sua verità »
(Sal 95,13).
In che cosa consisteranno la giustizia e la verità? Prima sceglierà
quelli, tra i suoi eletti (Mc
13,27), che dovranno essere
giudici insieme con lui; poi separerà gli altri in due gruppi,
ponendone uno alla destra e uno alla sinistra
(Mt 25,33).
E potrà esserci cosa più giusta, più conforme a verità, che quei
tali che prima della venuta del giudice si ricusarono di agire con
misericordia, non si attendano misericordia dal giudice? Viceversa,
quelli che si impegnarono per agire con misericordia saranno
giudicati con misericordia (Lc
6,37). A quelli che si
troveranno a destra sarà detto: « Venite, benedetti del Padre mio!
Possedete il regno che vi è stato preparato fin dalla creazione del
mondo ». Ed elenca le opere di misericordia: « Ebbi fame e mi deste
da mangiare; ebbi sete e mi dissetaste », eccetera
(Mt 25,31s)…
Pensi forse
che, perché tu sei iniquo, abbia ad esserlo anche il giudice? O,
perché tu sei bugiardo, pensi che non sia vera la verità? Al
contrario! Se vuoi incontrarlo pieno di misericordia, sii tu
misericordioso prima che egli venga. Se qualcuno ha mancato contro
di te, perdonalo. Se hai qualcosa d'avanzo, dallo al prossimo… Dai
della roba avuta da lui, non fai altro che una restituzione. (Che
cosa hai infatti che tu non l'abbia ricevuto? »
(1
Cor 4,7).
Ecco allora le vittime che
tornano più gradite a Dio: la compassione, l'umiltà, la confessione,
la pace, la carità. Rechiamo all'altare queste ostie e attenderemo
tranquilli la venuta del giudice, che « giudicherà il mondo secondo
giustizia e i popoli secondo la sua verità ».
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XVII°
settimana Tempo Ordinario - LODI
Venerdì
“Concittadini di Cristo nella
patria celeste”
di San Pier
Crisologo nel quinto secolo
Venne nella sua
patria, Se è nato, come può non essere cittadino? Se è cittadino,
come uno potrebbe meravigliarsi che egli abbia una patria? Ma questa
è una condizione umana, che riconosce, non uno stato divino; perché
Colui che è e che era prima dei secoli, nostro Dio, negli ultimi
tempi volle essere nostro padre, per salvare con pietà quelli che
aveva creato con la sua potenza; e per recuperare con la compassione
quelli che con le sue punizioni e i suoi comandi aveva reso privi di
patria. Infatti, tutto quello che leggiamo che Cristo fece o compì
mediante l’umanità assunta, dobbiamo intendere che egli l’abbia
compiuto non come offesa per la Divinità, ma come motivo di gloria
per l’uomo.
E lo seguivano,
dice, i suoi discepoli. Ben a ragione i discepoli seguono Cristo che
ritorna nella sua patria, perché, ormai iscritti com’erano nell’albo
del consorzio del cielo, una così ambita scelta e la pienezza di una
grazia così grande li aveva resi cittadini e membri della patria
celeste, come dice il Signore: Rallegratevi, perché i vostri nomi
sono scritti nel libro della vita.
Opportunamente
il Signore aggiunse: Un Profeta non è disprezzato se non nella sua
patria. Ecco quale saggezza hanno i concittadini secondo la carne,
ecco in che modo pensano e onorano i parenti del mondo! Beato colui,
che avendo meritato di avere Dio per Padre, non cerca nulla
all’infuori della patria celeste!
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XVII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Venerdì
“Gesù in mezzo ai suoi”
di San Pier
Crisologo nel quinto secolo
Un profeta
non è disprezzato se non nella sua patria.
Cristo appunto andò nella sua patria, perché sta scritto: Venne
fra la sua gente, e i suoi non lo accolsero. Ma dicendo: Un
profeta non è disprezzato se non nella sua patria, insegna che à
motivo d’invidia essere potente fra propri conterranei, è causa di
ustioni emergere fra i propri concittadini; la gloria del vicino
brucia i vicini; i parenti, se devono render onore a un parente, lo
considerano servitù. E non fece, dice, che pochi miracoli per la
loro incredulità. Non si compiono prodigi, dove l’incredulità
non li merita. E se Cristo, quando guarisce non esige una
ricompensa, si sdegna tuttavia quando, invece dell’onore, gli sono
rivolte offese.
Dicevano:
costui è figlio del carpentiere, ma non dicevano di quale
carpentiere fosse figlio. Dicevano figlio del carpentiere, affinché
da un’umile arte fosse nascosta l’arte del Creatore e affinché il
nome artigianale nascondesse il nome della divinità. Cristo era
figlio di un carpentiere, ma di quello che aveva compiuto la
costruzione del mondo non con un maglio, ma con un suo ordine; che
aveva messo insieme le parti degli elementi non con l’ingegno, ma
col suo comando; che aveva fuso la massa del mondo non col carbone,
ma col suo potere; che aveva acceso il sole non col fuoco terreno,
ma col calore celeste; che aveva creato la luna, le tenebre, i tempi
della notte; che aveva distinto le stelle con la diversità della
loro luce; che tutto aveva fatto dal nulla; e lo aveva fatto per te,
o uomo, perché tu compensassi col tuo apprezzamento l’Artefice
dell’opera.
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XVII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Sabato
Omelie sul
vangelo di Luca, 2-4 ; SC 87, 347
Precursore di Cristo nella nascita e
nella morte
Di Origene nel
terzo secolo
Ammiriamo Giovanni Battista soprattutto a motivo di questa
testimonianza : « Tra i nati di donna, non c’è nessuno più grande di
Giovanni » (Lc 7,28) ;
ha infatti meritato di elevarsi ad una reputazione di virtù tale che
molta gente pensava che fosse Cristo
(Lc 3,15).
Eppure, c’è qualcosa di ancor più stupefacente : Erode il tetrarca
godeva del potere regale e poteva farlo morire quando avesse voluto.
Ora aveva commesso un’azione ingiusta e contraria alla legge di Mosè
sposando la moglie di suo fratello. Giovanni, senza avere paura di
lui, senza fare eccezione di persona, senza preoccuparsi del potere
regale, senza temere la morte…, conoscendo tutti questi pericoli, ha
biasimato Erode con la libertà dei profeti e gli ha rimproverato il
suo matrimonio. Gettato in prigione per tale audacia, non si
preoccupa della morte né del giudizio dall’esito incerto, ma, pur
incatenato, i suoi pensieri andavano a Cristo da lui annunciato.
Non
potendo andare a trovarlo di persona, manda i suoi discepoli a
informarsi : « Sei tu colui che viene, o dobbiamo aspettare un
altro ? » (Lc 7,19).
Notate bene che, persino
nella sua prigione, Giovanni insegnava ; persino in questo luogo
aveva dei discepoli ; persino in carcere, Giovanni compiva il suo
dovere e ammaestrava i suoi discepoli con colloqui su Dio. In questo
contesto, il problema di Gesù veniva posto, e Giovanni gli manda
dunque alcuni discepoli…
I
discepoli tornano e riferiscono al loro maestro ciò che il Salvatore
li aveva incaricati di annunciare. Questa risposta è per Giovanni
un’arma per affrontare lo scontro ; muore con franchezza e di gran
cuore si lascia decapitare, assicurato dalla parola del Signore
stesso, che colui nel quale aveva creduto era veramente il Figlio di
Dio. Tale è stata la libertà di Giovanni Battista, tale è stata la
follia di Erode che, a tanti crimini già commessi, ha aggiunto prima
la detenzione, poi l’omicidio di Giovanni Battista.
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XVII°
settimana Tempo Ordinario -
PV Sabato
PORTANDO IN NOI CRISTO
POSSIAMO GIUNGERE ALLA VITA SENZA FINE
dagli scritti dello Pseudomacario nel quarto secolo
L’anima, quando viene
ritenuta degna di avere parte alla chiarità luminosa dello Spirito,
venendo illuminata da questo splendore ineffabile si trasforma nella
dimora adatta a riceverlo. Essa è allora tutta luce, tutto viso,
tutto occhio, nessuna parte in lei è priva dello spirituale
occhio della luce. Niente è tenebroso in lei, essa è luce, spirito e
capacità visiva. Tutto in lei è chiaro e semplice, essendo accesa
dalla luce di Cristo che in lei ha stabilito la sua dimora.
Quando il pittore è intento a fare il ritratto del re ne
deve avere davanti il volto, cosicché quando il re posa davanti a
lui con abilità e grazia lo ritrae, ma se il re è girato dalla parte
opposta il pittore non può compiere l’opera sua, perché il suo
occhio non ne vede il volto. Così Cristo, pittore perfetto, dipinge
i lineamenti del suo volto di uomo celeste su quei fedeli che sono
verso di Lui costantemente orientati… Se qualcuno non lo fissa di
continuo, disprezzando ogni cosa a Lui contraria, non avrà di se
stesso l’immagine del Signore disegnata dalla sua luce.
Il
nostro volto sia sempre in Lui fisso, con fede e amore, trascurando
tutto per essere solo in Lui intenti, affinché nel nostro intimo
s’imprima la sua immagine, e così portando in noi Cristo possiamo
giungere alla vita senza fine.
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Le settimane dalla XVIII alla XXI del Tempo Ordinario
coincidono con il ritiro del monaci e con l'assenza delle liturgie
in Badia - pertanto non sono disponibili le letture patristiche di
queste settimane |
XXII°
settimana Tempo Ordinario -
UFFICIO RESURREZIONE Domenica
Riedificare
Gerusalemme sulla roccia di Sion
dagli scritti
di Giorgio La Pira
Sull’orizzonte del tempo presente spunta, nonostante tutto, la
speranza cristiana. C’è una “terra promessa” al termine della
navigazione faticosa della storia dell’uomo. I secoli e le
generazioni nel loro corso storico, edificano preparandola per il
Cielo, la Città di Dio: edificano, preparando la Gerusalemme
celeste…Non bisogna aver paura di dirlo: la civiltà cristiana e la
città cristiana sono essenzialmente civiltà monastica e città
monastica nel senso che, come nel monastero, anche in esse- in
ultima analisi- tutti i valori hanno una orientazione unica ed
un’unica finalità: Dio amato, contemplato, incessantemente lodato!
Quale è, infatti, la crisi odierna – acuitasi in questi ultimi due
secoli – della civiltà cristiana, della città cristiana e della
intera civiltà umana? La perdita di questo sigillo monastico, di
questo metro monastico: disancoraggio cioè, della civiltà e della
città dalla contemplazione e dalla liturgia di Dio! La città
staccata dal suo tempio: Gerusalemme non più centrata e difesa dalla
cittadella di Sion.
Come riparare? E’ così chiaro anche se così estremamente difficile e
complesso: ridimensionare civiltà e città; rimisurarle con il solo
metro valido capace di conferire alle cose dell’uomo la bellezza, la
solidità e la luminosità delle cose di Dio:
Rimisurare con il metro monastico: riedificare Gerusalemme sulla
roccia di Sion!
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XXII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI - Domenica
Sul Cantico
dei cantici, 37
(In l' Ora
dell'Ascolto p. 1790)
Il segreto dell’ultimo posto
di
San Bernardo nel dodicesimo secolo
Se
sapessimo chiaramente a quale posto Dio mette ciascuno di noi,
dovremmo acconsentire alla verità senza mai crederci più grandi o
più piccoli di quello che siamo. Ora, poiché i decreti di Dio sono
avvolti nelle tenebre, e la sua volontà ci è nascosta, è più sicuro,
secondo il consiglio della Verità stessa, scegliere l’ultimo posto,
dal quale saremo chiamati con onore per ricevere un posto più alto.
Quando devi passare per una porta il cui architrave è troppo basso,
tu puoi abbassarti quanto vuoi senza farti male; ma se ti alzerai
sia pure dello spessore di un dito al di sopra dell’altezza della
porta, ci sbatterai contro e ti romperai la testa. Allo stesso modo
non bisogna temere alcuna umiliazione, per grande che sia, ma avere
un gran timore e orrore anche del minimo moto di presunzione.
Quindi non ci paragoniamo con quelli che sono superiori o inferiori
a noi, non ci confrontiamo con alcuno, neanche con un solo uomo. Che
ne sai se colui che forse stimi come il più spregevole di tutti, per
un mutamento operato dalla potenza dell’Altissimo, non diventerà
migliore di te e degli altri o se non lo è già realmente in Dio?
Perciò il Signore vuole che scegliamo non un posto mediocre, né il
penultimo e neanche uno degli ultimi, ma dice: “Va’ a metterti
all’ultimo posto”, in modo che solo tu sia l’ultimo di tutti e non
ti preferisca, anzi neanche osi paragonarti ad alcuno.
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XXII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI - martedì
Catechesi
battesimali, 11, 5-10
La tua parola onnipotente dal
cielo, dal tuo trono regale, si lanciò
di San Cirillo di Gerusalemme nel quarto
secolo
Dio è
spirito (Gv 5, 24) ; colui che è spirito ha generato spiritualmente…
in una generazione semplice e incomprensibile. Il Figlio stesso
disse del Padre : « Il Signore mi ha detto : Tu sei mio Figlio, io
oggi ti ho generato » (Sal 2, 7). Quest’oggi non è nel tempo, ma
prima di tutti i secoli. « Dal seno dell’aurora come rugiada, io ti
ho generato » (Sal 109, 3).
Credi
dunque in Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente, ma Figlio unigenito
secondo la parola del Vangelo : « Dio ha tanto amato il mondo da
dare il suo figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non
muoia, ma abbia la vita eterna » (Gv 3, 16)… Giovanni dà questa
testimonianza a suo riguardo : « Noi vedemmo la sua gloria, gloria
come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità » (Gv 1,
14).
Perciò, i demoni stessi, tremando davanti a lui gridavano :
« Basta ! che abbiamo a che fare con te, Gesù Nazareno ? Tu sei il
Figlio del Dio vivente ! » Egli è dunque Figlio di Dio secondo la
natura, e non soltanto per mezzo dell’adozione, poiché è nato dal
Padre… Il Padre, Dio vero, ha generato il Figlio simile a lui, Dio
vero… Cristo è stato generato « Parola viva ed eterna » (1 Pt 1,
23) non solo pronunciata con le labbra, bensì proprio nata dal Padre
eternamente, ineffabilmente… Parola che comprende la volontà del
Padre e fa ogni cosa per ordine suo … Parola piena di autorità e
regge tutto, perché « il Padre ha dato tutto nelle mani del Figlio »
(Gv 13, 3).
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XXII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI - martedì
Sesto trattato
: PL 204, 451-453
Parlava con autorità
di Baldovino di Ford nel dodicesimo secolo
« La
Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a
doppio taglio » (Eb 4, 12). L’Apostolo mostra con queste parole,
tutta la grandezza, la fortezza e la saggezza della Parola di Dio, a
coloro che cercano Cristo, parola, fortezza e saggezza di Dio.
Questa Parola era in principio presso il Padre, eterna con lui. Essa
fu rivelata a suo tempo agli apostoli, annunciata da loro, e
ricevuta umilmente dal popolo dei credenti… È viva questa parola a
cui il Padre ha concesso di avere la vita in se stessa, come Egli la
possiede in se stesso. (Gv 5, 26). Perciò, essa non è soltanto viva,
ma è pure vita, come è scritto : « Sono la via, la verità e la
vita » (Gv 14, 6). Essendo vita, è viva e vivificante, perché « come
il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la
vita a chi vuole » (Gv 5, 21). È vivificante quando chiama Lazzaro
fuori dal sepolcro e gli dice : « Vieni fuori » (Gv 11, 43). Quando
questa Parola viene proclamata, la voce che la pronuncia, risuona
fuori con una forza che, percepita dentro, fa rivivere i morti, e
svegliando la fede suscita veri figli ad Abramo (Mt 3, 9). Sì, è
viva questa Parola, viva nel cuore del Padre, nella bocca di chi la
proclama, nel cuore di chi crede e ama.
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XXII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI - mercoledì
LIBRO DI VITA DI GERUSALEMME
CAPITOLO “NEL CUORE DELLE CITTA' ” §
128
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XXII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI - mercoledì
Omelie, 84
sul Cantico dei cantici, 3
Le folle lo
cercavano…
di San Bernardo nel dodicesimo secolo
Ogni
anima che cerca il Signore sappia che è stata preceduta da colui che
l’ha cercata per primo… « Lungo la notte, ho cercato l’amato del mio
cuore » (Ct 3,1). L’anima cerca il Verbo, eppure è il Verbo ad
averla cercata per primo… Se fosse lasciata a se stessa, la nostra
anima non sarebbe altro che un soffio che se ne va a caso e non
torna più. Ascoltate i gemiti e le suppliche dell’anima che erra e
ha perso la strada : « Come pecora smarrita vado errando ; cerca il
tuo servo » (Sal 118,176). O uomo, vuoi tornare ; eppure se questo
dipendesse dalla tua sola volontà, perché chiederesti aiuto ?… È
chiaro che la nostra anima vuole tornare ma non lo può ; non è che
un soffio errando e da sola, non potrà tornare… Ma da dove gli viene
tale volontà ? Dal fatto che già il Verbo l’ha visitata e cercata.
Questa ricerca non è stata vana, poiché ha suscitato la volontà
senza la quale non c’è ritorno possibile.
Ma
non le basta essere stata cercata una volta ; l’anima è troppo
debole, e la difficoltà del ritorno è troppo grande. « C’è in me il
desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo » (Rm 7,18). Cosa
domanda l’anima, nel salmo che ho citato ? Nient’altro che essere
cercata ; infatti non cercherebbe infatti se non fosse stata
cercata, e non ricomincerebbe a cercare, se fosse stata a
sufficienza cercata.
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XXII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI - giovedì
Discorsi, 39
D’ora in poi sarai
pescatore di uomini
di San Massimo il Confessore nel settimo
secolo
Quando il Signore, seduto nella barca, dice a Pietro: “Prendi il
largo e calate le reti per la pesca”, gli consiglia non tanto di
calare gli strumenti da pesca nelle profondità delle acque, quanto
di spargere nel fondo dei cuori le parole della predicazione. San
Paolo ha penetrato in quell’abisso dei cuori, lanciando la parola:
“O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di
Dio!” (Rm 11,33)... Come la rete porta nelle sue pieghe verso la
nave i pesci che ha presi, così la fede conduce nel suo seno, verso
il riposo, tutti gli uomini che ha radunati.
Ancora per fare capire che il Signore parlava di pesca spirituale,
Pietro dice: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo
preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”... Il Verbo, la
Parola di Dio, è il Signore nostro Salvatore... Poiché Pietro lancia
la sua rete secondo il Verbo, diffonde dappertutto la sua eloquenza
secondo Cristo. Spiega le reti tessute secondo le prescrizioni del
suo maestro; lancia nel nome del Signore parole più chiare e più
efficaci che permettono di salvare, non creature senza ragione,
bensì gli uomini.
“Abbiamo faticato, dice, tutta la notte e non abbiamo preso nulla”.
Sì, Pietro aveva proprio faticato tutta la notte...; quando è sorta
la luce del Salvatore, le tenebre si sono disperse e la sua fede gli
ha permesso di distinguere, nel più profondo delle acque, ciò che i
suoi occhi non potevano vedere. Pietro ha effettivamente sofferto a
causa della notte, finché il giorno che è Cristo non è venuto in suo
soccorso. Questo fa dire all’apostolo Paolo: “La notte è avanzata,
il giorno è vicino” (Rm 13,12).
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XXII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI - giovedì
Discorso 43,
5-6 ; CCL 41, 510-511
(Nuova
Biblioteca Agostiniana)
1929
Non temere, d’ora
in poi sarai pescatore di uomini
Sant’Agostino nel quinto secolo
Quanta fu la
degnazione di Cristo! Questo Pietro che parla così era stato un
pescatore; ma adesso gran lode merita ogni oratore che riesca a
comprendere il pescatore. Al riguardo, parlando ai primi cristiani,
diceva l'apostolo Paolo: “Considerate la vostra chiamata, o
fratelli. In mezzo a voi non ci sono molti sapienti secondo la
carne, né molti potenti, né molti nobili. Ma Iddio ha scelto le cose
deboli del mondo per confondere le forti, e le cose stolte del mondo
ha scelto Dio per confondere i sapienti, e le cose ignobili e
disprezzate del mondo ha scelto Dio, e quelle che non sono, quasi
che fossero, per ridurre al nulla quelle che sono”(1 Cor 1, 26-28).
Se infatti
Cristo avesse scelto per primo il retore, questo retore avrebbe
detto: “Sono stato scelto in grazia della mia eloquenza”. Se avesse
scelto il senatore, il senatore avrebbe detto: “Sono stato scelto
per la mia dignità”. In fine, se avesse scelto l'imperatore,
l'imperatore avrebbe detto: “Sono stato scelto in vista del mio
potere”. Stiano dunque calmi tutti costoro e si lascino rimandare a
dopo! Stiano calmi! Non saranno scartati né disprezzati ma solo
posti in seconda linea, in quanto potrebbero in se stessi trovare
come gloriarsi di se stessi.
Dammi, dice
Cristo, quel pescatore, dammi quell'illetterato, quell'ignorante;
dammi quel tale con cui il senatore non si degna di parlare neppure
quando compra il pesce. Dammi quello, dice. Se riempirò un uomo come
questo, sarà palese che sono io a farlo. Anche il senatore – è vero
– e il retore e l'imperatore io renderò miei discepoli..., ma è più
convincente l'aver io agito nel pescatore. Il senatore potrebbe
gloriarsi di se stesso, e così il retore e l'imperatore, mentre il
pescatore non potrà gloriarsi se non di Cristo. Venga dunque il
pescatore e questo sia per dare una lezione di umiltà salutare.
Venga per primo il pescatore.
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XXII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI venerdì
Conferenze
Potete far
digiunare gli invitati a nozze, mentre lo Sposo è con loro?
di San Giovanni Cassiano nel quinto secolo
Avevamo
lasciato la Siria per la Provincia d’Egitto, con il desiderio di
imparare i principi dei monaci anziani, e ci meravigliavamo della
grande cordialità con la quale eravamo accolti. Contrariamente a
quel che ci era stato insegnato nei monasteri di Palestina, non si
osservava quella regola di aspettare l’ora fissata per il pranzo,
ma, eccetto il mercoledì e il venerdì, dovunque andassimo, si
rompeva il digiuno. Uno degli antichi a cui domandavamo perché, da
loro, si omettessero così facilmente i digiuni quotidiani, ci
rispose : « Il digiuno è sempre con me. Voi, invece, che fra poco
congederò, non potrò tenervi sempre con me. E il digiuno, benché
utile e necessario, è tuttavia l’offerta di un dono volontario,
mentre il compimento dell’opera della carità è l’esigenza assoluta
del precetto. Perciò, accogliendo in voi Cristo, devo ristorarlo e,
dopo avervi congedato, potrò compensare in me, con un digiuno più
rigoroso, l’umanità che vi ho manifestata per riguardo a Cristo.
Infatti, « gli amici dello Sposo non possono digiunare mentre lo
Sposo è con loro », ma quando si sarà allontanato, allora potranno
farlo.
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XXII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI - venerdì
Commento al
vangelo di Matteo, 10, 22 ; CCM 56 B, 1072-1073
Cristo Sposo
di San Pascasio
Radberto nel nono secolo
Un’unione strana e straordinaria ebbe luogo quando « il Verbo si
fece carne » nel seno della Vergine e « venne ad abitare in mezzo a
noi » (Gv 1,14). Come tutti gli eletti sono risuscitati in Cristo
quando egli risuscitò, così queste nozze sono state celebrate in lui
e la Chiesa è stata unita allo Sposo mediante i legami del
matrimonio, quando l’uomo-Dio ricevette in pienezza i doni dello
Spirito Santo e tutta la divinità venne ad abitare nel suo corpo…
Cristo è divenuto uomo per mezzo dello Spirito Santo e, in quanto
Sposo, è uscito dal seno della Vergine, che infatti fu la sua stanza
nuziale. E la Chiesa, nel rinascere dall’acqua per mezzo dello
stesso Spirito, diviene un solo corpo in Cristo, sicché i due « sono
una carne sola » (Mt 19,5) il che, « in riferimento a Cristo e alla
Chiesa, è un grande mistero » (Ef 5,31).
Questo matrimonio dura fin dall’inizio dell’incarnazione di Cristo
fino al momento in cui Cristo tornerà e tutti i riti dell’unione
nuziale saranno compiuti. Allora, coloro che saranno pronti e
avranno compiuto come conviene le condizioni di una tale unione,
entreranno con lui, pieni di rispetto, alle nozze eterne (Mt 25,10).
Nell’attesa, la sposa promessa a Cristo cammina verso il suo Sposo,
e custodisce l’alleanza con lui ogni giorno nella fede e nella
tenerezza, finché egli venga.
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XXII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI Sabato
Lc 6, 1-5
Commento sulla Genesi
«
Ricordati del giorno di sabato per santificarlo »
di
Sant Agostino nel quinto
secolo
Ora
che è giunto il tempo della grazia che ci è stata rivelata,
l’osservanza del sabato, una volta simboleggiata dal riposo di un
solo giorno, è stata abolita per i fedeli. In questo tempo di grazia,
infatti, il cristiano osserva un sabato perpetuo, se tutto il bene
fatto da lui viene fatto nella speranza del riposo futuro, e se non
si gloria delle proprie opere buone come di un bene che venisse da
sè, senza averlo ricevuto.
Così, comprendendo e ricevendo il sacramento del battesimo
come un sabato, cioè come il riposo del Signore nella sepoltura (Rm
6, 4), il cristiano si riposa dalle sue opere antiche per camminare
ormai in una vita nuova, riconoscendo che Dio agisce in lui.
Dio infatti nello stesso tempo
agisce e si riposa, quando concede alla sua creatura la gestione che
gli si addice, e nello stesso tempo gode in se stesso di un’eterna
tranquillità.
Dio
né si è faticato creando il mondo, né si è riposato cessando di
creare, ma ha voluto con queste parole della Scrittura [« Dio cessò
nel settimo giorno da ogni suo lavoro » (Gen 2, 2)], invitarci a
desiderare questo riposo, donandoci il comandamento di santificare
questo giorno (Es 20, 8).
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XXII°
settimana Tempo Ordinario -
PRIMI VESPRI
Sabato
L’amore del
prossimo
dagli
scritti si San Basilio di Cesarea al quarto secolo
Abbiamo
ricevuto l'ordine di amare il nostro prossimo come noi stessi; Dio
non ci ha forse dato una naturale propensione a farlo? Chi è colui
che non si rende conto che l'uomo, naturalmente socievole e dolce,
non è fatto per la vita solitaria e selvaggia? Nulla è più conforme
alla nostra natura che vivere insieme, ricercarci reciprocamente ed
amare il nostro simile.
Il Signore
chiede, dunque, i frutti di ciò di cui ha posto il seme in noi,
quando dice : "Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli
uni gli altri". Nello scopo di spingere la nostra anima ad obbedire
a questo precetto, non ha voluto che si cercasse il segno dei suoi
discepoli in opere straordinarie, benché ne ricevessero il potere
nello Spirito Santo.
Cosa dice,
invece: "Riconosceranno che siete miei discepoli se vi amerete gli
uni gli altri".
E mette un
vincolo tale ai due comandamenti da considerare come fatta a Lui
stesso ogni buona azione rivolta al prossimo: "Perché ho avuto fame,
dice, e mi avete dato da mangiare..." e aggiunge: "Tutto quello che
avete fatto al più piccolo dei miei fratelli è a me che l'avete
fatto".
Quindi colui
che ama Dio amerà di conseguenza il suo prossimi: "Chi mi amerà,
dice il Signore, compirà i miei comandamenti. ora, "il mio
comandamento eccolo: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho
amati".
Ve lo ripeto,
quindi: chi ama il suo prossimo adempie al suo dovere di amare Dio,
poiché Dio considera questo dono come fatto a Lui.
Da: Sources
Vives 63, settembre 1995.
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XXIII°
settimana Tempo Ordinario -
UFFICIO RESURREZIONE Domenica
Riedificare Gerusalemme sulla roccia
di Sion
dagli scritti
di Giorgio La Pira
Sull’orizzonte del tempo presente spunta, nonostante tutto, la
speranza cristiana. C’è una “terra promessa” al termine della
navigazione faticosa della storia dell’uomo. I secoli e le
generazioni nel loro corso storico, edificano preparandola per il
Cielo, la Città di Dio: edificano, preparando la Gerusalemme
celeste…Non bisogna aver paura di dirlo: la civiltà cristiana e la
città cristiana sono essenzialmente civiltà monastica e città
monastica nel senso che, come nel monastero, anche in esse- in
ultima analisi- tutti i valori hanno una orientazione unica ed
un’unica finalità: Dio amato, contemplato, incessantemente lodato!
Quale è, infatti, la crisi odierna – acuitasi in questi ultimi due
secoli – della civiltà cristiana, della città cristiana e della
intera civiltà umana? La perdita di questo sigillo monastico, di
questo metro monastico: disancoraggio cioè, della civiltà e della
città dalla contemplazione e dalla liturgia di Dio! La città
staccata dal suo tempio: Gerusalemme non più centrata e difesa dalla
cittadella di Sion.
Come riparare? E’ così chiaro anche se così estremamente difficile e
complesso: ridimensionare civiltà e città; rimisurarle con il solo
metro valido capace di conferire alle cose dell’uomo la bellezza, la
solidità e la luminosità delle cose di Dio:
Rimisurare con il metro monastico: riedificare Gerusalemme sulla
roccia di Sion!
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XXIII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI - Domenica
Sul Cantico
dei cantici, 37
(In l' Ora
dell'Ascolto p. 1790)
Il segreto dell’ultimo posto
di
San Bernardo nel dodicesimo secolo
Se
sapessimo chiaramente a quale posto Dio mette ciascuno di noi,
dovremmo acconsentire alla verità senza mai crederci più grandi o
più piccoli di quello che siamo. Ora, poiché i decreti di Dio sono
avvolti nelle tenebre, e la sua volontà ci è nascosta, è più sicuro,
secondo il consiglio della Verità stessa, scegliere l’ultimo posto,
dal quale saremo chiamati con onore per ricevere un posto più alto.
Quando devi passare per una porta il cui architrave è troppo basso,
tu puoi abbassarti quanto vuoi senza farti male; ma se ti alzerai
sia pure dello spessore di un dito al di sopra dell’altezza della
porta, ci sbatterai contro e ti romperai la testa. Allo stesso modo
non bisogna temere alcuna umiliazione, per grande che sia, ma avere
un gran timore e orrore anche del minimo moto di presunzione.
Quindi non ci paragoniamo con quelli che sono superiori o inferiori
a noi, non ci confrontiamo con alcuno, neanche con un solo uomo. Che
ne sai se colui che forse stimi come il più spregevole di tutti, per
un mutamento operato dalla potenza dell’Altissimo, non diventerà
migliore di te e degli altri o se non lo è già realmente in Dio?
Perciò il Signore vuole che scegliamo non un posto mediocre, né il
penultimo e neanche uno degli ultimi, ma dice: “Va’ a metterti
all’ultimo posto”, in modo che solo tu sia l’ultimo di tutti e non
ti preferisca, anzi neanche osi paragonarti ad alcuno.
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XXIII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI martedì
Catechesi
battesimali, 11, 5-10
La tua parola onnipotente dal cielo,
dal tuo trono regale, si lanciò
di San Cirillo di Gerusalemme nel quarto
secolo
Dio è
spirito (Gv 5, 24) ; colui che è spirito ha generato spiritualmente…
in una generazione semplice e incomprensibile. Il Figlio stesso
disse del Padre : « Il Signore mi ha detto : Tu sei mio Figlio, io
oggi ti ho generato » (Sal 2, 7). Quest’oggi non è nel tempo, ma
prima di tutti i secoli. « Dal seno dell’aurora come rugiada, io ti
ho generato » (Sal 109, 3).
Credi
dunque in Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente, ma Figlio unigenito
secondo la parola del Vangelo : « Dio ha tanto amato il mondo da
dare il suo figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non
muoia, ma abbia la vita eterna » (Gv 3, 16)… Giovanni dà questa
testimonianza a suo riguardo : « Noi vedemmo la sua gloria, gloria
come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità » (Gv 1,
14).
Perciò, i demoni stessi, tremando davanti a lui gridavano :
« Basta ! che abbiamo a che fare con te, Gesù Nazareno ? Tu sei il
Figlio del Dio vivente ! » Egli è dunque Figlio di Dio secondo la
natura, e non soltanto per mezzo dell’adozione, poiché è nato dal
Padre… Il Padre, Dio vero, ha generato il Figlio simile a lui, Dio
vero… Cristo è stato generato « Parola viva ed eterna » (1 Pt 1,
23) non solo pronunciata con le labbra, bensì proprio nata dal Padre
eternamente, ineffabilmente… Parola che comprende la volontà del
Padre e fa ogni cosa per ordine suo … Parola piena di autorità e
regge tutto, perché « il Padre ha dato tutto nelle mani del Figlio »
(Gv 13, 3).
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XXIII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI martedì
Sesto trattato
: PL 204, 451-453
Parlava con autorità
di
Baldovino di Ford nel dodicesimo secolo
« La
Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a
doppio taglio » (Eb 4, 12). L’Apostolo mostra con queste parole,
tutta la grandezza, la fortezza e la saggezza della Parola di Dio, a
coloro che cercano Cristo, parola, fortezza e saggezza di Dio.
Questa Parola era in principio presso il Padre, eterna con lui. Essa
fu rivelata a suo tempo agli apostoli, annunciata da loro, e
ricevuta umilmente dal popolo dei credenti… È viva questa parola a
cui il Padre ha concesso di avere la vita in se stessa, come Egli la
possiede in se stesso. (Gv 5, 26). Perciò, essa non è soltanto viva,
ma è pure vita, come è scritto : « Sono la via, la verità e la
vita » (Gv 14, 6). Essendo vita, è viva e vivificante, perché « come
il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la
vita a chi vuole » (Gv 5, 21). È vivificante quando chiama Lazzaro
fuori dal sepolcro e gli dice : « Vieni fuori » (Gv 11, 43). Quando
questa Parola viene proclamata, la voce che la pronuncia, risuona
fuori con una forza che, percepita dentro, fa rivivere i morti, e
svegliando la fede suscita veri figli ad Abramo (Mt 3, 9). Sì, è
viva questa Parola, viva nel cuore del Padre, nella bocca di chi la
proclama, nel cuore di chi crede e ama.
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XXIII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI mercoledì
LIBRO DI VITA di GERUSALEMME
al capitolo "Nel cuore della
città" - § 128
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XXIII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI mercoledì
Omelie, 84
sul Cantico dei cantici, 3
Le
folle lo cercavano…
di San
Bernardo nel dodicesimo secolo
Ogni
anima che cerca il Signore sappia che è stata preceduta da colui che
l’ha cercata per primo… « Lungo la notte, ho cercato l’amato del mio
cuore » (Ct 3,1). L’anima cerca il Verbo, eppure è il Verbo ad
averla cercata per primo… Se fosse lasciata a se stessa, la nostra
anima non sarebbe altro che un soffio che se ne va a caso e non
torna più. Ascoltate i gemiti e le suppliche dell’anima che erra e
ha perso la strada : « Come pecora smarrita vado errando ; cerca il
tuo servo » (Sal 118,176). O uomo, vuoi tornare ; eppure se questo
dipendesse dalla tua sola volontà, perché chiederesti aiuto ?… È
chiaro che la nostra anima vuole tornare ma non lo può ; non è che
un soffio errando e da sola, non potrà tornare… Ma da dove gli viene
tale volontà ? Dal fatto che già il Verbo l’ha visitata e cercata.
Questa ricerca non è stata vana, poiché ha suscitato la volontà
senza la quale non c’è ritorno possibile.
Ma
non le basta essere stata cercata una volta ; l’anima è troppo
debole, e la difficoltà del ritorno è troppo grande. « C’è in me il
desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo » (Rm 7,18). Cosa
domanda l’anima, nel salmo che ho citato ? Nient’altro che essere
cercata ; infatti non cercherebbe infatti se non fosse stata
cercata, e non ricomincerebbe a cercare, se fosse stata a
sufficienza cercata.
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XXIII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI giovedì
Discorsi, 39
D’ora in poi sarai pescatore di
uomini
di San Massimo il Confessore nel settimo
secolo
Quando il Signore, seduto nella barca, dice a Pietro: “Prendi il
largo e calate le reti per la pesca”, gli consiglia non tanto di
calare gli strumenti da pesca nelle profondità delle acque, quanto
di spargere nel fondo dei cuori le parole della predicazione. San
Paolo ha penetrato in quell’abisso dei cuori, lanciando la parola:
“O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di
Dio!” (Rm 11,33)... Come la rete porta nelle sue pieghe verso la
nave i pesci che ha presi, così la fede conduce nel suo seno, verso
il riposo, tutti gli uomini che ha radunati.
Ancora per fare capire che il Signore parlava di pesca spirituale,
Pietro dice: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo
preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”... Il Verbo, la
Parola di Dio, è il Signore nostro Salvatore... Poiché Pietro lancia
la sua rete secondo il Verbo, diffonde dappertutto la sua eloquenza
secondo Cristo. Spiega le reti tessute secondo le prescrizioni del
suo maestro; lancia nel nome del Signore parole più chiare e più
efficaci che permettono di salvare, non creature senza ragione,
bensì gli uomini.
“Abbiamo faticato, dice, tutta la notte e non abbiamo preso nulla”.
Sì, Pietro aveva proprio faticato tutta la notte...; quando è sorta
la luce del Salvatore, le tenebre si sono disperse e la sua fede gli
ha permesso di distinguere, nel più profondo delle acque, ciò che i
suoi occhi non potevano vedere. Pietro ha effettivamente sofferto a
causa della notte, finché il giorno che è Cristo non è venuto in suo
soccorso. Questo fa dire all’apostolo Paolo: “La notte è avanzata,
il giorno è vicino” (Rm 13,12).
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XXIII°
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VESPRI giovedì
Discorso 43,
5-6 ; CCL 41, 510-511
(Nuova
Biblioteca Agostiniana)
1929
Non temere, d’ora in poi sarai
pescatore di uomini
Sant’Agostino
nel quinto secolo
Quanta fu la
degnazione di Cristo! Questo Pietro che parla così era stato un
pescatore; ma adesso gran lode merita ogni oratore che riesca a
comprendere il pescatore. Al riguardo, parlando ai primi cristiani,
diceva l'apostolo Paolo: “Considerate la vostra chiamata, o
fratelli. In mezzo a voi non ci sono molti sapienti secondo la
carne, né molti potenti, né molti nobili. Ma Iddio ha scelto le cose
deboli del mondo per confondere le forti, e le cose stolte del mondo
ha scelto Dio per confondere i sapienti, e le cose ignobili e
disprezzate del mondo ha scelto Dio, e quelle che non sono, quasi
che fossero, per ridurre al nulla quelle che sono”(1 Cor 1, 26-28).
Se infatti
Cristo avesse scelto per primo il retore, questo retore avrebbe
detto: “Sono stato scelto in grazia della mia eloquenza”. Se avesse
scelto il senatore, il senatore avrebbe detto: “Sono stato scelto
per la mia dignità”. In fine, se avesse scelto l'imperatore,
l'imperatore avrebbe detto: “Sono stato scelto in vista del mio
potere”. Stiano dunque calmi tutti costoro e si lascino rimandare a
dopo! Stiano calmi! Non saranno scartati né disprezzati ma solo
posti in seconda linea, in quanto potrebbero in se stessi trovare
come gloriarsi di se stessi.
Dammi, dice
Cristo, quel pescatore, dammi quell'illetterato, quell'ignorante;
dammi quel tale con cui il senatore non si degna di parlare neppure
quando compra il pesce. Dammi quello, dice. Se riempirò un uomo come
questo, sarà palese che sono io a farlo. Anche il senatore – è vero
– e il retore e l'imperatore io renderò miei discepoli..., ma è più
convincente l'aver io agito nel pescatore. Il senatore potrebbe
gloriarsi di se stesso, e così il retore e l'imperatore, mentre il
pescatore non potrà gloriarsi se non di Cristo. Venga dunque il
pescatore e questo sia per dare una lezione di umiltà salutare.
Venga per primo il pescatore.
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LODI venerdì
Conferenze
Potete far digiunare gli invitati a nozze, mentre lo Sposo è con
loro?
di
San Giovanni Cassiano nel quinto secolo
Avevamo
lasciato la Siria per la Provincia d’Egitto, con il desiderio di
imparare i principi dei monaci anziani, e ci meravigliavamo della
grande cordialità con la quale eravamo accolti. Contrariamente a
quel che ci era stato insegnato nei monasteri di Palestina, non si
osservava quella regola di aspettare l’ora fissata per il pranzo,
ma, eccetto il mercoledì e il venerdì, dovunque andassimo, si
rompeva il digiuno. Uno degli antichi a cui domandavamo perché, da
loro, si omettessero così facilmente i digiuni quotidiani, ci
rispose : « Il digiuno è sempre con me. Voi, invece, che fra poco
congederò, non potrò tenervi sempre con me. E il digiuno, benché
utile e necessario, è tuttavia l’offerta di un dono volontario,
mentre il compimento dell’opera della carità è l’esigenza assoluta
del precetto. Perciò, accogliendo in voi Cristo, devo ristorarlo e,
dopo avervi congedato, potrò compensare in me, con un digiuno più
rigoroso, l’umanità che vi ho manifestata per riguardo a Cristo.
Infatti, « gli amici dello Sposo non possono digiunare mentre lo
Sposo è con loro », ma quando si sarà allontanato, allora potranno
farlo.
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XXIII°
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VESPRI venerdì
Commento al
vangelo di Matteo, 10, 22 ; CCM 56 B, 1072-1073
Cristo Sposo
di
San Pascasio Radberto nel nono secolo
Un’unione strana e straordinaria ebbe luogo quando « il Verbo si
fece carne » nel seno della Vergine e « venne ad abitare in mezzo a
noi » (Gv 1,14). Come tutti gli eletti sono risuscitati in Cristo
quando egli risuscitò, così queste nozze sono state celebrate in lui
e la Chiesa è stata unita allo Sposo mediante i legami del
matrimonio, quando l’uomo-Dio ricevette in pienezza i doni dello
Spirito Santo e tutta la divinità venne ad abitare nel suo corpo…
Cristo è divenuto uomo per mezzo dello Spirito Santo e, in quanto
Sposo, è uscito dal seno della Vergine, che infatti fu la sua stanza
nuziale. E la Chiesa, nel rinascere dall’acqua per mezzo dello
stesso Spirito, diviene un solo corpo in Cristo, sicché i due « sono
una carne sola » (Mt 19,5) il che, « in riferimento a Cristo e alla
Chiesa, è un grande mistero » (Ef 5,31).
Questo matrimonio dura fin dall’inizio dell’incarnazione di Cristo
fino al momento in cui Cristo tornerà e tutti i riti dell’unione
nuziale saranno compiuti. Allora, coloro che saranno pronti e
avranno compiuto come conviene le condizioni di una tale unione,
entreranno con lui, pieni di rispetto, alle nozze eterne (Mt 25,10).
Nell’attesa, la sposa promessa a Cristo cammina verso il suo Sposo,
e custodisce l’alleanza con lui ogni giorno nella fede e nella
tenerezza, finché egli venga.
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XXIII°
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LODI sabato
Le testimonianze della Risurrezione
di San Leone Magno nel V secolo
La
risurrezione del Salvatore non lasciò a lungo l’anima nell’inferno,
né la carne nel sepolcro. Fu molto celere la vivificazione della
carne incorrotta, come se ivi un sopore anziché la morte fosse
intervenuto; la divinità, che non si era allontanata dalla, natura
dell’uomo assunto, con propria potestà ricongiunse quel che per
propria potestà aveva separato.
Molte
testimonianze seguirono per fondare l’autorità della fede che doveva
essere predicata in tutto il mondo. Il ribaltamento della pietra, il
sepolcro trovato vuoto, i panni ben disposti e gli angeli che
raccontarono tutto il fatto, documentano con certezza e con
abbondanza la verità della risurrezione del Signore.
Egli
con queste testimonianze aveva lo scopo di far conoscere che in lui
le proprietà della natura divina e quelle della natura umana
persistono inseparabilmente, e inoltre di farci certi che il Verbo
non è la stessa cosa che la carne pur professando che l’unico Figlio
di Dio è Verbo e carne.
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XXIII°
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PRIMI VESPRI sabato
Conferenze
3, 6-7; CSEL 13/2, 73-75
Rinunciare a tutti i propri averi
di
Giovanni Cassiano nel quinto secolo
Ora
dobbiamo parlare delle rinunzie, che secondo la tradizione dei Padri
e come afferma l’autorità della sacra Scrittura son tre... Con la
prima disprezziamo tutte le ricchezze e i beni materiali del mondo,
con la seconda rinneghiamo le consuetudini passate, vizi e passioni
dell’anima e della carne; la terza consiste nel distogliere la
nostra anima da tutte le cose presenti e visibili, per contemplare e
desiderare soltanto i beni futuri e invisibili. E tutte e tre queste
rinunzie devono essere attuate contemporaneamente, come leggiamo che
ordinò il Signore ad Abramo dicendogli: “Esci dalla tua terra e
dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre” (Gen 12,1).
Prima
disse: “dalla tua terra”, cioè rinuncia ai beni di questo mondo e
alle ricchezze terrene; in secondo luogo: “dalla tua parentela”,
rinuncia cioè al modo di vivere, alle consuetudini e ai vizi del
passato, che fin dalla nascita aderiscono a noi come se ci fossero
affini e consanguinei; in terzo luogo: “dalla casa di tuo padre”,
cioè distogli lo sguardo da ogni ricordo di questo mondo che hai
sotto gli occhi...
Fissiamo lo
sguardo, come dice l’apostolo Paolo, “non sulle cose visibili ma su
quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle
invisibili sono eterne” (2 Cor 4,18)...“La nostra patria è nei
cieli” (Fil 3,20)... Così, usciti dalla casa paterna, volgeremo
tutto lo sguardo dell’anima ai beni celesti... Allora la nostra
mente, purificata da ogni attacco e abitudine terrena
dall’incessante meditazione delle divine Scritture e da pensieri
spirituali, si trasferirà al mondo invisibile.
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XXIV°
settimana Tempo Ordinario -
UR Domenica
Ecco io sono
con voi tutti giorni fino alla fine del mondo
di sant' Ireneo
di Lione nel secondo secolo
Il Signore concedendo ai discepoli il potere di far nascere gli
uomini in Dio, diceva loro: «Andate, ammaestrate tutte le nazioni,
battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo»
(Mt 28, 19).
E' questo lo Spirito che, per mezzo dei profeti, il Signore promise
di effondere negli ultimi tempi sui suoi servi e sulle sue serve,
perché ricevessero il dono della profezia. Perciò esso discese anche
sul Figlio di Dio, divenuto figlio dell'uomo, abituandosi con lui a
dimorare nel genere umano, a riposare tra gli uomini e ad abitare
nelle creature di Dio, operando in essi la volontà del Padre e
rinnovandoli dall'uomo vecchio alla novità di Cristo.
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XXIV°
settimana Tempo Ordinario - VESPRI - Domenica
Omelia,
10-12 ; PG 88, 1860-1866
« Venite a vedere il luogo dove era
deposto »
San Giovanni
Crisostomo nel quarto secolo
« Venite a vedere il luogo dove era deposto » (Mt 28,6)… Venite a
vedere il luogo dove è stato redatto l’atto che garantisce la vostra
risurrezione. Venite a vedere il luogo dove la morte è stata
sepolta. Venite a vedere il luogo dove un corpo, chicco di grano non
seminato da mano d’uomo, ha prodotto una moltitudine di spighe per
l’immortalità… « Andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in
Galilea e là mi vedranno. Annunziate ai miei discepoli i misteri che
avete contemplati. »
Questo ha detto il Signore alle donne. E anche ora, sulla riva della
piscina battesimale, sta, invisibile, vicino ai credenti, abbraccia
i neobattezzati come amici e fratelli… Colma i loro cuori e le loro
anime di esultanza e di gloria. Lava le loro macchie nelle fonti
della sua grazia. Unge col profumo dello Spirito coloro che sono
stati rigenerati. Il Signore diviene colui che li nutre e diviene
loro cibo. Procura ai suoi servi la loro parte del cibo spirituale.
Dice a tutti i fedeli : « Prendete, mangiate il pane del cielo,
ricevete la fonte che zampilla dal mio costato, alla quale sempre si
può attingere, senza mai inaridirla. Voi che avete fame, saziatevi ;
voi che avete sete, inebriatevi del vino sobrio e salutare. »
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XXIV°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Martedì
Tradotto per
la liturgia da "Evangeliques - 5 - fêtes
Pierre-Marie-Delfieux
Ed.
Saint-Paul 1999 - France p. 450
Beato colui
che partecipa alla prima Resurrezione
del Beato
Guerrico D'Igny
nel dodicesimo secolo
"Beato
colui che partecipa alla prima resurrezione".
Poiché se, di fatto, "il Cristo è primizia di coloro che si sono
addormentati, primogenito tra i morti; la sua Risurrezione inaugura
la nostra, quella delle anime e quella dei corpi. Nel suo corpo che
Egli ha risuscitato dai morti, ha procurato alle anime il sacramento
della risurrezione e ai corpi il modello secondo il quale
risorgeranno.
O
anima mia, ascolta dunque il Cristo dire oggi:
"Mi sono addormentato ed eccomi risvegliato!
Tu, dunque, tu che dormi, alzati, risuscita dai morti
e Cristo ti illuminerà". Vegliate, dunque fratelli! Vegliate,
tanto più che si è già levata per voi l'aurora del giorno
senza tramonto. Vegliate
perché la Luce del mattino, il Cristo, si alzò su di voi
pronto a rinnovare il mistero della Risurrezione mattinale
per coloro che vegliano.
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XXIV°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI martedì
Commento sul
vangelo di Luca, V, 89 ; SC 45, 214
La madre
ritrova suo figlio
di Sant’Ambrogio
nel quarto secolo
La divina misericordia si è lasciata persuadere velocemente
dai gemiti di quella madre. Lei è vedova; le sofferenze o la morte
del suo unico figlio l’hanno spezzata... Mi sembra che quella
vedova, circondata dalla folla del popolo sia più di una
semplice donna che meriti con le
sue lacrime la risurrezione di un figlio, giovane e unico.
Lei è proprio l’immagine della santa Chiesa che, con le sue lacrime,
ottiene di richiamare in vita, in mezzo al corteo funebre e fin
quasi dentro al sepolcro, il giovane popolo del mondo...
Infatti all’udire la parola di Dio, i morti risorgono,
ritrovano la voce e la madre
ritrova suo figlio. Egli è richiamato dalla tomba, è
strappato dal sepolcro. Qual’è, per voi, questa tomba,
se non la vostra cattiva condotta?
Il vostro sepolcro è la mancanza
di fede... Da quel sepolcro,
Cristo vi libera. Uscirete dal sepolcro
se ascolterete la parola di Dio. E
se il vostro peccato è troppo grave perché possano lavarlo
le lacrime della vostra penitenza,
intervengano per voi i pianti
della vostra madre Chiesa...
Lei intercede
per ognuno dei suo figli, come altrettanti figli unici.
È infatti
piena di compassione e prova un dolore spirituale
tutto materno
quando vede i suoi figli trascinati nella morte dal peccato.
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XXIV°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Mercoledì
Tratto da:
"La Saggezza dei Padri della Chiesa. La Preghiera".
Piero
Gribaudi Ed. Srl. 2000 MILANO p. 91
Davanti a
Dio
del Beato Isacco di Ninive nel settimo
Secolo
Ricordatevi di Dio, affinché in ogni istante egli si ricordi di voi.
Se si ricorda di voi, vi concederà salvezza.
Non
dimenticatelo, lasciandovi sedurre da distrazioni vane. Volete forse
che vi dimentichi nei momenti delle vostre tentazioni?
Rimanetegli
vicini e obbedienti nei giorni della prosperità. Potrete contare
sulla sua parola nei giorni difficili, perché la preghiera vi
renderà sicuri della sua presenza costante.
Rimanete
incessantemente dinanzi al suo volto, pensatelo,
custoditelo nel vostro cuore. Se
lo incontrate solo di tanto in tanto rischiate di perdere la
vostra intimità con lui.
La familiarità
tra gli uomini avviene mediante la presenza fisica. La familiarità
con Dio, invece, consiste nella meditazione e nell'abbandono
in lui durante la preghiera.
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XXIV°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Mercoledì
dalla
"Lettera ai monaci benedettini di Cervaie" Lett. 189
Tratto
dall'Ora dell'Ascolto pp. 2394-2395
Lo Spirito Santo guida alla vera
obbedienza
di
Santa Caterina da Siena
nel quattordicesimo secolo
Il dolce e buon
Dio ha posto nell'uomo, mentre vive nel carcere corruttibile del suo
corpo, un continuo rimedio che fortifica la ragione e la libertà
dell'uomo, cioè la continua medicina del fuoco dello Spirito Santo,
che non gli è mai tolto. Adopera anche continuamente la grazia e i
doni suoi. Così ogni giorno tu puoi e devi adoperare questo
battesimo dolce, che ti è dato per grazia e non per debito.
Quando dunque
l'anima vede in sé tanta eccellenza e fuoco di
Spirito Santo, si inebria per siffato modo dell'amore del suo Creatore,
che perde tutta se stessa, e vivendo vive morta, e non sente in sé
amore né piacere di creatura.
Infatti la
memoria è già piena dell'affetto del suo Creatore, e l'intelletto
non intende né vede nessuna cosa fuori di Dio. A questa perfezione,
carissimi fratelli, voi siete invitati e tratti dallo Spirito Santo,
dallo stato del secolo allo stato monastico; e siete legati con la
guida della vera e santa obbedienza, condotti a mangiare favi di
miele nel giardino della santa Chiesa.
Vi prego dunque
di non mai volgere il capo all'indietro per qualsiasi fatica o
tentazione; e non soggiaccia mai a tristezza o confusione l'anima
vostra.
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XXIV°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Giovedì
Omelie
anonime sulla peccatrice, 1, 4.5.19.26.28
« Le sono
perdonati i suoi molti peccati »
Un autore
siriaco anonimo del sesto secolo
L’amore di Dio, uscito in cerca dei peccatori, ci viene proclamato
da una donna peccatrice. Perché chiamando lei, Cristo chiamava
all’amore la nostra razza tutta intera ; e nella sua persona,
attirava al suo perdono tutti i peccatori. Parlava a lei, ma
invitava alla sua grazia la creazione tutta intera…
Chi
non potrebbe essere raggiunto dalla misericordia di Cristo, se lui,
per salvare una peccatrice, accettò l’invito di un fariseo ? A causa
di quella donna affamata di perdono, vuole in prima persona avere
fame della mensa di Simone il fariseo, mentre sotto le apparenze di
una mensa di pane, aveva preparato, per la peccatrice, la mensa del
pentimento… Affinché tu possa partecipare alla stessa mensa, divieni
consapevole che il tuo peccato è grande ; però disperare del perdono
perché il tuo peccato ti sembra troppo grande, è bestemmiare contro
Dio e fa torto a te stesso. Perché se Dio ha promesso di perdonare i
tuoi peccati per quanto numerosi fossero, gli dirai forse che non
puoi crederlo dichiarandogli : « Il mio peccato è troppo grande
perché tu lo perdoni. Non puoi guarirmi dalle mie malattie » ?
Smettila e grida con il profeta : « Ho peccato contro di te,
Signore » (2 Sam 12, 13).
Subito ti risponderà : « Io ho perdonato il tuo peccato ; tu non
morirai ». A lui sia la gloria, da noi tutti per i secoli.
Amen.
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XXIV°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Giovedì
Inno 21 ;
SC 114, 25
« Le sono
perdonati i suoi molti peccati »
San Romano il
Melode nel sesto secolo
Quando vide le parole di Cristo diffondersi dappertutto come degli
aromi, la peccatrice... si mise ad odiare il fetore dei suoi atti...
: “Non ho considerato la misericordia con la quale Cristo mi
circonda, cercando me che mi smarrisco per colpa mia. Infatti mi
cerca, dappertutto; per me, mangia dal fariseo, colui che nutre il
mondo intero. Del tavolo fa un altare per il sacrificio in cui offre
se stesso, condonando il debito ai suoi debitori perché essi si
avvicinino con fiducia dicendo: ‘Signore, liberami dall’abisso delle
mie opere ”.
Avidamente, lei vi corre e, lasciando le briciole, ha afferrato il
pane; più affamata della Cananea
(Mc 7,24),
ha saziato la sua anima vuota, perché aveva una fede grande quanto
la sua. Non il suo grido l’ha riscattata, bensì il suo silenzio,
quando ha detto in un singhiozzo: ‘Signore, liberami dall’abisso
delle mie opere’...
Si è
affrettata verso la casa del fariseo, precipitandosi nella
penitenza. “Sù anima mia, disse, ecco il tempo che chiedevi! È qui
Colui che purifica, perché rimani nell’abisso delle tue opere? Io
vado a lui, perché per me egli è venuto. Lascio i miei amici di
prima, perché desidero appassionatamente colui che è qui oggi; e
poiché egli mi ama, a lui il mio olio profumato e le mie lacrime. Il
desiderio del Desiderato mi trasfigura e amo colui che mi ama come
vuole essere amato. Mi pento e mi prosterno, questo egli attende;
cerco il silenzio e il ritiro, questo gli piace. Rompo con il
passato; rinuncio all’abisso delle mie opere.
“Andrò a lui e sarò raggiante, come dice la Scrittura, mi avvicinerò
a lui e non sarò confusa” (Sal
33,6; 1Pt 2,6). Non mi farà
rimproveri; non mi dirà : ‘Fin ora eri nelle tenebre e sei venuta a
vedere me, il sole’. Per questo prenderò l’olio profumato e farò
della casa del fariseo un battistero dove laverò le mie colpe, dove
mi purificherò dal mio peccato. Di lacrime, di olio e di profumo
riempirò la vasca battesimale dove mi laverò, dove mi purificherò, e
sfuggirò dall’abisso delle mie opere.
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XXIV°
settimana Tempo Ordinario
- LODI venerdì
Libro di Vita di Gerusalemme
Capitolo Castità - paragrafo.
86
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XXIV°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Venerdì
Lc 8, 1-3
Mulieris
Dignitatem, § 27
« C’erano
con lui i Dodici e alcune donne »
di Papa
Giovanni Paolo II
Nella
storia della Chiesa, sin dai primi tempi c'erano - accanto agli
uomini - numerose donne, per le quali la risposta della Sposa
all'amore redentore dello Sposo assumeva piena forza espressiva.
Come prime vediamo quelle donne, che personalmente avevano
incontrato Cristo, l'avevano seguito e, dopo la sua dipartita,
insieme con gli apostoli « erano assidue nella preghiera »
(At 1,14) nel cenacolo di
Gerusalemme sino al giorno di Pentecoste. In quel giorno lo Spirito
Santo parlò per mezzo di « figli e figlie » del Popolo di Dio…
(At 2,17 ; Gl 3,1).
Quelle donne, ed in seguito
altre ancora, ebbero parte attiva ed importante nella vita della
Chiesa primitiva, nell'edificare sin dalle fondamenta la prima
comunità cristiana - e le comunità successive - mediante i propri
carismi e il loro multiforme servizio… L'apostolo parla delle loro
« fatiche » per Cristo, e queste indicano i vari campi del servizio
apostolico della Chiesa, iniziando dalla « chiesa domestica ». In
essa, infatti, la « fede schietta » passa dalla madre nei figli e
nei nipoti, come appunto si verificò nella casa di Timoteo (2
Tm 1, 5).
Lo stesso si
ripete nel corso dei secoli, di generazione in generazione, come
dimostra la storia della Chiesa. La Chiesa, infatti, difendendo la
dignità della donna e la sua vocazione, ha espresso onore e
gratitudine per coloro che - fedeli al Vangelo - in ogni tempo hanno
partecipato alla missione apostolica di tutto il Popolo di Dio. Si
tratta di sante martiri, di vergini, di madri di famiglia, che
coraggiosamente hanno testimoniato la loro fede ed educando i propri
figli nello spirito del Vangelo hanno trasmesso la fede e la
tradizione della Chiesa… Anche in presenza di gravi discriminazioni
sociali le donne sante hanno agito in «modo libero», fortificate
dalla loro unione con Cristo…
Anche ai
nostri giorni la Chiesa non cessa di arricchirsi della testimonianza
delle numerose donne che realizzano la loro vocazione alla santità.
Le donne sante sono una incarnazione dell'ideale femminile, ma sono
anche un modello per tutti i cristiani, un modello di « sequela
Christi », un esempio di come la Sposa deve rispondere con l'amore
all'amore dello Sposo.
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XXIV°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Sabato
Lc 8, 4-15
Breviloquio Prologo, 2-5
(In l' Ora dell'Ascolto p. 958)
« Il seme è
la parola di Dio »
San
Bonaventura nel tredicesimo secolo
L’origine della Sacra Scrittura non è frutto della ricerca umana, ma
di rivelazione divina, che promana dal “Padre della luce”, “dal
quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome” (Gc
1,17; Ef 3,15). Dal Padre, per mezzo
del Figlio suo Gesù Cristo, discende in noi lo Spirito Santo. Per
mezzo dello Spirito Santo poi, che divide e distribuisce i suoi doni
ai singoli secondo il suo beneplacito (Eb 2,4),
ci viene data la fede, e “per mezzo della fede Cristo abita nei
nostri cuori” (Ef 3,17).
Questa è la conoscenza di Gesù Cristo, da cui hanno origine, come da
una fonte, la sicurezza e l’intelligenza della verità, contenuta in
tutta la Sacra Scrittura. Perciò è impossibile che uno vi si possa
addentrare e conoscerla, se prima non abbia la fede che è lucerna,
porta e fondamento di tutta la Sacra Scrittura...
Lo
scopo, o meglio, il frutto della Sacra Scrittura non è uno
qualsiasi, ma addirittura la pienezza della felicità eterna. Infatti
la Sacra Scrittura è appunto il libro nel quale sono scritte “parole
di vita eterna” (Gv 6,68),
perché non solo crediamo, ma anche possediamo la vita eterna, in cui
vedremo, ameremo e saranno colmati tutti i nostri desideri. Solo
allora conosceremo “l’amore che sorpassa ogni conoscenza” e così
saremo “ricolmi di tuttta la pienezza di Dio” (Ef 3,19).
Ora la divina Scrittura cerca di introdurci in questa pienezza,
proprio secondo quanto ci ha detto l’apostolo Paolo. Con questo
scopo, con questa intenzione, deve essere studiata la Sacra
Scrittura. Così va ascoltata e insegnata.
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XXIV°
settimana Tempo Ordinario -
PRIMI VESPRI
Sabato
Dal «Trattato
contro le eresie»
(Lib. IV, 20,
5-7; SC 100, 640-642. 644-648)
L'uomo vivente è gloria di
Dio
di sant' Ireneo di Lione nel secondo secolo
La gloria di Dio dà la vita;
perciò coloro che vedono Dio ricevono la vita. E per questo colui
che è inintelligibile, incomprensibile e invisibile, si rende
visibile, comprensibile e intelligibile dagli uomini, per dare la
vita a coloro che lo comprendono e vedono. E' impossibile vivere se
non si è ricevuta la vita, ma la vita non si ha che con la
partecipazione all'essere divino. Orbene tale partecipazione
consiste nel vedere Dio e godere della sua bontà.
Gli uomini dunque vedranno Dio per vivere, e verranno
resi immortali e divini in forza della visione di Dio. Questo, come
ho detto prima, era stato rivelato dai profeti in figura, che cioè
Dio sarebbe stato visto dagli uomini che portano il suo Spirito e
attendono sempre la sua venuta. Così Mosè afferma nel Deuteronomio:
Oggi abbiamo visto che Dio può parlare con l'uomo e l'uomo aver la
vita (cfr.
Dt 5, 24).
Colui che opera tutto in tutti nella sua grandezza e potenza, è
invisibile e indescrivibile a tutti gli esseri da lui creati, non
resta però sconosciuto; tutti infatti, per mezzo del suo Verbo,
imparano che il Padre è unico Dio, che contiene tutte le cose e dà a
tutte l'esistenza, come sta scritto nel vangelo: «Dio nessuno lo ha
mai visto; proprio il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre,
lui lo ha rivelato»
(Gv 1, 18).
Fin dal principio dunque il Figlio è il rivelatore del Padre, perché
fin dal principio è con il Padre e ha mostrato al genere umano nel
tempo più opportuno le visioni profetiche, la diversità dei carismi,
i ministeri e la glorificazione del Padre secondo un disegno tutto
ordine e armonia. E dove c'è ordine c'è anche armonia, e dove c'è
armonia c'è anche tempo giusto, e dove c'è tempo giusto c'è anche
beneficio.
Per questo il Verbo si è fatto dispensatore della
grazia del Padre per l'utilità degli uomini, in favore dei quali ha
ordinato tutta l'«economia» della salvezza, mostrando Dio agli
uomini e presentando l'uomo a Dio. Ha salvaguardato però
l'invisibilità del Padre, perché l'uomo non disprezzi Dio e abbia
sempre qualcosa a cui tendere. Al tempo stesso ha reso visibile Dio
agli uomini con molti interventi provvidenziali, perché l'uomo non
venisse privato completamente di Dio, e cadesse così nel suo nulla,
perché l'uomo vivente è gloria di Dio e vita dell'uomo è la visione
di Dio. Se infatti la rivelazione di Dio attraverso il creato dà la
vita a tutti gli esseri che si trovano sulla terra, molto più la
rivelazione del Padre che avviene tramite il Verbo è causa di vita
per coloro che vedono Dio.
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XXV°
settimana Tempo Ordinario -
UR
Domenica
Dal «Commento
sulla seconda lettera ai Corinzi»
(Cap. 5, 5 - 6;
PG 74, 942-943)
Dio ci ha
riconciliati per mezzo di Cristo
di san Cirillo
di Alessandria nel quinto secolo
Chi ha il pegno dello Spirito e possiede la speranza della
risurrezione, tiene come già presente ciò che aspetta e quindi può
dire con ragione di non conoscere alcuno secondo la carne, di
sentirsi, cioè, fin d'ora partecipe della condizione del Cristo
glorioso. Ciò vale per tutti noi che siamo spirituali ed estranei
alla corruzione della carne. Infatti, brillando a noi l'Unigenito,
siamo trasformati nel Verbo stesso che tutto vivifica. Quando
regnava il peccato eravamo tutti vincolati dalle catene della morte.
Ora che è subentrata al peccato la giustizia di Cristo, ci siamo
liberati dall'antico stato di decadenza.
Quando diciamo che nessuno è più nella carne intendiamo
riferirci a quella condizione connaturale alla creatura umana che
comprende, fra l'altro, la particolare caducità propria dei corpi.
Vi fa cenno san Paolo quando dice: «Infatti anche se abbiamo
conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così»
(2 Cor 5, 16).
In altre parole: «Il Verbo si fece
carne e venne ad abitare in mezzo a noi»
(Gv 1, 14),
e per la vita di noi tutti accettò la morte del corpo. La nostra
fede prima ce lo fa conoscere morto, poi però non più morto, ma
vivo; vivo con il corpo risuscitato al terzo giorno; vivo presso il
Padre ormai in una condizione superiore a quella connaturale ai
corpi che vivono sulla terra. Morto infatti una volta sola non muore
più, la morte non ha più alcun potere su di lui. Per quanto riguarda
la sua morte egli morì al peccato una volta per tutte; ora invece
per il fatto che egli vive, vive per Dio
(cfr. Rm 6, 8-9).
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XXV°
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VESPRI
Domenica
.
Mt 20, 1-16
Omelie sul Vangelo di Matteo, 64
« Andate
anche voi nella mia vigna »
di San
Giovanni Crisostomo nel quarto secolo
È
chiarissimo che questa parabola si rivolge nello stesso tempo a
coloro che sono stati virtuosi fin dalla giovinezza e a coloro che
lo sono diventati soltanto nella vecchiaia : ai primi, nello scopo
di preservarli dalla superbia e di impedire loro di rimproverare
quelli delle cinque del pomeriggio ; ai secondi per insegnare loro
che possono meritare la stessa paga in un breve tempo. Il Salvatore
aveva appena parlato della rinuncia alle ricchezze, del disprezzo di
tutti i beni, di virtù cioè che chiedono cuore e coraggio. C’era
bisogno per questo dell’ardore e dell’energia di un’anima giovanile.
Il Signore quindi riaccende in loro la fiamma della carità, rafforza
i loro sentimenti e mostra loro che persino coloro che sono arrivati
per ultimi ricevono la paga di tutta la giornata…
Tutte
le parabole di Gesù, quelle delle vergini, della rete, delle spine,
dell’albero sterile, ci invitano a dare prova della nostra virtù
nelle nostre azioni. Egli parla poco dei dogmi, perché essi chiedono
poco fatica. Invece parla sovente della vita, anzi ne parla sempre,
perché essendo la vita un combattimento continuo, anche la fatica ne
è continua.
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XXV°
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LODI
Martedì
Lc 8, 19-21
La santa
verginità, 5
(Nuova
Biblioteca Agostiniana)
Maria,
madre di Cristo, madre della Chiesa
Sant’Agostino nel quinto secolo
Il
parto di quella Vergine singolare e santa è la gloria di tutte le
sante vergini: esse sono, in Maria, madri del Cristo, a condizione
però che facciano la volontà del Padre. È infatti a questo titolo
che Maria è madre di Cristo in senso più encomiabile e felice,
secondo la parola evangelica sopra ricordata: « Chi fa la volontà
del Padre mio, che è nei cieli, costui mi è fratello e sorella e
madre » (Mt 12,50).
Elenca tutti
questi vincoli di parentela, ma, trattandosi del popolo dei redenti,
li presenta elevati all'ordine soprannaturale, cioè riferiti a se
stesso. Egli ritiene per fratelli e sorelle i santi e le sante con i
quali condivide l'eredità celeste. Sua madre è la Chiesa universale,
in quanto, mediante la grazia divina, genera le sue membra, cioè i
suoi fedeli. Inoltre, di ogni anima devota si può dire che essa è
madre di Cristo, nel senso che, facendo la volontà del Padre,
mediante la carità - che è virtù fecondissima - dà la vita a tutti
coloro in cui imprime la forma di Cristo (Gal 4,19)…
Maria è senza
alcun dubbio madre delle sue membra, che siamo noi, nel senso che ha
cooperato mediante l'amore a generare alla Chiesa dei fedeli, che
formano le membra di quel capo. Per quanto invece concerne il suo
corpo, essa è la madre proprio del capo.
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XXV°
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VESPRI
Martedì
Lc 8,19-21
Opusculi de
pietà, 39
« Mia madre e miei fratelli sono
coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica »
Cardinal Pierre de
Bérulle nel sedicesimo secolo
La
sorte della Vergine in quel santo tempo è di restare in silenzio : è
il suo stato, è la sua vita. La sua vita è una vita di silenzio che
adora la Parola eterna. Vedendo davanti ai suoi occhi, nel suo seno,
nelle sue braccia quella stessa Parola, la Parola sostanziale del
Padre, essere muta e ridotta al silenzio dallo stato della sua
infanzia, Maria viene trasformata sull’esempio del Verbo incarnato
che è suo Figlio, il suo Dio e il suo unico amore. La sua vita
trascorre così, da silenzio di adorazione in silenzio di
trasformazione ; il suo spirito e i suoi sensi cospirano insieme a
formare in lei questa vita di silenzio.
Eppure un personaggio così grande, così presente e che le è così
proprio sarebbe molto degno delle sue parole, delle sue lodi ! … Chi
conosce meglio di Maria lo stato, la grandezza, le umiliazioni di
Gesù, lui che ha riposato in lei durante nove mesi, che ha preso da
lei quel piccolo corpo che copre lo splendore della Divinità, come
un velo che ci nasconde il vero santuario ? Chi parlerebbe più
degnamente, più divinamente di cose così grandi, così divine di lei
che è la Madre del Verbo eterno, in cui e per cui tutte queste cose
sono state compiute…
Pur
tuttavia sta in silenzio, rapita dal silenzio di suo Figlio Gesù !
Questo silenzio della Vergine non è certo un silenzio di impotenza ;
è un silenzio di luce e di rapimento, più eloquente, nella lode di
Gesù, dell’eloquenza stessa. È un effetto divino nell’ordine della
grazia, operato dal silenzio di Gesù che imprime questo effetto in
sua Madre, assorbendo nella sua Divinità ogni parola e ogni pensiero
della sua creatura. Perciò è mirabile vedere che mentre tutti
parlano, Maria non parla.
Ascolta. Riceve, offre e
dona suo figlio in silenzio !
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LODI
Mercoledì
Redemptoris
missio, §30
« Li mandò ad annunziare il regno
di Dio »
di Papa Giovanni
Paolo II
Il nostro
tempo, con l'umanità in movimento e in ricerca, esige un rinnovato
impulso nell'attività missionaria della chiesa. Gli orizzonti e le
possibilità della missione si allargano, e noi cristiani siamo
sollecitati al coraggio apostolico, fondato sulla fiducia nello
Spirito. E lui il protagonista della missione!
Sono numerose
nella storia dell'umanità le svolte epocali che stimolano il
dinamismo missionario, e la chiesa, guidata dallo Spirito, vi ha
sempre risposto con generosità e lungimiranza. Né i frutti sono
mancati. È stato celebrato... il millennio dell'evangelizzazione
della Russia e dei popoli slavi, e... il cinquecentesimo
anniversario dell'evangelizzazione delle Americhe. Parimenti, sono
stati di recente commemorati i centenari delle prime missioni in
diversi paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'Oceania. Oggi la Chiesa
deve affrontare altre sfide, proiettandosi verso nuove frontiere sia
nella prima missione “ad gentes” sia nella nuova evangelizzazione di
popoli che hanno già ricevuto l'annuncio di Cristo. Oggi a tutti i
cristiani, alle Chiese particolari e alla Chiesa universale sono
richiesti lo stesso coraggio che mosse i missionari del passato e la
stessa disponibilità ad ascoltare la voce dello Spirito.
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VESPRI
Mercoledì
Omelie sulla
prima lettera ai Corinzi (PG 61, 34-36)
(In l'Ora
dell'Ascolto p. 2559)
« Con la
bocca dei bimbi e dei lattanti » (Sal 8,3)
San Giovanni
Crisostomo nel quarto secolo
La croce ha
esercitato la sua forza di attrazione su tutta la terra e lo ha
fatto non servendosi di mezzi umanamente imponenti, ma dell’apporto
di uomini poco dotati. Il discorso della croce non è fatto di parole
vuote, ma di Dio, della vera religione, dell’ideale evangelico nella
sua genuinità, del giudizio futuro. Fu questa dottrina che cambiò
gli illetterati in dotti. Dai mezzi usati da Dio si vede come « la
stoltezza di Dio sia più saggia della sapienza degli uomini, e come
la sua debolezza sia più forte della fortezza umana » (1 Cor 1, 25).
In
che senso più forte ? Nel senso che la croce, nonostante gli uomini,
si è affermata su tutto l’universo e ha attirato a sè tutti gli
uomini. Molti hanno tentato di sopprimere il nome del Crocifisso, ma
hanno ottenuto l’effetto contrario. Questo nome rifiorì sempre di
più e si sviluppò con progresso crescente. I nemici invece sono
periti e caduti in rovina. Erano vivi che facevano guerra a un
morto, e ciononostante non l’hanno potuto vincere… I filosofi, i re
e, per così dire, tutto il mondo che si perde in mille faccende, non
possono nemmeno immaginare ciò che dei pubblicani e dei pescatori
poterono fare con la grazia di Dio… Pensando a questo fatto, Paolo
esclamava : « Ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini »
(1 Cor 1, 25). Infatti come poteva venire in mente a dodici poveri
uomini, e per di più ignoranti, che avevano passato la loro vita sui
laghi e sui fiumi, di intraprendere una simile opera ?
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XXV°
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Giovedì
Lc 9, 7-9
Libro di vita
Capitolo: Preghiera
Paragrafo: 15
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XXV°
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VESPRI
Giovedì
Lc 9, 7-9
Istruzioni
1,2-4 ; PL 80, 231-232
(In l' Ora
dell'Ascolto p. 1680)
«
Erode cercava di vedere Gesù »
San Colombano nel
sesto secolo
Dio è dappertutto;
egli è immenso e dovunque presente, secondo quanto egli ha detto di
se stesso: Io sono un Dio vicino e non un Dio lontano (Ger 23,23).
Non cerchiamo dunque Dio come se stesse lontano da noi, perché lo
possiamo avere dentro di noi. Egli dimora in noi come l’anima nel
corpo, purché siamo sue membra sane, morti al peccato... “In lui,
come dice l’Apostolo, viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17,
28).
Chi
mai, dico, potrà investigare la sublime essenza di Dio, ineffabile e
incomprensibile? Chi potrà scrutare i suoi altissimi misteri? Chi
oserà dire qualcosa di colui che è il Principio eternamente
esistente di tutte le cose create? Chi potrà vantarsi di conoscere
Dio infinito, che tutto riempie di sé e tutto abbraccia, tutto
penetra e tutto trascende, tutto comprende e a tutto sfugge? Nessuno
mai lo ha visto così com’è (1 Tm 6,16). Nessuno pertanto presuma di
investigare i misteri incomprensibili di Dio: che cosa sia, come
sia, dove sia. Questi sono misteri ineffabili, inscrutabili,
impenetrabili. Devi credere questo solo, però con tutta la forza del
tuo cuore: Che Dio è così, come è sempre stato e come sempre sarà,
perché è immutabile.
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XXV°
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LODI
Venerdì
Lc 9, 18-22
Omelia :
"Padre mio, se è possibile",
PG 51,
34-35
« Le sofferenze
destinate a Cristo e le glorie che dovevano seguire» (1Pt 1,11)
San
Giovanni Crisostomo nel quarto secolo
All’avvicinarsi della sua morte, il Salvatore diceva: “Padre, è
giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo” (Gv 17, 1). Ora, la
sua gloria era la croce. Come dunque avrebbe potuto cercare di
evitare quello che, in un altro momento, sollecita? Il Vangelo ci
insegna che la sua gloria è la croce dicendo: “Non c’era ancora lo
Spirito Santo, perché Gesù non era stato ancora glorificato” (Gv
7, 39).
Il
senso di tale parola è questo: non c’era ancora la grazia, perché
Cristo non era ancora salito sulla croce per mettere fine
all’ostilità fra Dio e gli uomini. Infatti è stata la croce ad aver
riconciliato gli uomini con Dio, ad aver fatto della terra un cielo,
ad aver riunito gli uomini e gli angeli. Ha rovesciato la cittadella
della morte, distrutto il potere del demonio, liberato la terra
dall’errore, posto le fondamenta della Chiesa. La croce è la volontà
del Padre, la gloria del Figlio, l’esultanza dello Spirito Santo. È
il vanto di san Paolo : “Quanto a me, non ci sia altro vanto che
nella croce del Signore nostro Gesù Cristo” (Gal 6, 14).
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XXV°
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VESPRI
Venerdì
Lc 9, 18-22
Der Gott
Jesu Christi
« Il Figlio dell’uomo deve
soffrire molto, essere riprovato, … essere messo a morte e risorgere
il terzo giorno »
Cardinale Joseph Ratzinger ora Papa Benedetto XVI
Essere uomo significa: essere in vista della morte; essere uomo
significa: dovere morire…
Vivere, in questo mondo,
vuole dire morire. « Si è
fatto uomo » (Credo); questo significa dunque che anche Cristo è
andato alla morte. La contraddizione propria della morte dell’uomo
raggiunge in Cristo un’estrema acutezza, poiché in lui, che è in una
comunione di scambio totale col Padre, l’isolamento assoluto della
morte è pura assurdità. Inoltre, in lui la morte ha anche la sua
necessità ; infatti, il fatto di essere col Padre è all’origine
dell’incomprensione che gli uomini gli testimoniano, all’origine
della sua solitudine in mezzo alle folle. la sua condanna è stata
l’atto ultimo dell’incomprensione, del rigetto di quell’Incompreso
in una zona di silenzio.
Allo
stesso tempo, si può intravedere qualcosa della dimensione interiore
della sua morte. Nell’uomo, morire è sempre nello stesso tempo un
avvenimento biologico e spirituale. In Gesù, la distruzione dei
supporti della comunicazione rompe il suo dialogo col Padre. Dunque
quello che si rompe nella morte di Gesù Cristo è più grave che in
qualsiasi morte umana. Quello che è strappato qui, è il dialogo che
è l’asse vero del mondo intero.
Però,
così come questo dialogo lo aveva reso solitario ed era stato alla
base della mostruosità di questa sua morte, così in Cristo la
Risurrezione è già fondamentalmente presente. In essa, la nostra
condizione umana si inserisce nello scambio trinitario dell’amore
eterno. Non può mai più scomparire ; al di là della soglia della
morte, essa sorge nuovamente e ricrea la sua pienezza. Solo dunque
la Risurrezione svela il carattere ultimo, decisivo di questo
articolo della nostra fede : « Si è fatto uomo »…
Cristo è pienamente uomo ;
lo rimane per sempre. La
condizione umana è entrata, in lui, nell’essere proprio di Dio ; è
questo il frutto della sua morte.
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XXV°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Sabato
Lc 9, 43-45
Peri Archôn,
II, § 6, 2 ; PG 11, 210-211
(In l'Ora
dell'Ascolto p. 203 alt.)
«
Non comprendevano queste parole »
Origene nel terzo
secolo
Tra
tutti i miracoli e prodigi che riguardano Cristo, uno specialmente
eccede la capacità della mente umana e la riempie di stupore. La
fragilità della nostra intelligenza non riesce a comprendere e
neppure ad intuire come si debba credere che sì grande potenza della
divina maestà, lo stesso Verbo del Padre, la stessa Sapienza di Dio,
per mezzo della quale sono state create tutte le cose visibili e
invisibili (Col 1, 16), abbia potuto essere contenuta in
quell’uomo che apparve in Giudea; che la Sapienza di Dio sia entrata
nel seno di una vergine e sia nata come una piccola creatura che
vagiva e piangeva come tutti gli altri bambini. Che abbia poi potuto
provare i terrori della morte come egli stesso affermò dicendo: “La
mia anima è triste fino alla morte” (Mt 26, 38) e, infine,
che sia stato condannato alla morte più ignominiosa tra gli uomini,
anche se poi, dopo tre giorni, risuscitò...
In verità far udire ad
orecchi umani tali cose, provare ad esprimerle con le parole, supera
il linguaggio degli uomini... e probabilmente anche quello degli
angeli.
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XXV°
settimana Tempo Ordinario -
PRIMI VESPRI Sabato
Fil 2, 1-11
Cristo ci
diede l’esempio in se stesso
San Policarpo
nel secondo secolo
Chiunque non riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è un
anticristo (cfr. 1Gv 4, 3, 2 Gv 7), e colui che non riconosce
la testimonianza della croce è dal diavolo; chi poi stravolge le
parole del Signore secondo le proprie passioni e nega la
risurrezione e il giudizio, costui è primogenito di Satana.
Lasciamo dunque da parte le vane dicerie della gente e le false
dottrine, e volgiamoci all’insegnamento che ci fu trasmesso fin
dall’inizio: «Siate moderati e sobri per dedicarvi alla preghiera» (1Pt
4, 7). Perseveriamo nel digiuno e chiediamo con suppliche a Dio
che tutto vede, di «non indurci in tentazione» (Mt 6, 13),
perché, come disse il Signore, «lo Spirito è pronto, ma la carne è
debole» (Mt 26, 41).
Restiamo saldamente ancorati alla nostra speranza e al pegno della
nostra giustizia, Gesù Cristo, che «portò i nostri peccati nel suo
corpo sul legno della croce. Egli non commise peccato e non si trovò
inganno sulla sua bocca» (1 Pt 2, 24. 22). Ma per noi
sopportò ogni cosa perché vivessimo in lui. Siamo dunque imitatori
della sua pazienza e se dovessimo soffrire per il suo nome,
rendiamogli gloria. Questo è l’esempio che egli ci diede in se
stesso, e noi vi abbiamo creduto.
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XXVI°
settimana Tempo Ordinario - UR
Domenica
Lo
riconobbero quando spezzo il pane
San Gregorio
Magno nel sesto secolo
Avete
sentito che il Signore apparve lungo la via ai due discepoli che
ancora non credevano ma parlavano di lui, senza però presentarsi a
loro con un aspetto tale da essere riconosciuto. Egli si comportò
esteriormente, agli occhi del corpo, quale egli era per loro agli
occhi dell’anima. Essi infatti nel loro intimo amavano e dubitavano
e il Signore era per loro esternamente presente ma non si svelava.
Mentre parlavano di lui, lo vedevano presente, ma in quanto
restavano nel dubbio non era loro concesso di riconoscerlo. Si mise
a parlare con loro e ne rimproverò l’ostinazione della mente; svelò
i misteri della sacra Scrittura che si riferivano a lui e tuttavia,
siccome nel loro cuore egli era come un pellegrino a cui non si dà
fede, finse di andare lontano. Tale si presentò loro nell’aspetto
quale era nella loro mente.
Dovevano dar prova di poterlo amare almeno come un pellegrino, se
ancora non lo amavano come Dio. Ma siccome non potevano essere
estranei alla carità essi con i quali camminava la Verità, gli
offrirono ospitalità, se sta scritto: “lo costrinsero” (Lc 24, 29)?
Da questo fatto dobbiamo imparare che non basta invitare i
pellegrini, ma bisogna affettuosamente forzarli.
Quelli
preparano la mensa, offrono il pane e i cibi, e riconoscono il
Signore nel gesto del pane spezzato, mentre non erano riusciti a
riconoscerlo quando spiegava le Scritture. Non furono illuminati
ascoltando gli insegnamenti divini, ma quando li attuarono. Chi
dunque desidera apprendere le cose udite, si affretti ad attuare
nella vita ciò che già è riuscito a intendere.
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XXVI°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Domenica
Mt 21, 28-32
Dal libro «Quale ricco si salverà?»
Città Nuova
La vera
penitenza è non ricadere di nuovo nelle stesse colpe
di Clemente
di Alessandrino nel secondo secolo
A chiunque di
vero cuore si converte a Dio sono aperte le porte, e il Padre
accoglie il figlio, purché sia veramente pentito, col cuore pieno di
gioia. La vera penitenza poi non è solo non ricadere di nuovo nelle
stesse colpe, ma strappare del tutto dall’anima quei peccati per i
quali ci si riconosce rei di morte. Tolti questi, Dio abiterà di
nuovo con te. Cristo dice infatti che in cielo, quando un peccatore
si converte e fa penitenza, per il Padre e gli angeli è sommo e
incomparabile gaudio. Per questo proclama: «Voglio l’amore e non il
sacrificio» (Os 6, 6); «Io non godo della morte dell’empio,
ma che l’empio desista dalla sua condotta e viva» (Ez 33, 11);
«Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto diventeranno
bianchi come neve, se fossero rossi come porpora diventeranno come
lana» (Is 1, 18).
Solo
Dio può cancellare i peccati e non imputare i delitti, poiché a noi
pure Dio comandò di perdonare ogni giorno ai fratelli pentiti. Che
se noi, pur essendo cattivi sappiamo fare del bene, quanto più il
Padre delle misericordie; il Padre buono da cui viene ogni
consolazione, pieno di misericordia e molto benigno, sa usare
un’estrema pazienza aspettando chi si converte
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XXVI°
settimana Tempo Ordinario - LODI
Martedì
Libro di Vita
di Gerusalemme
Capitolo “
Obbedienza” §110
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XXVI°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Martedì
Vita di
Sant’Antonio, 19-20
Seguire Cristo sulla via retta
di
Sant’Atanasio nel quarto secolo
Un giorno, tutti i monaci
vennero a vedere Antonio e lo pregarono di rivolgere loro la parola.
Egli disse: ... Eccoci iniziati, ecco che ci siamo incamminati sulla
via della virtù. Ora, camminiamo sempre avanti per giungere alla
meta (Fil 3,14).
Nessuno si volga indietro come la moglie di Lot
(Gen 9,26),
perché il Signore ha detto: “Nessuno che ha messo mano all’aratro e
poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio”. Volgendosi
indietro è null’altro che cambiare parola e riprendere gusto nelle
cose di questo mondo. Non temete quando sentite parlare di virtù e
non stupitevi di questa parola. Infatti la virtù non è lontano da
noi: non nasce fuori di noi; è affar nostro, e la cosa è semplice
purché lo vogliamo.
I
pagani lasciano il proprio paese e attraversano il mare per studiare
le lettere. Noi invece non abbiamo bisogno di lasciare il nostro
paese per giungere al Regno dei cieli, né di attraversare il mare
per acquistare la virtù. Infatti il Signore ha detto: “Il Regno dei
cieli è in mezzo a voi” (Lc
17,21). Quindi la virtù non
ha bisogno di nulla se non del nostro volere, poiché è in mezzo a
noi e nasce dentro di noi. Se conserveremo la parte intelligente
della nostra anima conforme alla sua natura, la virtù nascerà.
L’anima è nel suo stato naturale quando dimora così come è stata
fatta; è stata fatta bellissima e rettissima. Per questo Giosuè,
figlio di Nun, esortava il popolo dicendo: “Raddrizzate il vostro
cuore davanti il Signore, Dio di Israele”
(Gs 24,23).
E Giovanni
Battista : “Raddrizzate i suoi sentieri”
(Mt 3,3).
L’essere
diritta, per l’anima, è
custodire la sua intelligenza così come è stata creata. Al
contrario, quando devia e si svia dal suo stato naturale, allora si
parla di vizio dell’anima. La cosa non è quindi difficile... Se
dovessimo cercare la cosa fuori di noi, questa sarebbe davvero
difficile. Ma poiché essa è dentro di noi, guardiamoci dai pensieri
impuri e custodiamo la nostra anima per il Signore, come se avessimo
ricevuto un deposito, affinché egli riconosca la sua opera, trovando
la nostra anima tale quale egli l’ha fatta.
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XXVI°
settimana Tempo Ordinario -
LODI mercoledì
ESORTAZIONE ALLA VIGILANZA
di San Pier
Damiano all’XI secolo
Lo sapete bene,
fratelli, è proprio là dove resta una scintilla di fuoco che si
avvicina la paglia. Perché si dovrebbe soffiare là dove il calore si
è spento? Se io non avessi fiducia nel fatto che da voi sta per
realizzarsi un rinnovamento per grazia di Cristo, troverei superfluo
continuare ad esortarvi… Dunque, carissimi, riprendete forza con
l’aiuto di Cristo e fedeli all’impegno che avete preso con Lui,
combattete con le sue armi, non con mollezza, debolmente, ma con
fervore e audacia…
Ricordate ciò che viene
detto all’Angelo della Chiesa di Sardi: “Svegliati! Rianima e
rinvigorisci ciò che resta della tua vita e che sta per morire.
Perché non ho trovato le tue opere perfette di fronte al mio Dio!…
Poiché lo spirito umano non
può astenersi dall’amare qualche cosa, se lo si circonda con la
muraglia delle virtù, non potendosi in nessun modo dilatare
all’intorno, è necessariamente attratto al di sopra di sé. Quando il
nostro spirito comincia a riposare in tal modo nel suo Autore e a
gustare la soavità delle delizie interiori, subito vomita tutto ciò
che giudica contrario alla legge divina, aborrisce tutto ciò che
stona con la regola della giustizia celeste.
Se la parola dell’apostolo
vivesse in noi quando dice “portiamo sempre nel nostro corpo il
morire di Gesù”, nel momento in cui l’amore carnale non trovasse più
spazio per spandersi, necessariamente la nostra gioia sarebbe
trasportata e sospesa in Dio e il nostro fuoco brucerebbe ardente
perché non avrebbe più lo spazio per disperdersi.
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XXVI°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Mercoledì
Lc 9, 57-62
Vita di
Sant’Antonio, 19-20
Seguire Cristo sulla via retta
Di Sant’Atanasio
nel quarto secolo
Un giorno, tutti i monaci
vennero a vedere Antonio e lo pregarono di rivolgere loro la parola.
Egli disse: ... Eccoci iniziati, ecco che ci siamo incamminati sulla
via della virtù. Ora, camminiamo sempre avanti per giungere alla
meta (Fil 3,14).
Nessuno si volga indietro come la moglie di Lot
(Gen 9,26),
perché il Signore ha detto: “Nessuno che ha messo mano all’aratro e
poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio”. Volgendosi
indietro è null’altro che cambiare parola e riprendere gusto nelle
cose di questo mondo. Non temete quando sentite parlare di virtù e
non stupitevi di questa parola. Infatti la virtù non è lontano da
noi: non nasce fuori di noi; è affar nostro, e la cosa è semplice
purché lo vogliamo.
I
pagani lasciano il proprio paese e attraversano il mare per studiare
le lettere. Noi invece non abbiamo bisogno di lasciare il nostro
paese per giungere al Regno dei cieli, né di attraversare il mare
per acquistare la virtù. Infatti il Signore ha detto: “Il Regno dei
cieli è in mezzo a voi” (Lc
17,21). Quindi la virtù non
ha bisogno di nulla se non del nostro volere, poiché è in mezzo a
noi e nasce dentro di noi. Se conserveremo la parte intelligente
della nostra anima conforme alla sua natura, la virtù nascerà.
L’anima è nel suo stato naturale quando dimora così come è stata
fatta; è stata fatta bellissima e rettissima. Per questo Giosuè,
figlio di Nun, esortava il popolo dicendo: “Raddrizzate il vostro
cuore davanti il Signore, Dio di Israele”
(Gs 24,23).
E Giovanni
Battista : “Raddrizzate i suoi sentieri”
(Mt 3,3).
L’essere diritta,
per l’anima, è
custodire la sua intelligenza così come è stata creata. Al
contrario, quando devia e si svia dal suo stato naturale, allora si
parla di vizio dell’anima. La cosa non è quindi difficile... Se
dovessimo cercare la cosa fuori di noi, questa sarebbe davvero
difficile. Ma poiché essa è dentro di noi, guardiamoci dai pensieri
impuri e custodiamo la nostra anima per il Signore, come se avessimo
ricevuto un deposito, affinché egli riconosca la sua opera, trovando
la nostra anima tale quale egli l’ha fatta.
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XXVI°
settimana Tempo Ordinario - LODI
Giovedì
“Come agnelli in mezzo a lupi”
di Sant’Ambrogio nel IV sec, vescovo di
Milano e dottore della Chiesa
Quando manda i suoi
discepoli nella sua messe…, Gesù dice loro: “Ecco io vi mando come
agnelli in mezzo a lupi”. Questi sono animali nemici, ma il buon
pastore non teme i lupi per il suo gregge; i suoi discepoli non sono
mandati per essere una preda, bensì per diffondere la grazia. La
sollecitudine del buon pastore fa sì che i lupi non possono
intraprendere nulla contro gli agnelli. Li manda quindi perché si
realizzi questa parola: “Il lupo e l’agnello pascoleranno insieme”
(Is 65, 25).
Del resto, ai discepoli
mandati è stato dato di non prendere il bastone per il viaggio.
Cos’è il bastone se non l’insegna del potere, lo strumento che
vendica il dolore? Perciò quello che l’umile Signore ha prescritto,
i suoi discepoli lo compiono nel praticare l’umiltà. Infatti li
manda a seminare la fede, non per forza, bensì per mezzo
dell’insegnamento. Non dispiegando la forza del loro potere, bensì
esaltando la dottrina dell’umiltà. E ha ritenuto bene unire l’umiltà
alla pazienza, come testimonia Pietro: “Oltraggiato non
rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta”
(1 Pt 2, 23).
Questo equivale a dire:
“Siate i miei imitatori, lasciate perdere il gusto per la vendetta,
rispondete ai colpi dell’arroganza non rendendo il cattivo modo di
agire, bensì mostrando una pazienza piena di bontà. Nessuno deve
imitare personalmente ciò che rimprovera negli altri; la mitezza
infligge colpi più duri agli insolenti”. Il Signore ha risposto a
tale colpo dicendo: “Se uno ti percuote la guancia destra, tu
porgigli anche l’altra” (Mt 5, 39).
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XXVI°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Giovedì
“Ti seguirò col predicarti”
di Sant’Ilario, vescovo nel IV sec.
Io sono consapevole che
tu, o Dio Padre Onnipotente, devi essere il fine principale della
mia vita, in maniera che ogni mia parola, ogni mio
sentimento,esprima te.
L’esercizio della parola,
di cui hai fatto dono, non può avere ricompensa più ambita che
quella di servirti facendoti conoscere, di mostrare a questo mondo
che ti ignora o all’eretico che ti nega, che sei Padre, Padre cioè
dell’Unigenito Dio.
Questo solo è il fine che
mi propongo. Per il resto bisogna invocare il dono del tuo aiuto e
della tua misericordia, perché tu col soffio del tuo Spirito possa
gonfiare le vele della nostra fede e della nostra lode e guidarci
sulla rotta della proclamazione intrapresa. Non viene meno infatti
alla sua parola colui che si ha fatto questa promessa: “Chiedete
e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” (Mt
7,7).
Allora noi, poveri come
siamo, ti chiederemo ciò che ci manca e scruteremo con zelo tenace
le parole di tuoi profeti e dei tuoi apostoli, e busseremo a tutte
le porte che sbarrano il riconoscimento della verità: Ma dipende da
te concedere l’oggetto della nostra preghiera, essere presente a
quanto si chiede, aprire a chi bussa.
Aprici dunque l’autentico
significato delle parole, e donaci luce per comprendere, efficacia
di parola, vera fede. Fa’ che possiamo esprimere ciò che crediamo,
che proclamiamo te, unico Dio Padre, e l’unico Signore Gesù Cristo,
secondo quanto ci è stato trasmesso dai profeti e dagli apostoli.
Fa’ che contro gli eretici, che lo negano, sappiamo affermare che
tu, o Padre, sei Dio insieme al Figlio, e sappiamo predicarne senza
errori la divinità.
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XXVI°
settimana Tempo Ordinario - LODI
Venerdì
Il mio spirito esulti nel Signore
di S. Bruno nell’XI secolo
L’anima mia si
rallegra nel Signore sapendovi grandemente impegnati a perseguire
l’ideale della santità e della perfezione. Ne godo veramente e sono
portato a lodare e ringraziare il Signore, e tuttavia sospiro
amaramente. Esulto certo, com’è giusto, per la copiosa messe delle
vostre virtù, ma sono addolorato e mi vergogno di starmene inerte e
pigro nella bruttura dei miei peccati.
Ma voi, o miei carissimi
fratelli, gioite per la vostra sorte beata e per la grande
abbondanza della grazia di Dio su di voi. Gioite perché siete
restati incolumi tra i pericoli d’ogni genere e i naufragi di questo
mondo in tempesta. Gioite perché avete raggiunto la sicura quiete
nell’oasi più protetta, a cui molti non arrivano, nonostante la loro
volontà e anche i loro sforzi. Molti altri l’hanno bensì raggiunta,
ma poi ne furono esclusi, perché a nessuno di essi era stato
concesso dall’alto.
L’Onnipotente scrive con
il suo dito nei vostri cuori non solo l’amore, ma anche la
conoscenza della sua santa legge. Dimostrate con le opere ciò che
conoscete. Infatti quando con ogni assiduità e impegno osservate la
vera obbedienza, è chiaro che voi sapete cogliere saggiamente
proprio il frutto dolcissimo e vitale della divina Scrittura.
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XXVI°
settimana Tempo Ordinario - VESPRI
Venerdì
Dalla lettera a Rodolfo di Reims
di San Bruno, all’XI secolo
Io abito in un
eremo, da ogni lato molto distante dalle abitazione degli uomini,
nelle lontane regioni della Calabria insieme a dei fratelli che
conducono vita monastica - alcuni dei quali sono ben istruiti - e
che, perseverando con saldezza nei loro posti di sentinella nelle
cose di Dio, attendono il ritorno del loro Signore per aprirgli
subito quando busserà. Dell’amenità di tale luogo, del suo clima
salubre e mite o della sua ampia e gradevole pianura che si estende
in lungo tra i monti, ove sono verdeggianti prati e floridi pascoli,
cosa potrò dire di adeguato? O chi potrà spiegare a sufficienza la
veduta delle colline che dappertutto si innalzano dolcemente e il
luogo recondito delle valli ombreggiate, ove abbondano amabilmente
fiumi, ruscelli e sorgenti? Né vi mancano giardini irrigati, né
l’utile fecondità delle diverse specie di alberi.
Quanta utilità e gioia
divina, poi, la solitudine e il silenzio dell’eremo apportino a
coloro che li amano, lo sanno solo coloro che ne hanno fatto
l’esperienza. Qui,infatti, agli uomini forti è consentito ritornare
in se stessi e abitare con se stessi quanto a loro piace, coltivare
assiduamente i germogli delle virtù e cibarsi con beatitudine dei
frutti del paradiso. Qui si acquista quell’occhio dal cui sereno
sguardo d’amore è colpito lo Sposo e attraverso il quale, se senza
macchia e puro, si vede Dio. Qui si celebra una tranquillità solerte
e si gusta il riposo mediante un quieto agire. Qui Dio dispensa ai
suoi atleti, per la fatica della lotta, la ricompensa desiderata,
cioè quella pace che il mondo non conosce e la gioia nello Spirito
santo.
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XXVI°
settimana Tempo Ordinario - LODI
Sabato
“Bisogna meditare i misteri della
salvezza”
di San Bernardo nel XII sec.
“In principio
era il Verbo”, cioè già scaturiva la fonte, ma ancora unicamente
in se stessa, perché al principio “il Verbo era presso Dio” (Gv
1, 1), abitava la sua luce inaccessibile. Poi il Signore cominciò a
formulare un piano: “Io nutro progetti di pace e non di sventura”
(cfr. Ger 29, 11).
E allora il pensiero di
pace si calò nell’opera di pace: “Il verbo si fece carne e venne
ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1, 14); venne ad abitare
particolarmente nei nostri cuori per mezzo della fede. Divenne
oggetto del nostro ricordo, del nostro pensiero e della nostra
stessa immaginazione. Se egli non fosse venuto in mezzo a noi, che
idea si sarebbe potuto fare di Dio l’uomo, se non quella di un
idolo, frutto di fantasia?
Dirai: Dove e quando si
rende a noi visibile? Appunto nel presepio, in grembo alla Vergine,
mentre predica sulla montagna, mentre passa la notte in preghiera,
mentre pende sulla croce e illividisce nella morte; oppure, mentre
libero tra i morti, comanda sull’inferno, o anche quando risorge il
terzo giorno e mostra agli apostoli le trafitture dei chiodi, quali
segni di vittoria, e, finalmente, mentre sale al cielo sotto i loro
sguardi.
Non è forse cosa giusta,
pia e santa meditare tutti questi misteri? Quando la mia mente li
pensa si trova Dio, vi sente colui che in tutto e per tutto è il mio
Dio. È dunque vera sapienza fermarsi su di essi in contemplazione. È
da spiriti illuminati riandarvi per colmare il proprio cuore del
dolce ricordo del Cristo.
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XXVI°
settimana Tempo Ordinario - VESPRI
Sabato
“Io ti ho glorificato sopra la
terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare”
di Sant’Agostino nel V secolo
Con le parole
“Ho manifestato il tuo nome agli uomini”, il Salvatore ha voluto
intendere tutti, anche quelli che in futuro avrebbero creduto in
lui, tutti gli appartenenti a quella grande Chiesa che si sarebbe
raccolta da tutte le genti, e della quale nel salmo si canta :
“Ti canterò in una grande assemblea” (Sal 21, 26), allora sì che
si realizza questa glorificazione con cui il Figlio glorificò il
Padre, facendo conoscere il suo nome a tutte le genti e a tante
generazioni umane. E il senso di queste parole: “Ho manifestato
il tuo nome agli uomini che mi hai dato”, corrisponde al senso
di quell’altra: “Io ti ho glorificato sulla terra”.
“Ho manifestato,
quindi, il tuo nome a questi qui che mi hai dato”; ma non ho
manifestato loro quel tuo nome con cui sei chiamato Dio, bensì
quello con cui sei invocato “Padre mio”. E questo nome non poteva
essere manifestato agli uomini se non fosse stato lo stesso Figlio a
manifestarlo. Infatti, in quanto è chiamato Dio di tutte le
creature, questo nome non ha potuto rimanere del tutto ignorato
neppure alle genti, anche prima che credessero in Cristo. Tale
infatti è l’evidenza della vera divinità, che essa non può rimanere
del tutto nascosta alla creatura razionale che sia ormai capace di
ragionare. Fatta eccezione di pochi, nei quali la natura è troppo
depravata, tutto il genere umano riconosce Dio come autore di questo
mondo… Ma in quanto Padre di Cristo, per mezzo del quale toglie i
peccati del mondo, questo suo nome, prima sconosciuto a tutti, lo
stesso Cristo lo ha manifestato adesso a coloro che il Padre gli ha
dato.
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XXVII°
settimana Tempo Ordinario -
UR
Domenica
Sermons on Subjects of
the Day, n° 10
« Pace a voi »
del Cardinale
John Henry Newman nel diciannovesimo secolo
Il cuore di ogni cristiano
dovrebbe rappresentare in miniatura la Chiesa cattolica, poiché il
medesimo Spirito fa della Chiesa intera e di ognuno delle sue membra
il Tempio di Dio (1 Cor 3,16).
Così come egli fa l’unità della Chiesa che, abbandonata a se stessa,
si dividerebbe in numerose parti, così rende l’anima unita, a
dispetto della molteplicità dei suoi gusti e delle sue facoltà,
delle sue tendenze contraddittorie. Così come dà la pace alla
moltitudine delle nazioni che sono, per natura in discordia le une
con le altre, così sottomette l’anima ad una gestione ordinata e
stabilisce la ragione e la coscienza come sovrani sugli aspetti
inferiori della nostra natura... E siamo ben sicuri che queste due
opere del nostro divino Consolatore dipendono l’una dell’altra.
Finché i cristiani non ricercheranno l’unità e la pace interiore nel
loro cuore, la Chiesa stessa non sarà mai nella pace e nell’unità in
seno a questo mondo che li circonda. E in modo quasi simile, mentre
la Chiesa attraverso il mondo è in questo stato di disordine pietoso
che vediamo, non esiste nessun paese particolare, semplice parte di
questa Chiesa, che non sia necessariamente in uno stato di grande
confusione religiosa.
Questa è una cosa alla quale dobbiamo pensare bene al momento
attuale, perché modererà le nostre speranze e dissiperà le nostre
illusioni; non possiamo sperare di avere la pace in noi, se siamo in
guerra al di fuori.
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XXVII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Domenica
Mt 21,
33-43
Omelia 11
sulla seconda Lettera ai Corinzi, 2-3 ; PG 61, 476-477
(In l'Ora
dell'Ascolto p. 2713)
Dio ha
riconciliato con sé il mondo in Cristo
« Dal
Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri »
di San
Giovanni Crisostomo nel quarto secolo
« Cristo ci ha affidato la parola della riconciliazione »
(2 Cor 5,18).
Paolo mette in evidenza la dignità degli apostoli, mostrando la
grandezza del compito loro affidato dal immenso amore di Dio per
noi. Pur avendo gli uomini rifiutato di ascoltare colui che egli
aveva loro inviato, Dio non ha lasciato libero corso alla sua ira,
non li ha respinti per sempre ; ma continua a chiamarli direttamente
e per mezzo dei suoi ministri. Chi potrebbe convenientemente
esaltare tanta sollecitudine ?
Hanno
immolato il Figlio venuto per riparare le loro offese, il Figlio suo
unico e consustanziale, e il Padre non ha respinto i suoi uccisori,
non ha detto : avevo loro inviato il Figlio mio e, non contenti di
non ascoltarlo, l’hanno messo a morte crocifiggendolo : è giusto che
li abbandoni. Ha fatto invece tutto il contrario. E dopo che il
Cristo ha lasciato la terra, noi siamo stati incaricati di
sostituirlo : « Ha affidato a noi il ministero della
riconciliazione. È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in
Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe. »
O
carità infinita ! Tu superi ogni intendimento ! Chi è l’offeso ? Dio
stesso. Chi fa il primo passo per la riconciliazione ? Ancora lui…
Se Dio avesse voluto chiedercene conto sarebbe stata finita per noi,
poiché « tutti eravamo morti »
(2 Cor 5,14).
Ora, nonostante il numero immenso dei nostri peccati, non soltanto
non ce ne ha fatto pagare il fio, ma ha voluto addirittura
riconciliarsi con noi : non contento di abbandonarci il debito, non
l’ha tenuto in alcun conto. Questo è il modo col quale dobbiamo
perdonare i nostri nemici, se vogliamo assicurarci il perdono di
Dio. « Egli ha affidato a noi la parola della riconciliazione ».
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XXVII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Martedì
« Maria,
sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola »
di Beata
Elisabetta della Trinità
“Nel
silenzio sta la vostra salvezza”
(cfr. Is 30,15)...
Conservare al Signore la sua forza, è fare l’unità in tutto il
nostro essere con il silenzio interiore, è raccogliere tutte le
nostre potenze per occuparle al solo esercizio dell’amore; è avere
quello sguardo semplice che permette alla luce di illuminarci
(Mt 6,22).
Un’anima che discute con il suo io, che si occupa della sua
sensibilità, che persegue un pensiero inutile, un desiderio
qualsiasi, tale anima disperde le sue forze, non è tutta ordinata a
Dio... È ancora troppo umana, c’è in essa una dissonanza.
L’anima che tiene per sé ancora qualche cosa nel proprio regno
interiore, le cui potenze non sono tutte chiuse in Dio, non può
essere una perfetta “lode di gloria”
(Ef 1,14);
non è in grado di cantare senza sosta il “canticum magnum”, il
grande cantico di cui parla san Paolo, perché l’unità non regna in
lei; e, in luogo di perseguire la sua lode attraverso tutte le cose
nella semplicità, le occorre riunire senza sosta le corde del suo
strumento un po' perse da ogni parte.
Quanto E’ indispensabile questa bella unità interiore all’anima che
vuole vivere quaggiù della vita dei beati, cioè degli esseri
semplici, degli spiriti. Mi sembra che a questo pensava il Maestro
quando parlava a Maria Maddalena della sola cosa di cui c’è bisogno.
Quanto l’avesse ben capito la grande santa! L’occhio della sua anima
illuminato dalla luce della fede, aveva riconosciuto il suo Dio
sotto il velo dell’umanità e nel silenzio, nell’unità delle sue
potenze, “ascoltava la sua parola”...
Sì, non sapeva più nulla, se
non Lui.
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XXVII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Martedì
Maria, hai
trovato grazia presso Dio
di San Bernardo
di Chiaravalle, nel dodicesimo secolo.
…Tu
hai trovato, disse l’Angelo, grazia presso Dio (Lc 1,
30). Felice espressione. Maria troverà sempre grazia, e la grazia è
la sola cosa di cui abbiamo bisogno. La Vergine prudente cercava non
la sapienza, come Salomone, non le ricchezze, non gli onori, non la
potenza, ma la grazia. È infatti solo la grazia che ci salva.
Perché
desideriamo altre cose, o fratelli? Cerchiamo la grazia, e
chiediamola per mezzo di Maria, perché essa trova quello che cerca e
nulla le è rifiutato di quello che essa chiede. Cerchiamo la grazia,
ma la grazia presso Dio; fallace è infatti la grazia presso gli
uomini. Cerchino altri il merito, noi sforziamoci di trovare grazia.
Non è forse per grazia di Dio che siamo qui ? Davvero è grazie
alla Misericordia del Signore se non siamo consunti noi (Lam 3,
22). Chi noi? Noi spergiuri, noi omicidi, noi adulteri, noi ladri,
veramente rifiuto di questo mondo. Interrogate le vostre coscienze
fratelli e constatate che ove abbondò il delitto, sovrabbondò la
grazia. Maria non pretende il merito, ma cerca la grazia. Essa
ripone tanta fiducia nella grazia e non si insuperbisce, che è presa
da timore al saluto dell’Angelo. Maria, dice il Vangelo, si
domandava che senso avesse quel saluto (Lc 1, 29). Si riteneva,
infatti, indegna di venire così salutata da un Angelo. E forse
diceva tra sé : “Donde viene a me che un Angelo del Signore venga da
me? Non temere, Maria, non stupirti che vanga un
Angelo; viene uno che è più grande dell’Angelo. Non meravigliarti
che venga a te l’Angelo del Signore: anche il Signore dell’Angelo è
con te.
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XXVII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Mercoledì
Lc 11,
1-4
Il cammino di
perfezione, cap. 30
(In l' Ora dell'Ascolto p. 1462)
La
preghiera ci introduce fin d’ora nel riposo di Dio
di Santa
Teresa d'Avila nel sedicesimo secolo
Sia
santificato il tuo nome, venga in noi il tuo regno”. Ammirate ora la
grande sapienza del nostro Maestro. Considerate che cosa chiediamo
con questo regno. Il buon Gesù fece queste domande una dopo l’altra,
vedendo che per la nostra miseria non avremmo potuto santificare,
lodare, esaltare e glorificare il nome santo dell’Eterno Padre, se
prima non avesse esteso in noi il suo regno...
Certamente
uno dei beni più grandi, tra gli altri, che si godono in cielo, è
che lassù l’anima non farà più conto alcuno dei beni della terra, ma
sarà immersa nella tranquillità e nella gloria, si rallegrerà della
gioia di tutti: una pace inalterabile e una soddisfazione senza
confini le verrà, vedendo che tutti santificano e lodano il Signore,
benedicono il suo nome e non l’offendono più. Tutti lo amano; e la
stessa anima non si preoccuperà che di amarlo, e non potrà cessare
di amarlo, perché lo conoscerà.
Se
potessimo già conoscerlo, lo ameremmo così fin d’ora, sebbene non
con la perfezione e continuità del cielo, ma certamente lo ameremmo
in modo ben diverso da come lo amiamo attualmente... Questo è
possibile all’anima fin da questo esilio, con la grazia di Dio.
Eppure resta vero che essa non può giungervi perfettamente... perché
navighiamo ancora sul mare di questo mondo, e siamo sempre
viaggiatori. Ci sono momenti tuttavia in cui il Signore, vedendoci
affaticati per il cammino, mette tutte le nostre potenze nella calma
e la nostra anima nella quiete. Rivela allora chiaramente, con un
certo assaggio, qual’è il sapore della ricompensa riservata a coloro
che egli introduce nel suo regno.
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XXVII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Mercoledì
Lc 11, 1-4
Dal
trattato « Sul Padre nostro », 9-11, PL 4, 520s ; CSEL 3,1
(In l'Ora
dell'Ascolto p. 1300, 1306)
I suoi figli nel Figlio suo
di San
Cipriano nel terzo secolo
Quali
e quante sono, fratelli carissimi, le rivelazioni della preghiera
del Signore! Esse si trovano raccolte in una invocazione brevissima,
ma carica di spirituale potenza. Non c’è assolutamente nulla che non
si trovi racchiuso in questa nostra preghiera di lode e di domanda.
Essa, perciò, forma un vero compendio di dottrina celeste. È detto:
“Quando pregate, dite: Padre nostro che sei nei cieli”.
L’uomo
nuovo, rinato e rifatto dal suo Dio per mezzo della grazia, in primo
luogo dice: “Padre”, perché ha già incominciato ad essergli figlio.
“Venne fra la sua gente” è scritto, “ma i suoi non l’hanno accolto.
A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di
Dio, a quelli che credono nel suo nome”
(Gv 1, 11-12).
Chi dunque ha creduto nel suo nome ed è diventato figlio di Dio,
deve cominciare di qui, dal rendere grazie e professarsi figlio di
Dio... Non basta, fratelli carissimi, prendere coscienza che
invochiamo il Padre che è nei cieli, aggiungiamo “Padre nostro”,
cioè Padre di quanti credono, di quanti sono stati santificati da
lui, e sono rinati per mezzo della grazia spirituale: questi hanno
incominciato ad essere figli di Dio.
Quanto
è preziosa la grazia del Signore, quanto alta è la sua degnazione e
magnifica la sua bontà verso di noi! Egli ha voluto che noi
celebrassimo la nostra preghiera davanti a lui e lo invocassimo col
nome di Padre, e come Cristo è Figlio di Dio, così noi pure ci
chiamassimo figli di Dio. Questo nome,
nessuno di noi oserebbe pronunziarlo nella preghiera, se egli stesso
non ci avesse permesso di pregare così.
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XXVII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Giovedì
Lc 11, 5-13
Omelie, 16, 3° collezione ; SC 275, 205
« Quanto
più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo. »
di San Macario
nel quarto secolo
Per
ottenere il pane per il corpo, il mendicante non prova nessun
disagio a bussare alla porta e a chiedere; e se non riceve nulla,
entra oltre e chiede con più insistenza il pane, il vestito o i
sandali per il sollievo del suo corpo. Finché non abbia ricevuto
qualche cosa, non se ne va, anche se lo si caccia. Noi che cerchiamo
di ricevere il vero pane celeste per corroborare la nostra anima,
noi che desideriamo rivestire le vesti celesti di luce e aspiriamo a
calzare i sandali immateriali dello Spirito per il sollievo
dell’anima immortale, quanto più dobbiamo, instancabilmente e
risolutamente, con fede e amore, pazientare sempre, bussare alla
porta spirituale di Dio e chiedere con una perfetta costanza di
essere ritenuti degni della vita eterna.
Per
questo il Signore “diceva loro una parabola sulla necessità di
pregare sempre, senza stancarsi”
(Lc 18,1)
poi aggiungeva queste parole: quanto più il Padre vostro celeste
“farà giustizia a coloro che gridano giorno e notte verso di lui”
(v.6).
E ancora, riguardo all’amico della parabola: “Se anche non si alzerà
a darglieli per amicizia, si alzerà a dargliene quanti gliene
occorrono almeno per la sua insistenza”. Aggiunge allora:
“Chiedete e vi sarà dato, cercate
e troverete, bussate e vi sarà aperto.
Perché chi chiede ottiene, chi
cerca trova, e a chi bussa sarà aperto”. E prosegue: “Se
dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri
figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a
coloro che glielo chiedono”. Per questo il Signore ci esorta a
chiedere sempre, senza stancarci e con tenacia, a cercare e a
bussare continuamente: egli ha promesso infatti di dare a quanti
chiedono, cercano e bussano, non a coloro che non
chiedono. Essendo pregato,
supplicato e amato, egli vuole darci la vita eterna.
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XXVII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Giovedì
Lc 11,
5-13
Catechesi
33 ; SC 113, 257
« A chi
bussa sarà aperto »
di Simeone il
Nuovo Teologo nel undicesimo
secolo
Cristo dice ai dottori della Legge: “Guai a voi che avete tolto la
chiave della scienza” (Lc 11,52).
Che cos’è la chiave della scienza se non la grazia dello Spirito
Santo data dalla fede, che grazie all’illuminazione produce la piena
conoscenza e apre la nostra mente chiusa e velata?... E dirò di più:
la porta, è il Figlio: “Io sono la porta”, dice. La chiave della
porta, è lo Spirito Santo: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi
rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete,
resteranno non rimessi”. La casa, è il Padre: “Nella casa del Padre
mio vi sono molti posti”. Sii dunque accuratamente attento al senso
spirituale di queste parole... Se la porta non si apre, nessuno
entrerà nella casa del Padre, come dice Cristo: “Nessuno viene al
Padre se non per mezzo di me”.
Ora,
che sia lo Spirito Santo ad aprire per primo la nostra mente e ad
insegnarci ciò che riguarda il Padre e il Figlio, l’ha detto ancora
lui: “Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo
Spirito di Verità che procede dal Padre, egli mi renderà
testimonianza; e vi guiderà alla verità tutta intera”. Vedi come,
per mezzo dello Spirito o piuttosto nello Spirito, il Padre e il
Figlio si fanno conoscere inseparabilmente...
Infatti, chiamiamo chiave lo Spirito Santo perché è innanzi tutto
attraverso di lui e in lui che il nostro spirito viene rischiarato e
che, purificati, siamo illuminati dalla luce della conoscenza e
battezzati dall’alto, rigenerati e resi figli di Dio, come dice
Paolo: “Lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con
gemiti inesprimibili”, e ancora: “Dio ha mandato nei nostri cuori lo
Spirito del suo Figlio che grida: ‘Abbà, Padre’ ”. Dunque ci mostra
lui la porta, porta che è luce, e la porta ci insegna che anche
colui che abita nella casa è luce inaccessibile.
(Riferimenti
biblici : Lc 11,52 ; Gv 10,7.9 ; 20,22-23 ; 14,2 ; 10,3 ; 14,6 ;
15,26 ; 6,13 ; Rm 8,26 ; Ga 4,6)
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XXVII°
settimana Tempo Ordinario - LODI
Venerdì
Libro di Vita
Cap.” Nel cuore
della città” § 129
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XXVII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
VENERDI
Lc 11,
15-26
Contro le
eresie, V,5,2 ; SC 153, 63
Se io
scaccio i demoni con i dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno
di Dio
di Sant’Ireneo
di Lione nel secondo secolo
Enoch, per essere stato gradito a Dio, è stato preso in cielo nel
suo corpo, prefigurando l’elevazione dei giusti. Anche Elia è stato
rapito tale quale si trovava nella sostanza della sua carne creata
(2 Re 2,11),
profetizzando così il rapimento degli uomini spirituali. Il loro
corpo non ha fatto in nulla ostacolo a tale elevazione, a tale
rapimento. Dalle stesse mani con le quali erano stati plasmati
all’origine (Gen 2,7),
essi sono stati elevati e rapiti. Infatti, in Adamo, le mani di Dio
si erano abituate a dirigere, a tenere e a portare l’opera da esse
plasmata, a trasportarla e a collocarla dove volevano. Dove dunque è
stato collocato il primo uomo? Nel paradiso senza alcun dubbio,
secondo ciò che dice la Scrittura: “Poi il Signore piantò un
giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato”
(v.8).
E da questo luogo egli è stato scacciato in questo mondo, per aver
disobbedito...
Qualcuno ritiene forse impossibile che degli uomini possano vivere
tanto tempo quanto i primi patriarchi?... O crede forse che quando
Elia è stato rapito nella sua carne, la sua carne è stata consumata
sul carro di fuoco? Consideri dunque che Giona, dopo esser stato
precipitato nel profondo del mare e inghiottito nel ventre del
pesce, è stato rigettato sano e salvo sull’asciutto per ordine di
Dio (Gn 2,11).
Anania, Misaele e Azaria, gettati nella fornace con il fuoco acceso
sette volte più del solito, non hanno provato alcun male e neppure
l’odore del fuoco era penetrato in essi
(Dn 3,27).
Se la mano di Dio li ha assistiti e ha adempiuto in loro cose
straordinarie e impossibili alla natura umana, perché stupirti se,
in coloro che sono stati elevati, questa stessa mano abbia anche
realizzato una cosa straordinaria, operando la volontà del Padre?
Ora questa mano, è il Figlio di Dio
(cfr. Dn 3,25).
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XXVII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Sabato
Lc 11,
27-28
« Beati
coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano »
di San
Bernardo nel dodicesimo secolo
Maria
era molto riservata ; ne troviamo la prova nel Vangelo. Quando mai
vedete che lei sia stata loquace o piena di presunzione ? Una volta,
stava fuori col desiderio di parlare a suo figlio, ma non fece uso
della sua autorità materna né per interrompere la sua predicazione,
né per entrare nella casa dove stava predicando (Mc 3, 31).
Se la
memoria non m’inganna, gli evangelisti fanno sentire soltanto
quattro volte le parole di Maria. La prima volta, quando si rivolge
all’angelo ; e lì era soltanto una risposta. La seconda volta,
durante la sua visita ad Elisabetta, quando, magnificata da sua
cugina, Maria volle più ancora magnificare il Signore. La terza
volta, quando si lamentò di suo Figlio, di dodici anni, perché suo
padre e lei l’avevano cercato, angosciati. La quarta volta, alle
nozze di Cana, quando si rivolse a suo Figlio e ai suoi servi.
In
tutte le altre circostanze, Maria si mostra lenta a parlare, pronta
ad ascoltare, poiché « serbava
tutte queste cose, meditandole nel suo cuore »
(Lc 2, 19.51).
No, non troverete da nessuna parte che lei abbia parlato, neanche
del mistero dell’incarnazione ! Guai a noi che abbiamo il soffio
alle narici ! Guai a noi che spargiamo tutta la nostra anima come un
recipiente forato !
Quante volte Maria ha ascoltato suo figlio, non soltanto parlare in
parabole alla folla, ma anche nell’intimità, rivelare ai discepoli i
segreti del Regno dei cieli ! L’ha visto fare dei miracoli, poi
mentre spirava, appeso alla croce, poi risorto, e mentre saliva al
cielo. Quante volte in tutte queste circostanze, ci è detto che la
voce della Vergine si sia fatta sentire ? … Maria è tanto più
grande, quanto più si umilia, non solamente in tutto, ma più di
tutti.
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XXVII°
settimana Tempo Ordinario -
PRIMI VESPRI
Sabato
Dal trattato
«L'ideale perfetto del cristiano» (PG 46, 254-255
Il cristiano è un altro Cristo
di san Gregorio di Nissa, nel quarto secolo
Paolo ha conosciuto chi è Cristo
molto più a fondo di tutti e con la sua condotta ha detto
chiaramente come deve essere colui che da Cristo ha preso il suo
nome. Lo ha imitato con tanta accuratezza da mostrare chiaramente in
se stesso i lineamenti di Cristo e trasformare i sentimenti del
proprio cuore in quelli del cuore di Cristo, tanto da non sembrare
più lui a parlare. Paolo parlava ma era Cristo che parlava in lui.
Sentiamo dalla sua stessa bocca come avesse chiara coscienza di
questa sua prerogativa: «Voi volete una prova di colui che parla in
me, Cristo» (cfr. 2 Cor 13, 3)
e ancora: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me»
(Gal 2, 20).
Egli ci ha mostrato quale forza abbia questo nome di Cristo,
quando ha detto che è la forza e la sapienza di Dio, quando lo ha
chiamato pace e luce inaccessibile, nella quale abita Dio,
espiazione e redenzione, e grande sacerdote, e Pasqua, e
propiziazione delle anime, splendore della gloria e immagine della
sostanza divina, creatore dei secoli, cibo e bevanda spirituale,
pietra e acqua, fondamento della fede, pietra angolare, immagine del
Dio invisibile, e sommo Dio, capo del corpo della Chiesa, principio
della nuova creazione, primizia di coloro che si sono addormentati,
esemplare dei risorti e primogenito fra molti fratelli, mediatore
tra Dio e gli uomini, Figlio unigenito coronato di onore e di
gloria, Signore della gloria e principio di ogni cosa, re di
giustizia, e inoltre re della pace, re di tutti i re, che ha il
possesso di un regno non limitato da alcun confine. Lo ha designato
con queste e simili denominazioni, tanto numerose che non è facile
contarle. Se tutte queste espressioni si raffrontassero fra loro e
si cogliesse il significato di ognuna di esse, ci mostrerebbero la
forza mirabile del nome di Cristo e della sua maestà.
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XXVIII°
settimana Tempo Ordinario -
UR Domenica
SUI PASSI DI
CRISTO VERSO LA CASA DEL PADRE
di S. Ambrogio
nel quarto secolo
" Padre, voglio
che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché
contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato, poiché Tu mi hai
amato prima della creazione del mondo"
Noi ti
seguiamo, Signore, ma per questo chiamaci, poiché senza di Te,
nessuno può salire. Tu sei la Vita, la Verità, la Via. La
Possibilità, la Fede, la Ricompensa.
Oh Via!
Accoglici. Oh Verità! Rafforzaci. Oh Vita! Dacci la vita.
Svela questo
Bene, il Tuo Bene che Davide desiderava vedere abitando nella casa
del Signore, poiché dice: "Saremo colmati dei beni della Tua casa"
(Ps.
64,5)
"Ora la
nostra vita è nascosta con Cristo in Dio, ma quando Cristo sarà
apparso, Lui la nostra vita, allora anche noi compariremo con Lui
nella gloria".
Affrettiamoci verso la Vita! Chi tocca la Vita vivrà. Non l'ha forse
toccata quella donna che toccò la Sua frangia e fu affrancata dalla
morte grazie alla Sua parola? "La tua fede ti ha salvata, vai in
pace".
Cerchiamo
dunque un vivente. Ma guardiamoci bene dal cercarlo tra i morti....e
il Signore in persona ci mostra dove vuole che lo cerchiamo "Va dai
miei fratelli e di loro: Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio
e Dio vostro".
Cerchiamolo là dove Giovanni l'ha cercato e trovato. L'ha trovato
nel principio e ha trovato un Vivente nel Vivente, il Figlio nel
Padre. Quanto a noi, cerchiamolo nella fine dei tempi,
abbracciamogli i piedi, adoriamolo perché dica anche a noi "Non
temete". Cioè non temete i peccati della terra, non temete le
iniquità del mondo, non temete i flutti delle passioni della carne!
Sono io la remissione dei peccati! Non temete la morte! Sono io la
vita.....Poiché Lui è la pienezza della divinità, a Lui la gloria,
l'onore, l'eternità ora e sempre e nei secoli dei secoli.
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XXVIII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Domenica
Mt 22, 1-14
Discorsi 90 ; PL 38, 559s
(Nuova
Biblioteca Agostiniana)
Rivestire l’abito di nozze
di Sant’Agostino
nel quinto secolo
Che
cos'è l'abito di nozze di cui parla il vangelo ? Esso è senza dubbio
l'abito che hanno solo i buoni, che saranno lasciati nel banchetto…
È forse il battesimo?
Senza il battesimo nessuno
per verità arriva a Dio; ma non tutti quelli che hanno il battesimo
arrivano a Dio…
Forse è l'altare o ciò che si riceve dall'altare.
Noi vediamo che molti mangiano, ma
essi mangiano e bevono la propria condanna
(1 Cor 11,29).
Che cos'è dunque? È forse far digiuno? Fanno digiuno anche i
cattivi. È forse frequentare la chiesa? Ma la frequentano anche i
cattivi…
Qual
è dunque l'abito di nozze? « Il fine del precetto - dice l'Apostolo
- è la carità che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e
da una fede sincera » (1 Tm
1,5). Questo è l'abito di
nozze. Non si tratta però d'una carità qualsiasi, poiché spesso
sembra che si amino tra loro anche individui che hanno in comune una
cattiva coscienza…, ma non hanno la carità « che sgorga da un cuore
puro, da una buona coscienza e da una fede sincera ». È siffatta
carità l'abito di nozze.
« Se io
sapessi parlare le lingue degli uomini e degli angeli, ma non
possedessi la carità, sarei - dice l'Apostolo - come una campana che
suona o un tamburo che rimbomba… Se avessi il dono della profezia e
quello di svelare tutti i segreti, se avessi il dono di tutta la
scienza, e avessi tanta fede da smuovere i monti, ma non avessi la
carità, non varrei nulla » (1
Cor 13, 1-2)…
Se avessi tutti questi doni e non avessi Cristo, « non varrei
nulla »… Quanti beni non giovano a nulla se ne manca uno solo! Se
non avrò la carità, anche se distribuirò elemosine ai poveri e se,
per rendere testimonianza al nome di Cristo, arriverò fino al sangue
(1 Cor 13,3),
arriverò fino a farmi bruciare, queste azioni possono farsi anche
per amore della gloria e allora sono inutili… « Se non avrò la
carità, non mi gioverà a nulla ».
Ecco l'abito delle nozze!
Esaminate voi stessi: se lo avete, voi starete sicuri al banchetto
del Signore.
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XXVIII°
settimana Tempo Ordinario -
martedì - LODI
LIBRO DI VITA
di GERUSALEMME
CAPITOLO “ Monaci e monache”
§ 65
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XXVIII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Martedì
Lc 11, 37-41
Lettera ai
Corinzi, 14-16 ; SC 167, 123
«Purificare
l’interno del nostro cuore
»
di San
Clemente di Roma nel primo secolo
E'
giusto e santo, fratelli, che noi siamo ubbidienti a Dio, piuttosto
che seguire nell'arroganza e nella sedizione i capi dell'esecranda
gelosia... Uniamoci, dunque, a quelli che religiosamente vivono la
pace e non a quelli che la vogliono con ipocrisia. Dice infatti:
"Questo popolo mi onora con le labbra e il suo cuore è lontano da
me"
(Is
29,13; Mc 7,6).
E di nuovo: "Con la bocca mi benedicevano e con il cuore mi
maledicevano"
(Sal
61,5).
Di nuovo dice: "Lo amavano con la bocca e con la lingua gli
mentivano, il loro cuore non era retto con lui, nè rimanevano fedeli
alla sua alleanza"
(Sal
77,30)...
Cristo
è degli umili, non di chi si eleva sul suo gregge. Lo scettro della
maestà di Dio
(Eb
1,8),
il Signore Gesù Cristo, non venne nel fragore della spavalderia e
dell'orgoglio - e l'avrebbe potuto - ma nell'umiltà di cuore, come
lo Spirito Santo ebbe a dire di lui: "Signore, chi credette alla
nostra voce? e il braccio del Signore a chi fu rivelato? Noi
l'annunciammo alla sua presenza: egli è come un fanciullo, come una
radice nella terra assetata; non ha apparenza nè gloria. Noi lo
vedemmo, non aveva una bella apparenza, ma l'aspetto suo era
spregevole
(Is
53, 1-3)...
Vedete, carissimi, quale modello ci è dato! Se il Signore si è
umiliato a tal punto, che cosa faremo noi che, per mezzo suo, siamo
venuti sotto il giogo della sua grazia?
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XXVIII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Mercoledì
Il cammino di perfezione, cap. 28
« Colui che ha fatto l’esterno non
ha forse fatto anche l’interno ? »
di Santa
Teresa d'Avila nel sedicesimo secolo
Se io avessi
capito, come oggi, quale grande Re abitava in quel piccolo palazzo
della mia anima, non l’avrei lasciato da solo così spesso ; sarei
rimasta di tanto in tanto accanto a lui, e avrei fatto il necessario
affinché il palazzo fosse meno sporco. Quanto è mirabile pensare che
colui la cui grandezza potrebbe riempire mille mondi e anche molto
di più, si rinchiude così in una così piccola dimora. È vero che, da
una parte, essendo sovrano Signore, porta con lui la libertà, e
dall’altra, essendo pieno di amore per noi, si fa alla nostra
misura.
Sapendo bene
che un’anima principiante potrebbe turbarsi al vedere se stessa,
così piccola, destinata a contenere tanta grandezza, egli non si fa
conoscere immediatamente; ma, poco a poco, fa crescere la capacità
dell’anima, alla misura dei doni che egli si propone di collocare in
essa. A motivo di questo suo potere di allargare il palazzo della
nostra anima, ho detto che porta con lui la libertà. Il punto
capitale è fargliene un dono assoluto e vuotarsi completamente,
affinché egli possa riempire o svuotare a suo piacimento, come in
una dimora che gli appartiene. A ragione, nostro Signore vuole che
così sia; non rifiutiamoci. Egli non vuole forzare la nostra
volontà; riceve quello che essa gli dà. Ma lui si dà interamente
solo quando anche noi ci diamo interamente.
La cosa è
certa, e ve la ripeto così spesso perché è importantissima. Finché
l’anima non è interamente sua, sgombrata di tutto, egli non agisce
in essa. Del resto, non so come potrebbe farlo, colui che ama tanto
l’ordine perfetto. Se riempiamo il palazzo con gente volgare e ogni
sorta di ninnoli, come il sovrano, con la sua corte, potrebbe
trovarvi posto? È già molto che si degni di fermarsi qualche momento
in mezzo a tanto ingombro.
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XXVIII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Mercoledì
PARLARE A DIO COME
A UN PADRE
di Santa Teresa D'Avila
nel sedicesimo secolo
Avete già
sentito affermare che Dio è dappertutto, e questa è una grande
verità. Ora, è ovvio che dove sta il re, là si dice sta anche la sua
corte; e pertanto, dove sta Dio, lì è il cielo. Potete quindi
credere senz'ombra di dubbio che dove dimora Sua Maestà, si trova
concentrata anche tutta la gloria.
Tenete poi
presente che Sant'Agostino, credo nel libro delle sue Meditazioni,
dice di aver cercato Dio in molti luoghi e di aver finito per
ritrovarlo dentro di sé. Ritenete che importi poco ad un'anima
estroversa comprendere questa verità, e sapere che per parlare col
suo eterno Padre non ha bisogno di salire al cielo, che per godere
la sua compagnia non è costretta a pregare alzando la voce, giacché
per quanto sommessamente parli egli la udirà, che per andare a
raggiungerlo non le occorrono ali?
Per trovarlo,
le basta invece ritirarsi in solitudine, contemplarlo dentro di sé e
non estraniarsi da un ospite così buono; le basta parlargli con
grande umiltà come a un padre, rivolgergli le sue richieste come a
un padre, goderne la compagnia e fargli festa come a un padre, con
la netta consapevolezza per altro di non essere degna di essere sua
figlia.
Si svincoli
da certe forme di rattrappimento in cui si chiudono alcune persone,
pensando che si tratti di umiltà. Sì, perché l'umiltà non consiste
nel rifiutare un favore che il re vi fa, bensì nell'accettarlo e
gioirne, riconoscendo al contempo quanto sia dovizioso e immeritato.
Badate che
per voi è essenziale tenere scolpita bene in mente questa verità:
che il Signore sta dentro di noi, e quindi è nel nostro intimo che
dobbiamo tenergli compagnia.
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XXVIII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Giovedì
Lc 11,
47-54
Sul
Sacramento dell’altare, II,1 ; SC 93, 169
« Gli scribi e i farisei
cominciarono a trattarlo ostilmente»
di Baldovino
di Ford nel dodicesimo secolo
Coloro che hanno versato il sangue di Cristo non l’hanno fatto allo
scopo di cancellare i peccati del mondo... Inconsapevolmente però
hanno servito il disegno della salvezza. La salvezza del mondo, che
avrebbe seguito, non dipendeva dal loro potere, né dalla loro
volontà, né dalla loro intenzione, né dal loro agire, bensì è venuta
dalla potenza, dalla volontà, dall’intenzione, dall’agire di Dio. In
quell’effusione di sangue infatti, non era all’opera solamente
l’odio dei persecutori, ma anche l’amore del Salvatore. L’odio ha
fatto la sua opera di odio, l’amore ha fatto la sua opera di amore.
Non l’odio, bensì l’amore ha operato la salvezza.
Versando il sangue di Cristo, l’odio ha riversato se stesso, perché
fossero “svelati i pensieri di molti cuori”
(Lc 2,35).
Anche l’amore, spargendo il sangue di Cristo, spargeva se stesso,
perché l’uomo sapesse quanto Dio lo ama: “Egli non ha risparmiato il
proprio Figlio” (Rm 8,32).
“Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio
unigenito” (Gv 3,16).
Questo Figlio unigenito è stato offerto, non perché i suoi nemici
avessero prevalso, bensì perché lui in prima persona l’ha voluto.
“Dopo aver amato i suoi, li amò sino alla fine”
(Gv 13,1).
La fine, è la morte accettata per coloro che egli ama: ecco la fine
di ogni perfezione, la fine dell’amore perfetto. “Nessuno ha un
amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”
(Gv 15,13).
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XXVIII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Giovedì
Lc
11, 47-54
Poemi teologici, 3
« Cominciarono a trattarlo
ostilmente »
di San
Gregorio di Nazianzeno nel quarto secolo
Colui
che ora disprezzi, ci fu un tempo in cui era al di sopra di te ;
colui che ora è uomo, era eternamente perfetto. Egli era in
principio senza causa ; poi si è sottomesso alle contingenze di
questo mondo… Questo lo ha fatto per salvare te, che lo insulti, te
che disprezzi Dio perché ha assunto la tua natura grezza…
È
stato avvolto in fasce, ma risorgendo dal sepolcro si è disfatto del
suo lenzuolo. È stato deposto in una mangiatoia, ma glorificato
dagli angeli, annunciato da una stella, adorato dai Magi… È dovuto
fuggire in Egitto, ma ha liberato questo paese dalle superstizioni
degli Egiziani. Non aveva « apparenza né bellezza »
(Is 53,2)
davanti ai suoi nemici, ma per Davide, era « il più bello tra i
figli dell’uomo » (Sal 44,3)
e sul monte brillò, più risplendente del sole
(Mt 17,1).
In quanto uomo, è stato battezzato ; ma in quanto Dio, ha cancellato
i nostri peccati ; non aveva bisogno di essere purificato, ma ha
voluto santificare le acque. In quanto uomo è stato tentato ; ma in
quanto Dio, ha trionfato, lui che ha « vinto il mondo »
(Gv 16,8)…
Ebbe fame, ma ha nutrito migliaia di uomini, lui « il Pane della
vita che discende dal cielo »
(Gv 6,48).
Ebbe sete, ma esclamò : « Chi ha sete venga a me e beva »
(Gv 7,37)…
Ha conosciuto la fatica, ma è il riposo di tutti coloro che « sono
affaticati e oppressi » (Mt
11,28)… Si fa chiamare
« Samaritano e posseduto dal demonio »
(Gv 8,48) ;
ma salva lui l’uomo incappato nei briganti
(Lc 10,29)
e mette in fuga i demoni… Prega, ma esaudisce lui le preghiere.
Piange, ma fa cessare lui i pianti. È venduto a vil prezzo, ma
riscatta lui il mondo, e a caro prezzo : il proprio sangue.
Come
una pecora, è condotto alla morte, ma egli conduce Israele
(Ez 34,14),
e oggi tutta la terra, a pascoli eccellenti. Come un agnello, tace :
ma egli è la Parola annunciata dalla voce di colui che grida nel
deserto (Mc 1,3).
È stato infermo e ferito ; ma cura ogni malattia e infermità
(Mt 9,35).
È stato innalzato sul legno ed è stato inchiodato ; ma ci ristora
mediante l’albero di vita.. Muore, ma fa vivere e distrugge la
morte. È sepolto, ma risorge e, salendo in cielo, libera le anime
dagli inferi.
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XXVIII°
settimana Tempo Ordinario - LODI
Venerdì
Tratto da:
"La saggezza dei Padri della Chiesa. La Preghiera".
Piero
Gribaudi Ed. Srl. 2000 Milano pp. 167-168
ATTESA E
DESIDERIO DEL MARTIRIO
di Sant'Ignazio
di Antiochia
nel SECONDO
SECOLO
Scrivo a tutte
le chiese, e a tutti annunzio che morrò volentieri per Dio, se voi
non me lo impedirete. Vi scongiuro, non dimostratemi una benevolenza
inopportuna. Lasciate che io sia pasto delle belve, per mezzo delle
quali mi sia dato di raggiungere Dio. Sono frumento di Dio, e sarò
macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo.
Supplicate Cristo per me, perché per opera di queste belve io
divenga ostia per il Signore.
Ogni mio
desiderio terreno è crocifisso e non c'è più in me nessuna
aspirazione per le realtà materiali, ma un'acqua viva mormora dentro
di me e mi dice: «Vieni al Padre». Non mi diletto più di un cibo
corruttibile, né dei piaceri di questa vita. Voglio il pane di Dio,
che è la carne di Gesù Cristo, della stirpe di David; voglio per
bevanda il suo sangue che è la carità incorruttibile.
Non voglio più
vivere la vita di quaggiù. E il mio desiderio si realizzerà, se voi
lo vorrete. Vogliatelo, vi prego, per trovare anche voi benevolenza.
Ve lo domando
con poche parole: credetemi. Gesù Cristo vi farà comprendere che
dico il vero: egli è la bocca verace per mezzo della quale il Padre
ha parlato in verità. Chiedete per me che io possa raggiungerlo. Non
vi scrivo secondo la carne, ma secondo il pensiero di Dio. Se subirò
il martirio, ciò significherà che mi avete voluto bene. Se sarò
rimesso in libertà, sarà segno che mi avete odiato.
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XXVIII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Venerdì
PIETÀ
FONDATA SULLA ROCCIA
di S.
Ignazio di Antiochia
nel SECONDO SECOLO
Lodo la tua
pietà in Dio, fondata su una roccia incrollabile e rendo la massima
gloria (al Signore) perché sono stato fatto degno del suo volto
irreprensibile. Potessi goderne in Dio. Ti esorto nella carità che
hai a proseguire nel tuo cammino e ad incitare tutti a salvarsi.
Dimostra la rettitudine del tuo posto con ogni cura nella carne e
nello spirito. Preoccupati dell'unità di cui nulla è più bello.
Sopporta tutti, come il Signore sopporta anche te; sostieni tutti
nella carità, come già fai. Cura le preghiere che non si
interrompano; chiedi una saggezza maggiore di quella che hai; veglia
possedendo uno spirito insonne. Parla a ciascuno nel modo conforme a
Dio. Sostieni come perfetto atleta la infermità di tutti. Dove
maggiore è la fatica, più è il guadagno.
Se ami i
discepoli buoni, non hai merito; piuttosto devi vincere con la bontà
i più riottosi. Non si cura ogni ferita con uno stesso impiastro.
Calma le esacerbazioni (della malattia) con bevande infuse. In ogni
cosa sii prudente come un serpente e semplice come la colomba. Per
questo sei di carne e di spirito, perché tratti con amabilità quanto
appare al tuo sguardo; per ciò che è invisibile prega che ti sia
rivelato, perché non manchi di nulla e abbondi di ogni grazia. Il
tempo presente esige che tu tenda a Dio, come i naviganti invocano i
venti e coloro che sono sbattuti dalla tempesta il porto. Come
atleta di Dio sii sobrio; il premio è l'immortalità, la vita eterna
in cui tu credi. In tutto sono per te una ricompensa io e le mie
catene che tu hai amate.
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XXVIII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
sabato
Cristo si è fatto pontefice
misericordioso
di S. Cirillo
di Alessandria nel quarto sec.
Cristo si e fatto pontefice misericordioso. Egli non solo non
protese dagli uomini nessuna pena in riparazione dei peccati, ma
anzi li giustificò mediante la grazia e la misericordia; inoltre
fece di noi degli adoratori in spirito e ci pose apertamente davanti
agli occhi la verità con chiarezza, cioè quell’autentico modo di
vivere onesto, palesemente indicato nel sublime messaggio
evangelico.
Non
additò la verità condannando i comandamenti mosaici o distruggendo
gli antichi decreti; ma piuttosto trasformando la lettera della
legge, che era solo un’ombra di ciò che era significato dalle
figure, in culto e adorazione in spirito e verità.
Perciò diceva apertamente: “Non pensate che io sia venuto ad
abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per
dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il
cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla
legge, senza che tutto sia compiuto”(Mt
5, 17-18).
Chi
trasforma le immagini in realtà non le distrugge, ma le perfeziona.
Come fanno i pittori, che non cancellano i precedenti tocchi con cui
hanno disposto i vari colori ma li stendono per rendere l’immagine
più chiara e visibile,, così fece Cristo, precisando quelle rozze
immagini fino alla perfezione della verità.
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XXVIII°
settimana Tempo Ordinario -
PRIMI VESPRI
Sabato
Le Catechesi
,
Città Nuova ed. ,
Roma 1993, pp.
428-429
FEDE E MARTIRIO,
ASCESI E PRATICHE DEI
Comandamenti: VIE PER LA VITA
di Cirillo di Gerusalemme nel quarto secolo
Tante
sono le prove che ci dimostrano la verità di questo articolo del
credo: "e nella vita eterna". Se veramente desideriamo conseguirne
il possesso, la Sacra Scrittura ce ne indica i modi.
Talora
leggiamo nella Scrittura che la si consegue per la via della fede:
"Chi crede nel Figlio avrà la vita eterna ecc.", e nello stesso
Vangelo: "In verità, in verità vi dico che chi ascolta le mie parole
e crede in colui che mi ha mandato avrà la vita eterna ecc.", in un
altro passo del medesimo che la dice premio per il predicatore della
fede evangelica: " Chi miete riceve salario e raccoglie frutto per
la vita eterna".
Ma
leggiamo pure che la si consegue con la testimonianza e la
confessione di Cristo fino al martirio: "Chi odia la sua vita in
questo mondo, la conserverà per la vita eterna", o con l'anteporre
il Cristo alle ricchezze e ai parenti: "Chiunque abbandona fratelli
e sorelle, ecc. erediterà la vita eterna".
Leggiamo, però, che la può conseguire chiunque osserva i
comandamenti, come disse Gesù a chi era venuto a domandargli:
"Maestro buono, che cosa debbo fare per avere la vita eterna?". Gli
rispose: "Non commettere adulterio, non uccidere, ecc.". Paolo dice
che la consegue chiunque rinnega le opere malvagie e si dà al
servizio di Dio: "Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di
Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e
come destino avete la vita eterna".
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XXIX°
settimana Tempo Ordinario - UR
Domenica
Commento sui
salmi
CANTERO' CON LO SPIRITO, MA CANTERO' ANCHE
CON L'INTELLIGENZA
di S.
Ambrogio nel quarto secolo
Che cosa di più
dolce di un salmo? Per questo lo stesso Davide dice splendidamente:
"Lodate il Signore: è bello cantare al nostro Dio, dolce è
lodarlo come a Lui conviene "
(Sal 146,1).
Davvero!
Il salmo infatti è benedizione per i fedeli, lode a Dio, inno al
popolo, plauso di tutti, parola universale, voce della Chiesa,
professione e canto di fede, espressione di autentica devozione,
gioia di libertà, grido di giubilo, suono di letizia. Mitiga l'ira,
libera dalle sollecitudini, solleva dalla mestizia. E' protezione
nella notte, istruzione nel giorno, scudo nel timore, festa nella
santità, immagine di tranquillità, pegno di pace e di concordia che,
a modo di cetra, da voci molteplici e differenti ricava un'unica
melodia. Il salmo canta il sorgere del giorno, il salmo ne fa
risuonare il tramonto.
Nel salmo
il gusto gareggia con l'istruzione. Nello stesso tempo si canta per
diletto e si apprende per ammaestramento. Che cos'è che non trovi
quando tu leggi i salmi? In essi leggo: "Canto d'amore "
(Sal
44,1) e
mi sento infiammare dal desiderio di un santo amore. In essi passo
in rassegna le grazie della rivelazione, le testimonianze della
risurrezione, i doni della promessa. In essi imparo ad evitare il
peccato, e a non vergognarmi della penitenza per i peccati.
Davide ci
ha insegnato che bisogna cantare, che bisogna salmeggiare
nell'intimo del cuore come anche Paolo dicendo: "Pregherò con lo
spirito, ma pregherò anche con l'intelligenza "
(1 Cor 14,15).
Davide ci ha detto che bisogna formare la nostra vita e i nostri
atti alla contemplazione delle cose superne, perché il piacere della
dolcezza non ecciti le passioni del corpo, dalle quali la nostra
anima è oppressa e non liberata.
Il santo
profeta ci ha ricordato che egli salmeggiava per liberare la sua
anima e per questo disse: "Ti canterò sulla cetra, o santo
d'Israele. Cantando le tue lodi esulteranno le mie labbra e la mia
vita, che tu hai riscattato
"(Sal 70, 22-23)
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XXIX°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Domenica
Mt
22, 15-21
Omelia 1 per la ventiduesima domenica dopo Pentecoste, 2-5 ;
Opera omnia, 8, 335
(In l'Ora dell'Ascolto p. 2024)
Essere
veramente un’immagine di Dio
di San Lorenzo
da Brindisi nel diciassettesimo secolo
« Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di
Dio ». A ciascuno si deve dare il suo : sentenza piena di sapienza
celeste e di dottrina. Egli insegna che vi sono due tipi di potere :
uno terreno e umano, l’altro celeste e divino ; e insegna che da noi
si richiede una duplice obbedienza : alle leggi umane e a quelle
divine… A Cesare dobbiamo dare la moneta che porta l’immagine e
l’iscrizione di lui, a Dio invece ciò su cui è impressa l’immagine e
la somiglianza divina : « Risplenda su di noi, Signore, la luce del
tuo volto » (Sal 4,7).
Noi
siamo creati a immagine e somiglianza di Dio
(Gen 1,26).
Tu, o cristiano, sei uomo : sei dunque moneta del tesoro divino, sei
il danaro che porta impressa l’immagine e l’iscrizione del re
divino. Con Cristo io ti chiedo : « Di chi è questa immagine e
l’iscrizione ? » Tu dici : « Di Dio. » Osservo : « E perché non dai
a Dio ciò che è suo ? »
Se
vogliamo essere immagine di Dio, dobbiamo essere simili a Cristo,
perché egli è l’immagine della bontà di Dio e l’ « impronta della
sua sostanza » (Eb 1,3).
Dio poi « quelli che da sempre ha conosciuto li ha anche
predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo »
(Rm 8,29).
E Cristo ha veramente dato a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò
che è di Dio, perché ha osservato alla perfezione le due tavole
della legge divina « facendosi obbediente fino alla morte e alla
morte di croce » (Fil 2,8) ;
e fu adorno nel grado più perfetto di tutte le virtù interne e
esterne.
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XXIX°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Martedì
Omelia sul Cantico dei Cantici, PG 44, 996-997
« In tenuta di servizio e con le
lucerne accese »
di San
Gregorio di Nissa nel quarto secolo
Il
Verbo ci invita a scuoterci dagli occhi dell’anima questo sonno
pesante affinché, con lo spirito liberato da ogni miraggio, non
scivogliamo al di là dalle vere realtà attaccandoci a ciò che non ha
consistenza. Perciò ci suggerisce il pensiero della vigilanza
dicendo : « Siate pronti con la cintura ai fianchi e le lucerne
accese »… Il significato di questi simboli è chiarissimo. Chi è
cinto dalla temperanza, vive nella luce di una coscienza pura,
perché la fiducia filiale illumina la sua vita come una lucerna.
Illuminata dalla verità, la sua anima dimora fuori dal sonno
dell’illusione poiché non viene ingannata da nessun sogno vano. Se
adempiremo questo, secondo le indicazioni del Verbo, entreremo in
una vita simile a quella degli angeli…
Essi
infatti sono coloro che aspettano il Signore quando torna dalle
nozze, e siedono, vigilanti, alle porte del cielo, affinché il Re
della gloria (Sal 23, 7)
possa entrare nuovamente, quando tornerà dalle nozze ed entrerà
nella beatitudine che è al di sopra dei cieli. « Uscendo come sposo
dalla stanza nuziale » secondo il testo del salterio
(Sal 19, 6),
si è unito come a una vergine, mediante la rigenerazione
sacramentale, alla nostra natura umana, che si era prostituita agli
idoli, e l’ha restituita alla sua incorruttibilità verginale. A
nozze ormai finite, poiché la chiesa è stata sposata dal Verbo…e
introdotta nella stanza dei misteri, gli angeli aspettano il ritorno
del Re della gloria nella beatitudine che gli è naturale.
Perciò il testo dice che la nostra vita deve essere simile a quella
degli angeli affinché, come loro, viviamo lontani dal vizio e
dall’illusione, per essere pronti ad accogliere la parusia del
Signore e, vegliando anche noi alle porte delle nostre dimore,
stiamo pronti ad obbedire quando, alla sua venuta, busserà alla
porta.
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XXIX°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Martedì
Discorso sul Cantico dei cantici n°17, 2
Vegliare nello Spirito Santo
di San Bernardo
nel dodicesimo secolo
Dobbiamo essere vigilanti e attenti all’opera della salvezza che sta
operandosi in noi, perché con mirabile finezza e con la delicatezza
di un’artista divino, il Santo Spirito compie continuamente questa
opera nel più intimo del nostro essere. Non ci sia mai tolta senza
che ce ne accorgiamo, questa unzione che ci insegna tutto, e non ci
colga mai all’improvviso la sua venuta. Invece occorre tener lo
sguardo sempre in agguato e il cuore spalancato per ricevere questa
benedizione generosa del Signore. In quali stati d’animo vuole
trovarci lo Spirito? “Siate simili a coloro che aspettano il padrone
quando torna dalle nozze”. Non torna mai a mani vuote dalla mensa
celeste e da tutte le gioie che essa prodiga.
Occorre dunque vegliare e pregare in ogni momento, perché non
sappiamo a che ora lo Spirito verrà, né a che ora andrà via di
nuovo. Lo Spirito viene e va (Gv 3, 81); se stiamo in piedi grazie a lui, quando si ritira, cadiamo
inevitabilmente, ma senza spezzarci, perché il Signore ci trattiene
per la sua mano. E lo Spirito non cessa di fare vivere questa
alternanza di presenza e di assenza a quelli che sono spirituali, o
piuttosto a quelli che vuole rendere spirituali. Per questo li
visita all’alba, poi improvvisamente li mette alla prova.
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XXIX°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Mercoledì
Lc
12, 39-48
Omelie 77
su Matteo
« Tenetevi pronti »
di San
Giovanni Crisostomo nel quarto secolo
“Il
Figlio dell’uomo verrà nell’ora che non pensate”. Questo dice Gesù
affinché i discepoli rimangano svegli, che siano sempre pronti. Dice
loro che verrà nell’ora in cui non se l’aspettano, perché vuole
spingerli a praticare la virtù con zelo e senza sosta. Come se
dicesse loro: “Se gli uomini sapessero quando moriranno, sarebbero
perfettamente pronti per quel giorno”... Invece il momento della
fine della nostra vita è un segreto che sfugge ad ogni uomo...
Per
questo il Signore esige dal suo servo due qualità: che cioè sia
fedele, affinché non si attribuisca nulla di ciò che appartiene al
suo padrone, e che sia avveduto, per amministrare bene quanto gli è
stato affidato. Ci vogliono dunque queste due qualità per essere
pronti per il ritorno del Padrone... Ecco infatti ciò che succede
per il fatto che non conosciamo il giorno del nostro incontro con
lui: ci diciamo: “Il mio padrone tarda a venire”. Il servo fedele e
avveduto non ha tali pensieri. Sciagurato! con il pretesto che il
tuo Padrone tarda, immagini che non verrà affatto? Il suo ritorno è
sicuro. Perché dunque non stai in guardia? No, il Signore non è
lento a venire; questo ritardo esiste solo nell’immaginazione del
cattivo servo.
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XXIX°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Mercoledì
Lc 12, 39-48
PPS, t. 4, n° 22
« Tenetevi pronti »
di
Cardinal John Henry Newman nel dicianovesimo secolo
Il
nostro Signore ha dato questo avvertimento mentre stava per lasciare
questo mondo, per lo meno visibilmente. Prevedeva le centinaia di
anni che sarebbero potute trascorrere prima del suo ritorno.
Conosceva il proprio disegno, quello del Padre suo : lasciare
gradualmente il mondo a se stesso, ritirare gradualmente i pegni
della sua presenza misericordiosa. Prevedeva l’oblio in cui egli
sarebbe caduto anche fra i suoi stessi discepoli …, lo stato del
mondo e della Chiesa come li vediamo oggi, in cui la sua assenza
prolungata ha fatto credere che non sarebbe più tornato…
Oggi,
ci mormora misericordiosamente all’orecchio di non fidarci di ciò
che vediamo, di non partecipare all’incredulità generale, di non
lasciarci trascinare dal mondo, ma di « fare attenzione, di vegliare
e di pregare » (Lc 21, 36),
e di aspettare la sua venuta. Questo avvertimento misericordioso
dovremmo tenerlo sempre in mente, tanto è preciso, solenne e
pressante.
Il
nostro Signore aveva predetto la sua prima venuta, eppure quando è
venuto, ha sorpreso tutti. Verrà in un modo ancora più improvviso la
seconda volta, e sorprenderà gli uomini. Ora, senza dire quanto
tempo trascorrerà prima del suo ritorno, ha affidato la nostra
vigilanza alla guardia della fede e dell’amore… Infatti dobbiamo non
soltanto credere, ma vegliare ; non soltanto amare, ma vegliare ;
non soltanto obbedire, ma vegliare. Perché vegliare ? Per questo
grande avvenimento della venuta di Cristo. In questo sembra esserci
affidato un dovere particolare : non soltanto credere, temere, amare
e obbedire, ma anche vegliare : vegliare per Cristo, vegliare con
Cristo.
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XXIX°
settimana Tempo Ordinario -
LODI giovedì
Libro di Vita
Capitolo “
Castità” § 84-85
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XXIX°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Giovedì
Lc 12,
49-53
Trattato su
San Luca, 7:131-132 ; SC 52
« Sono venuto a portare il fuoco
sulla terra »
di Sant’Ambrogio
nel quarto secolo
« Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e come vorrei che
fosse già acceso ». Il Signore vuole che siamo vigilanti, attenti in
ogni momento alla venuta del Salvatore…Ma poiché il guadagno è
misero, e debole il merito quando soltanto il timore del supplizio
impedisce di perdersi, mentre l’amore ha un valore superiore, il
Signore stesso…infiamma il nostro desiderio di acquistare Dio quando
dice : « Sono venuto a portare il fuoco sulla terra ». Non certo il
fuoco che distrugge, bensì quello che produce la volontà buona,
quello che rende migliori i vasi d’oro della casa del Signore,
consumando il fieno e la paglia
(1 Cor 3, 12),
divorando tutta la vanità del mondo, accumulata dalla passione del
piacere terreno, opera della carne che deve perire.
Questo fuoco divino bruciava le ossa dei profeti, come dichiara
Geremia : « C’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa ».
(Ger 20, 9).
Infatti c’é un fuoco del Signore, di
cui si dice : « Davanti a lui cammina il fuoco »
(Sal 96, 3).
Il Signore stesso è un fuoco « che arde senza consumarsi »
(Es 3, 2).
Il fuoco del Signore è luce eterna ; le lucerne dei credenti si
accendono a questo fuoco : « Siate pronti, con la cintura ai fianchi
e le lucerne accese » (Lc 12,
35). Una lucerna è necessaria
perché i giorni di questa vita sono ancora notte. Il Signore stesso,
secondo la testimonianza dei discepoli di Èmmaus, aveva messo questo
fuoco nel loro cuore : « Non ci ardeva forse il cuore nel petto
mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le
Scritture ? » (Lc 24, 32)
Ci mostrano con evidenza qual’è l’azione di questo fuoco, che
rischiara il profondo del cuore dell’uomo. Perciò il Signore verrà
con il fuoco (Is 66, 15)
per consumare i vizi nel momento della risurrezione, per colmare con
la sua presenza i desideri di ciascuno, e proiettare la sua luce sui
meriti e i misteri.
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XXIX°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Venerdì
Lc 12,
54-59
Lettera apostolica Novo
millenio ineunte, 6/01/2001,
§ 55-56 (©
copyright Libreria Editrice Vaticana)
Leggere i segni dei tempi
di Papa
Giovanni Paolo II
Nella
condizione di più spiccato pluralismo culturale e religioso, quale
si va prospettando nella società del nuovo millennio, il dialogo
interreligioso è importante anche per mettere un sicuro presupposto
di pace e allontanare lo spettro funesto delle guerre di religione
che hanno rigato di sangue tanti periodi nella storia dell'umanità.
Il nome dell'unico Dio deve diventare sempre di più, qual è, un nome
di pace e un imperativo di pace.
Ma il dialogo
non può essere fondato sull'indifferentismo religioso, e noi
cristiani abbiamo il dovere di svilupparlo offrendo la testimonianza
piena della speranza che è in noi
(cfr 1 Pt 3,15)...
Il dovere missionario, d'altra parte, non ci impedisce di andare al
dialogo intimamente disposti all'ascolto. Sappiamo infatti che, di
fronte al mistero di grazia infinitamente ricco di dimensioni e di
implicazioni per la vita e la storia dell'uomo, la Chiesa stessa non
finirà mai di indagare, contando sull'aiuto del Paraclito, lo
Spirito di verità (Gv 14,17),
al quale appunto compete di portarla alla « pienezza della verità »
(Gv 16,13).
Questo principio è alla base non solo dell'inesauribile
approfondimento teologico della verità cristiana, ma anche del
dialogo cristiano con le filosofie, le culture, le religioni. Non
raramente lo Spirito di Dio, che « soffia dove vuole »
(Gv 3,8),
suscita nell'esperienza umana universale, nonostante le sue
molteplici contraddizioni, segni della sua presenza, che aiutano gli
stessi discepoli di Cristo a comprendere più profondamente il
messaggio di cui sono portatori. Non è stato forse con questa umile
e fiduciosa apertura che il Concilio Vaticano II si è impegnato a
leggere i « segni dei tempi » (Gaudium et spes, §4)? Pur attuando un
operoso e vigile discernimento, per cogliere i « veri segni della
presenza o del disegno di Dio » (§11), la Chiesa riconosce che non
ha solo dato, ma anche «ricevuto dalla storia e dallo sviluppo del
genere umano» (§44). Questo atteggiamento di apertura e insieme di
attento discernimento il Concilio lo ha inaugurato anche nei
confronti delle altre religioni.
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XXIX°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Venerdì
Lc 12,
54-59
Discorso
di apertura del Concilio Vaticano II
Interpretare i segni dei tempi
del Beato
Giovanni XXIII
Succede spesso che, nell’esercizio quotidiano del nostro ministero
apostolico, i nostri orecchi siano offesi sapendo ciò che dicono
alcuni che, pur infiammati da zelo religioso, mancano di finezza nel
giudizio e di ponderatezza nel modo di vedere le cose. Nella
situazione attuale della società, non vedono che rovina e calamità ;
sono soliti dire che la nostra epoca ha peggiorato rispetto ai
secoli passati ; si comportano come se la storia, che è maestra di
vita, non avesse nulla da insegnare loro e come se nel tempo dei
Concili di una volta, tutto fosse stato perfetto, riguardo alla
dottrina cristiana, ai costumi e alla giusta libertà della Chiesa.
Ci
sembra necessario dire il nostro totale disaccordo con tali profeti
di sventure, che annunciano sempre disastri, come se il mondo si
avvicinasse al suo termine.
Nel
decorso attuale degli avvenimenti, mentre la società umana sembra ad
una svolta, è meglio riconoscere i disegni misteriosi della
Provvidenza divina che, attraverso la successione delle epoche e
delle occupazioni degli uomini, contraddicendo ogni attesa,
raggiungono il loro fine e dispongono ogni cosa con sapienza per il
bene della Chiesa, persino grazie ad eventi contrari.
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XXIX°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Sabato
Lc 13, 1-9
Discorso, 20 sulla Passione del Signore ; SC 74bis, 245
« Se non vi convertite »
di San Leone
Magno nel quinto secolo
Mettiamoci all’opera, fratelli ! Sforziamoci di essere trovati
associati alla risurrezione di Cristo e di passare dalla morte alla
vita mentre siamo ancora in questo corpo. Tutti coloro che passano
attraverso una conversione, qualunque essa sia, tutti coloro che
passano da uno stato ad un altro, vivono una fine : non sono più
quello che erano. E nello stesso momento vivono un inizio :
diventano ciò che non erano. È importante sapere per chi moriamo e
per chi viviamo, perché c’è una morte che fa vivere e una vita che
fa morire.
Poiché sia l’una che l’altra non possiamo ricercarle al di fuori di
questo mondo effimero, sarà dalla qualità delle nostre azioni
quaggiù che dipenderà la differenza delle retribuzioni eterne.
Moriamo dunque al diavolo e viviamo per Dio ; moriamo al peccato per
risorgere alla giustizia ; che scompaia l’uomo vecchio perché sorga
l’uomo nuovo. Poiché, secondo la parola di Verità, « nessuno può
servire a due padroni » (Mt
6,24), prendiamo come padrone
non colui che fa inciampare coloro che sono in piedi per portarli
alla rovina, ma colui che rialza coloro che sono caduti per portarli
alla gloria.
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XXIX°
settimana Tempo Ordinario -
PRIMI VESPRI Sabato
Dal trattato
«L'ideale perfetto del cristiano», vescovo (PG 46, 283-286)
Manifestiamo Cristo in tutta la nostra vita
di san Gregorio di
Nissa nel quarto secolo
Tre sono gli elementi che manifestano e distinguono la vita del
cristiano: l'azione, la parola e il pensiero. Primo fra questi è il
pensiero, al secondo posto viene la parola che dischiude e manifesta
con vocaboli ciò che è stato concepito col pensiero. Dopo, in terzo
luogo, si colloca l'azione, che traduce nei fatti quello che è stato
pensato.
Se perciò una qualunque delle molte cose possibili ci porta
naturalmente o a pensare o a parlare o ad agire, è necessario che
ogni nostro detto o fatto o pensiero sia indirizzato e regolato da
quelle norme con le quali Cristo si è manifestato, in modo che non
pensiamo, né diciamo, né facciamo nulla che possa allontanarci da
quanto ci indica quella norma sublime.
In molti modi si può fare questo importante esame. Infatti tutto
ciò che si fa o si pensa o si dice, sotto la spinta di qualche mala
passione, questo non si accorda affatto con Cristo, ma porta
piuttosto il marchio e l'impronta del nemico, il quale mescola alla
perla preziosa del cuore, il fango di vili cupidigie per appannare e
deformare il limpido splendore della perla.
Ciò che invece è libero e puro da ogni sordida voglia, questo è
certamente indirizzato all'autore e principe della pace, Cristo. Chi
attinge e deriva da lui, come da una sorgente pura e incorrotta, i
sentimenti e gli affetti del suo cuore, presenterà, con il suo
principio e la sua origine, tale somiglianza quale può aver con la
sua sorgente l'acqua, che scorre nel ruscello o brilla nell'anfora.
Infatti la purezza che è in Cristo e quella che è nei nostri
cuori è la stessa. Ma quella di Cristo si identifica con la
sorgente, la nostra invece promana da lui e scorre in noi,
trascinando con sé per la via la bellezza ed onestà dei pensieri, in
modo che appaia una certa coerenza ed armonia fra l'uomo interiore e
quello esteriore, dal momento che i pensieri e i sentimenti che
provengono da Cristo, regolano la vita e la guidano nell'ordine e
nella santità.
In questo dunque, a mio giudizio, sta la perfezione della vita
cristiana, nella piena assimilazione e nella concreta realizzazione
di tutti i titoli espressi dal nome di Cristo, sia nell'ambito
interiore del cuore, come in quello esterno della parola e
dell'azione.
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XXX°
settimana Tempo Ordinario -
UR
Domenica
Omelia 84
; PL 52, 438-440
La
testimonianza di Tommaso
di San Pietro
Crisologo nel quinto secolo
Sarebbe piaciuto, fratelli, alla vostra carità
che dopo la risurrezione del Signore, l’empietà non avesse lasciato
nessuno nel dubbio. Però Tommaso portava l’incertezza non soltanto
del suo cuore, ma anche quella di tutti gli uomini. E siccome doveva
predicare la risurrezione alle nazioni, cercava, da scrupoloso
indagatore, su cosa avrebbe fondato un mistero che richiede tanta
fede. E il Signore mostrò a tutti gli apostoli ciò che Tommaso aveva
domandato così tardi. Gesù venne e mostrò loro le mani e il
costato. Infatti i discepoli avrebbero potuto credere un fantasma
colui che entrava, mentre erano chiuse le porte, se non avesse
potuto mostrare loro che era proprio lui, poiché le sue ferite erano
il segno della Passione.
Perciò, venne da Tommaso e gli disse : « Metti la tua mano nel mio
costato e non essere più incredulo ma credente. Queste ferite che
apri di nuovo, e hanno gia sparso l’acqua del battesimo e il sangue
del riscatto, lascino scorrere la fede nell’universo intero. »
Tommaso rispose : « Mio Signore e mio Dio ». Vengano gli eretici e
sentano e, come dice il Signore, non siano più increduli ma
credenti. Tommaso manifesta e proclama che lì non c’è soltanto un
corpo umano, ma pure che, per la Passione del suo corpo di carne, il
Cristo è Dio e Signore. È veramente Dio chi vive dopo essere morto e
risorge dopo essere stato colpito.
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XXX°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Domenica
Mt
22, 34-40
Quinta
Dimora, 3
Il grande
comandamento
di Santa
Teresa d'Avila nel sedicesimo secolo
Dio
ci chiede soltanto due cose : che lo amiamo, e che amiamo il nostro
prossimo. Tale deve essere la meta dei nostri sforzi. Se ci
conformiamo ad esso, di un modo perfetto, adempiamo la sua volontà e
gli siamo uniti. Quanto, però siamo lungi dall’adempiere questo
doppio precetto, come lo dovremmo al servizio di un Dio così
grande ! Voglia Sua Maestà darci la sua grazia, affinché meritiamo
di giungere a questa perfezione, perché questo è in nostro potere,
se lo vogliamo.
Il
segno più sicuro, secondo me, per sapere se abbiamo questo doppio
amore, consiste nell’amare veramente il prossimo. Perché, non
possiamo avere la certezza che amiamo Dio, anche se ne abbiamo degli
indizi molto seri ; invece possiamo sapere sicuramente se amiamo il
prossimo. Siate certe che quanto più scoprirete in voi progressi
nell’amore del prossimo, tanto più avrete progredito nell’amore di
Dio.
L’amore che Dio nutre per noi è così profondo che, ricambiando
quello che abbiamo per il prossimo, perfeziona in mille modi, quello
che proviamo per lui stesso ; non posso avere nessun dubbio su
questo punto. È il motivo per cui è molto importante considerare
bene come amiamo il prossimo ; dal momento che questo amore è
perfetto, abbiamo fatto tutto ciò che occorreva. Perché, secondo me,
la nostra natura è così depravata che, se il nostro amore per il
prossimo non prendesse le sue radici nell’amore stesso di Dio, non
potrebbe innalzarsi alla perfezione.
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XXX°
settimana Tempo Ordinario -
LODI Martedì
Trattato sulle opere dello Spirito Santo 4,9 ; SC 165, 157
Gli
apostoli istruiti dallo Spirito Santo
di Ruperto di
Deutz
A
tutti gli apostoli riuniti, la Verità ha detto: “Il Consolatore, lo
Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà
ogni cosa” (Gv 14, 26).
Infatti... nel momento in cui
apparvero agli apostoli lingue come di fuoco che si posarono su
ciascuno di loro (At 2, 3),
videro, in un batter d’occhio, grazie ad un’illuminazione interiore,
tutte le Scritture e tutti i profeti... Penetrarono questi segreti,
tenuti nascosti agli scribi e ai farisei, ai sapienti e ai dottori
della Legge. Così si compì la parola del Signore: “Hai tenuto
nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai
rivelate ai piccoli” (Mt 11,
25)... Quindi, questi uomini
illetterati non venivano ammaestrati da uomini, ma istruiti
meravigliosamente dallo Spirito Santo, lo Spirito di intelligenza
che apriva loro il tesoro delle Scritture.
Per
questo motivo hanno il diritto di essere ricevuti ed ascoltati da
noi, come la bocca di Dio stesso... Su di loro si fonda la nostra
fede, come pure sui patriarchi ed i profeti che hanno ascoltato la
parola di Dio per mezzo del medesimo Spirito, direttamente. E questo
è il fondamento su cui poggiamo.
Quanto
a tutti coloro che non erano presenti, che non hanno imparato in
questo modo, noi crediamo a quanto ci dicono non a motivo della loro
opinione personale, ma perché fondano le proprie affermazioni sulla
testimonianza degli apostoli. Infatti la Rivelazione è stata fatta
agli apostoli... a loro è stato rivelato, per mezzo dello Spirito
Santo, ciò che gli uomini non potevano né insegnare, né sapere.
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XXX°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Martedì
La successione apostolica
di San
Clemente di Roma nel primo secolo
Gli apostoli hanno ricevuto per noi dal Signore Gesù Cristo
la Buona Novella ; Gesù Cristo è stato mandato da Dio. Cristo,
dunque, viene da Dio e gli apostoli da Cristo: tutte e due le cose
procedono ordinamente dalla volontà di Dio. E così, ricevuto il
mandato, rafforzati dalla parola di Dio e confermati con assoluta
certezza dalla risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo, andarono
ad annunciare l’avvento del Regno di Dio con incrollabile fiducia
nello Spirito Santo. Predicando il Verbo per paesi e città,
nominarono vescovi e diaconi per i futuri credenti, quelli di cui
avevano provato, nello Spirito Santo, la genuina disponibilità alla
fede… E che c’è di strano se coloro che ricevettero da Dio in Cristo
questo incarico ordinano i predetti ministri ? …Gli apostoli
sapevano per ispirazione di Cristo nostro Signore, che sarebbero
scoppiate contese per il titolo di vescovo ; perciò, prevedendo
perfettamente il futuro, nominarono i vescovi e subito dopo
istituirono la successione affinché, morti i primi, altri uomini
insigni
succedessero nel loro ministero.
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XXX°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Mercoledì
Lc 13,
22-30
Lettera 102 (a Deogratias), 8-12
(Nuova
Biblioteca Agostiniana)
« Vedrete Abramo, Isacco e
Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio »
di Sant’Agostino nel quinto
secolo
Se Cristo proclama sé stesso
la via della salvezza, la grazia, la verità e alle anime credenti in
lui presenta se stesso quale unico mediatore per il ritorno a Dio
(Gv 16, 6),
che cosa hanno fatto gli uomini di tanti secoli prima di Cristo?...
Noi affermiamo che Cristo è il vero Dio, dal quale è stata creata
ogni cosa; egli è il Figlio di Dio, perché suo Verbo. Non è un verbo
che appena pronunciato è già passato, ma il Verbo immutabile e
immutabilmente sussistente presso il Padre, anche esso immutabile.
Dal Verbo è diretta e guidata ogni creatura spirituale e corporea
nel modo più confacente ai tempi e ai luoghi. In lui risiede la
sapienza e la scienza capace di dirigere e guidare tutte le creature
e di determinare che cosa, in qual luogo o tempo sia più opportuno
fare per il loro bene. Il Verbo esisteva sempre uguale ... così pure
da adesso sino alla fine del mondo...
Perciò fin dai primordi del genere umano tutti coloro, i quali hanno
creduto in Lui e in qualche modo l'hanno conosciuto e hanno menato
una vita pia e giusta conforme ai suoi precetti, in qualsiasi tempo
e luogo siano vissuti, senza dubbio si sono salvati per mezzo di
Lui. Sì; come noi crediamo in Lui non solo vivente col Padre ma
anche già incarnato, così gli antichi credevano in Lui e vivente col
Padre e che sarebbe venuto nel mondo. E se, conforme alla diversità
dei tempi, viene annunciato adesso come già avvenuto quel che un
tempo era preannunciato da avvenire, ciò non significa che la fede
sia cambiata o sia diversa l'unica e identica salvezza.
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XXX°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Mercoledì
« Quanto stretta è la porta e
angusta la via che conduce alla vita »
di
Giovanni Paolo
II
Sono venuto ad incoraggiarvi sulla via del Vangelo, una via certo
stretta, eppure la via regale, sicura, provata da generazioni di
cristiani, insegnata dai santi… È la via sulla quale, come voi, i
vostri fratelli nella Chiesa universale si sforzano di camminare.
Questa via non passa dalla rassegnazione, dalle rinunce o dagli
abbandoni. Non si rassegna all’insulsaggine del senso morale, ed
auspicherebbe che la legge civile stessa aiutasse ad innalzare
l’uomo. Non cerca di sottrarsi, di rimanere inosservata ; richiede
invece l’audacia gioiosa degli apostoli. Bandisce quindi la
pusillanimità, pur mostrandosi perfettamente rispettosa verso coloro
che non condividono lo stesso ideale.
« Riconosci, o cristiano, la tua dignità ! » diceva il grande papa
S. Leone. Ed io, suo indegno successore, dico a voi, fratelli miei e
sorelle mie : Riconoscete la vostra dignità ! Siate fieri della
vostra fede, del dono dello Spirito che il Padre vi ha fatto. Vengo
da voi come un povero, con l’unica ricchezza della fede, pellegrino
del Vangelo. Date alla Chiesa e al mondo l’esempio della vostra
fedeltà senza difetto e del vostro zelo missionario.
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XXX°
settimana Tempo Ordinario -
LODI Giovedì
LIBRO di VITA
Capitolo "Nel
cuore della città" § 135
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XXX°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Giovedì
La
Città di Dio, §14, 28
(Nuova
Biblioteca Agostiniana)
« Alla vista
della città, Gesù pianse su di essa »
di
Sant’Agostino nel quinto secolo
Due amori dunque diedero origine a due città, alla terrena
l'amor di sé fino all'indifferenza per Iddio, alla celeste l'amore a
Dio fino all'indifferenza per sé. Inoltre quella si gloria in sé,
questa nel Signore. Quella infatti esige la gloria dagli uomini (Gv
5,44), per questa la più grande gloria è Dio testimone della
coscienza. Quella leva in alto la testa nella sua gloria, questa
dice a Dio: “Tu sei la mia gloria anche perché levi in alto la mia
testa” (Sal 3,4). In quella domina la passione del dominio nei suoi
capi e nei popoli che assoggetta, in questa si scambiano servizi
nella carità i capi col deliberare e i sudditi con l'obbedire.
Quella ama la propria forza nei propri eroi, questa dice al suo Dio:
“Ti amerò, Signore, mia forza” (Sal 17,2).
Quindi nella città terrena i
suoi filosofi, che vivevano secondo l'uomo, hanno dato rilievo al
bene o del corpo o dell'anima o di tutti e due. Coloro poi che
poterono conoscere Dio, “non lo adorarono e ringraziarono come Dio,
si smarrirono nei propri pensieri e fu lasciato nell'ombra il loro
cuore stolto... Così si asservirono nel culto alla creatura anziché
al Creatore che è benedetto per sempre” (Rm 1,21-25). Nella città
celeste invece l'unica filosofia dell'uomo è la religione con cui
Dio si adora convenientemente, perché essa attende il premio nella
società degli eletti, non solo uomini ma anche angeli, “affinché Dio
sia tutto in tutti” (1 Cor 15, 28).
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XXX°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Venerdì
Sul sacramento dell’altare, 3, 2 ; SC 94, 517
Verso il sabato pieno
di Baldovino di
Ford nel dodicesimo secolo
Mosè
disse: “Il giorno di sabato vi sarà riposo assoluto, sacro al
Signore” (Es 31, 15).
Il Signore ama il riposo; ama riposarsi in noi, di modo che noi
riposiamo in lui. Ma c’è un riposo del tempo futuro di cui sta
scritto: “Sì, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche”
(Ap 14, 13).
E c’è un riposo del tempo presente, di cui ha detto il profeta:
“Cessate di fare il male” (Is
1, 16).
Si
giunge al riposo del tempo futuro praticando le sei opere di
misericordia che sono enumerate nel vangelo dove è detto: “Ho avuto
fame e mi avete dato da mangiare”
(Mt 25, 35)...
Infatti “ci sono sei giorni in cui si deve lavorare”
(Lc 13,14),
poi viene la notte, cioè la morte, quando nessuno può più operare
(Gv 9, 4).
Dopo questi sei giorni, viene il sabato: quando tutte le opere buone
sono compiute, giunge il riposo delle anime.
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XXX°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Venerdì
Dialogo
della Divina Provvidenza, cap. 41
« Credo la comunione dei santi »
di
Santa Caterina da Siena nel
quattordicesimo secolo
Dio
ha detto a santa Caterina: L’anima giusta che ha finito la sua vita
nella carità è ormai incatenata nell’amore e non può più crescere in
virtù; è passato il tempo. Ma essa può sempre amare dell’amore che
aveva quando è venuta a me, e questa è la misura del suo amore (Lc
6,38). Sempre mi desidera, sempre mi ama, e il suo desiderio non è
mai frustrato: ha fame ed è saziata; saziata, ha ancora fame; sfugge
alla nausea della sazietà come alla sofferenza della fame.
Nell’amore i beati godono della mia vita eterna, nell’amore
partecipano a quel bene che io possiedo in me e che comunico a
ciascuno di loro secondo la loro misura; questa misura è il grado di
amore che avevano quando sono venuti a me.
Perché sono rimasti nella mia carità e nella carità per il prossimo,
e poiché sono uniti nella carità..., ognuno si rallegra di
partecipare al bene degli altri, oltre al bene universale che
possiede. I santi condividono la gioia e la felicità degli angeli,
in mezzo ai quali sono posti... Partecipano anche particolarmente
alla felicità di coloro che amavano sulla terra più strettamente,
con un affetto particolare. Con questo amore crescevano insieme in
grazia e in virtù; uno era per l’altro un’occasione di manifestare
la mia gloria e di lodare il mio nome... Non hanno perso questo
amore nell’ eterna vita, lo conservano sempre. Anzi esso fa
sovrabbondare la loro felicità, con la gioia che ciascuno prova
della felicità dell’altro.
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XXX°
settimana Tempo Ordinario -
LODI sabato
Discorsi,
39 ; CCL 9A, 169-170
La legge nuova delle Beatitudini
di San
Cromazio di Aquileia nel quarto secolo
Occorreva che la legge nuova fosse proclamata su un monte, dato che
la legge di Mosè era stata data su un monte. Una consiste in dieci
comandamenti destinati a formare gli uomini in vista della condotta
della vita presente, l’altra consiste in otto beatitudini, perché
conduce coloro che la seguono alla vita eterna e alla patria
celeste.
« Beati i miti, perché erediteranno la terra ». Occorre dunque
essere miti, pacifici e sinceri di cuore ; il Signore mostra
chiaramente che il merito di tali uomini non è di poco conto
dicendo : « Erediteranno la terra ». Si tratta senza dubbio di
quella terra di cui sta scritto : « Sono certo di contemplare la
bontà del Signore nella terra dei viventi »
(Sal 26,13).
L’eredità di quella terra, è l’immortalità del corpo e la gloria
della risurrezione eterna. Infatti la mitezza ignora la superbia,
non conosce la vanteria, non conosce l’ambizione. Perciò, altrove,
il Signore esorta non senza ragione i suoi discepoli dicendo :
« Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete
ristoro per le vostre anime »
(Mt 11,29).
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XXX°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Sabato
IL SIGNORE CONDUCE AL PENTIMENTO TUTTI GLI UOMINI
di Sant’Agostino
nel quinto secolo
Tutti
gli uomini e tutti gli spiriti che cercano con umiltà la gloria di
Dio e non la propria, e che lo seguono con fede e amore,
appartengono a un’unica famiglia. E tuttavia Dio è pieno di
misericordia a paziente anche con i cattivi e gli dà tempo di
pentirsi e di correggersi.
Fu
scelto Abramo, pio e fedele servo del Signore, cui fu preannunziato
il mistero del Figlio di Dio, perché i credenti di tutti i popoli,
imitando la sua fede, fossero considerati suoi figli per tutte le
generazioni. Da lui nacque quel popolo che avrebbe adorato l’unico
vero Dio, creatore del cielo e della terra. E in quel grande popolo
con maggior evidenza era raffigurata la Chiesa. Era infatti una
moltitudine di gente carnale, che onorava Dio solo per i benefici
materiali. Ma v’erano anche alcuni tra loro che pensavano alla pace
futura e cercavano la patria celeste; a essi fu rivelata in profezia
la futura umiliazione di Dio, il nostro re e Signore Gesù Cristo,
onde, per tale fede, fossero purificati da ogni superbia e da ogni
colpa. Non soltanto le parole, ma anche la vita le nozze, i figli e
le azioni di quegli uomini che precedettero la nascita del Signore
furono una profezia di questo tempo in cui, per la fede nella
Passione di Cristo, viene radunata la Chiesa da tutte le genti. E in
tutto venivano raffigurati quei misteri spirituali che si
riferiscono a Cristo e alla Chiesa: della Chiesa erano membri anche
quei santi che vissero su questa terra prima che Cristo Signore
nascesse secondo la carne.
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XXXI°
settimana Tempo Ordinario - U.R. Domenica
« Quando già era l’alba Gesù si
presentò sulla riva »
San
Gregorio Magno (circa 540-604), papa, dottore della Chiesa
Il
mare simboleggia il mondo presente, agitato dalla tempesta degli
affari e dalla marea di una vita che si sta ritirando. La riva,
salda, è la figura della perennità del riposo eterno. I discepoli
quindi lavorano sul lago, poiché si trovano ancora alle prese con le
onde della vita terrena ; invece il nostro Redentore sta sulla riva
poiché in quel momento ha superato la condizione di una carne
fragile. Tramite queste realtà naturali, Cristo sembra dire loro,
riguardo al mistero della sua risurrezione : « Ora, non mi presento
a voi in mezzo al mare, perché non sono più in mezzo a voi
nell’agitazione delle onde ». Disse altrove agli stessi discepoli :
« Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi » (Lc
24, 44).
Ormai, non è
con loro nello stesso modo. Era veramente lì, apparendo
corporalmente ai loro occhi, però… la sua carne immortale era
lontanissimo dai loro corpi mortali. Il fatto che il suo corpo
stesse sulla riva mentre loro navigavano ancora, mostra bene che
egli ha superato la loro esistenza, benché si trovasse ancora con
loro.
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XXXI°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Domenica
Omelie
sugli Atti degli Apostoli, 20,4 ;
PG 60,
411-412
(In l' Ora
dell'Ascolto p. 2888)
Essere
lievito
di San
Giovanni Crisostomo, nel IV sec.
vescovo di
Antiochia poi di Costantinopoli, dottore della Chiesa
Niente è più freddo del cristiano che non si cura della salvezza
degli altri. Non puoi qui tirar fuori la povertà; infatti quella
donnetta che mise le due monetine ti accuserà (Mc 12,48). Anche
Pietro diceva: Non ho né argento né oro (At 3,6). Così Paolo era
talmente povero da patire spesso la fame e mancare del cibo
necessario. Non puoi mettere avanti la tua umile condizione; essi
infatti erano di basse origini, nati da poveri. Non puoi addurre il
pretesto dell’ignoranza; anche loro erano illetterati. Fossi schiavo
o fuggiasco, potresti fare ciò che dipende da te. Così era la
situazione di Onesimo di cui Paolo fa l’elogio (Fm). Non puoi
obiettare che sei debole; così era anche Timoteo, che soffriva di
frequenti infermità. Chiunque può essere utile al prossimo, se vuole
compiere la sua parte.
Non vedete gli alberi delle foreste, come sono rigogliosi, come sono
belli, sviluppati, snelli e alti? Ma se avessimo un orto vorremmo
avere melograni e olivi fecondi piuttosto che quelli sterili... Così
sono coloro che vedono soltanto i propri interessi...
Se
il lievito mescolato alla farina non porterà tutto a fermentazione,
è davvero lievito? E che dire di un profumo che non investa quanti
si accostano? Lo si chiamerà ancora profumo? E non dire: “Non posso
indurre gli altri”; perché, se sarai cristiano, questo non potrà non
avvenire!... Infatti, come le cose che sono di eguale natura non
sono in contraddizione tra loro, così quanto stiamo dicendo fa parte
della natura stessa del cristiano... Non offendere Dio. Se dici che
il sole non può splendere, gli fai torto; se dici che il cristiano
non può far del bene, offendi Dio e lo rendi bugiardo È più facile
che il sole non scaldi e non brilli, che un cristiano non sia utile
al prossimo.
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XXXI°
settimana Tempo Ordinario - LODI
Martedì
Dal Discorso tenuto da san Carlo, vescovo, nell'ultimo Sinodo
(Acta Ecclesiae Mediolanensis, Milano 1599, 1177-1178)
Vivere la propria vocazione
di S. Carlo
Borromeo nel sedicesimo secolo
Tutti siamo
certamente deboli, lo ammetto, ma il Signore Dio mette a nostra
disposizione mezzi tali che, se lo vogliamo, possiamo far molto.
senza di essi però non sarà possibile tener fede all'impegno della
propria vocazione.
Facciamo il caso di un sacerdote che riconosca bensì di
dover essere temperante, di dover dar esempio di costumi severi e
santi, ma che poi rifiuti ogni mortificazione, non digiuni, non
preghi, ami conversazioni e familiarità poco edificanti; come potrà
costui essere all'altezza del suo ufficio?
Ci sarà magari chi si lamenta che, quando entra in coro
per salmodiare, o quando va a celebrare la Messa, la sua mente si
popoli di mille distrazioni. Ma prima di accedere al coro o di
iniziare la Messa, come si è comportato in sacrestia, come si è
preparato, quali mezzi ha predisposto e usato per conservare il
raccoglimento?
Vuoi che ti insegni come accrescere maggiormente la tua
partecipazione interiore alla celebrazione corale, come rendere più
gradita a Dio la tua lode e come progredire nella santità? Ascolta
ciò che ti dico. Se già qualche scintilla del divino amore è stata
accesa in te, non cacciarla via, non esporla al vento. Tieni chiuso
il focolare del tuo cuore, perché non si raffreddi e non perda
calore. Fuggi, cioè le distrazioni per quanto puoi. Rimani raccolto
con Dio, evita le chiacchiere inutili.
Hai il mandato di predicare e di insegnare? Studia e
applicati a quelle cose che sono necessarie per compiere bene questo
incarico.
Dà sempre buon esempio e cerca di essere il primo in
ogni cosa. Predica prima di tutto con la vita e la santità, perché
non succeda che essendo la tua condotta in contraddizione con la tua
predica tu perda ogni credibilità.
Eserciti la cura d'anime? Non trascurare per questo la
cura di te stesso, e non darti agli altri fino al punto che non
rimanga nulla di te a te stesso. Devi avere certo presente il
ricordo delle anime di cui sei pastore, ma non dimenticarti di te
stesso.
Comprendete, fratelli, che niente è così necessario a
tutte le persone ecclesiastiche quanto la meditazione che precede,
accompagna e segue tutte le nostre azioni: Canterò, dice il profeta,
e mediterò
(cfr. Sal 100, 1 volg.) Se amministri i sacramenti, o fratello, medita ciò che fai. Se celebri
la Messa, medita ciò che offri. Se reciti i salmi in coro, medita a
chi e di che cosa parli. Se guidi le anime, medita da quale sangue
siano state lavate; e «tutto si faccia tra voi nella carità»
(1 Cor 16, 14).
Così potremo facilmente superare le difficoltà che incontriamo, e
sono innumerevoli, ogni giorno. Del resto ciò è richiesto dal
compito affidatoci. Se così faremo avremo la forza per generare
Cristo in noi e negli altri.
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XXXI°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Martedì
Agire con
scaltrezza
di San Basilio nel quarto secolo
Considera, uomo, colui che ti ha colmato dei suoi doni. Ricordati di
te stesso. Ricordati di quello che sei, di quali faccende conduci,
di chi te le ha affidate, dei motivi per cui sei stato preferito a
molti. Sei il servo del Dio buono; hai la responsabilità dei tuoi
compagni di servizio. Non credere che tutti questi beni siano
destinati al tuo ventre. Disponi dei beni che hai in mano come se
appartenessero a qualcun altro; essi ti procureranno piacere per un
qualche tempo, poi svaniranno e scompariranno. Ma di essi ti sarà
chiesto un conto dettagliato.
“Cosa
farò?” La risposta è semplice: sazierò gli affamati; aprirò i miei
granai e inviterò i poveri. Voi tutti che mancate di pane, venite a
me. Ognuno prenda una parte sufficiente dei doni che Dio mi ha
concesso. Venite, attingete, come ad una fontana pubblica.
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XXXI°
settimana Tempo Ordinario -
LODI Mercoledì
Lo Spirito Santo ci fa stare in
pace e allegrezza che è un pregusto del paradiso
di San Filippo
Neri nel sedicesimo secolo
Soprattutto vivete in pace con tutte
: poiché se in un monastero il demonio trova la pace e l’unione teme
questo più di ogni altro esercizio spirituale, privo di questo
vincolo e modo d’amor fraterno che deve regnare e tenere stretti con
la carità delle sorelle di un buon monastero.
Il diavolo
nostro nemico che combatte continuamente con noi, per poterci
espugnare, cerca di disunirci e far nascere liti, odi e contese,
fazioni tra noi e nei monasteri, perché mentre combattiamo l’une
contro l’altro, viene sicuramente a vincerci, a farci prigionieri,
ad ucciderci e a farci fuggire cosicché l’arma più gagliarda, vostra
che il nemico teme maggiormente è l’unione e la pace, perché in
mezzo a delle religiose unite e pacifiche regna Dio e con questo
imperatore chi potrà esser sconfitto ?
Dilettatevi
nella vita comune, fuggite tutte le singolarità, attendete alla
purezza del cuore, perché lo Spirito Santo abita nelle menti candide
e semplici ed è lui il maestro dell’orazione e ci fa stare in
continua pace e allegrezza ch’è un pregusto del Paradiso; proprio
come l’ira e le discordie mantenute con animo amaro , è la caparra
dell’inferno. Dio vi dia la grazia che vi concentriate tanto nel suo
divino amore e che entriate tanto profondamente dentro per la piaga
del suo costato, nel vivo fonte della sapienza del Dio umanato che
vi anneghiate il vostro amor proprio e non ritroviate mai più la
strada per poter uscir fuori.
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XXXI°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Mercoledì
LA GRAZIA E' LA
LEGGE COSTITUTIVA DELLA PERSONA UMANA
Dagli scritti di
Giorgio La Pira
Chi è l'uomo? Che
destino ha? Quale significato ha la sua avventura nel mondo? Esiste,
in questa età apocalittica, una risposta "immutabile" a questo
problema? La Chiesa può fornirla?
Si: la Chiesa
è la sola che, sul fondamento della Risurrezione di Cristo, può
fornire e fornisce, a tutti i livelli e a tutti i popoli, una
risposta immutabile, all'immutabile problema del significato e del
destino degli uomini.
Questa
risposta ha un nome: la grazia...
... la grazia è
l'acqua viva zampillante fino alla vita eterna che Cristo rivela
alla Samaritana...
...la grazia è Lui
stesso, presente nell'Eucarestia, vita del mondo, resurrezione del
mondo.
... Questa è "la
legge costitutiva della persona umana": la struttura stessa della
persona umana costituita in vista della accoglienza interiore di
questa grazia, di quest'acqua, di questa luce, di questo pane che la
sana, la eleva interiormente fino a Dio ed in Dio la perfeziona!
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XXXI°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Giovedì
Lc 15, 1-10
Discorsi, 168,
4-6 ; CCL 24 B, 1032
(In l'Ora
dell'Ascolto p. 1821)
Dio
in cerca di una sola pecora per la salvezza di tutti
di San
Pietro Crisologo nel quinto secolo
Quando ritroviamo le cose perdute, proviamo sempre un
nuovo e immenso gaudio; ed è gioia più grande per noi ritrovare ciò
che avevamo smarrito che non aver mai perduto quanto era ben
conservato. Ma questa parabola parla più della divina misericordia
che del nostro procedere umano. Abbandonare le cose grandi, amare le
piccole, è proprio della potenza divina e non della cupidigia umana:
poiché Dio dà l’esitenza alla cose che non sono e va in cerca delle
cose perdute, senza abbandonare quelle che ha lasciato; e ritrova le
perdute senza perdere quelle che erano custodite.
Non è
un pastore terreno, ma celeste, e questa parabola non presenta
vicende umane, ma adombra misteri divini; ciò appare dallo stesso
numero che cita quando dice: “Chi di voi, se ha cento pecore e ne
perde una”ecc.... Vedete che questo pastore ora si è addolorato per
la perdita di una sola pecora come se tutto il gregge si fosse
sviato e così, lasciate le novantanove pecore, una sola insegue, una
sola ricerca, per ritrovare tutte in quell’unica e redimere tutte in
quella sola.
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XXXI°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI giovedì
La Vita in
Gesù Cristo, I : PG 150, 502 D - 503 D
(in l’Ora
dell’Ascolto p.1998)
Dio alla ricerca degli uomini
di
San Nicola Cabasilas nel quattordicesimo secolo
Nei sacri misteri, che
adombrano la sua sepoltura e annunciano la sua morte, noi siamo
generati, plasmati e uniti intimamente in modo mirabile al Salvatore
mediante questa realtà. Per essi, come dice san Paolo, « in lui
viviamo, ci muoviamo ed esistiamo »
(At 17, 28).
Il
battesimo ci concede di essere e sussistere in Cristo... La sacra
unzione poi, completa e perfeziona la nascita, iniziando un’attività
corrispondente a una tale vita.
La
divina eucaristia, infine, contiene e conserva questa vita... Perciò
viviamo di questo pane, ma ci muoviamo grazie all’unzione, dopo aver
ricevuto l’essere dal battesimo.
E a
questa condizione viviamo di una vita trasferita da questo mondo
visibile nell’invisibile, avendo mutato non il luogo, ma la vita e
il modo di vivere ; Infatti non ci siamo noi mossi e elevati verso
Dio, ma è stato Dio ad essere venuto e sceso verso di noi. Noi non
l’abbiamo cercato, ma siamo stati cercati. Non è stata la pecora a
mettersi in cerca del Pastore, né la dramma del Padrone di casa. Ma
il Padrone si è chinato verso la terra e ha ritrovato la sua
immagine, il Pastore è andato nel deserto dove errava la pecora e,
caricatesela in spalla, l’ha riportata dal suo errare. Per questo
non ci ha trasferiti in un altro luogo, ma ci ha lasciati sulla
terra e resi celesti mediante l’infusione della sua vita nelle
nostre anime. Non ci ha elevati nei cieli, ma ha abbassato i cieli
fino a noi, secondo la parola del salmo : « Abbassò i cieli e
discese » (Sal 17, 10).
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XXXI°
settimana Tempo Ordinario -
LODI venerdì
Libro di Vita
Capitolo
Povertà § 94
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XXXI°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Venerdì
Lc
16, 1-8
Scritto
autobiografico B, 4r°
Il
buon uso del denaro
di Santa
Teresa di Gesù Bambino e del Santo Volto
Gesù, lo so
bene, l'amore si paga soltanto con l'amore, perciò ho cercato, ho
trovato sollievo rendendoti amore per amore. «Usate le ricchezze che
rendono ingiusti, per farvi degli amici i quali vi ricevano nei
tabernacoli eterni» (Lc 16,9).
Ecco, Signore, il consiglio che tu dai ai tuoi discepoli dopo aver
detto loro che «i figli delle tenebre sono più abili nelle loro
faccende che i figli della luce». Figlia della luce, ho capito che i
miei desideri di esser tutto, di far mie tutte le vocazioni, sono
ricchezze che potrebbero rendermi ingiusta, allora le ho usate per
farmi degli amici. Ricordando la preghiera di Eliseo al padre suo
Elia quando osò chiedergli « il suo duplice spirito »
(2 R 2,9),
mi sono presentata dinanzi agli angeli e ai santi, e ho detto loro:
«Sono la creatura più piccola, conosco la mia miseria e la mia
debolezza, ma so anche quanto piaccia ai cuori nobili, generosi, far
del bene, perciò, vi supplico, Beati abitanti del Cielo, vi supplico
di adottarmi come figlia; tutta vostra sarà la gloria che mi farete
acquistare, ma degnatevi di esaudire la mia preghiera, è temeraria,
lo so, tuttavia oso chiedervi di ottenermi il vostro duplice
amore. »
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XXXI°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Sabato
Lc 16, 9-15
Moralia,
34
«
Nessuno servo può servire a due padroni »
di San
Gregorio Magno nel settimo secolo
Volere mettere la propria speranza e la propria fiducia nei beni
passeggeri, è volere porre delle fondamenta nell’acqua corrente.
Tutto passa: Dio resta. Attaccarsi al transitorio, è staccarsi dal
perenne. Chi dunque, spazzato dai vortici impetuosi di una rapida,
può rimanere fisso al suo posto, nel torrente impetuoso? Se dunque
vogliamo rifiutare di essere portati via dalla corrente, dobbiamo
sfuggire tutto ciò che scorre; altrimenti l’oggetto del nostro amore
ci costringerà ad arrivare a ciò che precisamente vogliamo evitare.
Chi si attacca a dei beni transitori sarà sicuramente trascinato
fino al punto in cui derivano queste cose alle quali si attacca.
La
prima cosa è dunque guardarsi dall’ amare i beni materiali; la
seconda, non mettere tutta la nostra fiducia in questi beni che ci
sono affidati per usarne, non per goderne. L’anima attaccata a
questi beni che passano perde velocemente la propria stabilità. La
corrente della vita presente trascina colui che porta, ed è
illusione folle, per colui che è trascinato da questa corrente,
volere tenervisi in piedi.
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XXXI°
settimana Tempo Ordinario -
PRIMI VESPRI
Sabato
« Santo è il tempio di Dio, che
siete voi »
di
Elredo di Rievaulx nel
dodicesimo secolo
Spesso
abbiamo sentito dire che, dopo aver fatto uscire Israele
dall’Egitto, Mosè costruì nel deserto un tabernacolo, la tenda di un
santuario, grazie ai doni dei figli di Giacobbe. Occorre capire
bene, come dice l’apostolo Paolo, che tutto ciò avvenne come esempio
per noi (1 Cor 10,6).
Siete
voi ormai, fratelli, il tabernacolo di Dio, il Tempio di Dio,
secondo l’apostolo: “Il Tempio di Dio, siete voi! ”. Siete il Tempio
in cui Dio regnerà in eterno, siete la sua tenda perché egli è con
voi sulla strada; in voi egli ha sete, in voi ha fame. Questa tenda,
fratelli, siete voi nel deserto di questa vita, finché non siate
giunti alla Terra della Promessa. Allora avrà luogo la vera
dedicazione, allora sarà edificata la vera Gerusalemme, non più
sotto l’apparenza di una tenda, ma di una città.
Ma già
da ora, se siamo veri figli di Israele secondo lo Spirito, se in
Spirito siamo usciti dalla terra d’Egitto, offriamo tutti i nostri
beni per la costruzione del tabernacolo: “A ciascuno è data una
manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune”
(1 Cor 12, 4).
Tutto sia dunque comune a tutti. Nessuno consideri suo proprio il
carisma che ha ricevuto da Dio; nessuno invidi il carisma ricevuto
da suo fratello; ma consideri veramente come il bene di tutti quanto
è suo, e non dubiti che il bene di suo fratello sia pure suo. Dio
agisce in modo tale da far sì che ognuno abbia bisogno degli altri.
Ciò che manca a uno, questi lo può trovare in suo fratello. Così
sarà custodita l’umiltà, la carità crescerà, e l’unità sarà
manifestata, nell’intero Corpo di Cristo.
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XXXII°
settimana Tempo Ordinario - UR
Domenica
"Discorsi"
da "L'Ora dell'Ascolto" (Disc.5)
Casale
Monferrato (AL) Ed. PIEMME pp.2677-2678
SULLA
DEDICAZIONE DELLA BASILICA LATERANENSE
di
San Bernardo nel dodicesimo secolo
Anche oggi,
fratelli, celebriamo una solennità, una splendida solennità. E se
volete sapere quale, è la festa della casa del Signore, del tempio
di Dio, della città dell'eterno Re, della sposa di Cristo. E chi
dubita che la casa di Dio sia santa? Di essa si legge: «la santità
si addice alla tua casa» (Sal 92, 5). Così anche il tempio di
Dio è santo, stupendo per la giustizia. Ma anche Giovanni dichiara
di aver visto la città santa: «Vidi, dice, la città santa, la nuova
Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa
adorna per il suo sposo» (Ap 21, 2).
Ora dunque,
dimorando almeno un poco su quella specola elevata, cerchiamo la
casa di Dio, cerchiamo il tempio, la città, la sposa. Difatti, non
l'ho dimenticato, ma lo dico con timore e rispetto: noi siamo con
timore e rispetto: noi siamo tutto questo. Siamo noi ripeto, ma nel
cuore di Dio; siamo noi, ma per sua degnazione, non perché ne siamo
degni. L'uomo non usurpi ciò che è di Dio e non ardisca glorificare
se stesso (cfr. Sal 9, 20), altrimenti Dio riportandolo a ciò
che era, umilierà colui che si esalta.
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XXXII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Domenica
PPS, vol 6,
n° 19
Festa della
dedicazione di una cattedrale, festa della Chiesa
di
Cardinale John Henry Newman nel diciannovesimo secolo
Una
cattedrale è forse il frutto di un desiderio passeggero o qualche
cosa che si possa realizzare con la volontà?... Certamente, le
chiese che ereditiamo non sono una semplice questione di capitali,
né una pura creazione del genio; sono il frutto del martirio, di
gesta eroiche e di sofferenze. Le loro fondazioni sono molto
profonde; poggiano sulla predicazione degli apostoli, sulla
confessione di fede dei santi, e sulle prime conquiste del Vangelo
nel nostro paese. Quanto c’è di tanto nobile nella loro
architettura, che attrae l’occhio e va al cuore, non è puro effetto
dell’immaginazione degli uomini, è dono di Dio, è opera spirituale.
La
croce è sempre piantata nel pericolo e nella sofferenza, bagnata di
lacrime e di sangue. In nessun luogo prende radice o porta frutto se
la predicazione non è accompagnata da rinuncia. I detentori del
potere possono portare un decreto, favorire una religione, ma non
possono piantarla, non possono che imporla. Solo la Chiesa può
piantare la Chiesa. Nessun altro oltre ai santi, uomini mortificati,
predicatori della rettitudine, confessori della verità, possono
creare una vera casa per la verità.
Per
questo i templi di Dio sono anche i monumenti dei suoi santi... La
loro semplicità, la loro solidità, la loro grazia e la loro bellezza
non fanno altro che richiamare la pazienza e la purezza, il coraggio
e la mitezza, la carità e la fede di coloro che hanno adorato Dio
soltanto nei monti e nei deserti; hanno faticato, ma non invano,
poiché altri hanno ereditato i frutti della loro fatica (Gv 4,38). A
lungo andare infatti, la loro parola ha dato frutto: si è fatta
Chiesa, questa cattedrale dove la Parola vive da tanto tempo...
Beati coloro che entrano in questo legame di comunione con i santi
del passato e con la Chiesa universale... Beati coloro che, entrando
in questa chiesa, penetrano con il cuore, in cielo.
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XXXII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI Martedì
Dalle «Regole più ampie»,(Risp. 2, 2-4; PG 31, 914-915)
Cosa daremo
in cambio al Signore per tutto quello che ci dà?
di san Basilio
il Grande
Quale
lingua potrebbe mettere nel dovuto risalto i doni di Dio? Il loro
numero infatti è così grande da sfuggire a qualunque elenco. La loro
grandezza, poi, è tale e tanta, che già uno solo di essi dovrebbe
stimolarci a ringraziarne senza fine il donatore. Ma c'è un favore
che, pur volendolo, non potremo in nessun modo passare sotto
silenzio. Non potrebbe infatti essere ammissibile che una persona
qualsiasi, fornita di mente sana e capace di riflessione, non
facesse parola alcuna, sia pure molto al di sotto del dovere,
dell'insigne beneficio divino, che stiamo per ricordare.
Dio creò l'uomo a sua immagine e somiglianza. Lo fornì di
intelligenza e di ragione a differenza di tutti gli altri viventi
della terra. Gli diede la facoltà di deliziarsi della stupenda
bellezza del paradiso terrestre. E finalmente lo costituì sovrano di
tutte le cose del mondo. Dopo l'inganno del serpente, la caduta nel
peccato e, per il peccato, nella morte e nelle tribolazioni, non
abbandonò la creatura al suo destino. Le diede invece in aiuto la
legge, a protezione e custodia gli angeli e inviò i profeti per
correggere i vizi e insegnare la virtù.
Con minacce di castighi
represse ed estirpò l'irruenza del male. Stimolò con le promesse
l'alacrità dei buoni. Non di rado mostrò in anticipo, in questa o
quella persona, la sorte finale della vita buona o cattiva. Non si
disinteressò dell'uomo anche quando questo continuò ostinatamente
nella sua disobbedienza.
No, nella sua bontà il Signore
non ci ha abbandonato nemmeno a causa della stoltezza e insolenza da
noi mostrate nel disprezzare gli onori che egli ci aveva offerto e
nel calpestare il suo amore di benefattore. Anzi ci ha richiamati
dalla morte e restituiti a nuova vita mediante il Signore nostro
Gesù Cristo. A questo punto, anche il modo con cui il beneficio è
stato fatto suscita ancora maggiore ammirazione: «Pur essendo di
natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con
Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo»
(Fil 2, 6-7).
Inoltre si caricò delle nostre
sofferenze e si addossò i nostri dolori, per noi fu colpito perché
per le sue piaghe noi fossimo risanati
(cfr. Is 53, 4-5)
e ancora ci ha riscattati dalla
maledizione, divenendo egli stesso per amor nostro maledizione
(cfr. Gal 3, 13),
e andò incontro ad una morte oltremodo ignominiosa per ricondurre
noi ad una vita gloriosa.
Non si contentò di richiamarci dalla morte alla vita, ma anzi ci
rese anche partecipi della sua stessa divinità e ci tiene preparata
una gloria eterna che supera in grandezza qualunque valutazione
umana. Che cosa dunque potremo rendere al Signore «per tutto quello
che ci ha dato?» (Sal 115,
12). Egli è tanto buono da non
esigere nemmeno il contraccambio: si contenta invece che lo
ricambiano col nostro amore. Quando penso a tutto ciò, rimango come
terrorizzato e sbigottito per timore che, a causa della mia
leggerezza d'animo o di preoccupazioni da nulla, mi affievolisca
nell'amore di Dio e diventi perfino motivo di vergogna e disdoro per
Cristo
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XXXII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI martedì
Sulpicio Severo
“Lettere” Tratto da “L’Ora dell’Ascolto”
Ed. PIEMME
Casale Monferrato (AL)pp. 2681-2682
Martino povero e
umile
dalle lettere di Sulpicio Severo
Martino previde molto tempo prima il giorno sua morte. Avvertì
quindi i fratelli che ben presto avrebbe cessato di vivere. Nel
frattempo un caso di particolare gravità lo chiamò a visitare la
diocesi di Candes. I chierici di quella chiesa non andavano d’accodo
tra loro e Martino, ben sapendo che ben poco gli restava da vivere,
desiderando di ristabilire la pace, non ricusò di mettersi in
viaggio per una così nobile causa. Pensava infatti che se fosse
riuscito a rimettere l’armonia in quella chiesa avrebbe degnamente
coronato la sua vita tutta orientata sulla via del bene.
Si
trattenne quindi per qualche tempo in quel villaggio o chiesa dove
si era recato finché la pace non fu ristabilita. Ma quando già
pensava di far ritorno al monastero, senti improvvisamente che le
forze del corpo lo abbandonavano. Chiamati perciò a sé i fratelli,
li avvertì della morte ormai imminente. Così parlò dinanzi a quelli
che piangevano: “Signore, se sono ancora necessario al tuo popolo,
non ricuso la fatica: sia fatta la tua volontà”.
O
uomo grande oltre ogni dire, invitto nella fatica, invincibili di
fronte alla morte! Egli non fece alcuna scelta per sé. Non ebbe
paura di morire e non si rifiutò di vivere. Intanto, sempre rivolto
con gli occhi e con le mani al cielo, non rallentava l’intensità
della sua preghiera. I sacerdoti che erano accorsi intorno a lui, lo
pregavano di sollevare un poco il suo povero corpo mettendosi di
fianco. Egli però rispose :”Lasciate, fratelli, lasciate che io
guardi il cielo, piuttosto che la terra, perché il mio spirito che
sta per salire al Signore, si trovi già sul retto cammino”. Detto
questo si accorse che il diavolo gli stava vicino. Gli disse allora:
“Che fai qui, bestia sanguinaria? Non troverai nulla in me,
sciagurato! Il seno di Abramo mi accoglie”.
Nel
queste parole rese la sua anima a Dio.
Martino sale felicemente verso Abramo. Martino povero e umile entra
ricco in paradiso.
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XXXII°
settimana Tempo Ordinario - LODI
Mercoledì
Adoriamo il
Padre in Spirito e Verità
di San
Francesco nel tredicesimo secolo
Tutti
noi frati, stiamo molto guardinghi, perché, sotto l’inganno di
qualche ricompensa o opera o aiuto, non si abbia a perdere o a
distrarre le nostra anima e il cuore dal Signore. Ma nella santa
carità, che è Dio stesso, supplico tutti i frati, sia i ministri che
gli altri, affinché, allontanato ogni ostacolo e posposta ogni cura
e preoccupazione, nel miglior modo possibile, servano, amino,
adorino e onorino il Signore Dio, con mondo cuore e anima pura, come
egli soprattutto desidera. E facciamo sempre dentro di noi
un’abitazione e une dimora per lui, che è il Signore Dio
onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo, che dice :
Vegliate in
ogni momento pregando, perché possiate sfuggire a tute queste cose
cattive, che sono per accadere e per presentarvi davanti al Figlio
dell’uomo. E quando pregate, dite :
Padre nostro
che sei nei cielo. E adoriamolo con cuore puro, perché bisogna
pregare sempre senza stancarsi mai ; infatti il Padre vuole così i
suoi adoratori. Dio è spirito e quelli che lo adorano devono
adorarlo in spirito e verità.
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XXXII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Mercoledì
“Il dovere della gratitudine”
di San
Leone Magno nel quinto secolo.
Dilettissimi, vi tocchi il cuore, prego, quell’aneddoto del
Salvatore dove si narra che avendo guarito per misericordia virtù
dieci lebbrosi, si lamentò che uno soltanto fosse tornato a
ringraziarlo. Voleva in tal modo far notare che erano stati ingrati,
perché, avendo ottenuto la salute del corpo, mancarono a questo
dovere di riconoscenza non senza animo malvagio.
Dunque, perché questa nota di ingratitudine non si debba applicare
anche a voi, ritornate al Signore; riflettete alle meraviglie che il
Signore si è degnato operare a favore vostro; attribuite la nostra
liberazione non all’influsso delle stelle, come credono gli empi, ma
alla ineffabile misericordia di Dio onnipotente che si è degnato
intenerire i cuori dei feroci barbari; ricordate con tutto il vigore
della fede la memoria di sì gran beneficio!
Una
grave negligenza bisogna ripararla con maggior riparazione.
Approfittiamo per la nostra emendazione della dolcezza di Dio che
perdona. San Pietro e tutti i santi che ci hanno assistiti nelle
molte tribolazioni si degnino rafforzare presso Dio misericordioso
le nostre suppliche per voi; per Cristo, nostro Signore. Amen.
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XXXII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Giovedì
Lc 17, 20-25
lib II,
cap. 1,2-3
Dimorare nel Regno di Dio
Dal
“Imitazione di Cristo” trattato spirituale del 15o secolo
“Il Regno di Dio è dentro di voi” (Lc
17,21),
dice il Signore... Via, anima fedele, prepara il tuo cuore a questo
Sposo, cosicché si degni di venire presso di te e di prendere dimora
in te. Egli dice infatti: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e
verremo a lui e abiteremo presso di lui”
(Gv
14,23).
Accogli, dunque, Cristo, e non far entrare in te nessun'altra cosa.
Se avrai Cristo sarai ricco, sarai pienamente appagato. Sarà lui a
provvedere e ad agire fedelmente per te. Così non dovrai affidarti
agli uomini. Questi mutano in un momento e vengono meno rapidamente,
mentre Cristo “resta in eterno”
(Gv
12, 34)
e sta fedelmente accanto a noi, fino alla fine.
Non
dobbiamo far molto conto sull'uomo, debole e mortale, anche se si
tratta di persona che ci è preziosa e cara; né dobbiamo troppo
rattristarci se talvolta ci combatte e ci contrasta. Quelli che oggi
sono con te, domani si possono mettere contro di te; spesso si
voltano come il vento. Riponi interamente la fiducia in Dio, e sia
lui il tuo timore e il tuo amore. Risponderà lui per te, e opererà
per il bene, nel modo migliore.
"Non
hai stabile dimora quaggiù"
(Eb
13,14);
dovunque tu abbia a trovarti, sei un forestiero e un pellegrino
(Eb
11,13),
né mai avrai pace se non sarai strettamente unito a Cristo.
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XXXII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Giovedì
Lc 17,
20-25
Sulla
preghiera, 25 ; PG 11, 495-499
(In l' Ora
dell'Ascolto p. 2228)
Il regno di Dio è in mezzo a voi
e dentro di voi
Di Origene
nel terzo secolo
“Il
regno di Dio” secondo la parola del nostro Signore e Salvatore, “non
viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui o
eccolo là. Il regno di Dio è in mezzo a voi”, poiché “assai vicina è
la sua parola, sulla nostra bocca e nel nostro cuore”
(Dt 30,14).
Perciò, senza dubbio, chi prega che venga il regno di Dio, prega in
realtà che si sviluppi, produca i suoi frutti e giunga al suo
compimento quel regno di Dio che egli ha in sé. Dio regna nell’anima
dei santi ed essi obbediscono alle leggi spirituali di Dio che abita
in loro. Così l’anima del santo diventa proprio come una città ben
governata. Nell’anima dei giusti è presente il Padre e col Padre
anche Cristo, secondo quell’affermazione: “Verremo a lui e
prenderemo dimora presso di lui”
(Gv 14,23).
Ma
questo regno di Dio, che è in noi, col nostro instancabile procedere
giungerà al suo compimento, quando si avvererà ciò che afferma
l’apostolo del Cristo. Quando cioè “egli, dopo aver sottomesso tutti
i suoi nemici, consegnerà il regno a Dio Padre, perché Dio sia tutto
i tutti” (1 Cor 15,28).
Perciò preghiamo senza stancarci. Facciamolo con una disposizione
interiore sublimata e come divinizzata dalla presenza del Verbo.
Diciamo al nostro Padre che è in cielo: “Sia santificato il tuo
nome; venga il tuo regno” (Mt
6,9).
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XXXII°
settimana Tempo Ordinario
- LODI venerdì
Libro di Vita di
Gerusalemme
Capitolo Monaci e Monache
§ 65
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XXXII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Venerdì
Dalla Regola di San Benedetto al
quarto secolo
PROLOGO
Ascolta, figlio, i precetti del maestro, porgi attento il tuo cuore,
ricevi di buon animo i consigli di un padre che ti vuole bene e
mettili risolutamente in pratica, per ritornare con la fatica
dell’obbedienza a Colui dal quale ti eri allontanato per l’accidia
della disobbedienza.
Ora le
mie parole sono rivolte a te, chiunque tu sia, che rinunzi alla tua
volontà, e, per servire nella milizia di Cristo Signore, vero Re,
cingi l’armatura temprata e splendida dell’obbedienza.
E
prima di ogni altra cosa devi chiedere con fervidissima preghiera
che voglia Lui condurre a termine quel che incominci a fare di bene,
perché, dopo si è degnato di annoverarci tra i suoi figli, non si
debba in seguito rattristare delle nostre male azioni. In cambio dei
suoi doni Gli dobbiamo l’obbedienza di ogni istante nel timore che,
come padre sdegnato, non sia costretto a diseredare un giorno i suoi
figli, e come Signore tremendo, irritato dalle nostre colpe, non ci
condanni, quali servi malvagi, alla pena eterna per non averlo
voluto seguire alla gloria.
Su,
dunque, leviamoci finalmente al richiamo della Scrittura che dice:
E’ tempo ormai di levarci dal sonno! Apriamo gli occhi
alla luce divina, ascoltiamo attoniti la voce ammonitrice che Iddio
ci rivolge ogni giorno: Oggi se udite la sua voce, non
indurite i vostri cuori. E ancora: Chi ha orecchi per
udire oda ciò che lo Spirito dice alle Chiese. E che
dice? Venite, figli, ascoltatemi, vi insegnerò a temere il
Signore. Correte mentre dura il giorno della vita, perché non vi
sorprenda la notte della morte.
Il
Signore, rivolto alla moltitudine degli uomini, cerca il suo operaio
e dice: Chi vuole la vita e desidera che i suoi giorni
trascorrano beati? Se tu, che questo intendi, rispondi: Io
lo voglio; Iddio ti dice: Se vuoi possedere la vera e perpetua vita,
vieta alla tua lingua il male e le tue labbra non pronunzino
menzogna; fuggi il male e fa’ il bene; cerca e seguila.
E se farete questo, i miei occhi saranno attenti a voi e le mie
orecchie alle vostre preghiere: prima ancora che mi invochiate dirò:
Son qui.
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XXXII°
settimana Tempo Ordinario - LODI
Sabato
SUL DOVERE DI AMARE DIO
di San
Bernardo di Clairvaux nel dodicesimo secolo
La
ragione per cui bisogna amare Dio è Dio stesso. E ho detto la
verità, perché egli è la causa efficiente e quella finale. Egli
offre l’occasione, egli crea il sentimento, egli appaga il
desiderio. Egli ha fatto in modo, o meglio si è fatto, perché lo si
amasse; egli ci suscita la speranza di doverlo amare più
felicemente, perché l’amore per lui non risulti vano. L’amore che
egli ha per noi prepara e ricompensa il nostro. E’ fin troppo
benevolo nel prevenirci, è fin troppo giusto nel farsi ripagare, è
fin troppo dolce nel farsi attendere. E’ assai ricco di beni per
tutti quelli che lo invocano, ma pure non ha da dare nulla di meglio
che se stesso. Si è offerto per ottenere in ricompensa il nostro
amore, si conserva per essere a sua volta la ricompensa per noi, si
associa alle anime sante per nutrirle, si prodiga alle anime
prigioniere del male per redimerle. Sei buono, o Signore, con
l’anima che ti ricerca. Come sarai dunque con quella che ti avrà
trovato? Ma in questo c’è da stupirsi che nessuno è capace di
cercarti se non ti ha prima trovato. Vuoi insomma essere trovato per
essere cercato, vuoi essere cercato per essere trovato. Puoi però
essere cercato ed essere trovato, ma non puoi mai essere prevenuto.
Perché anche se diciamo: “Di mattino la mia preghiera ti preverrà”,
pure non c’è dubbio che riesce tiepida ogni preghiera che non sia
stata preceduta da un’ispirazione. Ma ora è tempo di dire donde
incominci il nostro amore, dato che è stato già detto dove si
compie.
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XXXII°
settimana Tempo Ordinario -
PRIMI VESPRI
Sabato
Discorso 3 per l’Avvento, 1 ; SC 166, 119
Non siete nelle tenebre così che quel
giorno possa sorprendervi come un ladro
di Beato Guerrico
d’Igny nel dodicesimo secolo
« Preparati all’incontro con il tuo Dio, o Israele »
(Am 4,12).
E anche voi, fratelli miei, « tenetevi pronti, perché il Figlio
dell’uomo verrà nell’ora che non pensate ». Nulla di più sicuro
della sua venuta, ma nulla di più incerto del momento di questa
venuta. Infatti non spetta a noi conoscere i tempi o i momenti che
il Padre, nella sua potenza, ha fissato, poiché neanche agli angeli
che lo circondano è stato dato di saperne il giorno e l’ora
(Ac 1,7 ; Mt 24,36).
Verrà
anche il nostro ultimo giorno, questa è cosa sicurissima ; ma
quando, dove e come, questa è cosa molto incerta. Sappiamo soltanto,
come è stato detto prima di noi che « con gli anziani, sta sulla
soglia, mentre coi giovani sta in agguato » (S. Bernardo)… Non
bisognerebbe che quel giorno ci prendesse alla sprovvista, non
preparati, come un ladro nella notte… Il timore rimanga sveglio così
da renderci sempre pronti, finché la sicurezza segua al timore, e
non il timore alla sicurezza. « Integro sono stato, dice il Saggio,
e mi sono guardato dalla colpa »
(Sal 17,24),
non potendo guardarmi dalla morte. Egli sa infatti che « il giusto,
anche se muore prematuramente, troverà riposo »
(Sap 4,7) ;
anzi trionfano sulla morte coloro che non sono stati schiavi del
peccato durante la loro vita. Che bello, fratelli miei, che felicità
non soltanto essere al sicuro davanti alla morte, ma anche trionfare
su di essa con gloria, forti della testimonianza della nostra
coscienza.
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XXXIII°
settimana Tempo Ordinario -
UR - Domenica
Dai «Discorsi», papa
(Disc. per il Natale del Signore, 7, 2. 6; PL 54, 217-218. 220-221)
Conosci la dignità della tua
natura
di san Leone
Magno nel quinto secolo
Nostro Signore Gesù Cristo, nascendo vero uomo, senza cessare mai di
essere vero Dio, diede inizio, in se stesso, ad una nuova creazione
e, con questa nascita, comunicò al genere umano un principio
spirituale. Quale mente potrebbe comprendere questo mistero, o quale
lingua potrebbe esprimere questa grazia? L'umanità peccatrice
ritrova l'innocenza, l'umanità invecchiata nel male riacquista una
nuova vita; gli estranei ricevono l'adozione e degli stranieri
entrano in possesso dell'eredità.
Dèstati, o uomo, e riconosci la dignità della tua natura! Ricordati
che sei stato creato ad immagine di Dio; che, se questa somiglianza
si è deformata in Adamo, è stata tuttavia restaurata in Cristo.
Delle creature visibili serviti in modo conveniente, come ti servi
della terra, del mare, del cielo, dell'aria, delle sorgenti, dei
fiumi. Quanto di bello e di meraviglioso trovi in essi, indirizzato
a lode e a gloria del Creatore.
Con il
senso corporeo della vista accogli pure la luce materiale, ma
insieme abbraccia, con tutto l'ardore del tuo cuore, quella vera
luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo
(cfr. Gv 1, 9).
Di questa luce il profeta dice: «Guardate a lui e sarete raggianti,
non saranno confusi i vostri volti»
(Sal 33, 6).
Se noi infatti siamo tempio di Dio e lo Spirito di Dio abita in
noi, vale molto più quello che ciascun fedele porta nel suo cuore,
di quanto può ammirare nel cielo.
Non vogliamo
con questo, o carissimi, incitarvi o persuadervi a disprezzare le
opere di Dio, o a vedere qualcosa di contrario alla vostra fede
nelle cose che il Dio della bontà ha creato buone, ma vogliamo solo
esortarvi, perché sappiate servirvi di ogni creatura e di tutta la
bellezza di questo mondo in modo saggio ed equilibrato. Difatti,
come dice l'Apostolo: «Le cose visibili son d'un momento, quelle
invisibili sono eterne» (2 Cor
4, 18).
Quindi, poiché siamo nati per la vita presente, ma poi siamo rinati
per quella futura, non dobbiamo essere tutti dediti ai beni
temporali, ma tendere ai beni eterni. Per poter anzi contemplare più
da vicino ciò che speriamo, riflettiamo a quanto la grazia divina ha
conferito alla nostra natura. Ascoltiamo l'Apostolo, che ci dice:
«Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con
Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora
anche voi sarete manifestati con lui nella gloria»
(Col 3, 34)
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XXXIII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Domenica
Nessuna opera vale
senza la carità
di Sant’Agostino,
nel quinto secolo.
Vedete
le opere grandi che la superbia compie: fate bene attenzione come
esse siano tanto simili e quasi pari a quelle della carità. La
carità offre cibo all’affamato, ma lo fa anche la superbia: la
carità fa questo, perché venga lodato il Signore; la superbia lo fa
per dare lode a se stessa. La carità veste un ignudo e lo fa anche
la superbia; la carità digiuna, ma digiuna anche la superbia; la
carità seppellisce i morti, ma li seppellisce anche la superbia.
Tutte le opere buone che la carità vuole fare e fa, ne mette in
moto, all’opposto, altrettante la superbia e le mena attorno come
suoi cavalli.
La
divina Scrittura, dunque, da questa ostentazione esteriore c’invita
a tornare in noi stessi; a tornare nel nostro intimo da questa
superficialità che fa sfoggio di sé innanzi agli uomini. Torna
all’intimo della tua coscienza, interrogala. Non guardare ciò che
fiorisce di fuori, ma quale sia la radice che sta nascosta in terra.
Ha preso radici in te la cupidità del denaro? Può darsi che ci sia
un’apparenza di opere buone, ma opere veramente buone non potranno
esserci. Ha preso radici dentro di te la carità? Sta’ sicuro, nessun
male ne può derivare. Il superbo accarezza, l’amore castiga. L’uno
riveste, l’altro colpisce. Il superbo dona dei vestiti per piacere
agli uomini: chi possiede l’amore invece colpisce per correggere con
la disciplina. Si riceve di più dal castigo che proviene dall’amore,
che dall’elemosina che proviene dalla superbia. Ritornate in voi
stessi, o fratelli. In tutte le cose che voi fate, guardate a Dio
come vostro testimone. Vedete con quale animo agite, dal momento che
egli vi vede. Se il vostro cuore non vi accusa che agite a motivo di
superbia, orbene, state sicuri. Non temete, quando agite bene, che
altri vi vedano. Temi invece di agire allo scopo di essere lodato.
Gli altri ti vedano ma ne lodino il Signore. Se ti nascondi agli
occhi dell’uomo, ti nascondi in realtà all’imitazione dell’uomo e
sottrai la lode dovuta a Dio.
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XXXIII°
settimana Tempo Ordinario - LODI
Martedì
Da “L’Ora dell’Ascolto” Disc. 229, 1-3
Ed. PIEMME Casale Monferrato (AL) pp. 2676
Il tempio vivo e vero dobbiamo
esserlo noi
di
San Cesario di Arles nel sesto secolo
Con
gioia e letizia celebriamo oggi, fratelli carissimi, il giorno
natalizio di questa chiesa: ma il tempio vivo e vero di Dio dobbiamo
esserlo noi. Questo è vero senza dubbio. Tuttavia i popoli cristiani
usano celebrare la solennità delle chiese matrice, poiché sanno che
è proprio in essa che sono rinati spiritualmente.
Per la
prima nascita noi eravamo vasi dell’ira di Dio; la seconda nascita
ci ha resi meritevoli di diventare vasi di misericordia. La prima
nascita ci ha portati alla morte; la seconda ci ha richiamati alla
vita. Prima del battesimo tutti noi eravamo, o carissimi, tempio del
diavolo. Dopo il battesimo abbiamo meritato di diventare tempio di
Cristo.
Se
rifletteremo un po’ più attentamente sulla salvezza della nostra
anima, non avremo difficoltà a comprendere che siamo il vero e vivo
tempio di Dio. Dio non dimore in edifici costruiti dalle mani degli
uomini (cfr. At 17, 24), o in case fatte di legno e di
pietra, ma soprattutto nell’anima creata a sua immagine per mano
dello stesso autore delle cose.
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XXXIII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Martedì
Omelia 21, PL
217, 550-552
« Su questa pietra edificherò la
mia Chiesa »
Innocenzo Terzo, Papa nel dodicesimo secolo
« Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue
te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli » (Mt 16,
17), lui che abita nei cuori puri e li illumina con la luce
della sua verità. Questa luce è nascosta ai sapienti e rivelata ai
piccoli (Mt 11, 25) fra i quali c’è Pietro, lontano da ogni
orgoglio…
La
felicità di Pietro è innanzitutto questione di conoscenza e di
amore, di fede e di carità… Tutte e due sono state richieste a
Pietro dal Signore : la fede quando gli diede le chiavi, la carità
quando gli affidò le sue pecore. Al momento di dargli le chiavi, lo
interroga sulla sua fede : « Voi chi dite che io sia ? » Rispose
Simon Pietro : « Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente » (Mt
16, 16). Al momento di affidargli le sue pecore, il Signore
lo interroga sulla sua carità : « Simone di Giovanni, mi vuoi bene
tu più che costoro ? » Gli rispose : « Certo, Signore, tu lo sai che
ti voglio bene » (Gv 21, 15)…
Per
ciò che riguarda la fede di Pietro…il Signore non la lasciò perire
in nessuna prova che dovette attraversare. Al tempo della sua
Passione, disse a Pietro : « Simone, ecco Satana vi ha cercato per
vagliarvi come il grano ; ma io ho pregato per te, che non venga
meno la tua fede ; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi
fratelli » (Lc 22, 31-32). Anche se, ad un certo momento, ha
esitato, il che gli è valso questo rimprovero dal Signore : « Uomo
di poca fede, perché hai dubitato ? » (Mt 14, 31), la sua
fede tornò alla sua primitiva fermezza e fu salvato dal pericolo del
mare.
Questa fede vera e santa non viene dalla creatura umana ma dalla
rivelazione divina… Su questa fede, la Chiesa è fondata come su una
roccia… Pietro qui, riceve un doppio onore : diviene fondamento e
capo della Chiesa. Infatti, benché Cristo sia il primo e principale
fondamento secondo la parola dell’Apostolo : « nessuno può porre un
fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù
Cristo » (1 Cor 3, 11), ci sono tuttavia altri fondamenti, di
minore importanza : gli apostoli e i profeti ; infatti, dice san
Paolo « siete edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei
profeti » (Ef 2, 20). E fra loro, san Pietro è il principale e il
primo.
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XXXIII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Mercoledì
Lc 19,
11-28
Laborem
exercens, §26
« Fatele fruttificare »
Papa
Giovanni Paolo Secondo
Troviamo il Vangelo del lavoro, che nella vita di Cristo e nelle sue
parabole, in ciò che Gesù «fece e insegnò» (At 1, 1). In base
a queste luci emananti dalla Sorgente stessa, la Chiesa sempre ha
proclamato ciò di cui troviamo l'espressione contemporanea
nell'insegnamento del Vaticano II: «L'attività umana, invero, come
deriva dall'uomo, così è ordinata all'uomo. L'uomo, infatti, quando
lavora, non soltanto modifica le cose e la società, ma perfeziona
anche se stesso. Apprende molte cose, sviluppa le sue facoltà, è
portato a uscire da sé e a superarsi. Tale sviluppo, se è ben
compreso, vale più delle ricchezze esteriori che si possono
accumulare ... Pertanto, questa è la norma dell'attività umana: che
secondo il disegno e la volontà di Dio essa corrisponda al vero bene
dell'umanità, e permetta all'uomo singolo o come membro della
società di coltivare e di attuare la sua integrale vocazione» (GS
35).
Nel contesto di
una tale visione dei valori del lavoro umano, ossia di una tale
spiritualità del lavoro, si spiega pienamente ciò che nello stesso
punto della Costituzione pastorale del Concilio leggiamo sul tema
del giusto significato del progresso: «L'uomo vale più per quello
che è che per quello che ha. Parimenti tutto ciò che gli uomini
fanno per conseguire una maggiore giustizia, una più estesa
fraternità e un ordine più umano nei rapporti sociali, ha più valore
dei progressi in campo tecnico. Questi, infatti, possono fornire,
per così dire, la materia alla promozione umana, ma da soli non
valgono in nessun modo ad effettuarla».
Tale dottrina
sul problema del progresso e dello sviluppo - tema così dominante
nella mentalità moderna - può essere intesa solamente come frutto di
una provata spiritualità del lavoro umano, e solamente in base a una
tale spiritualità essa può essere realizzata e messa in pratica.
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XXXIII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Mercoledì
Lc 19,
11-28
Colloqui con
Motovilov
«
Impiegatele fino al mio ritorno »
San
Serafino di Sarov nel diciottesimo secolo
Il
vero scopo della nostra vita cristiana consiste nell’acquisizione
dello Spirito Santo; la preghiera, le veglie, il digiuno,
l’elemosina e le altre opere virtuose fatte nel nome di Cristo non
sono altro che i mezzi per acquistarlo... Sapete come fare per
acquistare il denaro? Per lo Spirito Santo, è lo stesso.
Per
la gente, lo scopo della vita consiste nell’acquisizione del denaro,
nel guadagno. I nobili, oltre a questo, desiderano ottenere degli
onori, dei segni di riconoscimento e altre ricompense concesse in
cambio di servizi resi allo Stato. Anche l’acquisizione dello
Spirito Santo è un capitale, però un capitale eterno, fonte di
grazie, simile ai capitali temporali, e che si ottiene con gli
stessi procedimenti. Il nostro Signore Gesù Cristo, l’uomo Dio,
paragona la nostra vita ad un mercato, e la nostra attività sulla
terra ad un commercio. Raccomanda a tutti noi: “Impiegatele fino al
mio ritorno”, e san Paolo scrive: “traete profitto dal tempo
presente, perché i giorni sono cattivi” (Ef 5,16) cioè:
Affrettatevi ad ottenere i beni celesti negoziando delle merci
terrene. Queste merci terrene non sono altro che le opere virtuose
che facciamo nel nome di Cristo e ci portano la grazia dello Spirito
Santo.
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XXXIII°
settimana Tempo Ordinario - LODI
Giovedì
Lc 19, 41-44
Dal Libro di Vita di Gerusalemme
Capitolo: Nel cuore della Città
Paragrafo: 131
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XXXIII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Giovedì
Lc 19,
41-44
Omelie
su Luca,
38, PG
13, 1896-1898
« Alla
vista della città, Gesù pianse su di essa
»
Origene
nel terzo secolo
Quando il nostro Signore e Salvatore fu vicino a Gerusalemme, alla
sua vista, pianse su di essa : « Se avessi compreso anche tu, in
questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi
occhi. Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di
trincee »… Forse qualcuno dirà : « Il senso di queste parole è
chiaro ; difatti, si sono realizzate riguardo a Gerusalemme ;
l’esercito romano l’ha assediata e devastata fino allo sterminio, e
verrà il tempo in cui non resterà pietra su pietra che non venga
distrutta. »
Non
nego che Gerusalemme sia stata distrutta a causa del suo
acciecamento, eppure faccio la domanda : questi pianti non
riguardavano forse la nostra Gerusalemme ? Infatti la Gerusalemme
sulla quale Gesù pianse, siamo noi, che immaginiamo di avere uno
sguardo così penetrante. Se, una volta istruito dai misteri della
verità, dopo aver ricevuto la parola del vangelo e l’insegnamento
della Chiesa e quando gli è stato data la visione dei misteri di
Dio, uno fra di noi pecca, provocherà lamenti e pianti ; infatti non
si piange sui pagani, bensì su colui che, dopo aver fatto parte di
Gerusalemme, se ne è separato.
Lacrime sono versate sulla nostra Gerusalemme perché a causa dei
suoi peccati, « i nemici la cingeranno », cioè le forze avverse, gli
spiriti cattivi. Alzeranno contro di essa trincee ; la assedieranno,
e non lasceranno « pietra su pietra ». Questo succede quando, dopo
una lunga continenza e più anni di castità, un uomo soccombe, vinto
dalle seduzioni della carne…
Ecco dunque la Gerusalemme
sulla quale sono sparse le lacrime.
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XXXIII°
settimana Tempo Ordinario - LODI
Venerdì
Colei che
credette in virtù della fede, in virtù della fede concepì
di Sant’Agostino
nel quinto secolo
Fate
attenzione, vi prego, a quello che disse il Signore Gesù Cristo,
stendendo la mano verso i suoi discepoli: « Ecco mia madre ed ecco i
miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei
cieli, questi è per me fratello, sorella e madre »( Mt 12, 49-50).
Forse che non ha fatto la volontà del Padre la Vergine Maria, la
quale credette in virtù della fede, concepì in virtù della fede, fu
scelta come colei dalla quale doveva nascere la nostra salvezza tra
gli uomini, fu creata da Cristo, prima che Cristo in lei fosse
creato? Ha fatto, sì certamente ha fatto la volontà del padre Maria
Santissima e perciò conta di più per Maria essere stata discepola di
Cristo, che essere stata madre di Cristo. Lo ripetiamo: fu per lei
maggiore dignità e maggiore felicità essere stata discepola di
Cristo che essere stata madre di Cristo. Perciò Maria era beata,
perché, anche prima di dare alla luce il Maestro, lo portò nel suo
grembo.
0sserva se non è vero ciò che dico. Mentre il Signore passava dalle
folle, e compiva i suoi divini miracoli, una donna esclamò: « Beato
il grembo che ti ha portato! E perché la felicità non fosse cercata
nella carne, che cosa rispose il Signore? « Beati piuttosto coloro
che ascoltano la parola di Dio e la osservano » (Lc 11, 28).
Anche Maria proprio per questo è beata, perché ha ascoltato la
parola di Dio e l’ha osservata. Ha custodito infatti più la verità
nella sua mente,,che la carne nel suo grembo. Cristo è verità,
Cristo è carne; Cristo è verità nella mente di Maria, Cristo è carne
nel grembo di Maria. Conta di più ciò che è nella mente, di ciò che
è portato nel grembo.
Santa
è Maria, beata è Maria, ma è migliore la Chiesa che la Vergine Maria.
Perché? Perché Maria è una parte della Chiesa: un membro santo, un
membro eccellente, un membro che tutti sorpassa in dignità, ma
tuttavia è sempre un membro rispetto all’intero corpo. Se è membro
di tutto il corpo, allora certo vale più il corpo che un suo membro.
Il Signore è capo, e il Cristo totale è capo e corpo. Che dire?
Abbiamo un capo divino, abbiamo per capo Dio.
Perciò, o
carissimi, badate bene: anche voi siete membra di Cristo, anche voi
siete corpo di Cristo. Osservate in che modo lo siete, perché egli
dice: «Ecco mia madre, ed ecco i miei fratelli » (Mt 12, 49).
Come potrete essere madre di Cristo? Chiunque ascolta e chiunque fa
la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello,
sorella e madre (cfr. Mt 12, 50).
Quando
dico fratelli, quando dico sorelle, è chiaro che intendo parlare di
une sola e medesima eredità. perciò anche nella sua misericordia,
Cristo, essendo unico, non volle essere solo, ma fece in modo che
fossimo eredi del padre e suoi coeredi nella medesima sua eredità.
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XXXIII°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI Venerdì
La preghiera
della Chiesa
«Lodate il
Signore nel suo santuario…Ogni vivente dia lode al Signore » (Sal
150)
di Santa
Teresa Benedetta della Croce nel ventesimo secolo
Nell’antica Alleanza avevano già una certa comprensione della
dimensione eucaristica della preghiera: quell’opera prodigiosa della
tenda dell’Alleanza (Es 25) come, in seguito, quella del
tempio di Salomone, fu considerata come l’immagine di tutta la
creazione radunata attorno al suo Signore per adorarlo e servirlo…
Al
posto del Tempio di Salomone, Cristo ha edificato un tempio fatto di
pietre vive (1Pt 2, 5), la comunione dei santi. Egli si tiene
in mezzo ad esso in quanto sommo sacerdote eterno, e sull’altare
egli in persona è il sacrificio eternamente offerto. E tutta la
creazione è resa partecipe di questa liturgia: i frutti della terra
vi sono riuniti in offerte misteriose, i fiori e le luci, i teli e
il velo del tempio, il sacerdote consacrato, come pure l’unzione e
la benedizione della casa di Dio.
Neanche i cherubini sono assenti. Le loro figure scolpite montavano
la guardia nel Santo dei santi. Ora i monaci, che sono la loro
immagine vivente, si curano che la lode di Dio non cessi mai, sulla
terra come in cielo… I loro canti di lode chiamano all’alba tutta la
creazione a unirsi per magnificare il Signore: monti e colline,
fiumi e torrenti, e creature tutte che abitano sulla terra, nuvole e
venti, piogge e rugiade, neve e nebbia, tutti i popoli della terra,
uomini di ogni condizione e razza, e abitanti dei cieli, angeli e
santi (Dn 3, 57-90)…
Noi
dobbiamo raggiungere, per mezzo della nostra liturgia, questa lode
eterna di Dio. “Noi”, cioè, non soltanto i religiosi regolari…ma
tutto il popolo cristiano.
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XXXIII°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Sabato
Lc 20, 27-40
Contro le eresie, IV, 5,2
(In l'Ora dell'Ascolto p.2147)
Il
Dio dei vivi
di
Sant’Ireneo di Lione nel secondo secolo
Il Signore
nostro maestro, rispondendo ai sadducei che negavano la risurrezione
e oltre a ciò offendevano Dio denigrando la Legge, conferma la
realtà della risurrezione e rende testimonianza a Dio dicendo :
« Voi vi ingannate non conoscendo né le Scritture né la potenza di
Dio. Quanto poi alla risurrezione dei morti non avete letto quello
che vi è stato detto da Dio : Io sono il Dio di Abramo e il Dio di
Giacobbe ? » E aggiunge : « Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi ;
perché tutti vivono per lui. » Con queste parole mostrò che colui
che aveva parlato a Mosè dal roveto dichiarando di essere il Dio dei
padri, è il Dio dei vivi. Chi è il Dio dei vivi, se non l’unico Dio
al di sopra del quale non c’è altro Dio ? Lui annunziò il profeta
Daniele quando rispose a Ciro re dei Persiani… : « Io adoro il
Signore mio Dio, perché egli è il Dio vivente » (Dn 14,23).
Colui che
era adorato dai profeti come Dio vivo è il Dio dei vivi, e lo è
anche il suo Verbo, che parlò a Mosè, redarguì i sadducei, donò la
risurrezione e manifestò a coloro che erano ciechi due fondamentali
verità : la risurrezione e la vita di Dio. Se dunque egli non è il
Dio dei morti ma dei vivi, allora quei padri di cui egli si è
proclamato il Signore vivono certamente in lui e non sono morti,
« perché son figli della risurrezione ». Lo stesso Signore Gesù è la
risurrezione, come egli stesso affermò : « Io sono la risurrezione e
la vita » (Gv 11,25). E i padri sono i suoi figli, perché il
profeta disse : « Ai tuoi padri succederanno i tuoi figli » (Sal
44,17).
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XXXIII°
settimana Tempo Ordinario -
PRIMI VESPRI Sabato
Come tutti
muoiono in Adamo, così riceveranno la vita in Cristo
di Sant’Ambrogio
nel quarto secolo
«Questa è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e
crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo
giorno» (Gv 6, 40). Chi dice così? Proprio colui che, passato
attraverso la morte, risuscitò un grandissimo numero di morti. (…)
Infatti, come Dio non poteva morire, non poteva morire la Sapienza
e, d’altra parte, non poteva risorgere quello che non era morto; per
questo egli prende un corpo, onde potersi assoggettare alla morte
come tutti gli uomini, morendo, poter anche risorgere.
Non ci
poteva essere risurrezione se non attraverso l’uomo, poiché, «se a
causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la
risurrezione dei morti» (1Cor 15, 21). Risuscitò dunque come
uomo, perché come uomo era morto: l’uomo viene risuscitato, ma è Dio
che risuscita. Allora uomo secondo la carne, ora Dio in tutto.
Adesso, infatti, non conosciamo più Cristo secondo la carne, ma
abbiamo la grazia della carne, sicché possiamo dire di conoscere la
stessa «primizia di coloro che sono morti» ( 1Cor 15, 20), il
primogenito dei morti.
Le
primizie, però, sono dello stesso genere e della stessa natura degli
altri frutti; se ne offrono a Dio i primi prodotti onde ottenere
raccolti più abbondanti: dono sacro fatto in nome di tutti e quasi
libazione di una natura rinnovata. Primizia dunque di coloro che
sono morti è Cristo. Ma di quali morti? Di quelli che, esenti per
così dire dalla morte, riposano in un dolce sonno, oppure di tutti i
morti? «Come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita
in Cristo» ( 1Cor 15, 22): come in Adamo abbiamo la primizia
della morte, in Cristo abbiamo quindi la primizia della
risurrezione.
Tutti
risorgono, ma nessuno si preoccupi, né il giusto si rattristi al
pensiero di questa comune risurrezione, poiché ciascuno riceverà il
premio della propria virtù. Tutti, certo, risuscitano: «ciascuno
però nel suo ordine», dice l’Apostolo (1Cor 15, 23).
Comune è il frutto della misericordia divina, diversa però la misura
dei meriti.
Per tutti
risplende il giorno, tutti riscalda il sole, tutti i campi sono
irrigati e fecondati dalla pioggia benefica. Tutti nasciamo, tutti
risorgeremo, ma diversa per ciascuno è la grazia della vita,
diversa la grazia della risurrezione, diversa la condizione.
In un
istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba, i morti
risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati» (1Cor 15, 52).
Anzi, nella stessa morte, alcuni riposano, altri invece vivono.
Buona cosa è il riposo, migliore però è la vita. Perciò Paolo
sveglia alla vita coloro che riposano dicendo: «Svegliati o tu che
dormi, destati dai morti, e Cristo ti illuminerà» (Ef 5, 14).
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XXXIV°
settimana Tempo Ordinario -
UR
Domenica
Solennità di
Cristo Re
Omelia sul
vangelo di Giovanni, 115
(Nuova
Biblioteca Agostiniana)
« Il mio
regno non è di questo mondo »
di Sant’Agostino
nel quinto secolo
Ascoltate dunque, Giudei e gentili… ; ascoltate, regni tutti della
terra: Io non intralcio la vostra sovranità in questo mondo: « Il
mio regno non è di questo mondo »
(Gv 18,36).
Non lasciatevi prendere dall'assurdo timore di Erode che, alla
notizia della nascita di Cristo, si allarmò… « Il mio regno - dice
il Signore - non è di questo mondo. » Venite nel regno che non è di
questo mondo; venite credendo, e non vogliate diventare crudeli per
paura. E' vero che in una profezia, Cristo, riferendosi a Dio Padre,
dice: « Da lui io sono stato costituito re sopra Sion, il suo monte
santo » (Sal 2, 6),
ma questo monte e quella Sion, di cui parla, non sono di questo
mondo.
Quale è
infatti il suo regno se non i credenti in lui, a proposito dei quali
dice: « Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo »? anche
se egli voleva che essi rimanessero nel mondo, e per questo chiese
al Padre: « Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li
custodisca dal male ». Ecco perché anche qui non dice: « Il mio
regno non è in questo mondo », ma dice: « Il mio regno non è di
questo mondo. Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servi
combatterebbero per me, affinché non fossi consegnato »
(Gv 18,36).
Il suo regno
infatti è quaggiù fino alla fine dei secoli, portando mescolata nel
suo grembo la zizzania fino al momento della mietitura
(Mt 13,24s)...
Tuttavia, esso non è di quaggiù, perché è peregrinante nel mondo. E'
precisamente agli appartenenti al suo regno che egli si riferisce
quando dice: « Voi non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal
mondo » (Gv 15,19).
Erano dunque del mondo, quando ancora non facevano parte del suo
regno, e appartenevano al principe del mondo
(Gv 12,3).
E' quindi del mondo tutto ciò che è stato generato dalla stirpe
corrotta di Adamo; è diventato però regno di Dio, e non è più di
questo mondo, tutto ciò che in Cristo è stato rigenerato. E' in
questo modo che « Dio ci ha sottratti al potere delle tenebre e ci
ha trasferiti nel regno del Figlio dell'amor suo »
(Col 1,13).
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XXXIV°
settimana Tempo Ordinario -
Vespri - Domenica -
Solennità di Cristo Re
Il Cammino di
perfezione, 22
« Il mio
regno non è di questo mondo »
di
Santa Teresa d'Avila nel sedicesimo secolo
Sei
re per l’eternità, o mio Dio ; e il tuo regno non è un regno a
prestito. Quando diciamo nel Credo che « il tuo regno non avrà
fine », è raro che il mio cuore non ne provi una gioia tutta
particolare. Ti lodo, Signore, ti benedico per sempre ! Infine, il
tuo regno durerà in eterno. Non tollerare, Maestro mio, che quando
ti si rivolge la parola, si creda che sia permesso di farlo solo con
le labbra… È chiaro che non si avvicina un principe con la stessa
naturalezza che si avrebbe con un paesano, o con delle povere donne
come noi, con cui è sempre lecito discorrere senza complimenti.
Nella
mia semplicità, non so come parlare a quel divino Re. Ma la sua
umiltà è così grande che egli non manca di ascoltarmi e mi permette
di avvicinarmi a lui. Non mi respingono neanche i suoi custodi,
poiché gli angeli che lo circondano conoscono i gusti del loro Re :
sanno che la semplicità di un piccolo, totalmente umile, che ne
direbbe di più – il Re lo vede bene – se ne sapesse di più, gli è
più gradevole di tutti i ragionamenti scelti dei più dotti e dei più
sapienti, quando manca loro l’umiltà.
Tuttavia, se il nostro Re è buono, questo non è un buon motivo per
noi per essere scortesi. E se fosse anche solamente per compensarlo
dal fetore causato dall’approssimarsi di una persona quale sono io,
è giusto che facciamo di tutto per conoscere bene la sua nobiltà e
la sua grandezza. In verità, basta avvicinarsi a lui per esserne
istruite… Se, figlie mie, avvicinandovi a lui, riflettete e vi
domandate con chi state per parlare, o con chi già state parlando,
mille vite come le nostre non basterebbero per concepire quanti
riguardi merita un tale Signore, davanti al quale gli angeli
tremano, lui che comanda a tutto, che può tutto e per il quale
volere è fare.
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XXXIV°
settimana Tempo Ordinario -
LODI martedì
Lc 21,
12-19
Istruzione
catechetica, 29-30
« Odiati da
tutti »
di San
Gregorio Nisseno nel quarto secolo
Se il
dono fatto da Dio al mondo di inviargli il Figlio suo è tanto buono
e degno di Dio, perché egli ha tanto differito questo suo
beneficio ? Perché, mentre il male nel mondo era ancora ai suoi
primordi, Dio non ha impedito il suo sviluppo ulteriore ? Conviene
rispondere brevemente a questa obiezione, che è stata proprio la
Saggezza, la previdenza di Dio, l’Essere buono per natura, ad avere
fatto differire il beneficio. Infatti, come per le malattie fisiche
i medici aspettano che il male, prima nascosto nel corpo, si
manifesti apertamente, in modo che, una volta allo scoperto, essi
possano applicare la cura che occorre, così, abbattutasi la malattia
del peccato sulla razza umana, il Medico dell’universo aspettò
finché nessuna forma di perversità rimanesse dissimulata.
Perciò, non subito dopo la gelosia di Caino e l’omicidio di Abele,
suo fratello, Dio ha applicato la sua cura al mondo… Ma soltanto
quando il vizio giunse al suo culmine, quando gli uomini osarono
assolutamente tutte le perversità, Dio si mise a curare la malattia,
non più al suo inizio, ma nel suo pieno sviluppo. E così la cura
divina si è potuta estendere a tutta l’infermità umana.
Ma
allora, perché la grazia del vangelo non si è diffusa subito a tutti
gli uomini ? Certo, la chiamata divina si rivolge ugualmente a
tutti, senza alcuna distinzione di condizione, di età o di razza… Ma
colui che tiene nelle sue mani la libera disposizione di ogni cosa
ha spinto fino in fondo il suo rispetto per l’uomo. Ha permesso che
avessimo, ciascuno, il nostro campo di cui ognuno è l’unico
padrone : cioè la volontà, quella facoltà che ignora la schiavitù,
che rimane libera, fondata sull’autonomia della ragione. La fede
dunque è messa a libera disposizione di coloro che ricevono
l’annuncio del vangelo.
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XXXIV°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI - martedì
Lc 21, 5-11
La preghiera
della Chiesa
"Lodate il Signore nel suo
santuario"
di Santa
Teresa Benedetta della Croce nel ventesimo secolo
Nell'antica
Alleanza avevano già una certa comprensione della dimensione
eucaristica della preghiera: quell'opera prodigiosa della tenda
dell'Alleanza (Es 25)
come, in seguito, quella del Tempio di Salomone, fu considerata come
l'immagine di tutta la creazione radunata attorno al suo Signore per
adorarlo e servirlo... Come, secondo il racconto della creazione, il
cielo è stato srotolato come un telo, così, dei teli dovevano
costituire le pareti della tenda. Come le acque che sono sotto il
firmamento sono state separate dalle acque che sono sopra il
firmamento, così il velo del Tempio separava il Santo dei santi
dagli spazi esteriori... Il candelabro a sette bracci figura i
luminari del cielo. Agnelli e uccelli rappresentano il pullulare
degli esseri viventi che abitano il mare, la terra e il cielo. E
come all'uomo fu affidata la terra, spetta al sommo sacerdote
tenersi nel santuario...
Al
posto del Tempio di Salomone, Cristo ha edificato un tempio fatto di
pietre vive (1 Pt 2, 5),
la comunione dei santi. Egli si tiene in mezzo ad esso in quanto
sommo sacerdote eterno, e sull'altare egli in persona è il
sacrificio eternamente offerto. E tutta la creazione è resa
partecipe di questa liturgia: i frutti della terra vi sono riuniti
in offerte misteriose, i fiori e le luci, i teli e il velo del
Tempio, il sacerdote consacrato, come pure l'unzione e la
benedizione della casa di Dio.
Neanche i cherubini sono assenti. Le loro figure scolpite montavano
la guardia nel Santo dei santi. Ora i monaci, che sono la loro
immagine vivente, si curano che la lode di Dio non cessi mai, sulla
terra come in cielo... I loro canti di lode chiamano all'alba tutta
la creazione a unirsi per magnificare il Signore: monti e colline,
fiumi e torrenti, e creature tutte che abitano sulla terra, nuvole e
venti, piogge e rugiade, neve e nebbia, tutti i popoli della terra,
uomini di ogni condizione e razza, e abitanti dei cieli, angeli e
santi (Dn 3, 57-90)...
Noi dobbiamo raggiungere, per mezzo della nostra liturgia, questa
lode eterna di Dio. "Noi", cioè, non soltanto i religiosi
regolari... ma tutto il popolo cristiano.
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XXXIV°
settimana Tempo Ordinario -
LODI Mercoledì
Lc 21, 12-19
Pensieri
sull’amore di Dio, cap. 3, 4-6 LN/C
Mettetevi
bene in mente di non preparare prima la vostra difesa
di Santa
Teresa d'Avila nel sedicesimo secolo
O amore potente
del mio Dio! Quanto è vero che nulla è impossibile a colui che ama.
Beato chi gode di una tale pace nel suo Dio, che domina ogni
sofferenza e ogni pericolo del mondo. Non ne teme nessuno, purché si
tratti di servire tale Maestro, e ha ragione... Mi viene un pensiero
a proposito delle persone per natura timorose e poco coraggiose...
Anche quando sono state elevate in quello stato di cui sto parlando,
la loro natura debole si spaventa. Occorre allora stare attente,
perché tale debolezza naturale potrebbe farci perdere una corona
magnifica. Quando sentirete, figlie mie, questi attacchi del timore,
ricorrete alla fede e all'umiltà; e, rafforzate dalla convinzione
che nulla è impossibile a Dio
(Lc 1,37), affrontate la vostra
impresa. Egli ha potuto fortificare tante giovani sante rendendole
capaci di sopportare tutti i tormenti che esse si erano disposte a
sopportare per lui!
Quello
che egli domanda è una determinazione che lo renda padrone del
nostro libero arbitrio. Infatti non ha bisogno dei nostri sforzi.
Invece il nostro Signore si compiace nel fare risplendere le sue
meraviglie nelle sue creature più deboli, perché può allora spiegare
più liberamente il suo potere e soddisfare il suo desiderio di
concederci i suoi benefici.
Lasciate da parte le obbiezioni della ragione e disprezzate la
vostra debolezza. Essa infatti non farebbe altro se non crescere se
vi fermaste a riflettere se riuscirete, sì o no... Non è il momento
di pensare ai vostri peccati; lasciateli da parte. Questa umiltà è
allora inopportuna, è proprio fuori luogo... Siate sicure che il
Signore non abbandona mai coloro che lo amano e si espongono per lui
solo.
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XXXIV°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Mercoledì
Lc 21,
12-19
(380),
raccolta canonica e liturgica
Ripresa
della Didascalia degli apostoli, testo dall’inizio del 3° secolo
cfr. SC
329
« Nemmeno
un capello del vostro capo perirà »
dalle
Costituzioni apostoliche
Se
siamo chiamati al martirio, dobbiamo confessare con costanza il
prezioso Nome, e se per questo motivo siamo castigati, rallegriamoci
perché corriamo verso l’immortalità. Se siamo perseguitati, non
rattristiamoci, “non preferiamo il secolo presente”, né “la gloria
che viene dagli uomini” (2 Tm
4,10; Rm 2,29), né la gloria
e l’onore dei principi, come fecero certi. Ammiravano le opere del
Signore ma non credevano in lui, per timore dei sommi sacerdoti e
degli altri capi; infatti “amavano la gloria degli uomini più della
gloria di Dio” (Gv 12,43).
Nel confessare “la bella professione di fede”
(1Tm 6,12),
non soltanto assicuriamo la nostra salvezza, ma anche rafforziamo i
nuovi battezzati e consolidiamo la fede dei catecumeni...
Chiunque è stato ritenuto degno del martirio, si rallegri di imitare
il maestro, poiché sta scritto: “Ognuno sia come il suo maestro”
(Lc 6,40).
Ora il nostro maestro, Gesù, il Signore, è stato colpito a causa
nostra, ha sopportato pazientemente calunnie e oltraggi, è stato
coperto di sputi, schiaffeggiato, pestato; dopo esser stato
flagellato, è stato inchiodato sulla croce, gli hanno fatto bere
l’aceto e il fiele, e dopo aver compiuto tutte le Scritture, ha
detto a Dio suo Padre: “Padre, nelle tue mani consegno il mio
spirito” (Lc 23,48).
Perciò chiunque chiede di essere suo discepolo, cerchi di lottare
come lui, imiti la sua pazienza, sapendo bene che..., qualunque cosa
egli sopporti, sarà ricompensato da Dio se crede all’unico e solo
vero Dio.
Infatti, il Dio onnipotente ci risusciterà per mezzo del nostro
Signore Gesù Cristo, secondo la sua promessa infallibile, insieme
con tutti coloro che sono morti fin dall’inizio... Anche se moriamo
in mare, anche se siamo dispersi nella terra, anche se siamo
lacerati dalle bestie feroci o dai rapaci, egli ci risusciterà con
la sua potenza, perché l’universo intero è tenuto nella mano di Dio:
“Nemmeno un capello del vostro capo perirà”. Per questo ci esorta
con queste parole: “Con la vostra perseveranza salverete le vostre
anime”.
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XXXIV°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Giovedì
Lc 21,
5-11
Catechesi,
15
«
Segni grandi dal cielo »
di San
Cirillo di Gerusalemme nel quarto secolo
“Il
Signore verrà dal cielo sulle nubi, come vi è salito sulle nubi”
(At 1,9).
Lo disse egli stesso: “Vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle
nubi del cielo con potenza e gloria grande”
(Mt 24,30).
Ma quale segno della venuta del Signore sarà tale da impedire alla
tracotanza della potenza avversa di scimmiottarlo? La croce, vero e
proprio distintivo del Cristo. Secondo sta scritto, “allora apparirà
il segno del Figlio dell’uomo”
(Mt 24,30).
Il segno distintivo del Cristo è veramente la croce. Il segno di una
croce luminosa precederà il Re, perché riconoscano chi hanno
crocifisso, insidiato e angariato, e tutte le tribù battendosi il
petto dicano: “Ecco chi abbiamo schiaffeggiato, quel volto che
abbiamo coperto di sputi, colui che abbiamo legato e oltraggiato
fino a infliggergli l’ignominia della croce”. Diranno: “Dove avremo
scampo davanti alla tua ira?”
(Ap 6,16).
“Anche se aveSsimo a difesa schiere di angeli, non sapremmo dove
trovare rifugio dal tuo cospetto”.
Il
segno della croce terrorizzerà i nemici di Cristo! Sarà invece fonte
di gioia per i credenti suoi amici e araldi che per lui avranno
patito. Ma a chi toccherà allora questa beatitudine di essere
trovato amico di Cristo? Perché i suoi eletti non vadano confusi con
i suoi nemici, infatti, il re glorioso assiso sullo stesso trono del
Padre tra schiere di angeli no trascurerà i suoi servi: “Manderà i
suoi angeli con una grande tromba a radunare tutti i suoi eletti dai
quattro venti” (Mt 24,31).
Colui che non disdegnò di prendersi cura di un solo giusto, Lot,
potrà disinteressarsi di tanti giusti? Li farà chiamare a raccolta
dagli angeli e fattili venire su carri di nubi, dirà loro: “Venite,
benedetti dal Padre mio” (Mt
25,34).
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XXXIV°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Giovedì
Lc 21,
20-28
Discorso per l’Ascensione, 2
Il Figlio
dell’uomo verrà a prenderci con lui
di San
Bernardo nel dodicesimo secolo
“Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà
un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”
(At 1,11).
Verrà, dicono gli angeli, allo stesso modo. Forse verrà a cercarci
in questo corteo unico e universale, forse scenderà preceduto da
tutti gli angeli e seguito da tutti gli uomini per giudicare i vivi
e i morti? Sì, è proprio certo che verrà, ma verrà allo stesso modo
in cui è salito in cielo, non al modo in cui è disceso la prima
volta. Infatti nell’umiltà egli è venuto una volta per salvare le
anime. Ma quando verrà per strappare al sonno della morte questo
cadavere, per “conformarlo al suo corpo glorioso”
(Fil 3,21)
e riempire di onore questo vaso oggi così debole, si rivelerà in
tutto il suo splendore. Allora vedremo in tutta la sua potenza e la
sua maestà colui che una volta si era nascosto sotto la debolezza
della nostra carne...
Essendo Dio, Cristo non poteva crescere, poiché non c’è nulla oltre
a Dio. Eppure ha trovato il modo di crescere – nello scendere,
nell’incarnarsi, soffrendo, morendo per strapparci alla morte
eterna. “Per questo Dio l’ha esaltato”
(Fil 2,9).
L’ha risuscitato, ed egli si è seduto alla destra del Padre. Anche
tu, va e fa’ lo stesso: non potrai salire senza prima cominciare con
lo scendere. “Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà
esaltato” (Lc 14,11).
Beato, Signore Gesù, colui che ha per guida solo te! Che possiamo
seguirti, “noi, tuo popolo e gregge del tuo pascolo”, che possiamo
venire a te per mezzo tuo, perché sei “la via, la verità e la vita”
(Gv 14,6).
La via per il tuo esempio, la verità per le tue promesse, la vita
perché sei tu la nostra ricompensa. “Tu hai parole di vita eterna;
noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”, il
Figlio del Dio vivente” (Gv
6,69 ; Mt 16,16), e Dio, più
alto di ogni cosa, benedetto in eterno.
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XXXIV°
settimana Tempo Ordinario -
LODI - venerdì
LIBRO di VITA
Capitolo
“Monaci e monache” § 64
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XXXIV°
settimana Tempo Ordinario -
VESPRI
Venerdì
Lc 21,
20-28
Esposizione
sui salmi, Sal 95, §14
(Nuova
Biblioteca Agostiniana)
« Alzatevi e
levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina »
di Sant’Agostino
nel quinto secolo
"Esulteranno
allora tutte le piante dei boschi, alla presenza del Signore, poiché
egli viene: viene a giudicare la terra"
(Sal 95, 12).
È venuto una prima volta e verrà ancora. La prima volta è venuto con
la sua presenza nella Chiesa e a portarlo erano le nubi
(Mt 26, 64).
E quali sono le nubi che l'hanno portato? Gli Apostoli, che ci hanno
recato il messaggio evangelico… È venuto una prima volta per bocca
dei suoi evangelizzatori e ha riempito l'universo. Non opponiamo
resistenza alla sua prima venuta, per non dover temere nella
seconda…
Cosa farà,
allora, il cristiano? Si servirà del mondo, ma non diverrà schiavo
del mondo. Cosa significa? Pur avendo le cose, si comporterà come se
non le avesse. Così dice l'Apostolo; … "Quanto al resto, fratelli,
il tempo è breve… coloro che comprano, siano come se non
conservassero avidamente; e coloro che usano delle cose del mondo,
come se non ne usassero. Passa, infatti, la figura di questo mondo,
e io vorrei che voi foste senza preoccupazioni
(1Cor 7,29-30):
Chi non ha preoccupazioni aspetta sereno la venuta del Signore.
Difatti, che sorta di amore abbiamo per Cristo se temiamo che venga?
E non ce ne vergogniamo, fratelli? Noi l'amiamo ed abbiamo paura che
venga. Ma l'amiamo per davvero? O non amiamo, per caso, più che non
Cristo i nostri peccati? Ebbene, odiamo i peccati, e amiamo colui
che verrà …
"Allora
esulteranno tutte le piante dei boschi dinanzi al volto del Signore,
poiché egli viene"… È venuto una prima volta: verrà in seguito a
giudicare la terra, e troverà colmi di gioia coloro che hanno
creduto alla sua prima venuta.
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XXXIV°
settimana Tempo Ordinario -
LODI
Sabato
Mt
24,42-51
Paragrafi
10 e 16
« Vegliate,
perché non sapete il giorno »
dalla Didaché
Una
volta saziati dell’Eucarestia, ringraziate così : Ti rendiamo
grazie, o Padre Santo, per il tuo santo nome che hai fatto abitare
nei nostri cuori, e per la conoscenza, la fede e l’immortalità che
ci rivelasti per mezzo di Gesù, tuo Servo. A te la gloria per i
secoli. Amen !…Sopra ogni cosa, ti rendiamo grazie, perché sei
onnipotente : A te la gloria per i secoli. Amen ! Ricordati, o
Signore, della tua Chiesa, preservala da ogni male e rendila
perfetta nel tuo amore, e santificata, dai quattro venti riuniscila
nel tuo regno che per essa hai preparato. Poiché tua è la potenza e
la gloria per i secoli. Amen. Venga la tua grazia e passi questo
mondo. Amen ! Chi è santo si avvicini ; chi non lo è si converta.
Maranà thà. Amen…
Sì,
vegliate sulla vostra vita ; non lasciate che si spengano le vostre
lampade, neppure che si sciolgano le cinture dai vostri fianchi.
State pronti, perché non sapete l’ora in cui il nostro Signore
verrà. Radunatevi frequentemente per cercare insieme ciò che
conviene alle vostre anime. Perché tutto il tempo della vostra fede
non vi servirà a niente, se nell’ultimo momento, non sarete divenuti
perfetti.
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XXXIV°
settimana Tempo Ordinario -
PRIMI VESPRI Sabato
Lc 21,
25-28 ; 34-36
Trad. l’Ora
dell’ Ascolto alt.
Le tre
venute di Cristo
di Pietro
di Blois nel
dodicesimo secolo
Tre sono le
venute del Signore : la prima nella carne, la seconda nell’anima, la
terza per il giudizio. La prima avvenne sulla mezzanotte, secondo la
parola del vangelo : « A mezzanotte si levò un grido : Ecco lo Sposo
! » (Mt 25, 6)
… Questa prima venuta è già passata. Il Cristo fra gli uomini « è
apparso e con gli uomini è vissuto »
(Bar 3, 38).
Noi siamo
nella sua seconda venuta, se però siamo tali che egli si degni di
venire a noi ; siamo sicuri che « se lo amiamo, verrà e dimorerà
con noi » (Gv 14, 23).
Questa venuta perciò è sottoposta a condizione. Infatti chi conosce
coloro che sono di Dio, se non lo Spirito di Dio ? Coloro che sono
rapiti fuori da sé dal desiderio delle cose celesti, sanno bene
quando sta per venire ; tuttavia non sanno «di dove viene e dove va
» (Gv 3, 8).
Quanto al
terzo avvento è certissimo che avverrà, ma assolutamente incerto
quando avverrà. E che cos’è più certo della morte ? Ma nulla è tanto
incerto quanto l’ora della morte.
« E quando si
dirà « Pace e sicurezza », allora d’improvviso li colpirà la rovina,
come le doglie una donna incinta ; e nessuno scamperà »
(1 Ts 5, 3).
Il primo avvento fu nascosto e umile, il secondo è segreto e
mirabile, il terzo sarà manifesto e terribile. Nel primo, Cristo è
stato giudicato dagli uomini con ingiustizia ; nel secondo ci rende
giustizia mediante la sua grazia ; nell’ultimo, giudicherà ogni cosa
con equità : Agnello nel primo avvento, Leone nell’ultimo, Amico
pieno di tenerezza nel secondo.
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