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giovedì 27 dicembre 2018 - San Giovanni, Apostolo - 1 Gv 1,1-4 – Gv 20,2-8 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Che dono i santi dell’Ottava di Natale! Ieri festeggiavamo Santo Stefano e oggi San Giovanni. È bello, perché il volto di ogni santo riflette, a suo modo, il volto di Colui che è appena nato. Domani celebreremo i Santi Innocenti, e il giorno dell’Epifania faremo memoria dei Magi.
Quelli che dimentichiamo sono i pastori! Faccio una breve digressione… I Santi Pastori. Il vescovo Arnolfo, pellegrino in Terra Santa nel VII secolo, racconta di aver visto tre tombe di pastori nella Basilica di Betlemme. Le loro reliquie sono poi state portate in Spagna a Ledesma, nelle vicinanze di Salamanca, Vi si legge questa scritta: «I gloriosi Giuseppe, Isacco e Giacobbe, pastori di Betlemme, che hanno meritato di esser i primi a vedere e adorare il Cristo, Dio e Uomo, nella stalla.»
I pastori fecero un’esperienza spirituale estremamente forte, nella notte della Natività. Fu un’esperienza mistica comunitaria: la visita e l’annuncio dell’angelo, il canto del coro angelico, e la visita alla grotta, dove « trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.» (Lc 2,16-17) Poi «se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.» (Lc 2,20)
Chissà come avranno poi sofferto per la strage degli Innocenti, essendo stati i primi testimoni della nascita del Bambino che i soldati di Erode volevano uccidere…
Che siano divenuti santi non sorprende, quando si prende coscienza della profondità dell’esperienza fatta. Chi più di loro, oltre alla Vergine ed a San Giuseppe, è stato testimone del mistero del Bambino? Hanno visto il «bambino avvolto in fasce»(Lc 2,12) Hanno visto il neonato nelle braccia della Vergine o di San Giuseppe. L’hanno visto, l’hanno sentito vagire. Ne hanno visto la piccolezza, la vulnerabilità… e sapevano che era il «Salvatore», che era «Cristo Signore».(Lc 2,11)
Certamente saranno stati, per sempre, segnati dall’umanità di Gesù. E qui, torno a San Giovanni…
Ma chi è Giovanni? Giovanni non è stato testimone della nascita né della giovinezza di Gesù. Lo ha conosciuto, sembra, presso il Battista. Giovanni, dice la tradizione, era il più giovane degli apostoli. Era anche il discepolo per il quale Gesù aveva un affetto del tutto particolare, al punto che egli stesso parla di sé come del «discepolo che Gesù amava» (Gv 13,23).
Presenta poi degli aspetti un po’ contraddittori, come noi tutti siamo segnati da contraddizioni. È, da una parte, il discepolo che si china sul petto di Gesù con grande tenerezza, ed è, dall’altra parte, con suo fratello Giacomo, un figlio del tuono,(Mc 3,17) perché entrambi possono avere delle reazioni molto accese, se non violente.
Quel che sembra qualificare Giovanni è la verginità: verginità sessuale, dice la tradizione, ma anche verginità dello sguardo, la capacità di porre su Gesù uno sguardo di grande purezza. Come i pastori, Giovanni ha guardato a Gesù ed è stato segnato dall’umanità di Gesù. L’ha umanamente, profondamente amato, fino al Golgota, dove è stato l’unico, tra i dodici apostoli, a restare ai piedi della croce. Ma il suo sguardo puro è andato oltre l’umanità, fino a riconoscere in Lui non solo il Salvatore ed il Cristo Signore, ma il Verbo stesso. Giovanni è un erede del Primo Testamento che, soprattutto con l’apporto della cultura greca, aveva percepito il mistero della Sapienza personificata di Dio. In Gesù riconosce il Logos di Dio, vede il Logos di Dio. «Abbiamo udito» dice «abbiamo veduto con i nostri occhi, contemplammo e le nostre mani toccarono…» chi? «Quello che era da principio, il Verbo della vita. (cf 1 Gv 1,1-2) Gesù, Verbo della vita.
Giovanni aveva ascoltato Giovanni Battista che diceva: «Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me» (Gv 1,15)
Ha poi intuito che questo «era prima di me» rimandava all’essere stesso di Dio. E questo l’ha portato ad una grande audacia, quella di cominciare il suo Vangelo con «En archè», «In principio», esattamente come la Genesi comincia con «Bereshit»! Perché è una vera e propria nuova creazione nel Verbo di Dio.
Colui che ha visto nelle acque del Giordano, colui che ha seguito, col quale ha mangiato, parlato, che l’ha istruito, guidato, talvolta rimproverato, che l’ha molto amato… è La Parola di Dio. Non è solo un profeta. Non è solo una parola divina. È LA Parola di Dio. E, un giorno, ebbe l’ardire di scrivere su una pergamena, o di dettare: «E il Verbo si fece carne».(Gv 1,14) Ecco il frutto del suo sguardo verginale.
Ma questo stesso sguardo l’ha portato ad un'altra presa di coscienza. Chi, più di lui, ha insistito per sottolineare che Gesù ha dato un unico comandamento, quello dell’amore reciproco? Si racconta che, divenuto anziano, non cessava di ripetere: «Amatevi gli uni gli altri». «Amatevi gli uni gli altri», come Gesù ha amato voi. Lo stesso sguardo che ha visto l’origine e l’identità divina di Gesù, ha pure visto come doveva sbocciare il mistero di Gesù: nell’Amore reciproco. Conosceva l’intensità dell’Amore di Gesù. Sapeva che questo Amore era in grado di redimerci, che era un morire per risorgere. Sapeva che questo Amore era in grado di unirci nell’amore, fino a diventare «una cosa sola». (Gv 17,11.21-22)
Ecco lo sguardo che possiamo oggi porre sul Bambino del Presepe. Tu sei Dio, Dio che viene, Dio che ci visita, Dio in mezzo a noi. Tu sei la Parola di Dio… Dio si dice totalmente in Te. E Tu sei Colui che ci attira nell’Amore, perché diventiamo una cosa sola. Con i pastori e con Giovanni, ti adoriamo.
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lunedì 24 dicembre 2018
- NATIVITÀ DEL SIGNORE - Messa della notte Is 9,1-6 –
Tt 2,11-14 – Lc 2,1-14 - Badia Fiorentina - f.
Antoine-Emmanuel Che bella assemblea formiamo questa sera! C’è tra noi chi partecipa alla messa ogni giorno, chi vi partecipa la domenica, chi viene in Chiesa un paio di volte all’anno, e magari chi non è cristiano… Ma non ci sono muri tra noi. Il Bambino è qui per noi tutti.
Fermiamoci un attimo a guardare il presepe… Il Bambino è nato per te. E per noi, per il nostro stare insieme nell’amore. Già l’amore reciproco comincia a estendersi…
Si parla molto di presepe in questi giorni. C’è un certo don Paolo di Genova che ha deciso di non fare un presepe, a causa delle leggi ostili ai migranti; c’è il nostro amico Christian, di Belluno, che mi diceva questa mattina che il presepe nella sua parrocchia è stato rubato ieri; c’è la scelta coraggiosa invece del nostro sindaco di allestire un presepe nel cortile di Palazzo Vecchio. C’è poi un presepe molto particolare, in una vetrina di un negozio dall’altra parte del Duomo, un presepe con tante cose belle: il ruscello, il mulino, il trenino, e così via, ma non ci sono né Maria né Giuseppe né il bambino. Invece ci sono tanti negozi nel nostro quartiere che hanno accettato di mettere un presepe in vetrina, grazie all’audacia di diversi tra voi che lo hanno proposto loro. Una cosa è certa: il presepe … non lascia indifferenti! Chissà perché?
A questo proposito, vi condivido un sogno: ho sognato che tutti gli alberi di Natale si mettessero a parlare, ed anche che tutte le decorazioni di Natale si mettessero a parlare, e tutte le luci e tutti i regali nelle case, nelle feste natalizie… E che si mettessero a raccontare il vero senso del Natale. Questo porterebbe una gioia immensa nelle case, nei negozi, nelle piazze…. Il mondo si metterebbe a ballare di gioia!
Cosa griderebbe l’albero di Natale? «Sono il simbolo dell’albero della vita, dico che Natale è l’accesso riaperto verso l’albero della vita del Paradiso, e che dai miei rami pendono tanti regali che dicono quanto Dio sia generoso, quanta vita Egli voglia dare!»
E le luci direbbero che sono un piccolo riflesso di una Grande Luce, perché il Natale è la vittoria della Luce su tutte le tenebre…
Ma, mi direte, come una scena così innocua come il presepe può aver a che vedere con una grande vittoria sulle tenebre del mondo? Le tenebre le conosciamo tutti bene, anzi troppo bene. Le tenebre del cuore quando siamo smarriti, umiliati, depressi, oppressi… Le tenebre della vita quando non c’è il lavoro, i soldi, la casa…. Le tenebre affettive quando siamo soli, traditi, disprezzati… Le tenebre dei giornali con tutto l’odio, i conflitti che ci raccontano, le guerre, gli attentati, la fame, i muri, i divieti di sbarcare, …
Il presepe cosa c’entra? Il presepe è una storiella nostalgica, una favola? No!!! Il presepe dice una vittoria immensa, storica, cosmica! Perché viene a disturbare, a capovolgere il più profondo delle cose. C’è tutto un ordine delle cose segnato dal male, dall’ingiustizia, che il presepe viene a smantellare. L’innocenza, l’infanzia di Dio, fa irruzione sulla scena della storia, entra, grazie al sì di Maria, e viene a spezzare il dominio del male. Questo potere negativo, che talvolta affiora nella nostra coscienza, il Bambino viene a scardinarlo, a distruggerlo. Questi poteri occulti che abbiamo la tentazione di addomesticare per ricavarne più soldi, più potere, più fama… questi poteri che sempre ci distruggono, ci asserviscono, fanno di noi degli schiavi, il Bambino viene per cacciarli via per sempre.
ci descrive precisamente tutto ciò. Si parla di una grande luce che si alza su un popolo che si trova nelle tenebre. Si parla di una grande vittoria, tale che si possono bruciare le divise dei combattenti, perché la vittoria è definitiva. E come avviene questa vittoria? Con la nascita di un bambino. Un bambino che nasce per noi!
Il presepe è la rappresentazione di una vittoria immensa. È chiaro nel Vangelo: perché velocemente il re Erode, il tiranno dell’epoca, vorrà uccidere il Bambino? Perché non vuole perdere il suo potere! Infatti, nel Bambino, Dio «dispiega la potenza del suo braccio, disperde i superbi nei pensieri del loro cuore; rovescia i potenti dai troni, innalza gli umili; ricolma di beni gli affamati, e rimanda i ricchi a mani vuote.» (cfr. Lc 1,51-53)
È pericoloso per un tiranno tutto questo!!
È la fine dell’impero del male!
Ma il presepe di terracotta o di legno non fa che rappresentare questa vittoria.
È bello, significativo, ma insufficiente.
La messa, invece, il pane consacrato, il vino consacrato, non è simbolo della vittoria! È il vincitore stesso che si manifesta, che si dona, che irrompe nella nostra vita, nella vita del mondo, per portarci oggi il Regno dell’Amore! Il vincitore stesso viene e si dona! Natale avviene realmente sull’altare, come intuì San Francesco, mettendo il presepe sotto l’altare. Natale avviene nei nostri cuori! Allora, al Bambino, ora, presentiamo le tenebre, le angosce, i gridi del nostro cuore. Gli presentiamo pure i desideri, le gioie, i sogni del nostro cuore! E accogliamo Lui! La culla che il Bambino questa sera tanto desidera è il tuo cuore, ed è il nostro amore reciproco. Non vi è che paglia in noi e tra noi? Appunto, questo bambino nasce più che volentieri nella paglia… E la cambia in oro. Quando Egli nasce in noi e tra noi, tutto è trasformato, trasfigurato!
Mi ricordo di un uomo che entrò in questa chiesa un po' più di un anno fa. Era alle prese con tante, ma tante dipendenze e malattie dell’anima, inclusi l’occultismo e la massoneria. E permise al Signore di visitare la sua vita. Un anno dopo, era cosi bello vederlo piangere di gioia con la moglie, perché aveva – ed avevano – ritrovato la vita! La tua paglia si cambierà in oro se del tuo cuore, dei tuoi fallimenti e dei tuoi sogni, fai una culla per il Bambino Dio. Si chiama GESÙ. Vuol dire: Dio salva. Chiedi a Maria ed a Giuseppe! Lo deporranno con tanta cura nel tuo cuore! Si chiama GESÙ.
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giovedì 20 dicembre 2018 - Feria di Avvento - Ora santa della Misericordia - Is 7,10-14 ; Lc 1,26-38 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Ieri eravamo nel contesto molto solenne dell’offerta dell’incenso, nel Tempio di Gerusalemme. Grande solennità. Grande sacralità, con la folla dei credenti dinanzi al Tempio. L’altare, il fuoco, l’incenso, il sacerdote scelto per il servizio…
Oggi siamo a Nazareth, paese sperduto nella disprezzata Galilea. Niente tempio, niente sacerdote, niente folla, niente incenso.
Siamo in una casa, con la Vergine di 14 o 15 anni di età. Grande semplicità, anzi, ordinarietà. Entra l’Angelo. "Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te" (Lc 1,28)
Parole per Maria. Parole per noi, questa sera. "Rallegrati, tu che sei colmato/a della grazia: il Signore è con te". È ancora un'eco della Domenica della gioia. Un invito a rallegrarci, perché a noi non manca la grazia. Un invito a guardare come la grazia accompagna, avvolge, la nostra vita.
L’Ora santa della Misericordia comincia con questo riconoscere la grazia. La grazia è il delicato operare di Dio che riplasma la sua creatura svilita dal peccato, per liberarla dalla morsa del peccato. Quanto, sì, quanto il Signore lavora, opera nella nostra vita! È un continuo artigianato divino, per sottrarci continuamente al male, al demonio, alla mondanità. Rallegrati di essere cosi amato/a, al punto che Dio non si stanca mai di riprenderti, di salvarti.
E la grazia è bellezza. L’amore di Dio ti fa bello/a. Anche delle nostre fragilità, delle nostre debolezze, si serve per renderci belli di una bellezza non mondana, ma eterna.
Rallegrati! E non temere, perché hai trovato grazia presso Dio. Il Signore si ricorda di te… E sempre si ricorderà.
Celebriamo questa Eucarestia come ringraziamento, come lode al Signore. Come azione di grazie per la sua opera di purificazione, di perdono, di liberazione. Il re Acaz non volle aprire gli occhi sulle meraviglie che Dio compiva nella sua vita. Rimase a occhi chiusi. Noi apriamo gli occhi e guardiamo e celebriamo.
Quante volte, Signore, mi hai ripescato… Quante volte mi hai ricercato, io pecora ribelle prigioniera della mia propria volontà. Quante volte mi hai perdonato, facendomi scoprire l’ampiezza del tuo Amore. Quanta misericordia hai effuso sui nostri cari, sulle nostre famiglie, sulla Chiesa, sul mondo
“Che cosa renderò al Signore per tutti i benefici che mi ha fatto?
Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore.
(…) A te offrirò un sacrificio di ringraziamento e invocherò il nome del Signore.”
(Sal 116, passim)
Dopo la messa : esposizione del Santissimo – Ora santa della Misericordia
Abbiamo celebrato l’Amore salvifico, la grazia, la grazia sconfinata del Signore.
Come non correre ora dal Signore per chiedere grazia! Mi hai fatto riscoprire il tuo Amore, eccomi per esserne rivestito, anzi trasformato, trasfigurato…
Come prepararci all’incontro con Gesù nel Sacramento del Perdono? Possiamo semplicemente specchiarci nel Santissimo Sacramento.
Il pane si è lasciato prendere, spezzare e benedire, per essere pane consacrato per tutti. Ed io mi lascio prendere dal Signore? Mi lascio spezzare dal Signore? Mi lascio benedire dal Signore? Accetto di essere Suo dono? Per tutti?
Gesù Eucarestia è lì presente, offerto, in un silenzio pieno di Amore. Sono, io, presente agli altri? Qual è la qualità della mia presenza?
La mia vita è offerta? Offro il mio tempo? I miei beni? I miei soldi? La mia disponibilità? Le mie capacità? Di cosa mi sono appropriato?
So stare in silenzio? Sono capace di ascoltare, di rinunziare al mio punto di vista? Offro agli altri uno spazio d’amore dentro di me?
Gesù Eucarestia è tutto mitezza, non si impone. È mite ed umile di cuore. Ed io sono mite? Dove si annida la violenza in me? Con chi sono violento? Per che cosa divengo violento? Cosa mi fa inorgoglire e perdere l’umiltà? Che gloria umana sogno, che tesori sogno? Che fama?
Gesù Eucarestia è casto. Corpo di totale castità. Ed io come vivo il mio corpo, la mia sessualità? Ne ringrazio il Signore? Amo la mia sessualità? Oppure la profano?
Gesù Eucarestia è Colui che porta su di sé tutto il peccato del mondo. Dal Presepe alla Croce, Egli è l’Agnello che si carica del male. Ed io come vivo la sofferenza? Cos’è la mia croce? Come la vivo? Ho lasciato l’Amore di Gesù entrare nel mio patire?
Gesù Eucarestia è il Signore della gloria, il Risorto, il vincitore del male. L’ho accolto? Ho lasciato la speranza fiorire e portare frutto nella mia vita?
Facciamo silenzio. Non occorre un lungo elenco delle nostre mancanze, dei nostri fallimenti. Bisogna ascoltare dentro di noi, in profondità. È il Signore, e Lui solo, che può farci capire in che modo l’abbiamo ferito.
E ricordiamoci delle letture del giorno: il re Acaz che stanca Dio e stanca gli altri; la Vergine che rallegra Dio e si offre per gli altri. Ed io?
Al Signore, attraverso il sacerdote, potremo confessare tre cose: la nostra lode per l’Amore di Dio; i nostri peccati che Dio stesso ci fa vedere; la nostra speranza di una vita nuova con Gesù!
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Domenica 16 dicembre 2018 - III Domenica di Avvento (C) - Sof 3,14-17 – Fil 4,4-7 – Lc 3,10-18 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Sapete cosa segue al brano del Vangelo appena letto? «Il tetrarca Erode, rimproverato da lui a causa di Erodìade, moglie di suo fratello, e per tutte le malvagità che aveva commesso, aggiunse alle altre anche questa: fece rinchiudere Giovanni in prigione.» (Lc 3,19-20) E noi, avendo sentito Giovanni, cosa faremo? Lo metteremo anche noi in prigione? Per non sentire più la sua voce…
Oppure cercheremo di ascoltare Giovanni? È vero che Giovanni non è un uomo dalla parola dolce. Tra Gesù e Giovanni, l’uno accanto all’altro, che differenza! Ma di lui abbiamo bisogno per non mancare l’incontro con Gesù.
La posta in gioco è la gioia. Quella vera. Giovanni era un uomo austero, esigente, ma abitato da una gioia profonda. La gioia di essere al suo posto, di fare la volontà di Dio. Era l’Amico dello Sposo, Colui che si mette a servizio dell’Incontro tra lo Sposo e la sposa. «Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa;» dice «ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire». (Gv 3,29-30) La sua gioia è servire l’Incontro e poi ritirarsi.
La nostra gioia è diversa. È la gioia della Sposa. È la gioia profetizzata da Sofonia: «Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!» (Sof 3,14)
È un vero crescendo nella gioia: «Rallegrati», poi «grida di gioia», poi «esulta e acclama con tutto il cuore».
È la gioia della Sposa visitata dallo Sposo. La Sposa che lascia la gioia di Dio esplodere in Lei: «Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia». (Sof 3,17)
Ecco la posta in gioco: la gioia delle nozze. Non solo nell’eternità, ma già oggi… nel quotidiano, in mezzo alle vicissitudini e ai problemi del quotidiano.
Bisogna, quindi, ascoltare bene Giovanni, e non metterlo a tacere come fecero Erodiade ed Erode.
Cosa dice Giovanni? Agli esattori delle tasse romane dice: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato» (Lc 3,13) Ai soldati, dice: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».(Lc 3,14) E a tutti: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto».(Lc 3,11) E a te cosa dice? E a me? Una cosa è certa: ci chiede la prima conversione, una nuova prima conversione, cioè di ri-scegliere la giustizia. E questo tocca due realtà molto concrete: la prima è il possesso, l’appropriarsi del denaro e dei beni, la cattiva tendenza ad accumulare per noi; la seconda è la violenza, il fare violenza per raggiungere i propri scopi.
Dove si annidano in noi l’avarizia, la cupidigia, i tesori nascosti che sanno di egoismo? Che cosa siamo incapaci di condividere? Dove si annida in noi la violenza? Con chi siamo violenti? Per che cosa diventiamo violenti?
E Giovanni è molto chiaro: «Fate dunque frutti degni della conversione». Non bastano le buone intenzioni. Ci vogliono delle scelte… Ed aggiunge: «e non cominciate a dire fra voi: "Abbiamo Abramo per padre!".»(Lc 3,8) Non cominciate a dire: «io sono monaco, io sono monaca, io sono sacerdote, io sono un fervente praticante» … No … «Fate dunque frutti degni della conversione». E la posta in gioco è la gioia! La gioia vera… L’amore per il denaro, l’attaccamento ai beni uccidono la gioia. Finché l’anima nostra sarà prigioniera dei beni, degli onori e degli affetti, non potrà conoscere la vera gioia. Quanto alla violenza, essa è la grande nemica della gioia. Non la sopporta…
La gioia proviene dall’Incontro con Gesù. La gioia nuziale è incomparabile. «Forse un giorno, per la tua vita sempre più pura e abbandonata, provocherai il Signore, che ci ama tutti infinitamente, a desiderare in modo tutto particolare la tua bellezza. Comprenderai allora che cosa significhi per te essere oggetto dell’amore geloso di Dio, sperimenterai la gioia di uno sposo divino promesso alla tua anima e l’inesauribile letizia di intravedere a quali nozze di felicità Dio stesso ti invita. » (Libro di vita di Gerusalemme, n.86)
la strada della rinuncia al possesso egoistico e della mitezza. Sono necessari una decisione e degli atti. Qui si gioca la nostra libertà. Ma qui si sperimenta anche la nostra miseria. Perché presto ci rendiamo conto di quanto il possesso e la violenza siano profondamente radicati in noi. Non ci basta il battesimo con acqua di Giovanni: abbiamo bisogno del Battesimo nel fuoco di Gesù. Abbiamo bisogno del fuoco dell’Amore divino.
Per rinunziare al possesso e alla violenza, è necessario un Amore più grande del nostro cuore. Occorre che il nostro cuore sia sommerso da una piena di Amore, di fuoco. Ci vuole un nuovo tuffarsi nel Battesimo nel fuoco di Gesù. Questa è la grazia del Sacramento del Perdono.
Il sacramento della Riconciliazione non è il battesimo di Giovanni. Non è riconoscere le proprie mancanze e impegnarsi a fare meglio. Questo è già bello, ma non è la Confessione sacramentale. Essa è un gettarsi nel fuoco dell’Amore divino, con due conseguenze: la prima è che Dio stesso ci fa vedere il nostro peccato, ed è come una bruciatura nell’anima… La seconda è che la Misericordia divina agisce nel profondo del nostro cuore, ed è una liberazione, un esorcismo, una vita nuova…
Tutto questo non si può vivere da soli: io e la mia coscienza… È un dialogo con un Altro, con Dio. E quindi abbiamo bisogno della mediazione di uno che, a nome del Signore, ci ascolti e ci dia l’assoluzione. Non voglio la «mia» assoluzione, anche piena di buoni sentimenti religiosi. No! Voglio quella di Dio. E non voglio lasciarmi ingannare dalla mia piccola misericordia. Voglio la grande Misericordia, quella di Dio. Quella del Presepe e della Croce. Quella di Gesù. Quella che da Gesù fu affidata alla Chiesa. Non vogliamo una scintilla di amor proprio. Vogliamo l’incendio dell’Amore di Dio che ha la potenza di risanarci in profondità.
La posta in gioco… è la gioia! Una gioia che supera le gioie pur benedette della terra. Una gioia contagiosa. Ecco come P. Pierre-Marie ne parlò in una sua omelia per la Terza Domenica di Avvento:
«In verità, tutti noi siamo eredi diretti della Gioia trinitaria. Non dimentichiamolo mai! Perché il mondo aspetta da noi che sappiamo renderne testimonianza (Fil 4,4 ; 1 Pt 3,15). Siamo stati creati nella gioia di Dio. E rimaniamo segnati da questa Immagine inalterabile. Portiamo per sempre il riflesso di questa Somiglianza originaria. Sì, perché essendo figli di Dio, siamo figli della Gioia, l’allegrezza è iscritta in noi come un’impronta originaria. E la possiamo ravvivare nei nostri cuori ogni volta che pensiamo e che ci apriamo alla contemplazione di questa prima sorgente che è in noi stessi sorgente che zampilla per la vita eterna. (Gv 4,14 ; 7,38)»
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Domenica 9
dicembre 2018
- 2a Domenica d'Avvento - Badia Fiorentina- un monaco Voce di uno che grida nel deserto. Per i Giudei ci sono diversi significati del “deserto”. Prima di tutto il deserto ricorda l’uscita d’Egitto quando Dio ha liberato Israele. Il deserto è anche il cammino fuori della Terra Promessa verso la schiavitù in Babilonia quando Israele era stata infedele. E poi il deserto, cammino di ritorno dall’esilio. Ed è questo deserto che Dio spiana, prepara per Israele nella 1ma lettura del profeta Baruc. Sentiero di cui parla anche il salmo responsoriale. Se ne sono andati piangendo e tornano con gioia portando i covoni. Allora si dice tra le genti “il Signore ha fatto grandi cose per loro”! All’epoca di Gesù, al momento in cui Giovanni Battista si è messo a predicare, più praticamente, il deserto nel quale si doveva preparare un cammino era il deserto che quasi circondava la città di Gerusalemme. Da qualsiasi parte si arriva, dal mare all’ovest, da Gerico e dalla Samaria all’oriente e al nord, dall’Idumea al sud... le vie per raggiungere la città possono sparire facilmente sotto una tempesta di sabbia. L’arrivo di visitatori importanti, l’afflusso dei pellegrini per le grandi feste richiedeva infatti di riparare le vie, di raddrizzare i sentieri. L’ufficio stradale all’epoca aveva da fare in certi momenti dell’anno. Le parole del Battista avevano tutti questi significati per i suoi contemporanei... ai quali lui aggiungeva un significato più profondo, spirituale, messianico che vale sempre e ancora per noi. Oggi, in questo inizio di Avvento, per mezzo di Giovanni Battista, la Parola di Dio c’invita a preparare, riparare le vie, raddrizzare i sentieri. Colui che viene non è un qualsiasi visitatore . Il cammino da apprestare non è un sentiero ordinario. È Dio che viene, la città ad accoglierlo è il nostro cuore e la via da preparare è la nostra vita cosi com’è, oggi. Stamattina, in questa 2da domenica di Avvento, come sta il mio cuore? Sempre innamorato oppure già tiepido, stanco? Batte un ritmo regolare oppure in aritmia, batte in armonia con mia moglie oppure in discordia, aperto o chiuso agli altri? La nostra storia, le sue vicende, gli incontri fatti, i tempi che stiamo vivendo... possono infatti rendere il nostro cuore più o meno spalancato, dilatato... oppure otturato, sbarrato, inaccessibile come una cittadella inespugnabile, una roccaforte assediata i cui dintorni sono poco ospitale, poco accogliente. Può darsi infatti che ingiurie, ingiustizie subite... immaginarie o reali... induriscono il cuore. Ci si racchiude, ci si ritira dagli altri, ci si difende, si alza il ponte levatoio ed eccoci inaccessibile agli altri ed a Dio. Mi ricordo di una coppia in difficoltà... diceva uno di loro... vivo accanto ad una torre ermeticamente chiusa, nessuna porta o finestra aperta per comunicare. Può darsi... che per causa dei nostri peccati il sentiero verso il nostro cuore sia diventato un labirinto complicato, un groviglio. Menzogna, ipocrisia, paura, superficialità e così via possono rendere desertico, tortuoso il cammino che porta al nostro cuore. In modo tale che gli altri ci raggiungono con tanta difficoltà e noi gli altri. Si comunica con fatica. I peccati agiscono come filtri che oscurano, distorcono la realtà facendo che parole, gesti possono essere interpretati diversamente, addirittura capiti per il contrario. Parimenti, si può alzare il ponte levatoio del nostro cuore quando pensiamo non avere più bisogno degli altri. Quando si ritiene che gli altri non fanno che approfittare della nostra generosità e noi siamo stanchi di dare e dare sempre... senza ricevere nemmeno un grazie. In questi casi... Il Signore che viene avrà tanta difficoltà per raggiungerci. E Lui viene e bussa alla porta del nostro cuore... Raddrizzare i sentieri al Signore vuol dire, carissimi, rendere libera la via che conduce al nostro cuore profondo. Sbarazzarla da tutto ciò che ingombra il cammino di Colui che vuole venire da noi. Una buona, bella pulitura, una visita all’autolavaggio dell’anima e del cuore che è il confessionale. Se nella 1ma lettura è Dio stesso che spiana la via ad Israele, qui siamo anche noi da metterci al lavoro. Il seguito della predica di Giovanni Battista dice raddrizzate i sentieri al Signore... cioè fate frutti degni della conversione. Vuol dire prima di tutto, poter individuare, dare nome ai burroni, ai nodi del groviglio intorno al cuore... risentimenti, rancori, perdono non dato, non chiesto... tutto quanto che rendono la via al nostro cuore impercorribile. Individuati, possiamo prenderli in mano e presentarli al Signore affinchè possa perdonarli, guarire i feriti, consolarci, spianando così la via al cuore. Non basta rattristarsi per i propri peccati, dichiararsi colpevole, darsi alle pratiche di espiazione, di autopunizione che non redimono mai! Per uscire, superare il sentimento di colpevolezza, che è una realtà soggettiva, si deve scoprire il vero senso del peccato che è una realtà oggettiva. Non basta riconoscersi inadeguato rispetto all’immagine che si ha di se stesso. Bisogna riconoscersi peccatore nei confronti di un altro, di fronte alla vittima, di fronte a Dio. È questo il presupposto necessario per ricevere il perdono che davvero libera. E così la venuta del Signore nel cuore è alla volta frutto della sua grazia e della nostra cooperazione. Per molti il tempo di Avvento è tempo di spese... dello shopping per il regalo, la cena originale, perfetto. Non dico che non è bene, anzi, se favorisce la gioia dello stare insieme. Ma sappiamo, dobbiamo sapere che una quantità di regali - da dare o ricevere - non dà la vera gioia se non viene dal cuore, se non è un dono di se stesso. Raddrizzare i sentieri a Colui che è il REGALO, DONO di Dio per noi vuol dire spianare la via al nostro cuore profondo per aprirci alla circolazione sempre più libera e agevole dell’amore vero e della gioia vera. In questo tempo di Avvento, cresca sempre più in noi la conoscenza, il discernimento di ciò che è meglio per la venuta di Cristo Gesù come dice san Paolo nella 2da lettura. Questa Eucarestia sia inizio del lavoro stradale intorno alle nostre cittadelle. Possiamo arrivare a Natale con cuore più leggero, libero, accessibile, capace di dare a Colui che viene la chiave per aprirlo.
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sabato 8 dicembre 2018 - Solennità dell’Immacolata Concezione della BV Maria - Gn 3,9..20 – Ef 1,3..12 – Lc 1,26-38 - Badia Fiorentina -f. Antoine-Emmanuel
Innanzitutto non posso non condividere con voi la mia gioia di celebrare questa festa dell’Immacolata Concezione… Per prima cosa perché è l’Immacolata! Poi perché 42 anni fa, ricevemmo un grande dono: la nascita della comunità delle sorelle! Ed anche … per la gioia del tutto particolare della visita della mia mamma. Ho un grande debito di riconoscenza verso i miei genitori, per mille ragioni, ma in particolare per il fatto che, quando avevo 9 mesi circa, mi consacrarono alla Beata Vergine Maria con un rito molto significativo, nel quale si depone – e in qualche modo si consegna - il bambino sull’altare…
Maria Immacolata…
Si racconta che, quando era una bambina di 3 anni, la piccola Maria fece ai genitori una confidenza. Disse loro che voleva essere vergine per il Signore, per appartenere pienamente al Creatore, facendo della propria vita un’offerta d’amore, un dono, un canto, un sorriso all’Eterno Dio.
quello di essere peccatrice. Perché? Perché aveva intuito, nella sua amorosa scienza, che il peccato era via preziosa per conoscere l’Amore divino. E voleva, sì, conoscere il divino Amore. Aveva sete della divina sorgente, e non ebbe mai sete di nessun altro amore come della sorgente dei Tre.
Voleva quindi essere sia vergine, per offrirsi all’Amore sia una peccatrice, per conoscere appieno l’Amore. Anzi, desiderava essere una grande peccatrice. Voleva essere salvata. Per conoscere l’Amore che salva. Ma non voleva in nessun modo offendere Dio con l’orrore della colpa. Come fare?
A venirLe incontro fu il babbo, Gioacchino, con un gesto ispirato, profetico. Regalò alla bambina un uccellino che aveva appena fatto il primo volo e si era posato maldestramente sul lato scivoloso di una fontana. Era troppo fragile per volare di nuovo e rischiava di scivolare nell’acqua e di annegare. Perciò doveva esser salvato, per non perire.
Gioacchino lo prese delicatamente e lo affidò alla piccola Maria, dicendoLe che l’aveva salvato prima che cadesse nel pericolo. La piccola Maria lo raccolse e se ne prese cura. Il babbo Le chiese allora se avesse manifestato amore, salvandolo prima della caduta. E se avrebbe manifestato maggiore amore, se l’avesse salvato dopo la caduta.
Questa fu la catechesi del babbo. Il peccatore conosce l’Amore, perché viene salvato dal pericolo in cui è caduto. Ma vi è un altro modo – luminosissimo - di conoscere l’Amore: essere salvato prima di cadere nel pericolo. Così avvenne per Maria di Nazareth. È il mistero dell’Immacolata Concezione. Maria fu salvata prima di poter cadere nel peccato. * Avviciniamoci un po’ a questo mistero. Nel momento in cui Maria fu concepita dai suoi genitori, fu creata la sua anima, come avvenne per ciascuno di noi. L’anima è creata dal Padre; e ogni anima fuoriesce dall’Amore divino con una bellezza meravigliosa. Ma appena entra nel mondo delle creature, viene come offuscata, inquinata. I germi del peccato originale fanno perdere all’anima la bellezza originaria.
Ora questo non avvenne per Maria. La sua anima fu creata da Dio con un dono di grazia del tutto particolare. Una bellezza straordinaria… Era già salvata. Era già redenta dalla Passione del Figlio, del Figlio che avrebbe un giorno dato alla luce.
Portava l’impronta del Figlio di Dio. E perciò i germi del peccato non poterono penetrare in Lei, Maria rimase nell’assoluta purezza del cuore, il che Le dava una misericordia, una compassione, una tenerezza immense, come divine!
Lo ripeto : questa divina operazione non fu un processo anonimo, meccanico, artificiale… Fu veramente un’”impregnazione” dell’Amore del Figlio di Dio, del Verbo. E qui si giunge ad una realtà meravigliosa che da anni mi porta allo stupore: nell’anima di Maria, ci fu, fin dal suo concepimento, un splendido legame d’amore con il Figlio di Dio, una sintonia, un’immedesimazione, una reciprocità d’amore straordinarie. Questo dono, nascosto nel segreto delle anime, man mano sarebbe venuto fuori, dapprima nel tempo della gravidanza, dando all’amore di Maria per il Figlio che portava in seno un’intensità del tutto particolare.
Poi alla nascita e durante l'infanzia del bimbo, nel veder sbocciare i doni del ragazzo, l’amore materno fu segnato da questo splendido legame delle anime.
Venne ancora di più alla luce nella fedeltà della madre al Figlio durante la vita pubblica, anche grazie agli inviti che Gesù Le rivolse a distaccarsi sempre più dal naturale legame d'amore materno e famigliare, in vista della prova del Calvario.
Il legame tra le due anime si manifestò come non mai, appunto, sul Calvario quando Maria partecipò in modo incomparabile alla Redenzione, Co-Redentrice presso il Redentore, che era anche il Suo Redentore. Ai piedi della Croce questo legame rivelò pienamente la Sua finalità: la maternità universale di Maria, nuova Eva, presso il nuovo Adamo crocifisso. Lui conobbe l’abbandono. Lei conobbe la desolazione. Entrambi conobbero il silenzio di Dio. Come l’assenza di Dio. Per assumere l’Uno insieme all’Altra, Lui come Dio fattosi carne, Lei come creatura, come l’Immacolata la Redenzione del genere umano.
Fu allora, nella Resurrezione, che si manifestò la bellezza eterna dell’Amicizia Pasquale che Li fa un cuor solo ed un'anima sola. E nella Gloria sono UNO, il Re e la Regina, come l’arte li rappresenta, con sublime bellezza, in tanti mosaici, affreschi e pitture. Sono insieme il primo focolare dell’amore reciproco, il primo germe del Regno, il principio dell’Amicizia Pasquale. E noi attingiamo a quest’Amicizia Pasquale per illuminare, rafforzare, santificare e consacrare le nostre amicizie sempre fragili della terra.
Chi potrà descrivere la bellezza, la castità, la gioia dell’amore reciproco che unisce il Nuovo Adamo e la Nuova Eva? Un amore che va contemplato, ricordato, custodito nei nostri cuori, per attingervi speranza ogni qualvolta l’amore ci sembra impossibile.
Quando sei stanco, tentato, bersagliato, disperato, recati presso il Cuore Immacolato di Maria, e vi troverai Gesù.
Ogni volta che un pensiero brutto, malsano, odioso si affaccia alla tua mente, subito, davvero subito, mettilo nel Cuore Immacolato di Maria. In quel cuore si trova il Redentore…
Se vuoi amare, se vuoi obbedire al comandamento dell’amore reciproco, affidati alla maternità divina di Maria. Ella farà crescere Gesù in te. Ella ti porta a Gesù. E Lui ti affida a Lei. Vieni rapito dal loro Amore. E ne sarai trasformato.
Fin dal giorno in cui si prese cura dell’uccellino fragile, Maria sa prendersi cura di tutte le nostre debolezze, e ci conduce nell’Amicizia Pasquale, perché la gustiamo e perché la possiamo offrire a tutti coloro che sulla terra sono senza speranza e senza amicizia. |
martedì 27 novembre 2018 - XXXIV settimana T.O. - Ap 14,14-19– Lc 21,5-11 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
«"Getta la tua falce e mieti; è giunta l'ora di mietere, perché la messe della terra è matura". Allora colui che era seduto sulla nube lanciò la sua falce sulla terra e la terra fu mietuta.» (Ap 14,15-16) L’immagine dell’Apocalisse è chiara: verrà il giorno del Giudizio. La storia non è un’avventura incerta, guidata dal caso. Non è neanche una continua ripetizione, nella logica della cosiddetta reincarnazione. No! C’è uno sviluppo nella storia che è interamente nella mano di Dio. E verrà il giorno del Giudizio.
Si parla del giudizio personale che viene al momento della morte, e del giudizio finale che avverrà nel giorno della venuta in Gloria di Gesù. Giudizio finale, perché prenderà in considerazione tutte le conseguenze della nostra vita sugli altri e sul creato, anche oltre la nostra morte.
Sappiamo che il Giudizio è stato affidato dal Padre a Gesù, perché è il Figlio dell’uomo. Il trono del Giudice è la Sua croce. Gesù ci giudicherà come ha giudicato il Buon Ladrone. (Lc 23,43) Giudicherà la nostra apertura al Suo Amore, alla Sua Misericordia… Giudicherà il modo con cui avremo usato i talenti a noi affidati. (Mt 25,14-30) Avremo accolto i doni della Sua Pasqua d’amore? Giudicherà il nostro modo di prenderci cura dei poveri, dei malati, degli affamati… «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare…» «Ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare…» (Mt 25,31-46)
Sarà l’ora della mietitura. E quanto arde nel cuore di Dio che entriamo nel granaio del Suo eterno amore!
Ma questo giudizio possiamo anticiparlo! Ogni qualvolta noi accogliamo veramente la Parola di Dio, la Parola della Croce, siamo già nell’ora del Giudizio.
Non è vero che la Parola ci giudica? Non è vero che quando siamo veri, leali, la Parola opera già in noi un giudizio? Prendendo coscienza delle nostre resistenze ad amare, piangiamo di vergogna. Prendendo coscienza del nostro rifiuto di dipendere da Dio, piangiamo di tristezza. Oppure, prendendo coscienza del dono di Dio, piangiamo di gioia … La Parola ci colloca nella verità, non la verità fredda di concetti astratti, ma la verità dello sguardo di Gesù. La Parola di Dio ci fa incontrare lo sguardo del Verbo umanato. E, talvolta sarà come lo sguardo di Gesù sul giovane ricco; (Mc 10,21) talvolta come lo sguardo che Pietro incontrò nel cortile del Sommo Sacerdote. (Lc 22,61) Oppure come lo sguardo di Gesù sui poveri ed i malati del Vangelo: uno sguardo di verità. Niente Gli può sfuggire. In niente Lo si può ingannare. Ti guarda fino nell’intimo del tuo cuore che conosce più di quanto non lo conosca tu stesso.
È l’esperienza che possiamo fare meditando sulle Beatitudini questa settimana. Ogni Beatitudine ci pone nella Verità. Perché ogni Beatitudine è una Promessa. Gesù promette ai poveri che Dio dà loro già quaggiù il Regno di Dio. Gesù promette a chi piange che Dio lo consolerà. Ogni Beatitudine rivela l’agire del Padre. Ci dice come si manifesta e si manifesterà la tenerezza del Padre. Sono promesse… Promesse di vita e di felicità. E per questo sono parole che già ci introducono nel Giudizio di Dio. Tu dici di sì a questa felicità? Credi che Dio può e vuole farti felice di una felicità che non passa? Le Beatitudini sono come il dispiegarsi del mistero della Resurrezione. Ci dicono come Dio si fa vicino a chi piange, a chi soffre, a chi è assetato di giustizia, e gli dona una consolazione, una benedizione… un dono regale. E tu, il tuo cuore è aperto alla potenza della Resurrezione?
Le Beatitudini ci rivelano la verità del nostro cuore perché accogliamo più che mai la forza della Resurrezione!
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Domenica 25 novembre 2018 - Solennità di Cristo Re - Dn 7, 13-14 - Ap 1,5-8 – Gv 18,33b-37 - Badia Fiorentina - fr. Antoine-Emmanuel
Gesù «Re» dell'universo. E' difficile per noi pensare un «re». Oggi la parola “re”, in Europa, è spesso un titolo onorifico o qualcosa di folcloristico. Oppure si pensa a forme dispotiche, dittatoriali di potere.
Ma già nel Vangelo si capisce che Gesù non è re nel modo in cui lo intendiamo noi. Nel vangelo di oggi, Pilato parla di “re” (Gv 18,33), ma Gesù parla di “regno”; come se volesse dire a Pilato che non è re come l'intende lui, non è re come Cesare. «Il mio regno non è di questo mondo».(Gv 18,36)
Allora... ci interessa questo regno, se non è di questo mondo? Sì, perché appunto non è un prodotto di questo nostro mondo ferito e perché è – già - in mezzo a noi.
Non siamo noi che facciamo Gesù Re. Gesù scappò quando seppe che venivano per farlo re.(Gv 6,15) Non sono le nostre tradizioni, le nostre leggi, le nostre scelte umane che lo fanno Re... E' Dio che lo fa Re. E Re dell'universo. Non solo re d'Israele, re delle nazioni, ma Re dell'universo … dell'intero cosmos. «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra.» (Mt 28,18)
E com'è avvenuto questo? Quando c'è stata la cerimonia di intronizzazione? C'era la RAI e la CBS e la BBC? No! E' avvenuta sul Calvario. Era scritto in latino, in greco ed in aramaico: REX «Quel che ho scritto, ho scritto.» (Gv 19,22), disse Pilato, rifiutando di togliere la scritta. Com'è scritto sul portone di Palazzo Vecchio: “Rex Regum et Dominus Dominantium” E' il Sovrano... Tutto gli è sottomesso.
E dove ha la sua reggia? Il suo palazzo, la sua corte, il suo esercito, il suo oro? Non ha oro! Non ha il corteo delle guardie, come i re della terra. Non vive di traffico di esseri umani, come tanti potenti della terra. Non si arricchisce con la vendita d'armi, come tanti sovrani di oggi. Non si compiace delle “fake news” e non costruisce muri per tenere fuori i migranti.
No! La Sua corte sono i poveri. I puri di cuore, i vulnerabili, i miti... Lo ha detto esplicitamente: Il re siederà sul suo trono di gloria e dirà: “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me”.»( cfr Mt 25,31.40)
Il Suo palazzo è l'Amore, ma l'Amore vero. Non l'amore che è possesso dell'altro sotto la cintura e basta; l'Amore che è insieme tenerezza e castità, mitezza e verità, giustizia e pace. Sei nel Suo palazzo quando dai la vita per gli altri. La Sua reggia è il morire d'amore per gli altri.
Se la tua vita è un correre con due cellulari in mano per fare i tuoi affari ... ti allontani sempre di più dal Suo Regno. E cadi nel regno dell'individualismo, che è un regno di isolamento, di depressione... un carcere spirituale. Se la tua vita è un correre da un negozio all'altro perché è il “black friday” o il “cyber monday” ti allontani sempre di più dal vero Re... e regnerà su di te il consumismo. E il consumismo è simile alle bestie del Libro di Daniele (Dn 7,1-8): ti divora, ti fa a pezzi … perdi la tua identità... non sei più altro che il gioco dei mercanti della terra (Ap 13, 11-17)
Com'è difficile oggi non perdere di vista il Regno di Dio! Perché regnano l'individualismo e il consumismo, due “bestie” terribili. Ma Dio non lascerà quelle bestie divorare i suoi figli. Se non ci convertiamo, verrà, viene l'ira di Dio, cioè il ritirarsi di Dio. Come una tenebra che avvolgerà il nostro mondo, perché ritroviamo il Regno che non è di quaggiù.
Dio non ci lascerà seppellire i nostri nascituri, i nostri bambini e i nostri anziani nel sepolcro dei nostri egoismi. Agirà. Si manifesterà. Bisogna vegliare, cogliere i segni dei tempi. E soprattutto bisogna accogliere il Regno, ed esserne noi i servi, i testimoni.
Il Regno, ci fa capire Gesù oggi, è testimonianza della verità, è “martirio” per far risplendere la verità: la Verità dell'amore disarmato di Dio, la Verità dell'uomo che non è fatto solo per amare, ma per morire d'amore. La Verità che risplende nell'Eucarestia. Il Pane eucaristico che ora riceviamo è Dio che si fa nostro cibo per regnare in noi e tra noi.
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Domenica 18 novembre 2018 - XXXIII Settimana T.O. - Dn 12, 1-3 - Eb 10,11..18 – Mc 13,24-32 - Badia Fiorentina - fr. Jean-Christophe
Siamo vicini alla fine dell’anno liturgico. La liturgia di questa domenica ci fa volgere lo sguardo alla fine dei tempi. Ci interroga sulla speranza che è nei nostri cuori. I discepoli di Cristo sono uomini e donne pieni di speranza. Sanno che questo mondo passerà. Mettono radici non nella terra, bensì nel cielo Molte sofferenze, molte miserie deturpano il nostro mondo. Forze del male agiscono e fanno cadere l’uomo nel peccato. Ma noi crediamo che la vittoria è già avvenuta. Cristo ha vinto le tenebre del mondo. Ed è venuto a portare un fuoco sulla terra, il fuoco dello Spirito che ricrea ogni cosa nella gioia. Non ci saranno più né pianti né lacrime, annuncia il veggente dell’Apocalisse. (cfr. Ap 21,4) Un mondo nuovo appare, una creazione nuova ci è promessa. E oggi Gesù aggiunge: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.» (Mc 13,31) Meditando la parola di Gesù, facciamo morire il mondo vecchio e nascere il mondo nuovo. La parola di Gesù è passaggio, ci prende per mano per portarci a Gesù. Ella innalza la nostra anima verso le realtà di lassù, là dove è Cristo, assiso alla destra di Dio, come ci dice oggi la lettera agli Ebrei.(cfr. Eb 10,12) «Lo Spirito e la Sposa dicono: Vieni! Venga la tua grazia, Passi questo mondo e tu sarai tutto in tutti» canteremo fra poco. Un futuro di pace e di luce esiste. Ci è stato promesso. «Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno» (Dn 12,2) «Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria.», precisa Gesù. «Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra fino all'estremità del cielo». (Mc 13,26-27) Il traguardo della nostra vita in questo mondo è la contemplazione di Cristo nella sua gloria. È il nostro incontro con Lui. Tutta l’umanità converge verso Cristo. In Lui, tutto è compiuto. La fine della nostra esistenza terrena può anche sopraggiungere: la nostra fede in Gesù Cristo ci fa già passare dalla morte alla vita.
Ma, come vivere oggi alla luce di questa rivelazione? Gesù usa un’immagine: quella del fico che germoglia. Il mondo nel quale viviamo è come il ramo dell'albero, che è avvolto da una corteccia dura. La corteccia protegge, ma rinchiude anche la vita che passa attraverso la linfa. Ad un tratto la corteccia si spacca e viene fuori un germoglio. L’immagine del germoglio ci dice che la vita di Gesù è più forte di ciò che sembra potente e saldo. La potenza di Dio passa attraverso ciò che è fragile e vulnerabile. Questo germoglio dice tutta la tenerezza di Dio e la Sua forza contro la morte. Il nuovo può sempre manifestarsi anche dove non ce l’aspettiamo. L’immagine del germoglio indica pure un movimento. Perché il germoglio è tutto teso verso la produzione del frutto. Si sviluppa fino a lacerarsi, per dare il frutto. Anche Gesù, il germoglio, il virgulto annunciato dai profeti, ha fatto esperienza della lacerazione, per l'amore espresso in pienezza sulla croce. Il germoglio dimentica sé stesso per portare vita più abbondante. L'immagine ci dice il movimento della vita di Gesù e quello della nostra vita. La parola di Dio, che non passerà e che plasma il nostro cuore, lacera l’involucro del nostro cuore. Essa ci fa entrare nel mondo di Dio. La parola di Dio ha creato il mondo il primo giorno, lo ricrea nell’ultimo giorno. E se custodiamo la Sua Parola nel nostro cuore, essa illumina il nostro cammino quaggiù e ci fa passare attraverso la morte.
Fratelli e sorelle, il mondo deve passare. Ma dipende da noi che vada verso Dio. Il Cristo risorto ha fatto germogliare, come il fico a primavera, la speranza di un mondo nuovo. Teniamo accesa in noi la fiamma della speranza. Gesù bussa alla nostra porta. Lo lasceremo entrare?
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sabato 17 novembre 2018 - XXXII settimana T.O. - Gv 5-8– Lc 18,1-8 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Questa parabola è molto “forte”. Non è una parabola del tipo: «Il Regno di Dio è simile a…». È una parabola a rovescio. Come se Gesù dicesse: «Renditi conto che Dio non è così…» È una parabola per darci una scossa… forte.
Gesù parla di un giudice iniquo, diremmo oggi, corrotto, massone, mafioso. Un amico dei ricchi. Amico… no! Questa non è amicizia, è interesse. Gli interessano i ricchi, per arricchirsi, per ottenere sempre più potere. E chissà quante tangenti avrà intascate…
Ebbene, nella sua città, c'è una vedova che grida per ottenere da lui giustizia. Si può pensare che qualcuno avesse un debito nei confronti del marito defunto, che rifiuta di pagare alla vedova. E lei deve dar da mangiare ai figli. Quindi grida, giorno e notte. Una vera persecuzione – meritata – per il giudice. Ma lui è sordo. Non sente il grido dei poveri. Geremia parla dell’orecchio incirconciso: un orecchio che non sente né la voce di Dio né la voce dei poveri.(Ger 6,10)
Ma lei continua, insiste, grida, notte e giorno… a tal punto che lui finalmente le rende giustizia. Non per senso del dovere, non per senso della giustizia, ancor meno per amore, ma perché non venga più ad importunarlo. Lo fa per amore della propria tranquillità. * Qui comincia la parabola a rovescio: pensate che Dio sia come questo giudice? No! Quando ci rivolgiamo a Dio, Dio non è sordo. Non aspetta a lungo per ascoltarci. Non risponde perché tu Lo importuni. Non risponde per essere tranquillo nel suo cielo. No! Dio ascolta il gemito del povero. Dio ascolta il grido di chi soffre. Ascolta più profondamente di quanto possiamo immaginare. Ascolta non solo le parole, ma il cuore. Ascolta il vero desiderio del cuore. Ascolta ciò che veramente muove il nostro cuore. Ascolta la verità della nostra fede o non-fede… E, se sente nel nostro cuore il battito autentico della fede, questo Gli fa sussultare di gioia il cuore. Ne è meravigliato, come Gesù di fronte alla fede del centurione. (cfr Lc 7,6-9)
Dio ascolta ed interviene. Fa giustizia. Ma interviene e fa giustizia in un modo divino, ed in un tempo divino. Il che risulta molto spesso difficile da capire. Ma nell’ultimo giorno capiremo. E vedremo soprattutto che la grande risposta Dio l’ha data nella Croce di Gesù. Dio non ha detto belle parole. Non ha preso le armi. È entrato nella sofferenza, nel caos del male, e ne ha preso su di sé il morbo, la malignità. La risposta di Dio è nella Croce, nella Risurrezione, nella Chiesa, in Maria. E in te, in me. Siamo la risposta di Dio al gemito del povero o dei poveri che il Signore ci ha affidati. * Dio non ha niente a che vedere con il giudice corrotto. Non è il giudice che si deve guardare nella parabola, bensì la vedova. È straordinaria questa donna, perché non si scoraggia. Non ha paura di farsi ammazzare dalla mafia, amica del giudice. Non pensa: «Niente cambierà. Ci saranno sempre ingiustizie…» Non perde la speranza… e grida giorno e notte. Non lascia i figli diventare mendicanti o ladri o morire di fame. Non si abitua all'ingiustizia.
E, a questo punto, bisogna ascoltare la domanda di Gesù. Uno scossone questa domanda! «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8) Che ne dite? Che ne pensate?
Cosa troverà Gesù? Troverà la fede? Oppure troverà un’umanità tecnicamente iper-connessa, ma in cui ciascuno vive per sé stesso? Troverà un’umanità in cui la miseria di tanti è divenuta una cosa normale: … basta sfiorare lo schermo per non pensarci più? Troverà un’umanità in cui si uccidono tutti i bambini salvo quelli che abbiamo “ordinati”, secondo i nostri egoismi? Troverà un’umanità in cui si uccidono gli anziani che ci danno fastidio? Troverà una società massone, un regno del potere, un’apostasia subdola e generalizzata?
Cosa troverà? Troverà nei cuori la fede della povera vedova che non rinunziò mai ad ottenere giustizia, per poter poi esercitare la carità? Troverà la fede sulla terra?
La risposta spetta a te, a me, a noi. Qui sta la nostra responsabilità. Qui sta l’urgenza di affidarci a Maria per non perdere mai la fede, la fede vera.
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giovedì 15 novembre 2018 - XXXII settimana T.O. - Filemone 7-20– Lc 17,20-25 - Badia Fiorentina f. Antoine-Emmanuel
Alla domanda: «Quando verrà il regno di Dio?» (Lc 17,20), Gesù non risponde con una data. Non dice quando verrà il Regno di Dio, ma dice dov'è, già ora, il Regno di Dio. Non è in realtà appariscenti, che fanno rumore, che sono sulla prima pagina dei giornali. E non è neanche da cercare in un posto particolare. No! «Ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi!» (Lc 17,21)
Come interpretare questa frase? Ci sono due modi di intendere l'affermazione di Gesù: il primo è che «il regno di Dio è in mezzo a voi», nel modo in cui vi rapportate gli uni agli altri. Il Regno sta in una qualità di rapporti, di relazioni, di amore che è ormai divenuta possibile. Non è solo una buona intesa, una solidarietà, un mutuo rispetto. È una nuova qualità di amore che ci viene data dal Signore, e per la quale Gesù ha pregato: «Che siano una cosa sola…» (Gv 17,21) Per essa Gesù ha pregato e si è offerto sull’altare della Croce. Per essa si dona nella Santa Eucarestia. Questa nuova qualità di amore non fa rumore, e non è da ricercare in un luogo speciale! È in mezzo a noi… E va accolta.
consiste nel dire che «il regno di Dio è in mezzo a voi» perché Gesù è in mezzo a noi! Il Regno di Dio non è fatto di effetti speciali, di cose strane, … È Gesù presente in mezzo a noi. La sua presenza cambia la storia, cambia il mondo. Quando viene accolto, c'è la vittoria sui nostri egoismi, la vittoria sulle nostre paure, la vittoria sulla morte.
A questo punto ci possiamo chiedere: «Qual è l'interpretazione giusta? L’una o l’altra?»
In realtà l’una e l’altra. Il Regno di Dio è la nuova qualità della relazione che nasce dalla presenza di Gesù. È la presenza nuova di Gesù che si rende visibile nell’amore reciproco.
Possiamo comprenderlo meglio con un paragone: se ora ci possiamo vedere, è perché c’è luce; senza la luce, al buio saremmo incapaci di riconoscerci come facciamo ora.
La presenza di Gesù è come la luce. Ci permette di incontrarci ad un livello molto più profondo di quanto “umanamente” siamo soliti fare. La presenza di Gesù è la luce che permette alle anime di entrare in una profonda relazione di mutua accoglienza, di amore reciproco di «inabitazione» reciproca.
Senza la luce di Gesù, l’ombra del peccato ci impedisce di riconoscerci come fratelli. Senza la luce di Gesù, tutte le tenebre del rancore, le lentezze nel perdonare impediscono che ci sia un incontro in profondità.
Quando accogliamo Gesù in mezzo a noi, la luce è accesa. I volti si vedono senza maschera. I cuori si incontrano senza paura. Le anime dialogano senza difesa. Ecco il grande dono della presenza di Gesù!
Quando due o tre sono radunati nel nome di Gesù, cioè in questa presenza di Gesù Risorto, allora Gesù è presente in mezzo a loro.(cfr Mt 18,20) Gesù è presente nella qualità del rapporto che si tesse. Gesù si rende visibile, nel mondo, nella qualità dell’amore che si vive.
«Se siamo uniti, Gesù è fra noi. E questo vale. Vale più d’ogni altro tesoro che può possedere il nostro cuore: più della madre, del padre, dei fratelli, dei figli. Vale più della casa, del lavoro, della proprietà; più delle opere d’arte d’una grande città come Roma, più degli affari nostri, più della natura che ci circonda con i fiori e i prati, il mare e le stelle; più della nostra anima!
È lui che, ispirando i suoi santi con le sue eterne verità, fece epoca in ogni epoca. Anche questa è l’era sua: non d’un santo, ma di lui; di lui fra noi, di lui vivente in noi, edificanti – in unità d’amore – il Corpo Mistico suo e la comunità cristiana. Ma occorre dilatare il Cristo; accrescerlo in altre membra; farsi come lui portatori di Fuoco, che è la carità in atto. Far uno di tutti e in tutti l’Uno! Ed allora viviamo la vita che egli ci dà attimo per attimo.»1
E' questa realtà che Pierre-Marie intravedeva quando scrisse: «Accogli l’invito all’amore fraterno come l’aprirsi a un grande mistero, perché con esso entrerai nell’essere stesso di Dio. Dove c’è l’amore, c’è Dio. In questo modo, con i tuoi fratelli, dai corpo a Dio, esprimi la sua presenza, sei segno del suo agire. La tua comunità tutta intera diventi in questo modo teofania del suo Amore.»2
1 http://www.centrochiaralubich.org/it/documenti/scritti/4-scritto-it/217-se-siamo-uniti-gesu-e-fra-noi.html 2 Libro di vita di Gerusalemme, n.6
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sabato 10 novembre 2018 - XXXI settimana T.O. - Fil 4,10-19– Lc 16,9-15 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Le letture che la Chiesa ci propone oggi ci danno una serie di insegnamenti su una realtà che passa quotidianamente nelle nostre mani, e che non può non occupare un posto nella nostra coscienza, nelle nostre scelte: il denaro.
Per parlare del denaro, Gesù usa il termine Mamôn, che, probabilmente, significava una specie di deposito, come per dire che il denaro può essere solo una realtà che ci viene affidata, non è mai un possesso assoluto, al quale avremmo un diritto “ontologico”. Dinanzi a Dio, ogni bene terreno che consideriamo legittimamente come nostro, è in realtà qualcosa che ci è stato affidato. E dovremo rendere conto sul modo in cui abbiamo usato ciò che ci è stato affidato.
Gesù, per due volte, associa il termine Mamôn con la parola adikia che significa ingiustizia e va intesa come inganno. Il denaro è ingannatore in quanto si crede spesso che sia una realtà affidabile, ma non può mai esser la sicurezza di fondo della nostra vita. È pericolosissimo. Ricordiamo il riccone che pensava che i suoi beni gli avrebbero assicurato il benessere per sempre, e aveva totalmente dimenticato il traguardo della morte. Il denaro ci inganna!
L’evangelista Luca ci racconta poi tre insegnamenti di Gesù che ci danno tre messaggi sul denaro.
Il primo è sull’uso migliore del denaro: il migliore fondo di investimento è condividerlo con i poveri. «Chi nutre Cristo nel povero, colloca il proprio denaro in cielo», dice San Leone Magno. «Gli amici che ci otterranno la salvezza sono i poveri» scrive Gaudenzio da Brescia.
Chi ci accoglierà nelle dimore eterne? (cfr. Lc 16,9) Coloro con i quali avremo condiviso quel che oggi abbiamo. Il denaro è un mezzo prezioso per ottenere un tesoro eterno. Perciò Paolo, rivolgendosi ai Filippesi, e chiedendo il loro sopporto economico, scrive loro: «Non è però il vostro dono che io cerco, ma il frutto che va in abbondanza sul vostro conto.» (Fil 4,17)
Facciamoci degli amici con quello che abbiamo, con quello che siamo, e già sperimenteremo cosa significa essere accolti nelle dimore eterne. Un povero che diviene mio amico, per il quale mi disfo di quello che mi è caro, è qualcuno che mi fa già pregustare le dimore eterne.
Il denaro, ci insegna poi Gesù, ha pure una funzione di test: se gestiamo il denaro in modo evangelico, il Signore potrà affidarci dei beni molto più significativi. Il denaro rimane sempre una realtà che non è nostra, e usarlo bene ci prepara a ricevere un dono che è veramente nostro, ossia la salvezza. Paolo lo dice a suo modo ai Filippesi: «Il mio Dio, a sua volta, colmerà ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù.» (Fil 4,19) La banconota che hai nella tasca è un test. Se riconosci che va condiviso, allora accogli già quaggiù un barlume della gioia della salvezza. «Le cose di questo mondo non vi trattengano», dice San Leone Magno, «perché vi attendono i beni del cielo».
Infine, il denaro è uno strumento per imparare a scegliere, nel profondo di noi stessi. Gesù ci dice che «Nessun servitore può servire due padroni».(Lc 16,13) Il Vangelo usa il termine oiketè che significa il domestico, colui che lavora dentro una casa, a servizio di un padrone. Il padrone gli dice cosa deve fare, e gli dà uno stipendio. Noi tutti siamo domestici. Serviamo un padrone, che lo vogliamo o no. Ora, ci sono due possibilità: o serviamo Dio o serviamo il denaro. Il rapporto col denaro ci rivela quindi il nostro rapporto vero con Dio. Paolo può quindi scrivere ai Filippesi che i loro doni, ricevuti da Epafrodìto, sono «un piacevole profumo, un sacrificio gradito, che piace a Dio». (Fil 4,18)
Ecco i tre insegnamenti che Gesù ci dà… «I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui.» (Lc 16,14) E tu, e io?
Comprendiamo da questo brano evangelico anche che Gesù non disprezza il denaro, non lo demonizza, non lo maledice. Ce lo presenta come una realtà che non è male in sé, ma che richiede continuamente un discernimento.
Il Signore ci dia la Sua sapienza perché sappiamo usare il denaro, il poco o il molto che abbiamo, come quel deposito che serve a condividere con i poveri, che è un test per prepararci ad accogliere il vero bene che è l’Amore di Dio, e che non va servito come un padrone, perché di Dio solo vogliamo esser servi. Con l’aiuto dello Spirito Santo, non ci lasceremo ingannare dal denaro!
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venerdì 9 novembre 2018 - Dedicazione della Basilica Lateranense - Ez 47,1-2.8-9.12– Gv 2,13-22 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Perché Gesù purifica il tempio? Perché era il luogo sacro per eccellenza per Israele, il luogo del culto, dell’adorazione, dove si esprimeva l’amore per Dio, attraverso la preghiera ed i sacrifici. Gesù ha pregato nel tempio, come vi hanno pregato Simeone, Anna, Zaccaria, Giuseppe, Maria,… Gesù spesso vi ha anche insegnato. Finché la Prima Alleanza non giunse al suo compimento nella Pasqua di Gesù, era il luogo dell'adorazione di Dio.
Da che cosa Gesù purifica il tempio? Da tutto ciò che ne fa un mercato, da tutto il chiasso che ne tradisce la vocazione. Era luogo di preghiera, non di commercio. Luogo di adorazione e non un covo di ladri. (cfr. Mc 11, 17)
E la Chiesa oggi? Perché il Signore purifica la Chiesa in questo nostro tempo, in modo così palese?
Che la Chiesa abbia bisogna di purificazione non è cosa nuova: la Chiesa, nei suoi membri, è chiamata ad una continua conversione.
Ci sono stati poi dei periodi della Storia in cui questa purificazione è stata particolarmente necessaria. Basti pensare alla Riforma gregoriana, con Papa Gregorio VII, nell’XI secolo, a Francesco d’Assisi, a Caterina da Siena,… O alla predicazione del Savonarola, qui a Firenze, nel Quattrocento.
Oggi, la purificazione ha un aspetto di purificazione attiva, in particolare attraverso il ministero di Papa Francesco; ma anche di purificazione passiva, attraverso il venire alla luce di molti scandali legati al clero o ai religiosi. Certamente c’è chi va in cerca di queste rivelazioni, c’è ostilità o odio nei confronti della Chiesa. Ma c’è pure una purificazione voluta dal Signore.
Perché? Perché la Chiesa sia quello che è: santa! La santità è la sua natura, la sua bellezza, la sua vocazione. «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato sé stesso per lei, per renderla santa», scrive Paolo agli Efesini. Gesù l’ha «purificata con il lavacro dell'acqua mediante la parola, per presentarla a sé stesso tutta gloriosa». Ecco la vocazione della Chiesa: essere «senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata.» (cfr. Ef 5,25-27)
Ma la bellezza della Chiesa non è una bellezza esteriore, non è una bellezza da chirurgia estetica, da crema di bellezza o da giornale di moda. La bellezza della Chiesa è quella che vede, che contempla Ezechiele. In pieno esilio, in un tempo di purificazione per il Popolo di Israele, vede il Tempio di Gerusalemme, divenire la sorgente di un fiume meraviglioso, un fiume che risana le acque del Mar Morto. E «dovunque arriva il torrente, il pesce vi sarà abbondantissimo,... Lungo il torrente, su una riva e sull'altra, crescerà ogni sorta di alberi da frutto, le cui foglie non appassiranno: i loro frutti non cesseranno e ogni mese matureranno, E questi frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina». (cfr Ez 47, 6-12) Ecco la bellezza della Chiesa: inondare il mondo con un fiume di vita. Offrire nutrimento, guarigione, medicina. La Chiesa ha un cuore che è il cuore di Cristo, e un corpo che dà vita al mondo. La Chiesa è, nel mondo, lo sgorgare dal cuore di Cristo di una vita sovrabbondante che risana il “mar morto” delle anime, ed il “mar morto” delle relazioni. La bellezza della Chiesa sta nel dare vita, nell’elargire al mondo la misericordia e la tenerezza di Dio.
La purificazione attuale della Chiesa è in vista di un più grande dono di vita al mondo. Si può pensare all’episodio famoso di Gedeone, nel Libro dei Giudici, in cui il Signore riduce ad un numero straordinariamente piccolo i combattenti di Israele.(Gdc 7,1-8) Perché? Perché arriva l’ora di una battaglia che si vincerà solo se ci si fida di Dio, se si conta non sulle forze umane, ma su Dio. Il Signore non abbandona la partita, non abbandona il mondo. E ci prepara alla lotta. La lotta ha bisogno non di una Chiesa numerosa, prepotente e appariscente, ma di una Chiesa “vagliata”, di cristiani che scelgono Gesù e la Sua Croce col cuore.
La meta è la salvezza delle anime. La meta non è un successo mediatico della Chiesa. Questo non avverrà né oggi, né domani. La meta è una Chiesa pienamente identificata a Gesù nel Suo mistero Pasquale, una Chiesa che ha la bellezza anti-mediatica del Crocifisso, una Chiesa in cui risplende l’Amore, fino al Sangue, per le anime. Una Chiesa unita al Redentore in modo non esteriore, ma intimissimo, con un medesimo battito del cuore. Una Chiesa che comprende sé stessa guardando a Maria, alla Co-Redentrice, che co-redime unita a Gesù, unico Redentore e Suo Redentore. Una Chiesa associata intimamente all’Amore folle di Gesù, e che, quindi, si mette alla scuola d’Amore della Madre di Dio, per non mancare quest’appuntamento; per non sottrarsi alla sua missione, che non è altro che un eccesso d’Amore.
Signore Gesù, per quello che fai per purificare le anime, per purificare le relazioni, per purificare la Chiesa, Ti benediciamo.
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giovedì 1° novembre 2018 - Solennità di Tutti i Santi - Ap 7,2..14 – 1 Gv 3,1-3 – Mt 5,1-12a - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Apostoli della speranza cristiana
Che gioia contemplare la folla dei volti Santi! Tanti riflessi di Dio, la bellezza dell’amore divino che si riflette nella diversità dei volti ! Ci saremo anche noi? Anche tu?
A dire il vero, io non desidero esserci! Desidero che ci siamo tutti insieme… No! Desidero che tutti gli uomini ci siano.
L’abbiamo pregato nel Rosario quotidiano del mese di ottobre: «Gesù, perdona le nostre colpe, preservaci dal fuoco dell’inferno, e porta in cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della tua misericordia.» Porta in cielo tutte le anime…
L’Apocalisse suscita in noi oggi il desiderio di un popolo di Santi, di un popolo santo: «Vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. .. «Chi sono e da dove vengono?» ... «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell'Agnello.» (Ap 7,9..14)
Avere nel cuore questo traguardo di luce si chiama «speranza». La speranza è attendere da Dio la gioia di essere in Dio per l’eternità, di essere insieme in Dio per l’eternità, di essere immersi eternamente nell’Amore.
La speranza cristiana non è «sperare» la buona riuscita di un affare economico, o il buon esito di un processo in tribunale. «Spero di farcela» non è la virtù teologale della speranza. La speranza è attendere da Dio di poter vivere in Dio, niente di meno. Ed è un lavoro interiore, una conversione del cuore, perché richiede che apriamo il cuore ad una realtà molto, molto più grande di noi: desidero il cielo, e lo desidero come dono gratuito di Dio. È una duplice conversione: una conversione rispetto alla sorgente della mia vita, ed una conversione rispetto alla prospettiva della mia vita. Cambia il motore, e cambia la meta!
La concupiscenza si spegne, le passioni si placano in noi! Perché? Perché se il nostro cuore ha come orizzonte, come anelito, la felicità eterna dell’Amore, le realtà di quaggiù perdono il loro potere su di noi. Le guardiamo con gioia, con gratitudine al Creatore, con stupore talvolta, ma esse non possono più rendere schiavo il nostro cuore. È quello che abbiamo sentito nella Lettera di Giovanni. L’apostolo vergine e così vicino al cuore di Gesù scrive: «Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica sé stesso, come egli è puro.» (1Gv 3,2-3) La speranza purifica il nostro cuore! La speranza sgombra il nostro cuore dal groviglio delle passioni, perché vi introduce una nuova Passione: il desiderio della gioia eterna per tutti gli uomini.
Di fronte alle infedeltà di Israele, il profeta Geremia lancia questo appello: «Lava il tuo cuore dalla malvagità, Gerusalemme, perché possa uscirne salva. Fino a quando abiteranno in te i tuoi pensieri d'iniquità?» (Ger 4,14) Ma chi ci può «lavare» il cuore? Gesù! Il Suo sangue! Dal momento in cui Gesù è morto d’amore sulla Croce, la gioia eterna per tutti non è più un'utopia, è una realtà offerta gratuitamente a tutti fin d'ora… E questa speranza ci «lava» il cuore ora!
Un cuore puro non è un cuore spento, un cuore insensibile, un cuore freddo come il ghiaccio! Avevano il cuore freddo tutti questi Santi? No! Avevano il cuore ardente d’amore! Perché la speranza aveva liberato il loro cuore.
E cosa avviene quando il cuore è purificato? Ce l’ha detto Gesù, nel Suo primo grande Discorso, sul Monte delle Beatitudini: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.» (Mt 5,8) Beati i puri di cuore, perché, avendo il cuore libero dalla concupiscenza, vedranno Dio. Beati i puri di cuore… perché vedono quanto Dio ci è vicino. Vedono la tenerezza di Dio. Chi è puro di cuore vede che Dio si fa vicino con passione! E ne è «beato», felice, come ci dice Gesù!
a Fioretta Mazzei a cui era legato da una splendida amicizia pasquale: «Ed ecco, ancora, quali pensieri mi venivano: - pensavo allo splendore ed alla bellezza di Maria dopo la resurrezione di Gesù. La luce del corpo risorto di Cristo aveva certamente una ripercussione marcata su quello immacolato di Maria: tutta la persona della Vergine, dalla prima apparizione di Gesù, dovette essere «immersa» nella luce della resurrezione, irradiare una soavissima luce di Cielo. Che bello, non è vero, questa realtà divina che rende così concreta la parola di Gesù: - beati i puri di cuore perché vedranno Iddio. Lo vedranno: dove? quaggiù, nello specchio delle creature; e, soprattutto, nella intima «visione» di Maria e di Gesù! Cara Fioretta, è questo e sarà sempre questo – il Signore lo vorrà! – il nostro programma: vivere guardando il Signore risorto e Maria Immacolata avvolta nella luce e nel gaudio della resurrezione.»
Ecco un cuore puro… A poco a poco liberato dalle passioni, vede Dio negli altri, come contempla Dio nell’umanità gloriosa di Gesù e nel volto luminoso della Vergine.
Al contrario, quando il cuore è privo di speranza, l'uomo non comprende più nulla della vita e dell’amore. L’orizzonte è basso, bassissimo. E si ripone una pseudo-speranza in ciò che non può colmare l’anima. In modo particolare si cerca l’estasi divina nel sesso. L’altro diviene strumento del proprio piacere, e questo è l’anti-comunione, l’anti-paradiso, è l’inferno. La pornografia è addirittura diabolica.
È la speranza che mette ordine nella vita affettiva, sentimentale, sessuale, perché non si prende per meta ciò che è passeggero.
Si può credere che, con le urgenze morali e sociali di oggi, pensare al cielo sia una perdita di tempo. Nient’affatto! Chiedete a Giorgio La Pira cosa gli desse la forza di impegnarsi per la società, per la città, per la giustizia, per i poveri. La speranza! Guardava al «porto finale della navigazione storica degli uomini, che mostra, sulla riva dell’eternità, le strutture quadrate e le mura preziose di una città beata: la città di Dio!»1 Secondo Soren Kierkegaard la speranza è la locomotiva del treno: se essa si ferma, tutto il treno si ferma, la nostra capacità di amare si arresta. Se la fede è il fondamento della speranza, la speranza è il dinamismo interiore dell’amore.
Un grande dramma del nostro tempo è la perdita del pudore, della castità, del senso profondo della sessualità. E questo fa tante, tante vittime, anche tra i bambini, immersi in una cultura pornografica che “ruba” loro lo stupore, la tenerezza, la pazienza dell’amore, il mistero della persona, la santità del corpo, l’unità tra corpo ed anima… La nostra società è “ladra”. E tanti si arricchiscono con questo mercato diabolico. Ma, di tutto ciò, la causa principale è la mancanza della speranza.
Si capisce quindi l’urgenza che diventiamo apostoli della speranza cristiana. E se questo è un compito di tutti i cristiani, lo è in modo particolare di chiunque si senta chiamato ad abbracciare una spiritualità monastica.
non è «disincarnata, né disimpegnata, ma sinceramente rivolta verso il cielo dove dimora Dio. » Ma… «ogni vita cristiana è mossa da questo slancio ascensionale: siamo tutti in qualche modo già lassù e sarebbe illusione credere che il nostro avvenire sia quaggiù. Con Gesù, il Padre ci ha risuscitati e fatti sedere nei cieli in Cristo. La tua vocazione monastica ti invita dunque a cercare incessantemente le cose di lassù, dove si trova Cristo, a pensare alle cose del cielo, non a quelle della terra – tu infatti sei già morto e la tua vita è ormai nascosta con Cristo in Dio. Anche là si trovano le vere gioie. Non potrai comprendere, tutto d’un tratto, come le cose celesti e invisibili siano le più reali e le più attuali; le cose visibili, infatti, sono d’un momento, quelle invisibili sono eterne. Ciò è l’opposto della gloria che cerca il mondo.» Entrando nella vita monastica, o aderendo ad una spiritualità monastica, «ti sei accostato alla montagna di Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste, a miriadi di angeli, all’assemblea festosa dei primogeniti.» (Libro di vita di Gerusalemme, n.62)
1 PER LA SALVEZZA DELLE CITTÀ DI TUTTO IL MONDO, discorso tenuto da Giorgio La Pira al Convengo dei Sindaci di tutto il mondo in Firenze il 2 ottobre del 1955
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martedì 30 ottobre 2018 - Ef 5,21-33– Lc 13,18-21 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
«A che cosa è simile il regno di Dio?» Quando Dio regna cosa avviene? «E a che cosa lo si può paragonare?» (Lc 13, 18) Il Regno di Dio è simile ad un temporale, che distrugge tutto dovunque si abbatta? No! Il Regno di Dio è simile ad un fuoco, che annienta con grande potenza tutto ciò che non è di Dio? No! Il Regno di Dio è simile ad un fiume in piena, che travolge i cadaveri dei nemici di Dio? No! Il Regno di Dio si manifesterà con la vittoria politico-religiosa di Israele su tutti i popoli? No!
Il Regno di Dio «è simile a un piccolissimo granello di senape, che un uomo prese e gettò silenziosamente nel suo giardino; silenziosamente crebbe, silenziosamente divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami.» (Lc 13, 19) Uccelli a migliaia che danno vita ai nidi del Regno e cantano di gioia! Immenso popolo radunato nell’unità e nella gioia!
«A che cosa posso ancora paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e mescolò silenziosamente in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata.» (Lc 13,20-21) L’umilissimo lievito trasforma la pasta; essa può diventare pane, può diventare cibo per tutti. L’amore l’ha trasformata dal profondo, dal di dentro, dal cuore.
Ecco il Regno di Dio: un piccolo seme divino, un po’ di lievito dall’Alto. E l’umanità è trasformata nell’amore e nella gioia.
Da che cosa si vede che il Regno è stato accolto? Ci risponde oggi Paolo con una frase estremamente chiara e precisa: «Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri.» (Ef 5,21) «ὑποτασσόμενοι ἀλλήλοις ἐν φόβῳ Χριστοῦ.» Si vede dalla reciprocità dell’amore, una reciprocità vissuta «nel timore di Cristo», cioè radicata in Cristo. Da Gesù Risorto si riceve la possibilità dell’amore reciproco, dell’essere sottomessi gli uni agli altri. E Paolo, nei capitoli 5 e 6 della Lettera agli Efesini, parla della reciprocità dell’amore tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra schiavi e padroni. Ecco il Regno di Dio!
Allora, vorrei farvi ascoltare la musica del Regno di Dio:
«Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri» (Ef 5,21) «Mediante l’amore siate a servizio gli uni degli altri» (Gal 5, 13) «Portate i pesi gli uni degli altri: così adempite la legge di Cristo» (Gal 6,2) «Accoglietevi gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi» (Rm 15,7) «Sopportatevi a vicenda nell’amore» (Ef 4,1-3) «Perdonatevi a vicenda come Dio ha perdonato voi in Cristo» (Ef 4,32) «Pregate gli uni per gli altri per essere guariti» (Gc 5,16) «Fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti» (2 Cor 13,11-12) «Confortatevi dunque a vicenda» (1 Tess 4,18) «Siate di aiuto gli uni agli altri, come già fate» (1 Tess 5,11) «Esortatevi a vicenda ogni giorno» (Eb 3,13) «Prestiamo attenzione gli uni agli altri» (Eb 10,24) «Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno; gareggiate nello stimarvi a vicenda» (Rm 12,10) «Amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri» (1 Pt 1,22-23) «Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri» (Rm 12,16)
Ecco quello che avviene quando si accoglie insieme il seme, il lievito che è Gesù: Gesù Eucarestia!
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sabato 27 ottobre 2018 - XXIX settimana T.O. - Ef 4,7-16– Lc 13,1-9 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Il fatto che alcuni riferiscono oggi a Gesù è orrendo. Orrendo per la violenza: l'uccisione dei seguaci del falso messia Giuda
orrendo, in modo particolare per la coscienza ebraica, in quanto «Pilato aveva fatto scorrere il loro sangue insieme a quello dei loro sacrifici.»(cfr. Lc 13,1) C'era stata quindi mescolanza del sangue degli animali offerti in sacrificio col sangue dei seguaci di Giuda il Galileo. Era stata una specie di bestemmia nel sangue, di sacrificio umano del tutto estraneo alla fede di Israele.
Sarebbe stato facile trarne, come verdetto, che i Romani erano colpevoli, peccatori e quindi responsabili di tutti i mali del tempo …
Ma non erano i soli colpevoli. Perché nella mentalità religiosa dell’epoca, e, purtroppo, spesso nella nostra, si pensava che, se Dio aveva permesso o voluto che quei Galilei fossero messi a morte, ciò significava che essi erano più peccatori degli altri. Ogni disgrazia infatti veniva interpretata come un castigo di Dio.
Cosa dice Gesù? Non potrebbe essere più chiaro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico.» (Lc 13, 2-3) È quello che Gesù dirà anche dinanzi al cieco nato: il suo essere cieco dalla nascita non viene né dall'essere lui peccatore né dall'essere i suoi genitori peccatori. (cfr. Gv 9,3)
Come prosegue Gesù? «No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». (Lc 13,3)
Come se dicesse: «Non pensate che i Romani siano i soli colpevoli! Non pensate che quei Galilei fossero più peccatori degli altri! Non pensate che solo gli altri debbano convertirsi! No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. Anche voi, voi tutti, avete bisogno di conversione!»
Oggi, è facile pensare ed affermare che i terroristi debbono convertirsi; che gli schiavi del consumismo debbono convertirsi; che gli spacciatori debbono convertirsi; che i sostenitori del gender debbono convertirsi… e così via! Ma Gesù ci dice che la prima persona che deve convertirsi sei tu, sono io, siamo noi!
Poi Gesù racconta una breve parabola, quella del fico che, dopo tre anni, non dà ancora nessun frutto, e quindi andrebbe tagliato, secondo il padrone della vigna. Ma il vignaiolo dice di no: «..lascialo ancora quest'anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime.» (Lc 13,8) È chiaro: di per sé, l’umanità dovrebbe esser “tagliata fuori”, perché non dà i frutti di amore che Dio aspetta da lei. Ma, in Gesù, la misericordia divina si prende cura di noi perché ci convertiamo. E' urgente la conversione: siamo già nel tempo della pazienza, della pazientissima misericordia di Dio.
Non rimandare a domani la conversione! Sarebbe un abusare della misericordia di Dio…
E cos’è la conversione? È dire di no a quella tendenza che conosco in me e che mi allontana dall’amore e dalla verità, un no deciso ed umile.
Deciso, perché quel che è male è male, quel che è peccato è peccato. Non si può mai tollerare il peccato.
Ed umile, perché non posso liberarmi da solo da quella cattiva tendenza. Conto sul Signore. Chiedo al Signore la liberazione, e ne parlo con chi mi accompagna spiritualmente, e/o con un amico, un fratello, una sorella. E avendo chiesto la grazia del Signore, combatto! Combatto con la certezza che la liberazione mi è data dal Signore, mentre combatto. La mia fiducia di fondo non è nella mia lotta, ma nel Signore, nel sangue di Gesù, nel suo morire e risorgere per noi.
Nella prima lettura, possiamo infine cogliere un invito più preciso alla conversione. Convertirsi è dire di no all’egoismo per accogliere la grazia e diventare il dono che io sono per gli altri. (cfr. Ef 4,7)
Nel disegno di Dio, ciascuno di noi è un dono per gli altri, ciascuno contribuisce in un modo unico all’edificazione del corpo di Cristo. (cfr. Ef 4, 11-12) La conversione non è “lucidare” la mia virtù per il mio bene… È diventare quella gemma di Dio che Dio desidera perché noi tutti, gemme di Dio, giungiamo insieme alla «misura della pienezza di Cristo». (Ef 7,13)
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Domenica 21 ottobre 2018 - XXIX T.O. - Is 53,10-11 – Eb 4,14-16 – Mc 10,35-45 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Oggi è domenica 21 ottobre… Ci sono degli impegni già presi per oggi. Ci saranno degli imprevisti. Ma come vivere bene questo giorno? Come vivere oggi quello che Papa Francesco spesso ci dice: «Tu sei una missione». Io sono una missione? Come posso essere io oggi una missione? Come lo potrei con le mie lentezze, i miei problemi, il carico di lavoro, la salute fragile, i miei problemi sessuali, i miei debiti, le attese degli altri… Essere io una missione? Boh!
Cosa mi può riscaldare il cuore e far sì che io divenga la missione che sono? La Parola di Dio! È vero… senza un contatto vivo con la Parola di Dio, la mia anima rimane spenta. Ma, quando avviene il contatto vitale con la Parola, allora l’anima si infiamma.
Vi è una misteriosa “chimica spirituale” in noi. Quando si riserva del tempo per meditare, per pregare, la Parola, le parole, i versetti divengono come fiamme. E, nello stesso momento, l’anima si infiamma. Allora, sì, capisco con il cuore che io sono una missione. Sono nel mondo una missione d’amore. Anche se sono stanco, malato, provato, sono un sorriso di Dio, una carezza di Dio, per gli altri.
Allora ascoltiamo la Parola di Dio che ci viene donata oggi! Partiamo dal Vangelo.
Giacomo e Giovanni… cari apostoli di Gesù… Ma non hanno capito! Davvero! Gesù ha parlato del centuplo promesso a chi lo segue, e loro hanno interpretato questo centuplo in modo del tutto terreno, ma molto terreno! «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra» (Mc 10,37) Il che vuol dire non soltanto avere posti di onore, ma condividere un ipotetico potere politico-religioso di Gesù. Immaginano Gesù re potente sulla terra, e vogliono condividere il suo potere religioso sugli altri… È una totale incomprensione di quello che Gesù sta insegnando! Gesù ha appena annunciato che «lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà.» (Mc 10,33-34) Ma non risorgerà nel trionfo di un potere umano!
Tuttavia questo Vangelo nasconde pure una grande speranza, perché a loro due, Giovanni e Giacomo, Gesù annuncia che al calice che berrà, anche loro berranno, cioè anch'essi, un giorno, daranno la vita per amore. Anch'essi entreranno nell’amore che consegna la propria vita per gli altri.
Giacomo e Giovanni non sono condannati all'incomprensione, non saranno per sempre prigionieri del loro sogno di potere… Ci sarà per loro una conversione, un'effusione dello Spirito Santo, che farà risplendere appunto la missione che sono.
Che bella speranza per tutti noi…! L’amore può diventare il fulcro, la dinamica profonda, il senso vero della nostra vita.
Finché sono sulla difensiva per non perdermi, non sono la missione che sono, sono una povera guardia giurata… di me stesso!
«Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti.» (Mc 10,43-44) Quindi… come vivere bene la giornata di oggi? Vivendola come servo! Servo di chi? Nel suo messaggio per la giornata missionaria, Papa Francesco ci scrive oggi: «Mi piace ripetere l’esortazione che ho rivolto ai giovani cileni: «Non pensare mai che non hai niente da dare o che non hai bisogno di nessuno. Molta gente ha bisogno di te, pensaci. Ognuno di voi pensi nel suo cuore: molta gente ha bisogno di me» Ed io scelgo di vivere come servo loro!
Ma come, oggi, potrò servire chi incontrerò? Dove troverò la forza? Ci risponde ancora il Papa: «Dalla croce di Gesù impariamo la logica divina dell’offerta di noi stessi.» Abbiamo bisogno di ripartire costantemente dalla Croce di Gesù. È quello che ci ha proposto la prima lettura della liturgia. Cosa ci dice Isaia? È stato il desiderio di Dio che il Suo servo - Gesù - soffrisse. Questo ci scandalizza… Eppure è la realtà. La sofferenza di Gesù era necessaria perché, attraverso di Lui, si adempisse il grande desiderio di Dio, ossia che fossimo liberati dal carcere del peccato ed entrassimo nell’eterno Suo amore.
Ma Isaia dice anche una cosa ben precisa: Quando tu offrirai a Dio il sacrificio di Gesù, come sacrificio di espiazione, allora Lui – Gesù - «vedrà una discendenza, vivrà a lungo»; allora «giustificherà molti», cioè, «si addosserà le nostre iniquità». (cfr Is 53,10-11) Non si può guardare il mistero pasquale dall’esterno per gioirne. Bisogna entrarci. A te, Padre, io offro il sacrificio di Gesù. Riconosco che era necessario che Gesù soffrisse per me, per noi. Allora, possiamo «accostarci con piena fiducia al trono della grazia», come abbiamo sentito nella Lettera agli Ebrei, «per ricevere misericordia e trovare grazia, così da essere aiutati al momento opportuno.» (cfr. Eb 4,16)
Ma non basta offrire il sacrificio di Gesù al Padre, bisogna entrare noi stessi in questo sacrificio d’amore. «Essere infiammati dall’amore di Cristo consuma chi arde» ci dice Papa Francesco oggi. E prosegue: «E fa crescere, illumina e riscalda chi si ama.»
La missione ha la forma della Croce. E della Risurrezione. Sono la missione che sono quando smetto di fuggire dalla mia croce… e giungo alla vera fecondità della mia vita: far crescere, illuminare e riscaldare le persone che amo.
Infatti come avviene la trasmissione della fede? Risponde Papa Francesco: «Avviene per il “contagio” dell’amore (…) . La propagazione della fede per attrazione esige cuori aperti, dilatati dall’amore. All’amore non è possibile porre limiti: forte come la morte è l’amore (cfr Ct 8,6). E tale espansione genera l’incontro, la testimonianza, l’annuncio.»
Se amo, se servo, se faccio della mia vita un dono per gli altri, questo sarà contagioso! Sarò contagioso! Se fossimo tutti contagiosi!!! Ma veramente contagiosi di quell’amore che si dona senza porre limiti!
Papa Francesco spesso ci parla delle periferie verso le quali dobbiamo andare. E oggi ci dice qual è la periferia più desolata : «È l’indifferenza verso la fede o addirittura l’odio contro la pienezza divina della vita. Ogni povertà materiale e spirituale, ogni discriminazione di fratelli e sorelle è sempre conseguenza del rifiuto di Dio e del suo amore.» Queste periferie non sono lontane da noi. Le incontriamo ogni giorno! Allora, carissimi, bisogna che diventiamo tutti contagiosi dell’amore. Tutti siamo missionari! Ricordiamocelo: anche se sei stanco, malato, provato, tu sei un sorriso di Dio, tu sei una carezza di Dio, per gli altri. Tu sei una missione!
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venerdì 19 ottobre 2018 - XXVIII sett. T.O. Santi martiri canadesi - Ef 1,11-14 – Lc 12,1-7 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Che splendida vocazione la nostra! Anzi, che splendida predestinazione! Paolo, scrivendo agli Efesini, dice che siamo «predestinati - secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – a essere lode della gloria» di Dio.» (cfr. Ef 1, 11-12) Essere lode! Il testo greco parla più precisamente di essere per (eis) la lode; di esistere in vista della lode di Dio. Vuol dire che tutto il nostro essere si rivolge a Dio, canta Dio, canta la Sua gloria. È tutto il contrario del peccato che è un inno stonato alla nostra vanagloria. La nostra vocazione è un’estasi: un uscire verso Dio nell’amore, e quindi un uscire verso gli altri nell’amore.
Per non mancare questa meta, Gesù oggi nel Vangelo ci insegna una cosa essenziale: diffidare del lievito dei farisei. Il lievito serve per diventare grandi, per gonfiarsi… Per i farisei di cui Gesù ci parla, il modo per esser grandi era di curare l’apparenza religiosa, anche senza più nessuna coerenza con il cuore.
Questo poteva essere pure l’atteggiamento dei discepoli: voler seguire Gesù, voler essere Suoi discepoli, ma facendo di tutto per conservare una buona apparenza religiosa dinanzi ai farisei, agli scribi, ai dottori della legge, per non aver problemi, per paura, perché la paura dei capi religiosi era molto forte. Per questo l’appello di Gesù: solo di Dio dovete aver timore, il santo ed amoroso timore…
Anche noi dobbiamo essere attenti. Non lasciamoci prendere dalla paura dei capi religiosi del nostro tempo, sia dei capi religiosi intolleranti e chiusi che ci possono essere in tutte le religioni, sia dei capi religiosi della grande religione pagana che sta invadendo l’Occidente come un tumore. Solo di Dio dobbiamo aver timore, il santo ed amoroso timore… Niente lievito di paura, niente lievito per gonfiarci. Siamo azzimi puri… Siamo veri discepoli di Gesù.
Di tale fedeltà, di tale amore, la liturgia ci dà oggi grandi testimoni i martiri canadesi :
Sono grandi testimoni per la profondità della loro vita spirituale, grazie, in modo speciale, all’insegnamento che ricevettero da Louis Lallemant, un gesuita e grande maestro spirituale, oggi tanto caro a Papa Francesco!
Sono grandi per il profondo rispetto che ebbero per la cultura, la lingua, le tradizioni del popolo huroniano.
Grandi per il loro desiderio di non assoggettare a sé delle persone, ma di offrire loro il dono della fede.
Grandi per il loro amore.
Penso in modo particolare a Jean de Brébeuf, nato il 25 marzo 1593 in Normandia. Divenuto gesuita e inviato nella Nouvelle France, il suo superiore, il Padre Ragueneau disse di lui che «l’amore di Cristo, in lui, era come un fuoco che, avendo infiammato il suo cuore, cresceva di giorno in giorno per farvi regnare Gesù Cristo.»
Con libertà e chiarezza, si fece huron con gli Hurons. Non cercò mai di farli diventare francesi!
Aveva uno slancio apostolico formidabile. Nel suo quaderno di appunti spirituali si legge: «Dio mio, quanto non sei conosciuto! Com'è lontano da Te questo paese! Quanto non sei amato! Si, mio Dio, se tutti i tormenti che i prigionieri possono sopportare nella crudeltà dei supplizi dovessero ricadere su di me, io mi offro a questi di tutto cuore, e li patirò volentieri.» Ad un giovane gesuita che era ancora in Francia, scrive: « Vieni, vieni, mio caro fratello. Noi aspettiamo operai come te, non temere alcuna difficoltà perché il senso della tua vita è vederti crocifisso con Gesù Cristo». A 42 anni circa (1637-1639), fa voto di martirio: « Faccio voto, in presenza del Tuo Padre eterno e dello Spirito Santo, in presenza della tua Santissima Madre e del suo casto sposo Giuseppe; davanti agli angeli, agli apostoli e martiri, e ai miei beati Padri Ignazio e Francois-Xavier; io faccio voto a te, Mio Signore Gesù, se tu mi concedi nella tua misericordia la grazia del martirio, a me indegno tuo servo, di non deviare mai da questa grazia. (...) A te dunque, Mio Signore Gesù, offro con gioia, da oggi, il mio sangue e il mio corpo e il mio spirito, affinché io muoia per Te, se tu me lo concedi, Tu che ti sei degnato di morire per me.»
Poi, all’età di 52 anni (1645), quattro anni prima del martirio, fa il voto di perfezione, si impegna, sotto pena di peccato ad «adempiere tutto ciò che gli sembrerà dover contribuire alla maggior gloria di Dio». Muore martire il 16 marzo del 1649.
Saint Jean de Bréboeuf, prega per noi, affinché anche noi, liberati dalla paura di morire, ci impegniamo a adempiere tutto ciò che ci sembrerà dover contribuire alla maggior gloria di Dio. E diventiamo così lode di Dio.
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giovedì 18 ottobre 2018 - San Luca - 2 Tim 4,10-17 – Lc 10,1-9 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Dema mi ha abbandonato. Ma Luca è con me. Crescente è andato in Galazia. Ma Luca è con me. Tito in Dalmazia. Ma Luca è con me. Alessandro, il fabbro, mi ha procurato molti danni. Ma Luca è con me.(cfr. 2Tm 4, 10...14)
Nella breve lettera a Filemone, Paolo parla di Luca come di un collaboratore. Nella lettera ai Colossesi, ne parla come di un medico «agapètos» cioè amato, carissimo.(Col 4,14)
Sant'Ireneo dice che erano «inseparabili»…
Ma come Luca ha trovato la forza per tenere il passo di Paolo?
Guardiamo cosa ci dice di lui il suo Vangelo.
Luca non parla di sé nel suo Vangelo, se non all’inizio per dire a Teofilo che «ha deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per lui, in modo che possa rendersi conto della solidità degli insegnamenti che ha ricevuto.» (cfr. Lc 1,3)
Poi non parla di sé. Parla di Gesù. Colpisce il ritratto che fa di Gesù nel quarto capitolo del Vangelo, presentando Gesù, con le sue stesse parole, come l’adempimento della profezia di Isaia:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me; L’intero Vangelo di Luca è un inno alla potenza dello Spirito Santo. Ne avrà fatto l’esperienza lo stesso Luca? Non è la forza dello Spirito Santo che l’ha messo in comunione di fraternità e di missione con Paolo, perché fossero un cuor solo, un’anima sola? - Si sa pure l’insistenza di Luca sulla misericordia. Lui solo racconta le tre parabole della pecora perduta sui monti, della dracma perduta nella casa, e dei figli perduti, uno nella casa, l’altro in un paese lontano. Dipinge quindi una misericordia che si estende dentro e fuori: dentro la casa d’Israele e fuori sui monti delle nazioni. Ne avrà fatto l’esperienza lo stesso Luca? Avrà capito il cuore di Paolo, trafitto per sempre dalla misericordia di Dio, lui l’ultimo, l’ultimissimo, persecutore della Chiesa. - Ben nota è pure l’attenzione di Luca ai poveri, la benevolenza con la quale guarda alle folle di Gerusalemme. Anche il ricco Zaccheo appare come un povero, mendicante di uno sguardo. Fu l’esperienza di Luca? Era medico. Aveva studiato Possedeva una ricca cultura greca. Aveva viaggiato tanto. E si riconosce povero. Perciò il suo stupore dinanzi allo stupore di Gesù: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.» (Lc 10,21) E il senso profondo del Vangelo come Buona Notizia che non si può non condividere. Scrive affinché Teofilo si renda conto della solidità del Vangelo! - Infine c’è il segreto di Luca. «La forza della verità sta nel silenzio» scriveva Elie Wiesel. Come trasmettere a Teofilo, e a tutti i teofili che siamo noi, quanto Maria sia nel cuore del Vangelo? Come? Descrivendo nei primi tre capitoli un Vangelo dell’Infanzia che è come uno specchio del Vangelo intero, e particolarmente del mistero pasquale: specchio dell’infanzia, specchio accessibile ai piccoli, specchio che ci rivela Maria e ci fa capire che in tutto il Vangelo c’è Lei.
Non a caso si
dice che Luca è l’iconografo della Madonna! Luca e Paolo! Due volti, due cuori, due menti che si arricchiscono a vicenda. Ciascuno porta un tassello del Vangelo. Come ciascuno di noi porta un tassellino del Vangelo. Anzi! Ciascuno di noi è un tassellino del Vangelo. Perché lo Spirito del Signore è su di te. Ti ha inviato a portare il lieto annuncio ai poveri. Ti ha creato perché tu sia lieto annuncio ai poveri.
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martedì 16 ottobre 2018 - XXVIII sett. T.O. - Gal 5,1-6 – Lc 11,37-41 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Nella lettera ai Galati appare una cosa a cui forse non si pensa: noi, cristiani praticanti, possiamo rendere sterile il dono di Gesù per noi! Come? Con degli atti religiosi! «Se vi fate circoncidere, scrive Paolo, Cristo non vi gioverà a nulla»…(Gal 5,2) Tremendo questo! C’è una religiosità che uccide la Grazia. Ho la capacità di escludermi dalla Grazia… Quando? Quando compio degli atti religiosi aspettando da essi la salvezza: «Se faccio quell’atto religioso, sarò a posto con Dio…» No! Solo Gesù ci mette «a posto» con il Padre.
«Quanto a noi, per lo Spirito, in forza della fede, attendiamo fermamente la giustizia sperata.» (Gal 5,5) C'è un attendere, un aspettare. Il passaporto per il cielo non me lo faccio da solo, non l’ho sottomano. Credo che mi sarà dato. Aspetto nella fede. La fede, e non la paura, diviene la dinamica profonda della mia vita. Ma, dice Paolo, non una fede gnostica, non una fede solo intellettuale, né una fede per cui mi ripiego su me stesso, «ma la fede che si rende operosa per mezzo della carità.» (Gal 5,6) Stiamo dunque saldi, ci dice Paolo! Non cerchiamo di far bella figura, cerchiamo di amare.
In una recente intervista, una coppia, lui palestinese e lei ebrea, diceva: «Non ci sono tre modi di vivere questa vita: O si vive la vita nella paura, o la si vive nell’amore.»
Cosa scegli?
Il Vangelo odierno ci porta alla stessa conclusione. Gesù è chiaro: «Colui che ha fatto l’esterno non ha forse fatto anche l’interno?» (Lc 11,40) Il che vuol dire che Dio ci chiederà conto sia dell’interno, cioè delle intenzioni, della volontà, degli atteggiamenti del cuore, sia dell’esterno, cioè delle azioni, delle scelte, dei fatti. Ci fa capire inoltre che la santità, ossia la possibilità di avvicinarci alla santità bruciante di Dio, non la si ottiene con degli atti formali o rituali. No! La si ottiene scegliendo e vivendo l’elemosina, cioè l’amore in atto. Puri lo diventiamo quando l’amore abita sia il cuore che la vita tutta. La purezza sta nell’amore. Se rinunzio ad amare per conservare la mia purezza, sbaglio… È vero il contrario. È l’amore che ci purificherà!
Davvero o si vive la vita nella paura, o la si vive nell’amore. Poterla vivere nell’Amore, questo è il dono di Gesù, dono rinnovato nell'Eucarestia!
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sabato 13 ottobre 2018 - XXVII sett. T.O. - Gal 3,22-29 – Lc 11,27-28 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Bellissima pagina evangelica! Questa donna si esprime in tutta la sua spontaneità… «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!».(Lc 11,27) E' il grido del suo cuore! Come se dicesse: «Quanto dev’essere felice la tua mamma! Deve esser molto fiera di te! Tu sei la realizzazione della sua vita!»
Bello! Ma… bello, questo! Non sbaglia… Maria è beata! Lo dice lei stessa: «Tutte le generazioni mi chiameranno beata!» (Luca 1,48)
Non sbaglia… e sbaglia! Perché la beatitudine di Maria non è nella sua realizzazione personale, non consiste in una fierezza… Lo dice suo Figlio: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!». (Lc 11,28)
La vera beatitudine, cioè la felicità vera di una persona, la tua, la mia, non sta nella realizzazione di sé. Il centro della nostra felicità non può essere in noi stessi, a partire da una soddisfazione personale. La vera beatitudine viene dall’apertura alla Parola di Dio, da un modo di ascoltare la Parola di Dio di cui Maria è l’esempio perfetto.
Quando viene da Lei l’Angelo Gabriele e Le porta la Parola di Dio, Maria non giudica la Parola a partire dalla propria intelligenza, dalle proprie capacità e dalla sua volontà di evitare ciò che fa soffrire. Maria ci insegna l’obbedienza vera alla Parola: La misura non è in me, bensì nella Parola. Non sono io a dire ciò che della Parola è accettabile o meno. È la Parola che mi dice ciò che Dio può e vuole compiere in me. qui sta la Beatitudine…
Non è beata perché è la Madre del Verbo umanato. È beata perché ha detto e vissuto: «Avvenga per me secondo la tua parola».(Lc 1,38)
«Conta di più per Maria essere stata discepola di Cristo, che essere stata madre di Cristo. Lo ripetiamo: fu per lei maggiore dignità e maggiore felicità essere stata discepola di Cristo che essere stata madre di Cristo.» (Disc. 25, 7-8; PL 46, 937-938)
Così pure San Francesco non è beato perché ha avuto le stimmate. Padre Pio non è beato perché ha avuto il dono della bilocazione. E così via…
Entri nella beatitudine, entri nella felicità quando dici e vivi: «Avvenga per me secondo la tua parola.»
In Maria questa obbedienza c'è stata non solo nel giorno dell'Annunciazione. Ci fu in tutta la Sua vita. Tutta. Tutta la sua vita, sulla terra ed in cielo, è ubbidienza. E quindi beatitudine. Ubbidienza spesso dolorosa… ma beata.
Ancora oggi Maria vive questa ubbidienza. Adempie la volontà di Dio che è per Lei una maternità premurosa che fa di tutto perché neanche un’anima si perda.
In un testo dedicato appunto a Maria, Madeleine Delbrel scrive ad un ateo immaginario che, in qualche modo, rappresenta l’umanità del nostro tempo. Vi propongo di leggerlo come una confessione della Madonna che dice all’umanità di oggi cosa sta facendo per noi in questo tempo: (Caro figlio divenuto ateo,) «Nel momento in cui tu hai fatto di tutto per separarti da Dio, dei cristiani ti hanno lasciato solo. A motivo dell’unità che ci lega, io mi considero responsabile. È di Dio che sei stato privato, è Dio che dovrei restituirti. Ma tu sai che la Fede non posso, non possiamo donarla. Devo cercare di darti Dio in un altro modo. Tu crederai o non crederai, come vuoi. Io terrò Dio accanto a te. Cristo ha detto, ed è il nocciolo di tutta la vita cristiana, di amare Dio con tutto il nostro cuore e più di tutto, e di amare tutti gli uomini come noi stessi. È questo il modo in cui ha voluto che noi fossimo cristiani. È questo amore che prendo con me per tornare accanto a te.»
Ecco come si esprime l’ubbidienza di Maria nel mondo odierno. Ecco ciò che Madeleine Delbrel voleva vivere nelle periferie marxiste del suo tempo. Ecco, credo, quello che il Signore ci chiede di vivere oggi, con Maria. Schierarci con Lei per farci vicini a chi si è privato di Dio.
Signore, insegnaci la vera beatitudine che è ubbidienza alla tua Parola e vicinanza a chi si è allontanato da te.
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giovedì 11 ottobre 2018 - XXVII sett. T.O. - Gal 3,1-5 – Lc 11,5-13- Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Oggi dobbiamo rispondere ad una domanda ben precisa: «E' per le opere della Legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver ascoltato la parola della fede?» (Gal 3,2) Quando tu hai ricevuto lo Spirito Santo, è stato perché eri «a posto», fedele alla Legge, senza colpe, integro? Hai meritato il dono dello Spirito Santo? Tu eri talmente santo da meritare che Dio venisse ad abitare personalmente in te? Tu eri così perfetto, che Dio ha avuto il dovere di fare in te la Sua dimora?
Meno male che Paolo viene in nostro aiuto e ci dice la verità: Lo Spirito Santo è venuto a dimorare in noi come ospite dolce dell’anima « per aver ascoltato la parola della fede.» È l’ascolto profondo, umile, della Parola di Dio, dell’annuncio del Vangelo, che ha permesso allo Spirito Santo di venire a dimorare in noi. La fede ha aperto in noi lo spazio alla presenza personale dello Spirito Santo.
E questo è iniziato nel Battesimo, grazie, per tanti tra noi, alla fede dei nostri genitori e padrini. Poi la presenza dello Spirito, quel misterioso intreccio d’amore tra il nostro spirito umano e lo Spirito di Dio, è stata confermata, rinvigorita, rinnovata nella Cresima, e in seguito tutte le volte in cui la nostra fede ha aperto le porte allo Spirito Santo, tutte le volte che, come i Galati, siamo stati dinanzi a Gesù crocifisso e abbiamo riconosciuto l’amore, la misericordia infinita di Dio.
Ma sempre, sempre gratuitamente. Come si potrebbe meritare la presenza dello Spirito divino? Impossibile… Allora, ci dice Paolo, «Chi vi ha incantati? ...Siete così privi d'intelligenza che, dopo aver cominciato nel segno dello Spirito, ora volete finire nel segno della carne?» (Gal 3,1...3) Perché pensi che siano le tue opere a farti meritare il dono dello Spirito? Questo pensiero rende inquieti spiritualmente, fa ripiegare su sé stessi, non più inquieti per la salvezza delle anime, ma preoccupati di noi stessi…
C’è quindi oggi un invito a chiedere lo Spirito Santo contando non sui nostri meriti, ma sul dono di Gesù. Ed è quello che Gesù ci insegna anche nel Vangelo, con due piccole parabole.
La prima è la piccola parabola dell’amico importuno: è mezzanotte, sono già a letto, e pure i bambini. Bussa qualcuno. «Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli».(Lc 11, 5-6) La mia prima risposta è secca: «Non m'importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani».(Lc11,7) Non è molto amichevole… anzi! Però, dopo un po’, l’amico si alza e va a dare i tre pani. Perché si alza? Per amicizia, magari. Ma soprattutto perché è stato colpito dalla richiesta dell’amico. La richiesta ha due caratteristiche: è audace ed è decisa. Ci sono un'audacia ed una risolutezza che mi colpiscono… e mi alzo.
Se questo è vero tra noi uomini, quanto più lo sarà per il Padre che è Amore! L'essenziale è che le nostre richieste siano audaci e decise. Se chiediamo lo Spirito Santo pensando che comunque non lo meritiamo e che non possiamo vivere di Lui, non c’è né audacia né risolutezza nella nostra richiesta! «Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto.»(Lc 11,9)
Anche la secondo parabola è molto semplice. Se tuo figlio ti chiede un pesce, non gli darai una serpe. A maggior ragione, quello che Dio ti dona non è una serpe, quando tu hai chiesto un pesce. È essenziale questo! Spesso non capiamo come Dio risponde alle nostre richieste. Ai nostri occhi umani, sembra che ci abbia dato una serpe… Ma Gesù ci spiega che questo è impossibile. Ci chiede la fede… Ci chiede e, con questo Vangelo, ci dona la certezza che quel che riceviamo da Lui è la cosa migliore, anche se noi non lo comprendiamo.
Se chiedi lo Spirito Santo e ti capita una purificazione passiva, cioè una prova inaspettata che ti umilia, non credere che Dio ti abbia dato una serpe… No… sta lavorando in te, perché tu possa davvero vivere dello Spirito Santo. Perché il Signore non vuole darti lo Spirito come un ospite anonimo, ma come l’amico essenziale della tua vita, la tua guida, la tua gioia, la tua salvezza. E quindi... ti prepara il cuore. Carissimi, noi assomigliamo all’amico che va a bussare di notte... Di notte, nel buio della fede, andiamo a bussare alla porta del cuore di Dio per ricevere quel che ci serve non per il nostro conforto o per la nostra gloria, ma per poter amare anche chi ci chiede tanto, anche chi ci chiede ciò che noi non abbiamo.
Chiediamo, sì, lo Spirito Santo, per AMARE!
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Domenica 7 ottobre 2018 - XXVII settimana TO B - Gn 2,18-24 – Eb 2,9-11 – Mc 10,2-16 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
da fuori le vetrate sono come delle superfici oscure, insignificanti. Ma quando si entra nella cattedrale, le stesse vetrate appaiono in tutto il loro splendore: sono piene di colori, di luce, di senso, di bellezza.
Lo stesso vale per un brano evangelico, come quello che abbiamo ascoltato oggi. Per chi guarda dall’esterno e a partire dall’uomo solo, e in particolare dall’uomo di genere maschile, appaiono solo costrizione, restrizione, legge… Gesù proclama, si dirà, l’indissolubilità del matrimonio senza nessuna eccezione. Perfino Mosè aveva introdotto la possibilità del divorzio con una norma che preveniva gli eccessi: l’uomo doveva scrivere un atto di ripudio. Gesù, Lui, non permette nessun ripudio. Punto!
Ecco quello che si vede dall’esterno: una legge e basta.
Ma cosa si vede quando si entra nella cattedrale della Parola di Dio? Qualcosa, ovviamente, di molto diverso.
La porta attraverso la quale si entra in questa cattedrale è come quella della Basilica di Betlemme: è molto bassa. Bisogna chinarsi. Bisogna riconoscere che noi stessi non siamo l’origine, la misura e la fine dell’esistenza umana. Entriamo, riconoscendo che siamo di Dio. Siamo creature. Solo Dio ci può rivelare il senso profondo della natura umana. Se ci chiudiamo all’orizzonte divino, ci chiudiamo al vero senso della nostra vita e della vita degli altri.
Poi vi è un grande androne, come nella basilica di Vézelay. Vi scopriamo una cosa essenziale, vitale: siamo amati. La Parola di Dio ci rivela che siamo stati creati per amore. E quest’Amore diviene la luce che illumina tutto. Esser nell’Amore significa essere nella luce. Ci rendiamo conto che fuori dall’Amore di Dio, non si vede nulla. La verità sta nell’accogliere l’Amore. E lì scopriamo il dramma del peccato. Qualcosa in me, in noi, ci rende ciechi, immette oscurità dentro di noi. C’è in noi un tumore della conoscenza, della memoria, della volontà, della sensibilità.
Finalmente entriamo nella Cattedrale stessa, e scopriamo che in essa tutto ci parla di un volto: il volto di Cristo. In Lui troviamo la Redenzione, la remissione dei peccati. In Lui troviamo l’adempimento della nostra vocazione. Più si entra in comunione con Lui, più si entra in Dio Trinità, più si entra in comunione gli uni con gli altri.
Allora, in questa cattedrale di luce di misericordia, risuona una parola finora odiata: Obbedienza! L’obbedienza a Cristo appare come La via della pace, La via della gioia, della vita.
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E le stesse vetrate oscure di prima appaiono in tutta la loro luce. Quello che Gesù dice del matrimonio non è una legge fredda: è una promessa, una rivelazione, un dono. Papa Francesco nell'«Amoris Laetitia» dice così:
«L’indissolubilità del matrimonio (“Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”: Mt 19,6), non è innanzitutto da intendere come “giogo” imposto agli uomini, bensì come un “dono” fatto alle persone unite in matrimonio. […]» Non è un giogo imposto, bensì un dono. Poi spiega: «La condiscendenza divina accompagna sempre il cammino umano, guarisce e trasforma il cuore indurito con la sua grazia, orientandolo verso il suo principio, attraverso la via della croce. Dai Vangeli emerge chiaramente l’esempio di Gesù, che […] annunciò il messaggio concernente il significato del matrimonio come pienezza della rivelazione che recupera il progetto originario di Dio (cfr Mt 19,3)». (Amoris laetitia, n.62)
Il matrimonio non è solo un'istituzione umana… È nel cuore del disegno d’amore di Dio sull’umanità. Esser uomo e donna è già in sé riflesso di Dio Amore. La diversità così profonda iscritta nell’umanità riflette la diversità infinita che si trova nel Mistero divino stesso. È una costante chiamata ad uscire da noi stessi, a morire all’essere noi un piccolo – o grande - dio, per accogliere ed amare colui o colei che è diverso da me.
Dio ha voluto che appunto dentro questa diversità e quest’amore si trovasse la via della procreazione e del primo nucleo della famiglia umana. Dio ha preso un rischio enorme. Ha affidato la procreazione e la famiglia a ciò che in noi è così fragile… È nel luogo stesso della fragilità, della vulnerabilità, che è l’essere uomo e donna, che è la sessualità che Dio ha posto lo sbocciare della famiglia umana! Perché? Affinché questo sbocciare della famiglia umana avvenga nell’amore.
Il peccato ha messo oscurità, falsità, duplicità, egoismo appunto in questo santuario che è la sessualità, al punto che non si capisce più gran ché della bellezza della sessualità. La si reduce al piacere, La si reduce all’emozione, La si vive spessissimo come espressione inconscia della volontà di dominio sull'altro, dell’ira, della collera…
E che fa Gesù? Non ci dice: «Fate sforzi sovrumani per tornare al disegno di Dio». Ci dice, in qualche maniera: «Io mi consegno per voi, muoio d’amore per voi sulla croce, perché possiate non solo tornare al disegno di Dio ma giungere al suo pieno adempimento.»
È infinitamente bello ciò che Gesù ci dona: rende possibile l’amore. Rende possibile l’amore coniugale. Non toglie le prove, le difficoltà, le malattie, ma immette nei cuori e nella comunione dei cuori il proprio Amore che sa donarsi, che si consegna e che porta alla gioia della Resurrezione.
Essendo a pochi giorni dalla canonizzazione di Paolo VI, vi rileggo qualche riga della sua lettera enciclica «Humanae vitae». Parla delle esigenze caratteristiche dell’amore coniugale, e, prima di parlare di fedeltà e di fecondità, indica i due primi tratti dell’amore coniugale. È un amore umano ed è un amore totale: «È prima di tutto amore pienamente umano, vale a dire sensibile e spirituale. Non è quindi semplice trasporto di istinto e di sentimento, ma anche e principalmente è atto della volontà libera, destinato non solo a mantenersi, ma anche ad accrescersi mediante le gioie e i dolori della vita quotidiana; così che gli sposi diventino un cuor solo e un’anima sola, e raggiungano insieme la loro perfezione umana.
È poi amore totale, vale a dire una forma tutta speciale di amicizia personale, in cui gli sposi generosamente condividono ogni cosa, senza indebite riserve o calcoli egoistici. Chi ama davvero il proprio consorte, non lo ama soltanto per quanto riceve da lui, ma per se stesso, lieto di poterlo arricchire del dono di sé». (Humanae vitae, n.9)
Ecco la bellezza del dono di Gesù! La Sua Passione e la Sua Resurrezione entrano nei cuori e rendono possibile questa qualità d’amore! Perché si è scelta l’obbedienza. Perché si è scelta l’obbedienza alla Sua Parola, al Suo dono, alla Sua promessa.
È «per la durezza del nostro cuore», dice Gesù oggi, che Mosè scrisse la famosa norma sul divorzio. «Ma dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto». (Mc 10, 6-9)
Della «durezza del cuore» si fa carico Gesù! Oggi ci chiede di affidargli la nostra durezza di cuore Perché ciascuno di noi possa andare fino in fondo nella propria vocazione.
Cosa avviene se affidiamo a Gesù la durezza del nostro cuore? Lui fa come avvenne nell’Esodo: ne fa sgorgare l’acqua, l’acqua dell’amore vero, l’acqua viva del Suo Amore.
Per gli sposi, rende possibile il miracolo dell’amore coniugale che non solo si mantiene, ma cresce. È stupendo vedere coppie di anziani pieni d’amore reciproco, di tenerezza, di misericordia!
Per coloro che per le circostanze della vita si trovano a vivere soli senza averlo scelto, Gesù trasforma l’amarezza del vivere solo in un sacerdozio di tenerezza, di ascolto, di compassione verso gli altri, specialmente gli ultimi.
E per coloro che sono stati chiamati alla vita consacrata, Gesù si impossessa dei cuori per farvi trionfare la Sua Misericordia, per offrire al mondo un segno del Suo Regno.
Ecco il bel frutto dell’obbedienza al dono di Gesù!
Vergine Maria, Madonna del Santo Rosario, ci affidiamo al tuo Amore per saper vivere appieno del dono di Gesù!
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mercoledì 3 ottobre 2018 - XXVI settimana TO - Gb. 9,1..16 – Lc 9,57-62 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo.» (Lc 9,57-58) All’uomo che voleva seguirlo, Gesù non dice che non avrà una villa o una casa… ma che seguirà uno che non ha neanche dove posare il capo… cioè che seguire Lui sarà sempre scomodo.
Se il nostro essere discepoli ci dà una tana o un nido, siamo già fuori dalla vera sequela di Gesù. Seguire Gesù è scomodo.
È scomodo perché seguirlo significa essere innestati su un amore che è ben più grande delle nostre capacità.
Essere discepoli di Gesù fa sì che oggi vorremmo essere in Indonesia per soccorrere le vittime del terremoto, vorremo esser ad Haiti per prenderci cura dei bambini abbandonati ed in Siria per farci vicini ai profughi, e sui marciapiedi di Firenze per offrire conforto alle donne rese schiave della prostituzione, e nelle scuole per parlare di Gesù ai bambini, e nelle fabbriche per stare con gli operai sfruttati, e nelle case di riposo per consolare gli anziani soli, e negli ospedali per confortare i malati, ed in preghiera per tutti i sofferenti, ed in adorazione per consolare Gesù… Questo fu il tormento di Teresa del Bambino Gesù, che aveva il desiderio di abbracciare tutte le vocazioni della Chiesa.
Come essere fedeli ad un amore così immenso con tutti i limiti della nostra umanità?
È un tormento esser cristiani! L’amore ci brucia, ci consuma…
L’urgenza per il secondo uomo del Vangelo odierno era di seppellire il proprio padre. Ma urgente per Gesù è che vada ad annunciare il Regno di Dio!
Si vive quel che canta il salmista:
«Un abisso chiama l'abisso al fragore
delle tue cascate;
Quando l’amore di Gesù comincia ad invaderci, perdiamo la bussola … E Gesù ci chiede di non volgerci indietro, di perderci…
È difficile vivere dell’amore di Gesù nell’orizzonte ristretto della nostra vita! No! Non è difficile … è impossibile! Ed è questo il senso delle Beatitudini: Beati coloro che vivono la “scomodità” del Vangelo, perché vivono già del Regno di Dio.
Beati loro perché… entrano nel mistero di Dio.
«Mi ha sempre colpito, dice papa Francesco, una massima con la quale viene descritta la visione di Sant’Ignazio:
Non coerceri a maximo, sed contineri a minimo divinum est ...: non essere ristretti dallo spazio più grande, ma essere in grado di stare nello spazio più ristretto. Questa virtù del grande e del piccolo, è la magnanimità, che dalla posizione in cui siamo ci fa guardare sempre l’orizzonte. È fare le cose piccole di ogni giorno con un cuore grande e aperto a Dio e agli altri. È valorizzare le cose piccole all’interno di grandi orizzonti, quelli del Regno di Dio»1
I discepoli sono beati perché sono incapaci di amare come il loro cuore anela, ma nel piccolo mettono tanto amore. Tanto!
Bene… ma, se seguirlo è così difficile, come può dire Gesù: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.» (Mt 11,25) Appunto! Non potremo mai trovare riposo nell’essere soddisfatti di noi stessi! Mai! L’amore ce lo vieta! Ma perché non cerchiamo più la nostra soddisfazione e pace nelle nostre opere, le possiamo trovare nell’amore di Gesù per noi! I discepoli non sono beati perché hanno fatto bene questo o quello… Sono beati perché da Gesù si lasciano amare! E lasciarsi amare fa crescere in loro il desiderio di amare gli altri… Ed ecco che torna la “scomodità”! Niente tana. Niente nido.
È questo il
Vangelo! 1 Intervista, settembre 2013
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sabato 29 settembre 2018 - Santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele - Ap, 12,7-12a – Gv 1,47-51 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Perché non entrare in amicizia con gli angeli? L’amicizia, dice padre Lepori, si può capire a partire da due parole: «anima» e «custos». Amico è colui che si riceve con gioia come custode della propria anima. Allo stesso modo possiamo ricevere gli angeli, gli arcangeli come custodi della nostra anima, del nostro cuore, della nostra stessa vita. Perché no?
Gli angeli, quelli santi, non sono gelosi della nostra vocazione alla santità, non sono adirati nel vedere che Dio fa di tutto per accoglierci, noi che siamo così fragili e volubili, nella sua vita divina. Questo è l’atteggiamento di Satana e di tutti gli spiriti maligni. Gli angeli santi sono felici, felicissimi, della nostra chiamata alla vita divina, della nostra vocazione all’amore reciproco. E si mettono a servizio della bellezza del disegno di Dio.
Preghiamo? Portano le nostre preghiere nel cuore di Dio, come avvenne per Tobia e Sara. Siamo disponibili al volere di Dio? Ci annunziano il progetto d’amore di Dio su di noi, come avvenne per Maria a Nazareth. Siamo nel deserto, con l’anima smarrita? Ci guidano come già guidarono il popolo d’Israele nel deserto. Soffriamo? Ci consolano, come avvenne per lo stesso Gesù nel Getsemani. Siamo nel buio e nelle lacrime, senza Gesù? Ci portano il lieto annunzio della Risurrezione, come avvenne per le sante donne al sepolcro. Guardiamo al cielo, come se non ci fosse più gioia quaggiù? Ci ricordano la speranza cristiana, come avvenne per gli apostoli sul monte degli Ulivi.
C’è poi un campo in cui l’amicizia degli angeli è davvero vitale: quello del combattimento spirituale. Lottiamo e piangiamo per la liberazione delle anime? San Michele ci viene in aiuto… con tanta forza. Tanta…
Più abbiamo a cuore la salvezza delle anime, più scopriamo di essere accompagnati e sostenuti da San Michele. L’esempio più luminoso di ciò è la «complicità» tra la Madonna e San Michele. Non a caso l’unica volta in cui il Nuovo Testamento nomina San Michele è dove viene descritto il ruolo della Madonna nel mistero pasquale, nel capitolo dodicesimo dell’Apocalisse.
Dinanzi alla corruzione, all’anomia, del nostro tempo, la Madonna e San Michele si ritirano? No! Si adoperano perché le anime trovino o ritrovino Gesù, la Sua Passione, la Sua Croce, la Sua Risurrezione.
C’è un paradosso: oggi tanti cristiani, guidati da esegeti di poca fede, non credono negli angeli. E tanti non credenti si appassionano agli angeli, creando una specie di esoterismo angelico che ha ben poco in comune con il Vangelo. Entrambi gli atteggiamenti sono uno spregio nei confronti di Dio. Aprirsi all’amicizia degli angeli, invece, onora e rallegra il cuore di Dio. Lo dice il prefazio degli angeli che proclameremo fra poco: «Onorando questi tuoi messaggeri, esaltiamo la tua bontà infinita; negli spiriti beati tu ci riveli quanto sei grande e amabile al di sopra di ogni creatura.»
In questo stesso momento in cui celebriamo l’Eucarestia, gli angeli non sono solamente delle creaturine raffigurate dal Lippi o dal Vasari sull’organo e sulla stessa croce! Sono presenti nel mistero pasquale che si svolge su quest’altare di marmo, e sull’altare dei nostri cuori. La liturgia eucaristica ce lo ricorda. Nel Confiteor: «Supplico la beata sempre Vergine Maria, gli angeli, i santi e voi fratelli di pregare per me il Signore Dio nostro.» Nell'introduzione al canto del Sanctus: «Uniti agli angeli e alla moltitudine dei Cori celesti, cantiamo con gioia l’inno della tua lode.» Nella grande intercessione della preghiera eucaristica: «Ti supplichiamo, Dio onnipotente: fa' che questa offerta, per le mani del tuo angelo santo, sia portata sull'altare del cielo davanti alla tua maestà divina, perché su tutti noi che partecipiamo di questo altare, comunicando al santo mistero del corpo e sangue del tuo Figlio, scenda la pienezza di ogni grazia e benedizione del cielo.»
La celebrazione eucaristica è quindi un momento favorevolissimo per dire di sì alla premura, all’amicizia degli angeli… Ricordatevi di come Teresa del Bambino Gesù cantava all’angelo custode! Ricordatevi di Papa Leone XIII con San Michele, di Padre Pio con gli angeli custodi…
E Tu? San Michele Arcangelo, principe delle milizie celesti, in mezzo alle violente tempeste del nostro tempo, ci affidiamo pienamente a te. In un mondo che, catechizzato da Satana, vuole farsi come Dio, ricordaci che nessuno è Dio se non Dio. Custodiscici nel santo timore di Dio, nell'adorazione in spirito ed in verità. Sii il custode del nostro essere una cosa sola con Gesù, Redentore nostro. Accompagnaci premurosamente perché con la nostra vita e con la nostra preghiera, fatti servi di Maria santissima, serviamo la salvezza delle anime col cuore povero e libero.
sii tu nostro sostegno contro la perfidia e le insidie del diavolo. Che Dio eserciti il suo dominio su di lui, te ne preghiamo supplichevoli. E tu, o principe della milizia celeste, con la potenza divina, ricaccia nell’Inferno satana e gli altri spiriti maligni i quali errano nel mondo per perdere le anime. Amen.
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giovedì 27 settembre 2018 - XXV settimana TO - Qo 1,2-11 – Lc 9,7-9 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Erode cercava di vedere Gesù. Voleva vederlo fare qualche miracolo. Anche gli abitanti di Cafarnao cercavano Gesù, fin dal mattino presto. «Tutti ti cercano!» (Mc 1,37). Anche Zaccheo cercava di vedere Gesù. I greci convenuti per la Pasqua, anche loro, domandavano: «Vogliamo vedere Gesù…» (Gv 12,21) Le motivazioni sono diverse, ma c’è lo stesso desiderio, la stessa ricerca: cercare Gesù.
E noi? Cerchiamo Gesù? Siamo pronti, come la Maddalena, a sfidare il buio e le guardie per cercare Gesù?
Ma se cerchiamo Gesù morto, ci sentiremo dire: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (Lc 24,5) No… cerchiamo un vivo! Uno più vivo di noi! Non siamo noi che rendiamo vivo Gesù con la nostra fede: è Gesù che ci rende vivi attraverso il dono della fede!
Cerchiamo Gesù, cerchiamolo come la sposa del Cantico cerca lo Sposo ! Cerchiamolo con l’amore! Solo l’Amore lo troverà.
Erode cercava Gesù per curiosità e bramosia di potere. Voleva accrescere il suo potere. Noi invece cerchiamo Gesù per dargli quello che abbiamo, quello che siamo. Lo cerchiamo per dargli la nostra vita, le nostre bellezze e i nostri peccati, per consegnargli le nostre paure, le nostre ansie, per dargli tutte le ricchezze del nostro cuore.
Cerchiamolo nella Parola: ci parlerà. Cerchiamolo nei suoi sacramenti: ci toccherà. Cerchiamolo in particolare nell'Eucarestia: ci darà e corpo e sangue. Cerchiamolo nella preghiera: troveremo il Suo cuore. Allora potremo cercarlo e riconoscerlo là dove soprattutto ci aspetta: nei fratelli, nei poveri… Ci attende! Attende di essere cercato là. Cerchiamolo nel volto degli altri. Chissà … Lui permetterà che lo vediamo crocifisso nelle loro sofferenze, abbandonato nella loro disperazione, e risorto nella loro pace.
una cosa sola con le anime. Non sprechiamo neanche un incontro: ogni incontro con una persona può essere l’occasione per scoprire il volto di Gesù.
Cosa c’è di nuovo sotto il sole? Appunto questa presenza di Gesù in mezzo a noi! La cosa nuova sotto il sole è la danza dello Sposo Gesù che va in cerca delle anime per non perderne neanche una.
Erode voleva vedere Gesù per accrescere il proprio potere. Noi cerchiamo Gesù per consegnargli ogni nostro piccolo potere, ed entrare così, con Lui, nell’Amore.
Dove vedremo Gesù nel modo più luminoso? Dove c’è l’amore reciproco, dove le anime si lasciano rapire insieme dall’amore di Gesù. «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, dice Gesù, lì sono io in mezzo a loro». (Mt 18,20)
Vuoi vedere Gesù? Vuoi vedere la vera novità di quaggiù? Consegnati all’amore reciproco. È senz’altro una morte a te stesso, ma solo morendo si può vedere il Signore! Vedrai Gesù. E Gesù si renderà visibile in te!
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Domenica 23 settembre 2018 - XXV Domenica TO B - Sap 2,12..20 – Gc 3,16-4,3 – Mc 9,30-37 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Oggi vi racconto una parabola…
C’era un pastore molto buono. Venuto a sapere che in un certo luogo del creato c'erano molte pecore abbandonate da pastori poco buoni, le quali correvano seri pericoli su vie impervie e in pascoli nocivi e si avvicinavano sempre più a burroni privi di luce, si recò in quel luogo e, sacrificando tutto il suo avere, acquistò quelle pecore e quegli agnelli. Voleva portarli nel suo regno, perché quel pastore era anche re, come tanti re in Israele. Nel suo regno quelle pecore e quegli agnelli avrebbero trovato pascoli sani, acque fresche e pure, vie sicure e ripari inattaccabili da predoni e lupi feroci.
Perciò quel pastore radunò le sue pecore e i suoi agnelli e disse loro: “Sono venuto a salvarvi, a portarvi dove non soffrirete più, dove non conoscerete più insidie né dolore. Amatemi, seguitemi perché io vi amo tanto e, per avervi, mi sono sacrificato in tutti i modi. Ma se mi amerete, il mio sacrificio non mi peserà. Venitemi dietro e andiamo”. E il pastore davanti, le pecore dietro, presero il cammino verso il regno della gioia.
Il pastore ogni momento si voltava per vedere se lo seguivano, per esortare le stanche, per rincuorare le sfiduciate, per soccorrere le malate, per carezzare gli agnelli. Come le amava! Dava loro il suo pane e il suo sale e per primo assaggiava l’acqua delle fonti e la benediceva per sentire se era sana e per renderla santa.
Ma le pecore... le pecore dopo qualche tempo si stancarono. Prima una, poi due, poi dieci, poi cento, rimasero indietro a brucare l’erba fino a riempirsi da non poter più muoversi, e si sdraiarono stanche e sazie nella polvere e nel fango. Altre si spenzolarono sui precipizi, nonostante il pastore dicesse: “Non lo fate!” Talune, poiché egli si metteva dove c'era maggior pericolo per impedire loro di andarvi, lo urtarono col capo protervo e tentarono di precipitarlo giù più di una volta. Così molte finirono nei burroni e morirono miseramente. Altre si azzuffarono e, a colpi di testa e di corna, si uccisero fra loro.
Solo un agnellino non si allontanò mai. Esso correva belando e diceva col suo belato al pastore: “Ti amo”; correva dietro al pastore buono e, quando giunsero alle porte del suo regno, non erano che loro due: il pastore e l’agnellino fedele.
Allora il pastore non gli disse: “Entra”, ma “Vieni”, e lo prese sul petto, fra le braccia, e lo portò dentro chiamando tutti i suoi sudditi e dicendo loro: “Ecco, costui mi ama. Voglio che sia con me in eterno. E voi amatelo perché esso è il prediletto del mio cuore”.1
come non riconoscere in questa parabola quel che avviene nel Vangelo odierno? Gli apostoli seguono Gesù? Certo! Ma si sono come distaccati. E «per la strada discutevano tra loro chi fosse più grande.» (cfr. Mc 9,34) È già l’inizio di ciò che Giacomo chiama nella seconda lettura «gelosia e spirito di contesa». (Gc 3,16)
Se nei pochi chilometri che gli apostoli percorrono per giungere a Cafarnao, c’è già una lite su chi sia il più grande, cosa avverrà coll’accumularsi degli anni…
«Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra?» (Gc 4,1) ci chiede Giacomo. E così nella Chiesa quanti si sdraiano stanchi e sazi nella polvere e nel fango, finiscono nei burroni o si uccidono fra loro…
Alla fine, chi rimane? Ce lo dice Gesù: «Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.» (Mt 18,3) Chi entra in cielo? Solo il bambino, solo chi ama Gesù con la semplicità di un bambino. «Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, dice ancora Gesù, sarà il più grande nel regno dei cieli.» (Mt 18,4)
Ecco la posta in gioco. Noi tutti seguiamo Gesù. Ma si infiltrano in noi e tra noi i tumori che sono le passioni.
Bisogna leggere quel che scrive il monaco e teologo Evagrio, nato attorno all’anno 345. Fa un elenco delle passioni contro le quali bisogna lottare. Sono otto: la gola, la fornicazione, l’avarizia, la collera, la tristezza, l’accidia, la vanagloria e, la più pericolosa, l’orgoglio. Ecco ciò che ci distrugge, ecco ciò che ci allontana dalla semplicità di cuore di un bambino che segue Gesù con gioia mettendo la sua manina nella mano di Gesù.
Cosa avviene quando vengono alla luce tanti scandali nella Chiesa? Significa che è venuta l’ora della purificazione. Una grande purificazione dalle passioni che distruggono la Chiesa come un tarlo rovinoso.
È semplice: là dove il buon grano non cresce, cresce la zizzania. Là dove la vita cristiana è soltanto formale, superficiale, le passioni crescono come i rovi della parabola: i rovi crescono e soffocano il buon seme della Parola, del Vangelo. (cfr Mt 13,7)
Una grande trappola del nostro tempo è l'affermarsi dei valori cristiani slegati dalla fede. La compassione senza Dio, senza Gesù; la solidarietà senza Dio, senza Gesù, ecc. Vi si nasconde la pretesa dell’uomo di salvare l’umanità senza Dio. E la scienza invece di esser serva dell’amore, diviene complice della voglia di scartare Dio.
Capite allora che quel che conta è non perdere il rapporto con Dio, il rapporto vivo con Gesù. È custodire o ritrovare un amore di fanciullo per Gesù; far nostro il modo di seguire Gesù di un bambino. Come il giovane Carlo Acutis, la cui mamma ci ha dato ieri una così bella catechesi.
Sono vivificate, accese da Satana che odia la purezza di cuore dei bambini e dei santi. Non sopporta la verginità di cuore dei piccoli. Le passioni soffocano l’amore tenero e fiducioso per Gesù…
Allora bisogna non esser ingenui. Occorre trovare i modi per custodire o ritrovare un amore di fanciullo per Gesù. E, qui, capite quanto sia preziosa l’adorazione eucaristica, i momenti che alimentano il cuore a cuore con Gesù; che ci fanno ritrovare il rapporto vivo e sano con Gesù. Una vera e pura amicizia, in cui si scopre che Gesù non è il nemico dello sbocciare della nostra vita, bensì Colui che ci fa veramente vivi, già in questa vita e poi nell’eternità. Senza di lui, siamo veramente dei disgraziati! Senza di lui avviene quel che scrisse il giovane Carlo Acutis: «Tutti nasciamo come degli originali, ma molti muoiono come fotocopie»
I momenti che trascorriamo dinanzi al Santissimo Sacramento possono essere momenti non facili, con distrazioni e tentazioni, ma sono momenti che fanno ritrovare la dolce e vera intimità con Gesù, perché ci esponiamo a Lui. Esponiamo il nostro cuore alla radioterapia del Risorto vivo nell’ostia consacrata. Sono momenti di missione in cui ci uniamo a Gesù per lodare, per piangere ed intercedere per il mondo, per sperare, per amare. Non sono dei momenti di ripiegamento sulla «nostra» spiritualità: è il mondo che portiamo con Gesù al Padre. Sono momenti che riaccendono in noi il fuoco della carità, il desiderio di farci vicini agli altri, di servire gli altri…
Come diceva ieri P. Bernardo, bisogna fermarsi. Citava Benedetto XVI in una sua visita ai certosini nel 2011. Diceva: «Ritirandosi nel silenzio e nella solitudine, l’uomo, per così dire, si “espone” al reale nella sua nudità, si espone a (un) apparente “vuoto” (…), per sperimentare invece la Pienezza, la presenza di Dio, della Realtà più reale che ci sia, e che sta oltre la dimensione sensibile.»
Davvero, se non ci fermiamo nella preghiera, perdiamo il senso della Presenza di Dio.
Ma se ci fermiamo regolarmente, troviamo e ritroviamo la gioia dei bambini che si fidano di Gesù. Una nonna mi diceva di recente di essere meravigliata dinanzi al nipotino perché parla di Dio, di Gesù, con la più grande semplicità… Il nipotino insegna alla nonna… Come la mamma di Carlo Acutis è stata catechizzata da suo figlio, morto poi a 15 anni. Carissimi, «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato». (Mc 9,37) Ecco il Vangelo nella sua bellezza!
1 Il poema dell’uomo Dio – Vol. V, p.301
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giovedì 20 settembre 2018 - XXIV settimana TO - 1 Co15,1-11 – Lc 7,36-50 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
spesso si ha voglia di immaginarne il seguito. E ci si chiede: il figlio maggiore entrerà o no nella festa? Ci si potrebbe anche chiedere: il figlio minore, detto «figliol prodigo», come si comporterà nella festa e dopo?
Avrà l’atteggiamento del servo senza pietà (Mt 18,23-35) che è incapace di accogliere l’amore del padrone che gli ha condonato un debito enorme?
Oppure avrà l’atteggiamento di chi accoglie veramente il perdono?
Da che cosa si riconosce che uno ha veramente accolto il perdono? Da una cosa: l’amore!
Se il perdono raggiunge la profondità dell’anima, nasce un amore grande, anzi immenso.
È quello di cui siamo testimoni oggi nella casa di Simone. È entrata una donna, una peccatrice, una che ha « molto peccato », dice Gesù. Non dubito che sia Maria di Magdala.
La Maddalena chiaramente ha scoperto chi è Gesù. Ha capito che quest’uomo, questo rabbi, è uno che porta il perdono, cioè la remissione dei peccati. È uno che ti porta il perdono di Dio. Avrà sentito Gesù parlare? Avrà sentito Gesù parlare di misericordia? L’avrà sentito raccontare la parabola del buon pastore?(Gv 10,1-6)
In ogni modo ha capito. Il suo cuore ha capito da una parte il dramma del suo peccato, della sua sensualità, della lussuria, della violenza insita nella lussuria. E, inseparabilmente, ha capito che Gesù è Colui che ti assolve, che ti perdona. Per questo viene. Entra nella casa del fariseo. Chissà che non fosse abituata ad entrare in quella casa? Comunque la gente l’ha lasciata entrare ed entrare dove le donne non entravano…
Entra e manifesta per Gesù un amore immenso. Ascoltate come lo racconta Gesù: « Mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli; Da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi; E mi ha cosparso i piedi di profumo.» (Cfr Lc 7,44-46) Una tenerezza splendida. Gesti belli e casti. Molto belli e molto casti. Sono l’espressione di… Di che cosa? Per il fariseo, preso dall’invidia e dalla sensualità, sono l’espressione della sensualità, della ricerca del piacere, del potere della carne. Per Gesù…no! Gesù riceve quei gesti per ciò che sono nel cuore della Maddalena: gesti di pentimento e di amore. Ama profondamente Gesù. Ama in risposta all’amore che ha percepito in Lui. Gesù non è insensibile alla tenerezza, ma la purezza del suo cuore non si appropria della donna. Non vuole farne un oggetto, uno strumento. Non approfitta della sua debolezza. Al contrario pone su di lei uno sguardo che la libera. Finalmente un uomo che la conduce alla libertà… La lussuria genera nebbia interiore, fa perdere la chiarezza dello sguardo, del discernimento, della percezione della realtà. La castità invece permette di vederci chiaro, e quindi di amare veramente.
Che grande amore nel cuore della Maddalena! Il perdono ha fatto sì che nel luogo del peccato venisse a sgorgare l’amore. Chi dei due debitori della parabola amerà di più il padrone che ha condonato ad entrambi il loro debito? «Colui al quale ha condonato di più.» (Lc 7,43) È stupendo questo! Chi ama di più è colui che più ha peccato! Il che vuol dire che se veramente accogliamo il perdono di Gesù, scaturirà dal nostro cuore un grande amore. Vuoi amare? Ma amare veramente? Allora affrettati ad andare a confessarti! La misericordia di Gesù farà nascere l’amore. Trasformerà l’amarezza del peccato nella bellezza dell’Amore. Ecco il grande miracolo che compie Gesù. Là dove abbonda il peccato, sovrabbonda l’amore! Ma a patto che accogliamo veramente, col cuore, la potenza della croce, la potenza del perdono di Gesù. Allora il figlio prodigo che sono io entra pienamente nella festa, e tutta la sua vita diviene festa!
«La tua fede ti ha salvata; va' in pace!» (Lc 7,50)
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sabato 15 settembre 2018 - Beata Vergine Maria Addolorata - Eb 5,7-9 – Gv 19,25-27 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Giovanni vide una donna. Una donna, rivestita di sole, gloriosa, che gridava nel dolore di un parto misterioso. Chi è questa donna di cui viene detto che partorisce non un neonato, non un bimbo, ma un figlio adulto? (cfr Ap. 12,5) In un parto violentemente contrastato dal drago, da Satana, che, incapace di ingoiare il Figlio, è inferocito contro la donna e coloro che si schierano con Lei.
È Maria. Maria nel mistero pasquale, quando viene l'ora in cui la grande spada trafigge l'anima sua. Fu più di una ferita. Fu una messa a morte, nell'anima sua. Perdere il proprio figlio. Perdere il proprio Dio. Separazione insopportabile. Tutto in Lei, corpo, psiche, anima, grida. Avvenne quello che non sarebbe dovuto mai avvenire, ma che era necessario per la salvezza della famiglia umana. Il suo cuore immacolato non le risparmia il dolore dell'anima. Lo rende infinitamente più straziante.
Chi può raccontare l'Amore della Vergine per il Figlio? La separazione è impossibile. Sono un'anima sola, un cuore solo. Eppure Ella sa di dover attraversare per noi questa passione. Esserci. Unirsi alla Passione del Redentore. Acconsentire al patire del Figlio, abbandonato da Dio, in una solitudine che non si può descrivere. E acconsentire alla propria estrema solitudine. Spoliazione radicale dell'anima. L'umano è spogliato di tutto … Non rimane che l'amore. L'anima è in kenosis: niente, niente, niente. In Lei si apre un varco, un abisso d'amore, un nuovo seno materno capace di accogliere l'umanità intera in una maternità sconfinata: “Ecco tuo figlio!” (Gv 19,26) Non è una sostituzione al Figlio morente. E' un ricevere lo stesso Figlio Gesù ricevendo nel grembo suo miliardi di volti. Maternità costosa. Maternità dolorosa.
Oggi più dolorosa che mai. Perché da quando l'uomo fa a meno di Dio, da quando l'uomo si fa Dio, da quando l'uomo pretende di essere il Dio della vita, della morte e dell'identità sessuale, il Dio del creato, il Dio degli dei, Iddio amplifica la missione della madre per soccorrere questa nostra umanità drammaticamente in pericolo di morte eterna.
Mater misericordiae. Madre di misericordia, ella oggi non cessa di dare segni della sua maternità. E ci invita a schierarci con lei nella lotta per le anime. Non è una devozione. E' la grande Opera di misericordia del nostro tempo.
L'unica nostra speranza è Gesù, unico Redentore. Ma questa speranza ha un volto, il volto materno di Maria di Nazareth. Al Suo Cuore ci siamo consacrati per far risplendere quaggiù la via dell’unica vera speranza: “Ecco tua Madre!” (Gv 19,27)
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martedì 11 settembre 2018 - XXIII settimana del tempo ordinario - 1 Co 6,1-11 – Lc 6,12-19 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
«Ne scelse dodici ai quali diede anche il nome di apostoli»: (Lc 6,13) Simone, Andrea, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo, Simone, Giuda e Giuda Iscariota.
Una cosa colpisce subito: Gesù scelse dodici uomini. C'erano tante donne vicine a Gesù, donne di grande fedeltà, di grande generosità, cioè di grande amore, e soprattutto di grande fede. Eppure Gesù scelse come suoi apostoli dodici uomini.
Non è per convenienze sociali, perché Gesù dimostra una grande libertà nei confronti dei costumi del suo tempo. Basti pensare all’attenzione data ai bambini o alla sua libertà nei confronti, appunto, delle donne. Non temeva di esser anche solo con una donna, ad esempio nel suo incontro con la donna di Samaria.
Scelse quindi liberamente dodici apostoli maschi. Cosa ci insegna questa scelta?
La prima cosa è molto semplice. Gesù è un uomo. Lo è pienamente. Ha assunto pienamente la sua mascolinità, nel modo di essere, nel lavoro, nel seminare la Sua Parola, nelle tradizioni ebraiche. Per essere suoi ambasciatori nei secoli a venire, sceglie degli uomini, il che significa che la realtà dell’incarnazione non è una messa in scena, o una realtà effimera o passeggera. Gesù rimane nella sua umanità, anche quando viene glorificato. Nella gloria, non ha perso la sua mascolinità. Non è mai stato e non è mai divenuto una specie di essere para-umano senza sesso. I suoi apostoli sono come sacramenti di Gesù anche nella sua umanità, perché Gesù ha preso per sempre la nostra condizione umana.
La seconda osservazione deriva dalla storia biblica. Nel suo rivelarsi, Dio ci ha insegnato che Egli è per noi, per il Suo popolo, il vero Sposo. La nostra umanità, pur ferita, pur peccatrice, è per il Dio d’Israele la sposa diletta. Gesù l’ha confermato fin dalle nozze di Cana. Ci ha fatto capire che la pienezza delle nozze di Dio con l’umanità tutta intera è avvenuta nella Sua persona. Ci ha sposati! Ha scelto di diventare uomo per sposarci. E le nozze sono state consumate sulla croce e nella gioia della risurrezione. Scegliendo degli uomini per fare le sue veci, Gesù ci fa capire¸ che queste nozze non sono un ricordo del passato: avvengono oggi! Oggi Gesù ci sposa… e ce lo fa vedere “rapendo”, se si può dire, degli uomini perché siano i segni vivi della presenza viva di lui, lo Sposo!
Chi sono allora gli apostoli, i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, sposati o meno? Sono come il sacramento di Gesù uomo e sposo che si consegna, che dona la vita a tutti… Gesù dona il Suo corpo, dona il suo sangue, dona il seme della sua Parola… La «gerarchia» quindi non è un potere sugli altri, una gloria umana: questo, quando avviene, è una vera e propria maledizione per il popolo di Dio e per tutta l’umanità. La «gerarchia» nel senso originale significa che a capo del popolo vi è qualcosa di santo, cioè di traboccante di amore. Vuol dire che Gesù dona la Sua grazia a degli uomini perché siano servi, servitori, seminatori, …. così che tutti abbiano la vita.
Loro – noi – siamo stati scelti perché tutti sono scelti. Siamo stati scelti perché tutti sappiano di esser scelti. Per dirlo in termini da addetti ai lavori, il sacerdozio ministeriale è a servizio del sacerdozio naturale e del sacerdozio battesimale dei fedeli.
Che gli apostoli siano solo uomini è visto da non poche persone come un'ingiustizia. In realtà, è una buona novella: le nozze avvengono oggi! Siamo tutti scelti, tutti sposati! Gesù è vivo e vuole rendersi presente, tra tanti altri modi, attraverso degli uomini che sono canali del traboccare del suo cuore. È questo che faceva dire al curato d’Ars, Jean-Marie Vianney: « Le sacerdoce, c’est l’amour du cœur de Jésus », il sacerdozio non è altro che l'amore del cuore di Gesù...
Ringraziamo il Signore per i santi sacerdoti e vescovi che ha messo sul nostro cammino… E preghiamo perché oggi i vescovi ed i sacerdoti non si scoraggino con la messa in luce nel clero di tanti misfatti e scandali talvolta gravissimi…
Carissimi, date tanto amore ai sacerdoti e pregate tanto per loro così che essi lascino traboccare dal loro cuore il tesoro meraviglioso che vi appartiene!
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Domenica 2 settembre 2018 - XXII Domenica del Tempo Ordinario (B) - Dt 4,1..8 – Gc 1,17..27 – Mc 7,1..23 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Siamo di nuovo nel Vangelo di Marco. C'è già stato, da poco, un primo viaggio di Gesù fuori dalla Terra Santa, nella Decapoli. Ora siamo alla vigilia di un secondo viaggio, quello nella regione di Tiro.
Gesù deve preparare i discepoli a quest’avventura fuori dalle frontiere religiose, ben definite… Dovranno allargare il cuore, allargare lo sguardo… entrare in un respiro religioso ampio, aperto, pieno di amore e di compassione.
Cosa fa Gesù? Gesù approfitta di una domanda dei farisei e degli scribi che sono scandalizzati perché i suoi discepoli non si lavano le mani prima di mangiare, letteralmente di «mangiare il pane». Infatti essi sono eredi di una quantità innumerevole di prescrizioni, di osservanze…
Cosa dice loro Gesù? Gesù si riferisce alla Parola di Dio, al Profeta Isaia.
«Questo popolo mi onora con le labbra,
Ci sono qui due osservazioni. La prima sulla liturgia: la vostra liturgia è vana, è vuota, non ha senso, perché il vostro cuore è lontano da me Quello che fa la verità, il senso, della liturgia non è il moltiplicare i riti, i canti, i sacrifici, ma è la prossimità del cuore. La liturgia vissuta col cuore ripiegato su noi stessi non ha senso. È vuota. Ha senso la liturgia vissuta col cuore che accoglie la vicinanza di Dio ed entra nella vicinanza con gli altri. Ecco... dov’è il tuo cuore?
Inoltre Gesù, attraverso la citazione di Isaia, osserva una seconda cosa. Insegnano, dice, «dottrine che sono precetti di uomini». Si insegna a nome di Dio…ma in realtà si tratta di precetti umani! E Gesù insiste: «Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini.» (Mc 7,8) E insiste una terza volta: Voi annullate la Parola di Dio con le vostre tradizioni. (cfr Mc 7,13)
Questo discorso va capito bene. Capita che noi cerchiamo di togliere alla Parola di Dio la Sua autorità … Come? Creando, inventando dei precetti religiosi. È come un modo di scappare dall’obbedienza a Dio. Siamo noi che definiamo quello che si deve fare per piacere a Dio…. È interessante, perché non è che si cerchi una via meno impegnativa sul da farsi. Al contrario: si aggiungono tanti precetti! Ma è una via meno impegnativa nel cuore, perché siamo noi uomini che la inventiamo… e scappiamo dall'obbedienza a Dio!
Oggi dobbiamo porci una domanda: come persona, come comunità, come Chiesa, abbiamo inventato delle prescrizioni, dei riti che non vengono dall’amore obbediente a Dio, bensì dalla voglia di decidere noi quel che piace a Dio? È come una chiamata a tornare all’essenziale della Parola di Dio… Sei Tu, Signore, e solo Tu che puoi dirci cosa ti piace, cosa aspetti da noi!
Gesù poi entra nello specifico del lavarsi le mani. La posta in gioco è quella della purezza. Cercare la purezza significa darsi da fare per non essere bruciati dalla santità di Dio. Vuoi vegliare sulla tua purezza? Bravo! Ma la purezza non si perde mangiando questo o quel cibo. Non si ottiene lavandosi con l’acqua… La purezza si perde con quello che fuoriesce dal nostro cuore.
Capire questo per un fariseo implica una conversione radicale! Il pericolo non è esterno! Il pericolo è dentro di noi, nel cuore. È quindi una chiamata a vigilare sul proprio cuore. Invece di preoccuparci dell’apparenza, preoccupiamoci del cuore!
Cosa sta germinando in questi giorni nel mio, nel tuo cuore? Se lasciamo che vi germinino semi d’invidia, l’invidia invaderà la nostra vita. Se lasciamo che vi germinino semi di lussuria, la lussuria invaderà la nostra vita. La purezza, la possibilità di esser in Dio, non viene da un battesimo esteriore, ma dal battesimo di tutto il nostro essere, a partire dal nostro cuore. Non viene dalla sola acqua! Viene dall’essere lavati dal Sangue e dall’Acqua che zampillano dal cuore di Gesù! Allora, possiamo «mangiare il pane», cioè partecipare alla mensa eucaristica, entrare in comunione con il Signore e con gli altri.
Ecco… cosa possiamo ritenere di questo Vangelo? Una chiamata a tornare all’essenziale della Parola di Dio. La Parola di Dio senza additivi, senza coloranti… la Parola «bio» !! E insieme, una chiamata a tornare al cuore. La Parola di Dio ed il tuo cuore… Bisogna quindi disfarsi di ciò che impedisce il contatto tra la Parola di Dio ed il cuore. E tenere tutto ciò che favorisce questo contatto… In altri termini, occorre esporre il proprio cuore alla Parola, senza contraccettivi spirituali! Abbiamo sentito nella seconda lettura : «Per sua volontà (Iddio) ci ha generati per mezzo della parola di verità, per essere una primizia delle sue creature.» (Gc 1,18) Esporremo il nostro cuore alla Parola di Dio così che una nuova vita, un nuovo modo di vivere possa nascere in noi.
La Parola di Dio non è un seme morto, un oggetto da museo… È un seme vivo. La Parola di Dio è più viva di quanto sono vivo io! Anzi, sono vivo nella misura in cui accolgo la Parola e lascio che Ella mi dia vita!
Mosè, nella prima lettura, ci ha detto che la Parola di Dio ci dona una saggezza ed una intelligenza incomparabili… (cfr. Dt 4,6) Sono la saggezza e l’intelligenza del cuore, la saggezza e l’intelligenza dell’amore, al punto che «Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo.» (Gc 1,27) Religione pura e senza macchia è prendersi cura di chi è nella solitudine, di chi vive nella solitudine umana e di chi vive nella solitudine dell’anima, di chi non conosce l’Amore di Dio…
Ecco quello che scaturirà del contatto vivo del nostro cuore con la Parola di Dio: l’Amore reciproco… che è il cuore della Parola di Dio, l’Unico comandamento… Ama e fa' quello che vuoi!
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Domenica 29 luglio 2018 - XVIIma Domenica del Tempo Ordinario Anno B - Badia Fiorentina - un monaco della Badia
Siamo sempre nel dinamico del vangelo di domenica scorsa, di Gesù commosso di compassione per la folla che lo seguiva fino al luogo in disparte con i discepoli. La gente era stanca e pareva a Gesù come pecore senza pastore, per questo la ristora nutrendola, il cuore e il corpo, cioè con la Parola e poi col pane. Si mise a insegnare loro molte cose dice Marco prima di moltiplicare per loro il pane. Il suo racconto però è molto breve per rendersi conto di questo insegnamento di molte cose. Per questo la liturgia interrompe la narrazione di Marco e prende quello di Giovanni sul pane di vita che ascolteremo le prossime 4 domeniche di agosto. Dove potremo comprare pane dice Gesù a Filippo. Ci ricorda la domanda della Samaritana... da dove prendi l’acqua viva che diventerà in me sorgente d’acqua che zampilla in vita eterna? Quella di Nicodemo... da dove verrà questo soffio di vita che farà nascere di nuovo? Di colui che dirigeva il banchetto di Cana... da dove viene questo vino buono che hai tenuto da parte finora? Da dove può venire il pane che può saziare tanta gente? Perché carissimi c’è pane e pane. C’è il pane che si vende e si compra, per il quale gli uomini si litigano, per il quale ci si arriva perfino a togliere la vita. Non certo di questo pane parla Gesù. O piuttosto è lo stesso pane ma percepito, ricevuto diversamente. Nello stesso modo che il pane della nostra tavola e sostanzialmente lo stesso della tavola eucaristica, ma percepito, ricevuto diversamente. Perché questo discorso di Gesù sul pane è un insegnamento sull’Eucarestia, sulla vita che vuole donare agli uomini per mezzo dell’Eucarestia. E per vivere sempre più di questa, la liturgia ce la spiega sempre più, ci fa entrare sempre più nel mistero del pane ricevuto e condiviso. Nel senso primario, il pane è tutto ciò di cui abbiamo bisogno in questo mondo servono per mantenere la vita. Questo è vero per tutti esseri viventi, vegetali e animali. Per l’uomo però, un senso più profondo del pane lo mette da parte da tutti gli altri viventi. Il pane non è solo per mantenersi in vita, ma anche per condividerla. Il pane e tutto ciò che l’uomo riceve dalla provvidenza servono prima di tutto per essere in legame con il donatore di tutto e con gli altri. Se nel primo caso il pane si ricerca, si ammassa per rimanere in vita il più lungo possibile, nel secondo caso il pane si riceve, si dona per amore e così vivere della vera vita. Perché la vita dell’uomo è ben più che la vita fisica. Lo sappiamo bene, qualcuno può avere granai strapieni di riserve eppure morire di fame perché non ha appetito, è anoressico. Perché la vita dell’uomo è nella relazione con l’altro e l’Altro. Nello stesso modo che il neonato non vive solo di latte, ma di tutte le parole che escono dalla bocca della mamma e del babbo, delle loro carezze, così l’uomo non vive di solo pane ma di tutta parola che esce dalla bocca del suo Dio. Da' quei pani da mangiare alla gente dice Eliseo nella 1ma lettura. Gesù prese i pani e dopo aver reso grazie li diede alla folla. Quando il pane e tutt’altro bene in questo mondo è ricevuto nel ringraziamento (1Tm 4,3), ci ricongiunge alla sorgente di tutto bene e della vita. Il pane e tutto bene diventano ciò che sono in realtà, vettori, trasmettitori della vera vita. Per questo il cristiano non può prendere i pasti senza rendere grazie, dire il “benedicite”. Marco e Luca aggiungono poi un dettaglio rilevante sul modo di ricevere questo pane. Gesù fa sedere la folla in gruppi di 50 o 100. Come per sottolineare che la vita che dà Gesù è da condividere in gruppi. Questo pane non è da ricevere da soli oppure essendo perduto in una massa di 5 mila persone anonime. Lo si riceve insieme con persone che si può conoscere se non per nome almeno di viso. Perché questo pane si riceve dal Padre per scoprire gli altri come fratelli e sorelle. C’é dunque pane e pane ricevuto-condiviso. Quest’ultimo non è solo sorgente di vita fisica ma anche della vera vita. Annunciato dalla manna nel deserto, questo pane scende dal cielo. Ci viene dal Figlio che riceve tutto dal Padre e condivide tutto con i fratelli. Non è da comprare, né da vendere, perché come l’amore non ha prezzo, piuttosto è al prezzo della vita del Dio fatto uomo. Non è nemmeno da meritare, è da ricevere gratuitamente come dono, espressione d’amore. Quel ragazzo del nostro vangelo che ha dato il poco che aveva, ma tutto che aveva è infatti immagine di Gesù stesso. Pur insignificante agli occhi di tutti... che cos’è questo per tanta gente dice Andrea, questo piccolo dono ha scatenato il dono spettacolare della moltiplicazione dei pani. Primizie e annuncio del dono che Gesù farà di se stesso all’ultima Cena e sulla Croce. Dono che sarà tramandato nel tempo e nello spazio per mezzo del sacramento dell’altare che riceviamo fra poco. Dall’Eucarestia riceviamo non solo la vita ma impariamo anche il principio della vera vita che può ravvivare, rinvigorire tutti i settori della vita. Prendiamo ad esempio le vacanze, il tempo di riposo che noi stiamo per prendere oppure alcuni hanno già preso. Da una parte possiamo viverla al livello primo, cioè come tempo di riposo ben meritato, vacanze costose per essere tranquillo da qualche parte in capo al mondo, lontano dal solito della vita quotidiana. Ci si ristora fisicamente, ci si ricarica le batterie... e poi al rientro spesso ci si ritrova esaurito ben presto in autunno e non si vede l’ora per prendere le prossime vacanze. Oppure possiamo vivere le vacanze come un dono, riceverla nel ringraziamento, nella lode di Colui che ci ha dato la vita, il mondo, tutte le belle cose che ammiriamo, di cui godiamo. Viverla magari più semplicemente e non necessariamente partendo lontano nei posti esotici. Sopratutto viverla assieme con le persone che contano davvero nella vita, anche se ciò significa sopportare il nonno brontolone, la zia irritabile, cugini rompiscatole... Condividere le piccole semplici gioie della vita, vivere le vacanze per rinsaldare amicizie, vivificare i legami vitali con i cari, familiari. Vissute così le vacanze ricaricano non solo il corpo ma anche il cuore perché ci fanno tornare all’essenziale, vissute così le vacanze ci ricollegano alla sorgente della vita.
Possa il tempo estivo, possa già questa
Eucarestia essere per noi una ricostruzione interiore,
restauro del cuore e dell’anima nel Signore.
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Domenica 22 luglio 2018 - XVI Domenica T.O. - Ger 23,1-6 – Ef 2,13-18 – Mc 6,30-34 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Vediamo i dodici apostoli appena tornati dalla missione. Gesù li ha mandati a due a due, ed ora ascolta il loro racconto. Ecco, ad esempio, Pietro e Filippo o Giuda e Giacomo che raccontano quel che è avvenuto durante la missione, ossia due cose: «quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato». (Mc 6,30)
Quello che hanno fatto sono i segni del Regno che hanno compiuto: guarigione di malati, guarigione di lebbrosi, liberazione di indemoniati, e, chissà, risurrezione di morti, i segni che manifestano che Dio è entrato in modo nuovo nella nostra realtà umana, portandovi vita e liberazione. Quello che hanno insegnato sono le catechesi che hanno dato, annunziando che il Regno è vicino. Non sono più il male, la violenza, l’invidia, l’egoismo e tutte le forme di malvagità ad avere l’ultima parola sulla nostra storia, bensì l’Amore del Dio d’Israele che si è fatto concretissimo nella persona di Gesù di Nazareth.
Raccontano così a due a due quello che hanno vissuto. Si vede quindi come sono stati capaci di collaborare alla missione, come il dono dello Spirito si è manifestato in modo diverso nell’uno e nell’altro: chi è stato di più strumento dei segni del Regno, chi è stato di più strumento dell’annuncio. E Gesù ascolta… Non posso non pensare alla reazione di Gesù al racconto dei settantadue nel Vangelo di Luca: «Non rallegratevi (…) perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli». (Lc 10,20) Poi Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse :« Ti rendo lode, o Padre,... perché hai nascosto le cose del Regno ai sapienti e ai dotti e le ha rivelate ai piccoli.» (cfr. Lc 10,21)
Una cosa è certa: l’ascolto profondo da parte di Gesù. Gesù ascolta le gioie come le angosce dei discepoli…
Carissimi, credo che questa pagina evangelica sia per noi un invito a fare esattamente come gli apostoli… Siamo a fine luglio, alla fine, cioè, di un anno pastorale, e sarebbe una cosa splendida che ciascuno di noi, o meglio a due a due, raccontassimo a Gesù come abbiamo svolto la nostra missione quest’anno.
Tutti siamo «discepoli missionari», anche se le chiamate sono molto diverse. Quindi tutti possiamo – dovremmo – fermarci e rivolgerci a Gesù per raccontargli «quello che abbiamo fatto e quello che abbiamo insegnato». (cfr. Mc 6,30) In questi undici o dodici ultimi mesi, ecco, Gesù, come ho svolto la mia missione, la nostra missione. Raccontare, semplicemente… Come sarebbe gradito a Gesù! Potrebbe essere un bell'impegno per le prossime settimane, vero?
Per dare a questo racconto, a questa rilettura, una maggiore profondità, vi propongo di cogliere nella Parola di Dio di oggi tre domande.
Cominciamo dal Vangelo. Marco ci dice che «Sceso dalla barca, Gesù vide una grande folla, ed ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.» (Mc 6,34) Gesù vide la folla ed ebbe compassione, cioè fu commosso nelle sue viscere materne… Gesù non scarta la realtà dolorosa del suo tempo, non chiude gli occhi, e neppure si abitua al dolore delle folle. Ebbe compassione. E Marco, per farci capire il dolore di Gesù, riprende un'espressione già usata da Mosè, ormai anziano, in una sua preghiera. Egli disse al Signore: «Il Signore, il Dio della vita di ogni essere vivente, metta a capo di questa comunità un uomo che li preceda nell'uscire e nel tornare, li faccia uscire e li faccia tornare, perché la comunità del Signore non sia un gregge senza pastore» (cfr. Num 27,15-17)
Si tratta per noi di avere quegli stessi sentimenti di Mosè e poi di Gesù, cioè di avere a cuore la sorte degli altri. Perché delle «pecore senza pastore» sono delle pecore che in breve moriranno di fame, di sete, o saranno preda della violenza di animali selvatici.
Quest’anno che sguardo ho posto sulle folle di oggi? Di indifferenza o di compassione? La testa nella sabbia oppure gli occhi e i cuori aperti? Mi sono preoccupato della salute fisica e mentale degli altri? Della loro sorte eterna?
La seconda domanda la possiamo ricavare dalla Lettera di Paolo agli Efesini. Paolo, oggi, ci insegna come Dio ha operato per demolire il muro più terribile, più letale, che ci sia: il muro che i credenti in Dio costruiscono per separarsi dagli «atei» come dice Paolo (cfr. Ef 2,12) È un muro terribile perché si edifica con delle certezze religiose, e quindi delle certezze molto salde…
Cos’ha fatto Gesù? «Ha abbattuto questo muro di separazione (…) per mezzo della sua carne.» (cfr. Ef 2,14) I credenti che pensavano di meritare la salvezza con le loro opere, e gli atei che erano senza Dio, senza Cristo, Gesù li ha attirati a sé. Paolo usa poi un verbo molto forte: Gesù crea! «Ha creato in sé stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace.» (cfr. Ef 2,15) Non che gli atei debbano diventare dei credenti che meriteranno la salvezza… No! È una nuova creazione, un dono gratuito di Dio attraverso la morte e la risurrezione di Gesù. E ci sarà un solo popolo, un solo ovile, un solo Pastore. Saremo una cosa sola in Lui. Anzi, siamo già una sola cosa in Gesù, e ci spetta di diventare ciò che per grazia già siamo!
Quest’anno ho posto sul mondo questo sguardo di speranza? Mi sono lasciato afferrare dal desiderio che diventiamo per grazia un solo popolo, con tutti, con chi oggi non crede, non ama, non spera? Mi abita questa speranza che diventiamo una cosa sola?
Ecco, quindi, due domande: Ho avuto uno sguardo di compassione? Ho avuto uno sguardo di speranza?
Da queste due domande deriva la terza. Cosa fa Gesù quando arriva sulla riva del lago, nel posto dove voleva portare i suoi apostoli a vivere un sabato lontano dall'ostilità dei farisei e vede una grande folla che lo aspetta?
Aveva detto: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po'». (Mc 6,31) E il luogo deserto è gremito di «una grande folla» …
Cosa fa? Va via? Li caccia? Li fa aspettare? «Si mise a insegnare loro molte cose.» (Mc 6,34)
Gesù, cioè, rinunzia ai suoi progetti anche più generosi, per rendersi disponibile a chi è bisognoso. La sua vita non è imprigionata dentro dei precetti o dei progetti… La sua vita è donata… È il Buon Samaritano che si lascia deviare per prendersi cura del prossimo, anche nel modo più inaspettato…
Ed io, quest’anno, ha avuto questa flessibilità, questa docilità dell’amore? Mi sono lasciato deviare dalla compassione? Mi sono lasciato spiazzare dalla speranza?
Carissimi, ecco ciò che possiamo raccontare a Gesù. Prima nel cuore a cuore, poi, magari, col padre spirituale, con un amico, … Racconta a Gesù la bellezza della tua esperienza. Raccontagli come la Sua grazia ha così bene operato in te, come nei tuoi fratelli e nelle tue sorelle. Ma prima in te… Non chiudere gli occhi sulla bellezza della tua vita di battezzato, di testimone… Poi potrai pure raccontare a Gesù le tue resistenze, le tue chiusure, i tuoi tradimenti. Non quelli degli altri… i tuoi.
Racconta… trova il tempo di raccontare… E sentirai Gesù che ti dirà: «Vieni in disparte, noi due soli, in un luogo deserto, e riposati un po'». (cfr. Mc 6,31) Riposati sul mio cuore. Riposati nella mia misericordia. Riprendi forze nuove nel mio cuore, perché, fra poco, vi invierò di nuovo verso la folla delle pecore senza pastore…
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giovedì 19 luglio 2018 - XV settimana T.O. - Is 26,7-9.12.16-19 – Mt 11,28-30 - Badia Fiorentina -f. Antoine-Emmanuel
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi.» (Mt 11,28) Letteralmente: «venite a me, voi tutti che siete stanchi e sotto un fardello…» Nel contesto ebraico del tempo di Gesù, era chiaro che l'espressione si riferisse al fardello dei precetti, dei moltissimi precetti che gli scribi, i farisei insegnavano al popolo.
Una moltitudine di precetti non è ciò che richiede la vita monastica? Tu devi esser puntuale alle 6.30, alle 12.30 e alle 17.30. Tu devi preparare bene i libri per le liturgie. Tu devi osservare il silenzio a tale e tale momento, in tale e tale luogo. Tu devi obbedire al priore, alla priora. Tu devi chiedere perdono ogni settimana per le tue mancanze. Tu devi esser casto col tuo corpo, come col corpo altrui. Tu devi chiedere i soldi all’incaricato. Tu non devi avere soldi propri…. Ecc…
un po’ per idealizzazione, un po’ per la certezza che «ce la farò», ed un po’ per la speranza di guadagnare meriti…
Ma, col passare degli anni, il fardello può farsi pesante. Non ce la faccio più… ho bisogno di autonomia... … non corrisponde all’anelito della mia anima che vuole una libertà spirituale… Poi vedo i miei coetanei che sembrano esser talmente più liberi di me! E… la società non cessa di esaltare l’auto-realizzazione. Allora… comincia un combattimento interiore tra la sete di auto-realizzazione e il desiderio di Dio, il desiderio di Dio nel duplice senso del mio desiderare Dio, e del desiderio che Dio ha di me. Da una parte c’è la voglia di autonomia psichica, dall’altra c’è l’anelito profondo dell’anima assetata di Dio.
E qui entra in gioco il Vangelo odierno: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero». (Mt 11,28-30)
«Venite a me» …. volentieri! «Prendete il mio giogo sopra di voi» … No! No… finché non capiamo cos’è il giogo di Gesù! Innanzi tutto è il giogo che Gesù per primo ha portato: ha dato sé stesso per me, per noi, per amore, per salvarci. E' il giogo del suo morire abbandonato sulla croce. Il giogo dell’amore che si spoglia totalmente di sé per dare vita all’altro. Il giogo dell’amore che è di per sé rinuncia a sé stesso….
Prendere noi questo giogo significa obbedire all’unico comandato di Gesù: «Amatevi gli uni gli altri, come ho amato voi.» (cfr Gv 15,12) Non è un «tu devi» in più rispetto a tutto l’elenco già fatto. Non è neppure un cancellare tutto quell’elenco. È avere come unica legge l’amore, che dà senso, che dà luce, che dà forza a tutti i doveri della vita monastica. Tutto ciò che la vita monastica mi chiede ha per senso di adempiere fino in fondo il comandamento dell’amore. «Poiché la carità è il pieno compimento della Legge, l’esigenza dell’amore fraterno viene ad essere allora il compendio della tua vita monastica, come lo è della Legge e dei Profeti. Ad ogni istante interrogati dunque sull’amore, poiché sarai giudicato sull’amore3.» (Libro di vita di Gerusalemme, n.4)
Devo vivere il silenzio? Si! Per una legge fredda? No! Per amore! Per amore del Signore per ascoltare la Sua Parola. Per amore dei fratelli, per ascoltare la parola che essi sono. Per amore di me stesso, per non perdermi nei miei rumori interni. E così via…
Lo dico della vita monastica. Ma si può dire di ogni forma di vita cristiana.
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero». (Mt 11,28-30) Leggero perché Gesù lo porta con noi, lo porta per noi. È il Suo giogo… Rimarrà per sempre il Suo. Ma noi, per amore, lo portiamo insieme a Lui.
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mercoledì 18 luglio 2018 - XV settimana T.O. - Is 10,5..16 – Mt 11,25-27 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Si ferma e si rivolge al Padre: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.» (Mt 11,25-26)
Questo vuol dire che Gesù guarda quello che sta succedendo, legge la storia, a cominciare dalle vicende della sua missione.
Gesù guarda. Guarda quel che succede: il rifiuto da parte di tanti di riceverlo, l'apertura di alcuni. Guarda e vede che sono i piccoli, i « nepioi », i bambini, che accolgono il Regno, mentre i sapienti ed i dotti rimangono incapaci di aprire il cuore al Vangelo.
Gesù legge questi avvenimenti, questa realtà, e vede che è proprio Dio Suo Padre che nasconde queste cose ai sapienti e ai dotti, mentre le rivela ai piccoli.
La sua è una lettura della storia fatta nella fede: un vedere, un riconoscere come Dio opera dentro la storia.
Di essa abbiamo un controesempio nella prima lettura. Il popolo assiro non ha riconosciuto l’opera di Dio. Le sue vittorie sono un fatto accertato, concretissimo, ma essi hanno letto queste vittorie come il frutto della loro forza, della loro intelligenza. «Con la forza della mia mano ho agito e con la mia sapienza, perché sono intelligente; ho rimosso i confini dei popoli e ho saccheggiato i loro tesori, ho abbattuto come un eroe coloro che sedevano sul trono.» (Is. 10,13)
Il loro sguardo è puramente orizzontale, umano, piatto…. Manca loro lo sguardo della fede, che richiede di inginocchiarsi e di invocare lo Spirito di discernimento. Se avessero chiesto questo dono, avrebbero capito di essere solamente uno strumento della collera di Dio nei confronti del Suo popolo. La collera, cioè il ritirarsi di Dio era divenuto necessario perché Israele divenisse consapevole di essere su una strada di morte e non di vita. Ma questo non l’hanno visto. E la conseguenza della loro cecità è stata un drammatico «incendio di fuoco». (cf Is 10,16)
E noi? Siamo come gli Assiri? Oppure siamo capaci di fermarci, di inginocchiarci, e di chiedere il dono dello Spirito per leggere la nostra storia, la storia della nostra famiglia o della nostra comunità, la storia della Chiesa, del mondo?
Come Dio opera oggi nella mia vita? Che senso, che fecondità ha tale grazia, tale prova….?
Un giorno, una mamma stava pregando nella chiesa di San Giacomo a Medjugorje. Piangeva, e sussurrava: «Perché, Dio? Perché a me?». Pianse durante tutta la messa, perché aveva tre figli disabili ed era venuta a Medjugorje per chiedere la loro guarigione e per sapere perché Dio le avesse dato una tale croce. Man mano che pregava e che la messa si svolgeva, lo Spirito Santo operava in lei. Alla fine della messa, piena di gioia sussurrava: «Perché non a me? Perché non a me? Oh! Che posto! Questo è il più bel giorno della mia vita!» E poi raccontò: «Perché Dio non dovrebbe darmi questa croce? Se me la dà, vuol dire che secondo Lui sono in grado di portarla! Ha fiducia in me ed io confido in Lui. Lui mi aiuterà se la croce si fa troppo pesante. Non vedo l’ora di andare a casa e di baciare i miei figli. È una grande grazia averli!» (citato da : Mirjana Soldo, «Il mio Cuore trionferà», Ed. Dominus Production, p.391)
Ora spetta a noi fermarci e leggere la nostra vita… Saremo meravigliati, perché ci renderemo conto che l’Amore di Dio è all’opera molto più di quanto possiamo immaginare. Sta tessendo la nostra vita eterna, non la mia solamente, non la tua solamente, bensì la nostra…
Vieni Spirito Santo, donaci occhi per scoprire il modo divino con cui il Padre ed il Figlio insieme a Te, in Te, sono all’opera per guarire, ricucire, abbellire e salvare l’intera famiglia umana. Amen.
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Domenica 8 luglio 2018 - XIVma Domenica del Tempo Ordinario Anno B - Badia Fiorentina - un monaco della Badia
Da dove gli vengono queste cose? Dicono i Nazareni stupiti... non é costui il falegname? Sono sicuri di conoscere bene finora il loro compaesano senza sorprese. È cresciuto con loro, facevano insieme i pellegrinaggi a Gerusalemme, probabilmente gli avevano chiesto lavori come falegname. E poi d’improvviso... eccolo che compie guarigioni, miracoli, parla con autorità ... si parla di lui in tutto il paese. Da dove mai gli viene tutto questo? Si capisce il loro stupore, ma sembra eccessiva la loro reazione. Era per loro motivo di scandalo dice la traduzione liturgica, altri traduzioni esprimono più, erano profondamente scioccati, sconvolti. A tal punto che non potevano avere fede in lui, sono rimasti increduli. Non giudichiamo subito i Nazareni, non sono tutti testardi, duri di cuore, razza di ribelli di cui parla Ezechiele, cerchiamo di capirli un po’. Motivo di scandalo, la parola scelta da Marco ci ricorda la lettera di san Paolo... noi annunziamo Cristo crocifisso scandalo per i Giudei e follia per i pagani (1Co 1,23). È la pietra d’inciampo di fronte al mistero dell’Incarnazione. Infatti, già Nazareth non è un indirizzo buono... da Nazareth può mai venire qualcosa di buono ? diceva Natanael (Gv 1, 46). E poi c’è un altro senso per un Giudeo abitante in Israele che esercita un mestiere. Va bene, è normale per un Giudeo avere un mestiere quando si è in diaspora, ma quando si é in terra santa, non coltivare neanche un pezzetto di terra vuol dire che è spogliato dall’eredita dei padri, essere talmente povero di non poter redimerla. L’eredità, la terra dei padri, l’eretz Israel è molto importante per loro. Fare il falegname in terra santa era davvero una piccolezza. Mettiamoci al posto di questi Nazareni... come credere che Gesù fosse quello che dice... Il benedetto di Dio? Essere piccolo non è benedizione. Come credere che l’Altissimo viene fra gli uomini facendosi piccolo? In fondo l’uomo non ama essere piccolo, non gli piace la piccolezza. E se crede in Dio, crede in un Dio alla misura dei suoi desideri di grandezza. Un Dio onnipotente, maestoso, regale. Eccoci carissimi, la pietra d’inciampo di fronte al mistero dell’Incarnazione. Scandalo non solo per i Nazareni, i Giudei... ma per tutti gli uomini credenti di qualsiasi religione. A nessun credente piace un Dio piccolo, ultimo di tutti, debole. Non c’è interesse credere in un Dio piccino! Guardando bene, siamo davvero diversi dai Nazareni? Siamo migliori di loro? Sulla stessa pietra di scandalo c’incagliamo quando per esempio non ascoltiamo l’esortazione del nostro parroco alla conversione durante l’Avvento e la Quaresima... perché lui, lo conosciamo bene come le nostre tasche... conosciamo i suoi punti deboli, i suoi cambiamenti d’umore da pazzo... e così via. Ora... Dio non sceglie e non manda profeti e apostoli perché sono migliori dagli altri. Isaia era di labbra impure, Geremia non era abile nel parlare, Pietro traditore, Giovanni e Giacomo ambiziosi, Paolo persecutore... e così via fino a Charles de Foucauld che non era bravo come un chierichetto... ma la forza divina dice Paolo nella 2da lettura si manifesta pienamente nella debolezza umana. È una debolezza inevitabile la distanza tra la parola annunziata e la povertà, piccolezza degli annunziatori, la loro fatica, ferite, miserie. Superare la pietra d’inciampo, non scagliarsi su di essa ma accettarla come pietra angolare della salvezza, vuol dire prima di tutto andare oltre i nostri sogni di grandezza, accettare le nostre piccolezze e quelle degli altri, quelle di coloro che il Signore ci manda come apostoli. Vuol dire carissimi riconoscere la Parola di Dio che talvolta ci viene con la voce aspra, rauca di colui, colei che l’annuncia. E se diciamo questo dei laici nei confronti dei preti, si può dire la stessa cosa degli ecclesiastici. Qualche volta non ascoltano la parola profetica, oppure una idea ispirata dallo Spirito nei laici... perché non hanno fatto studi teologici, perché non spetta a loro dire questo o fare quello nella Chiesa... Da dove gli viene tutto questo? Che cosa è questa sapienza data a questi laici? Come osano parlare nel nome dello Spirito Santo, come se avessero una linea diretta con il cielo? Nei nostri giorni, chi sono i familiari di Gesù, chi sono coloro della sua patria? Non è forse la Chiesa, noi? Dobbiamo ammettere che oggi come nel passato, talvolta gli atti di fede luminosi, prodigi miracolosi avvengono fuori dagli ambienti ecclesiastici ufficiali. Accadono spesso fra i piccoli credenti, in questi movimenti oppure nuove comunità marginalizzate da coloro che sono nella Chiesa e la sua tradizione da sempre. Qual è questa mancanza di fede che impedisce a Gesù di dispiegare la sua potenza ancora nei nostri giorni? Talvolta si tratta dall’attaccamento eccessivo ai costumi, osservanze, usanze che si faceva da sempre. Certo non sono tutti cattivi queste tradizioni, ma tendono ad sclerotizzarsi in pratiche prive di senso se non si lascia posto alla novità dello Spirito.
Questa Eucarestia nella quale la potenza
di Dio si dispiega ancora una volta nella debolezza e
piccolezza del segno del pane spezzato e del vino versato,
ci faccia entrare sempre più nella sapienza di Dio, ci
faccia crescere nella fede e così liberare la potenza di Dio
nella nostra vita, nella Chiesa.
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Domenica 1 luglio 2018 - XIII Domenica T.O. B - Sap 1,13-15; 2,23-24 – 2 Cor 8,7.9.13-15 - Mc 5, 21-43 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
La donna venuta a toccare i vestiti di Gesù e il capo della sinagoga Giairo sono due persone molto diverse: una donna, un uomo; una donna religiosamente impura, un capo religioso; una donna divenuta molto povera, un uomo benestante. E cosi via… Ma una cosa hanno in comune: entrambi hanno capito che possono portare a Gesù il più concreto dei loro problemi, delle loro sofferenze. Non vengono a parlare di teologia o di riti religiosi con Gesù: vengono con i loro problemi, con il dramma più reale della loro vita.
Per lei, è la perdita continua di sangue con tutte le conseguenze fisiologiche, pratiche, sessuali, psicologiche e religiose. Le visite dai medici non le hanno procurato nient'altro che umiliazioni. E lei ha speso tutto e si ritrova nella miseria.
Per lui, il dramma è la sua figliuola in fin di vita. Lo scandalo della sofferenza e della morte dei bambini è entrato nella sua casa.
Gesù non scappa. Nessuna fuga. Anzi entra in un rapporto vivo, personale con chi soffre. Non evita la casa della sofferenza: vi entra. E questo non è semplice. Si dà da fare. E deve affrontare per ben tre volte le incomprensioni.
La prima incomprensione si verifica per strada. La donna ha appena toccato i vestiti di Gesù, di nascosto, da dietro. Gesù percepisce quello che è avvenuto e chiede: «Chi ha toccato le mie vesti?» (Mc 5,30) I discepoli non capiscono… sembra che Gesù sia fuori dalla realtà! «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te, e dici: «Chi mi ha toccato?» (Mc 5,31) Ma Gesù vuole incontrare la persona… Vuole un incontro, occhi negli occhi! Gesù non è un guaritore. È un innamorato!
Contemplo oggi Gesù in mezzo a noi. Cerca qualcuno. Cerca qualcuno che l’ha invocato, che Gli ha chiesto una grazia, l’ha ricevuta… ma non si lascia guardare in faccia da Gesù. Come se scappasse ancora dal Suo sguardo. Ma Gesù desidera quest’incontro. Gesù ha sete dell’incontro con te. Non gli basta la tua religiosità. Aspetta che tu gli dica: «Eccomi… sono io che ho ricevuto tanto da Te, ma fuggo l’incontro con Te. Ho paura di essere amato da Te. Ma, oggi: eccomi!» «La tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male» (Mc 5,34)
quando arriva la gente dalla casa di Giairo. «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». (Mc 5,35) Perché? A che serve? È tutto finito… Gli avvenimenti della tua vita ormai sono questi, e non possono cambiare. Perché disturbare Gesù? Ha altro da fare. Per te non potrà far nulla. Lascia perdere!
Per fortuna, Gesù sente questi ragionamenti. «Non temere, soltanto abbi fede!». (Mc 5,36) Non permettere che sia la paura a guidarti. Lascia che sia la fede! La paura ti toglie la vita, ti ruba la speranza. La fede invece ti apre nuove prospettive…
Contemplo oggi Gesù in mezzo a noi che, vedendo le nostre paure, ci dice: «Non temete, soltanto abbiate fede!». (cfr Mc 5,36) Perché le nostre paure ci rubano la speranza. Esse impediscono che la grazia venga a trasformare la nostra vita.
Oggi, Gesù, Ti consegno le mie paure. Rinunzio a quei ragionamenti che mi suggeriscono che non dovrei disturbarTi. Sono menzogne, perché non Ti disturbiamo mai. È la nostra poca fede che Ti fa soffrire! La voce che in me dice: «Lascia perdere», non voglio ascoltarla. Ma voglio ascoltare la Tua voce e Ti invito a casa mia, Ti chiedo di visitare tutte le nostre case, tutti i nostri cuori.
La terza incomprensione avviene quando Gesù arriva a casa di Giairo. La figliuola è morta. Vi è grande dolore, grida, pianti, lamenti. Il dolore è terribile. «Dio non ha creato la morte, e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano.» (Sap 1,13-14) La morte è e rimane un dramma, uno scandalo…
Arriva quindi Gesù, e dice: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». (Mc 5,39) Sembra che Gesù di nuovo sia del tutto fuori dalla realtà. Non ha capito che la bambina è morta. Sarà nel suo mondo… rifiuta di guardare alla realtà. «E lo deridevano.» (Mc 5,40)
Gesù, entrato là dov’era la bambina, «prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». (Mc 5,40-41) Ed, ecco, la bambina si sveglia… Gesù solo ha visto la realtà, la verità di ciò che sta succedendo. Davvero dormiva. Era nel sonno della morte, cioè in una morte che non è uno sprofondare nell’inferno, ma una morte sulla quale Gesù ha ogni potere.
Oggi, contemplo Gesù che invita anche noi ad entrare nel Suo sguardo. A guardare al mondo, alla vita, alla stessa morte, con speranza. Non perché tutto sia bello e sano… ma perché Lui c’è! La Sua presenza cambia le sorti delle persone, delle relazioni, della stessa creazione. Non è lontano dalla realtà Lui: è lontana dalla realtà la cultura che nega la Sua presenza, la Sua opera!
Tre tappe, quindi: Non rimanere nella religiosità: lasciati guardare ed amare da Gesù! Non lasciarti guidare dalle paure: la fede sia la guida della tua vita! Non lasciarti sedurre dalla cultura della depressione: la verità la trovi nello sguardo di Gesù.
Perché ridurre la tua vita dentro orizzonti ristretti? Apriti! Effata! Guarda Gesù, che, da ricco che era, si è fatto povero per te! Quando? Sulla croce! Per te è divenuto più che povero: È nel non essere perché tu divenga ricco del vero essere, che è l’Amore. Sei ricco! Siamo ricchi! Non ricchi di denaro, ma ricchi di Amore, di speranza, di vita. Non vivere come se tu fossi povero! La ricchezza divina è in te, in me, tra noi!
Apri la tua religiosità all’Amore di Gesù! Consegna le tue paure all’Amore di Gesù! Entra nella cultura della fiducia nell’Amore di Gesù! Questa è ricchezza vera… una ricchezza che non si può non condividere. E più la condividi, più ne divieni ricco. Sei ricco quando doni tutto di te insieme a Gesù. Sei ricco e beato quando con Gesù non sei più niente. Perché sei Amore!
Ama ... e fa' quello che vuoi! Fa' quello che vuole l’Amore. Facciamo quello che vuole l’Amore! E saremo beati!
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sabato 16 giugno 2018 - X settimana T.O. - 1 Re 19,19-21 - Mt 5,33-37 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
«Non giurate» (Mt 5,34), ci chiede Gesù oggi. Non moltiplicate le parole per ottenere la fiducia degli altri, per raggiungere i vostri fini, per far valere le vostre ragioni. Non giurate affatto…
«Giuro per la testa di mio padre, giuro per Iddio, giuro per questo e per quello…» No! Sii umile nel tuo parlare.
Capita di ricorrere a Dio, di usare Dio per convincere gli altri. Dio diviene un mezzo per ottenere ciò che vogliamo noi, per convincere gli altri della verità delle nostre parole. Questo è tipico della mondanità spirituale. L’abbondanza di parole solenni nasconde la poca fiducia che si ha gli uni verso gli altri.
Gesù non vuole che nei nostri discorsi nominiamo tanto Dio, mentre in realtà siamo tutti centrati su noi stessi e sui nostri interessi. È questa una chiamata alla sobrietà nelle parole.
L’affidabilità dei nostri discorsi non deve riposare sul nominare Dio, né sul moltiplicarsi delle parole, bensì sulla verità della nostra vita. Ti credo, non perché giuri su Dio o sulla testa di tuo padre, ma perché vedo che c'è coerenza tra le tue parole e la tua vita.
Davvero, se diventiamo veri discepoli di Gesù, la nostra vita diviene parola affidabile, parola vera. Ma come giungere a questo? Come risanare la discrepanza che c’è tra le nostre parole e la nostra vita?
Credo sia necessario entrare in una certezza di fondo: Dio NON è sì e no. Dio non è come il tempo che cambia: qualche volta ci è benevolo, qualche volta ci è indifferente, qualche volta è nostro nemico… Non è il Dio banderuola che cambia secondo un misterioso vento… No! Dio non cambia. E non lo faremo cambiare. Dio è Amore e non cambia.
Dio è Sì e non diverrà No. Dio è il Sì del Padre al Figlio e del Figlio al Padre; un Sì eterno, amoroso, che è lo Spirito Santo. Non diviene No, e non lo può diventare.
Dio è Sì… e, di fronte alle creature, non nega il suo essere Sì: non rinunzia all’atto creatore, anche quando la creatura si ribella ed entra nel no, nel non amore. Non rinunzia a creare gli esseri liberi che siamo noi, degli esseri chiamati ad entrare nel Sì eterno dell’Amore.
Dio ha detto di sì a te, a me. E questo Sì non lo ritirerà mai. L’ha detto, l’ha firmato con il sangue del Figlio crocifisso. La Croce è il Sì eterno di Dio all’umanità, a te, a me. È il «giuramento» di Dio, un giuramento non di parole, un grido d’amore, una parola eterna silenziosa che è la morte di Gesù per amore nostro; un grido echeggiato per l’eternità nella gioia e nella danza della Risurrezione.
Questo è il fondamento della nostra vita. È il fondamento oggettivo: esisto perché Dio ha detto di sì al mio essere, al mio nascere, al mio vivere, al mio ingresso nell’eternità Sua. È il fondamento soggettivo: se contempliamo questo Sì, se l’accogliamo, vi troviamo la forza per vivere che è la fede. Se intravediamo che questo Sì divino è eterno, nasce in noi la speranza. Se intuiamo l’amore infinito che si trova in questo Sì, nasce in noi l’amore vero.
Il Signore ha detto e dice di sì a quel che siamo, e vogliamo allora rispondere con il nostro sì. È il senso delle promesse che, nel corso della nostra vita, abbiamo fatte al Signore.
Ci ricordiamo delle promesse che abbiamo fatte al Signore? Le promesse del nostro battesimo; le promesse del matrimonio; i voti della professione religiosa; le consacrazioni fatte in privato; le promesse segrete del nostro cuore. Poche parole che impegnano tutta la nostra vita. Questa è la nostra dignità. Una vita senza impegno è una vita che non conoscerà la verità dell’Amore, che rimarrà sempre alla soglia.
Carissimi, bisogna contemplare, sentire, il Sì di Dio a quello che siamo. E sentire anche il Sì di Dio a quello che sono gli altri, i nostri amici come i nostri nemici. Cambierà il nostro sguardo su di loro…
E poi sentire il Sì di Dio all’amore fraterno tra noi, dono del battesimo, all’amicizia verso la quale siamo chiamati a camminare, all’amore vicendevole, come Gesù ci ha amati che è il vertice dell'Amore. E rispondere di sì a questo Sì, con la nostra vita. «Non a parole e con la lingua, ma con i fatti e nella verità.» (1 Gv 3,18)
«Il nostro parlare sia: «Sì, sì», «No, no»; il di più viene dal Maligno.» (cf Mt 5,37)
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Domenica 10 giugno 2018 - Xa Domenica del Tempo Ordinario - B - Gn 3,9-15 – Ef 4,13-5,1 - Mc 3, 20-35 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
È questa la preghiera di tanti, anche se non è formulata in questa maniera.
«Rimani nei cieli, perché noi sulla terra ci arrangiamo.» Abbiamo trovato il nostro modo di vivere e ti preghiamo di non disturbarci. Tutto va bene: pochi ricchi danno qualche briciola di pane ai tantissimi poveri. I conflitti si risolvono con delle guerre, anche se è solo per un momento e si dovranno fare poi altre guerre. Ed il progresso umano farà di noi degli dei.
Quanto a Dio, si pagano a Lui le tasse, cioè un culto anche ipocrita, e così si è tranquilli: Dio ci deve la salvezza in fin dei conti.
Allora, «Padre nostro, rimani nei cieli.»
Ora questa preghiera, per fortuna, non viene esaudita. Anche perché c’è la preghiera del tutto diversa dei piccoli, degli umiliati, delle vittime dell’egoismo umano. Loro chiedono a Dio di squarciare i cieli e di scendere a salvarci.
E così, il Verbo si fece carne. (Gv 1,14) In Gesù, suo Figlio, Dio si è fatto vicino, vicinissimo.
Ma quando iniziò a parlare, dopo trent'anni di vita nascosta, diede fastidio. Ma… molto fastidio. È ciò che si vede nel Vangelo odierno.
Fastidio a chi? Prima di tutto ai suoi parenti. Non sopportano il suo modo di fare. Una vita che si dona nell’amore infastidisce, perché mette in discussione i nostri egoismi. Chi ama veramente viene disprezzato, perseguitato. «È fuori di sé» (Mc 3,21) dice la parentela. Allora vengono a prenderlo, a toglierlo di mezzo. E, siccome non ci riescono, vanno a prendere la madre, Maria, certi che Lui sarà costretto a fermarsi, a venire da loro, e così potranno costringerlo a cambiare strada. Ma invano! «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». (Mc 3,33) «Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre». (Mc 3,35)
Poi a chi altro dà fastidio? Alle autorità religiose. Sono infastiditi dall’insegnamento di Gesù che mette in discussione tutto l’edificio religioso col quale hanno potere, tanto potere, sulle anime. E quanto è saporoso aver potere sulle anime… ti senti Dio. E se questo ti rende pure ricco, è inebriante. Credi davvero di essere Dio!
Ma… i segni ci sono! Anche di recente, Gesù ha guarito un uomo proprio in una sinagoga, e per giunta di sabato. È impossibile che sia da Dio! Dio non può opporsi al modo di pensare di uomini molto religiosi, pensano! Non è da Dio, quindi è opera di Satana. Sono talmente attaccati al loro modo di pensare la religione, che giungono ad una vera e propria bestemmia. Che contrasto, che tensione, che lotta tra questi uomini e Gesù ! E chi ha vinto? Se si guarda al Golgota, è chiaro: hanno vinto le autorità religiose. Sono anche riuscite ad asservire le autorità civili. Il potere ideologico riesce sempre a manipolare il potere civile, ieri come oggi… Infatti Gesù fu crocifisso come bestemmiatore, anzi, come se tutto il suo essere fosse bestemmia.
Così si poteva pensare. Ma qual è la realtà, la verità? Gesù ce la rivela già oggi in una piccola parabola. Parla di un uomo forte che ha tanti beni nella sua casa, in suo potere. Tanti… Essendo forte, esercita pienamente il suo potere sul suo patrimonio. Ma, se viene uno più forte di lui, cosa fa? Tre cose: Entra nella sua casa, lega quell’uomo, e rapisce i suoi beni. (cfr Mc 3,27)
Di chi si tratta? L’uomo forte che ha questo grande patrimonio è Satana. L’abbiamo sentito nella prima lettura: «Il serpente mi ha ingannata ed io ho mangiato» (Gen 3,13) dice Eva. Con l’inganno, seminando la sfiducia nei confronti di Dio, il serpente si è impadronito del cuore dell’uomo. Si è costruito un vero regno, un regno tutto tessuto d’inganno, ma davvero un regno!
E chi è l’uomo più forte che riesce a legare Satana, a spogliarlo della sua signoria? È Gesù! Con l’Incarnazione, Gesù è entrato là dove regna Satana, e con la sua morte in Croce l’ha legato. Legato! Gli ha tolto il potere sulle anime. E poi, nella Risurrezione, ha offerto la libertà a tutti coloro che erano prigionieri dell’inganno di Satana. «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore» (Lc 10,18) dirà Gesù.
Ora tutto diviene chiaro: questo nostro modo di arrangiarci senza Dio, vivendo di egoismi e di ipocrisia religiosa, non è altro che l’inganno di Satana. E da quest’inganno ci libera Gesù, mi libera Gesù. E dove mi porta? Nell’Amore! Cioè in un’altra maniera di vivere la vita. L’unico comandamento è di amarci a vicenda come Gesù ci ha amati. (cfr Gv 15,12) E Dio? Se ci amiamo a vicenda come Gesù ci ha amati, la nostra vita diviene una lode a Dio. Non si tratta più di pagare le tasse a Dio per essere a posto e meritare la salvezza. Si tratta di accogliere l’Amore di Dio che si riversa su di noi gratuitamente, di far fruttificare quest’Amore tra noi, e di offrire a Dio quest’Amore con gioia, con esultanza, anzi!
Bene! E questo è facile? Le difficoltà le ha avute Gesù, ma noi ormai ce la facciamo senza ostacoli? No! E qui abbiamo la bellissima testimonianza di Paolo. «Siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi.» (2Cor 4,8-9)
Paolo lo dice con un'espressione molto suggestiva: «Il nostro uomo esteriore si va disfacendo.» (2Cor 4,16) Scegliere l’amore e il perdono, vivere pienamente da cristiani oggi ci costa. Basti pensare ai cristiani della Siria, della Nigeria, dell’India. O a noi stessi cristiani dell’Occidente quando viviamo la fede sul serio. Soffri quando non sei capito. Soffri quando i figli sono indifferenti alla tua vita di fede. Soffri quando ti prendono in giro, ti umiliano a causa della tua fede.
Ma Paolo prosegue: «Anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno.» (2Cor 4,16)
Nella misura in cui sei fedele a Gesù nella sofferenza, l’uomo interiore in te «si rinnova di giorno in giorno». È come una vita nuova che continuamente sgorga dentro di te. Bevi il calice amaro dell’umiliazione, e, nella misura in cui lo bevi con Gesù, gusti già una beatitudine, una gioia che non è di questo mondo.
Il rinnovarsi più profondo del nostro uomo interiore avviene proprio attraverso la Croce: Scegli l’Amore, scegli di donarti, ed il dono non viene accettato: allora sei con Gesù come non lo sei stato mai. Sei con Gesù abbandonato, partecipi alla Sua Passione, e già pregusti qualcosa della Sua Risurrezione che è una pienezza d’Amore che ingloba tutti gli altri nella pace e nella misericordia. «Infatti il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria: noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili invece sono eterne.» (2Cor 4,17-18)
Ecco, carissimi, la vittoria sul demonio, che è pure vittoria sull’egoismo, sull’ipocrisia religiosa, cioè sulla mondanità. Vittoria che è tutta di Gesù. Vittoria definitiva. Vittoria che apre a tutti le porte del cielo.
E come ci viene questa vittoria? La prima lettura ce l’ha detto:
«Io porrò inimicizia fra te e la
donna, dice Dio al serpente,
La donna e la sua stirpe schiaccia la testa del serpente. Ecco il ministero della Madonna… È la donna che ci ricollega sempre al Redentore. Nel suo cuore si trova la via della nostra libertà. Perché nel suo cuore si trova il Redentore!
«Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?» (Mc 3,33) chiede Gesù. E vedendoci oggi uniti al Cuore Immacolato di Maria, dice: «Ecco mia madre e i miei fratelli!» (Mc3,34)
E noi diciamo: «Padre nostro che sei nei cieli, venga il tuo regno quaggiù, su tutta la terra!» (cfr Mt 6,9-10)
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Domenica 27 maggio 2018
- Santissima Trinità -
Badia Fiorentina - un monaco della Badia Oggi celebriamo uno dei misteri più alti, più profondi della nostra fede. Eppure era solo nell’ottavo secolo che un monaco anglosassone, il Beato Alcuino, discepolo di S. Beda il venerabile, propone di celebrare una messa in onore della Santissima Trinità la domenica dopo Pentecoste. A Pasqua si celebra Gesù costituito da Dio Signore e Cristo nella sua morte e risurrezione (At 2,36). A Pentecoste celebriamo la venuta dello Spirito Santo nei cuore dei fedeli mandato da Dio Padre e del Figlio salito al cielo e assiso alla sua destra. Con la festa della Trinità, Alcuino propone celebrare l’apice della rivelazione di Dio che salva l’umanità mediante l’annuncio del battesimo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo... La festa della Santissima Trinità si è diffusa nel seguito, adottata dall’Abbazia di Cluny e da vescovi per i loro diocesi. Ma il Papa Alessandro II non ha permesso di stenderla a tutta la Chiesa. Ed è dovuto al fatto semplice che la Trinità è già celebrata tutto il giorno e tutti i giorni dell’anno. È al centro della preghiera della Chiesa, nella dossologia (Gl al Padre al Figlio e allo SS), le preghiere eucaristiche dall’antichità sono scritte sul modello trinitaria (indirizzate al Padre, per mezzo dal Figlio e nello SS). È al centro della proclamazione della fede, il Credo degli Apostoli e di Niceo-Costantinopoli hanno una struttura trinitaria. È solo nel Trecento, quasi 5 secoli dopo che il Papa Giovanni XXII decretò la celebrazione della Festa della Santissima Trinità per tutta la Chiesa. Perché questo cambiamento? Va detto prima che la preghiera della Chiesa è vivente, si adatta, riflette la vita dei fedeli, la storia del mondo, i pericoli contro la fede, il fervore oppure la tiepidezza dei credenti. Quali sono le circostanze che hanno spinto il Papa per stabilire la festa ? Purtroppo non ci sono tanti elementi nella storia di questa festa, ma si può pensare che c’entri qualcosa il fatto che nel medioevo si è accentuato molto il mistero dell’Incarnazione, di Gesù. La gente che ne ha passate tante, sofferto tanto.. le pesti, le guerre...aveva bisogno della vicinanza dei santi, di Dio nelle sue sofferenze. Era l’epoca delle Madonna Addolorata, nei dipinti, statue, dei crocifissi con Gesù sofferente, mentre il Gesù dei crocifissi più antichi lo mostrava regale, maestoso, la Croce il suo trono. È molto possibile che la festa della Santissima Trinità aveva per scopo di ricentrare, sottolineare la fede sul Padre, Figlio e Spirito Santo. Comunque è chiaro che questo è il caso nei nostri tempi con il rinnovo della teologia trinitaria già prima del Concilio Vaticano II (Moltmann, Rahner, von Balthaser) e dopo, fino al giubileo del 2000 all’insegna della Santissima Trinità. Era l’auspicio caro a S. Giovanni Paolo II… mostrare agli uomini del terzo millennio il vero di Dio, volto incompreso, misconosciuto. Secondo lui questa ignoranza di Dio é una delle cause del malessere dell’uomo moderno. Certo l’ignoranza di Dio é da sempre, ma va detto che mai nella storia umana fu così ben dimostrata come all’epoca dell’Illuminismo. Dichiara Voltaire... si dice che Dio ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza, ma l’uomo glielo ha restituito bene, cioè l’uomo ha creato Dio a sua immagine. Al quale altri pensatori fanno eco come Dio sarebbe una proiezione dai desideri oppure le paure dell’uomo. Scrive Kant... per ovviare alla sua ansia dell’assoluto, l’uomo ha inventato gli dei, entità superiori, crogiuolo delle loro paure, surrogato di un infinito inafferrabile. Ma di che dio parlano questi signori eruditi? Guardando da vicino, molti di loro si ribellavano infatti contro il vecchio dio barbuto delle immagini pie, tuonando e schiacciando le creature con la sua divina volontà onnipotente, esigendo la crocifissione del suo Figlio, i sacrifici e la sottomissione degli uomini. Affinché l’uomo possa vivere davvero, realizzarsi, dicono questi signori, bisogna uccidere questo dio! Ecco carissimi...il colmo dell’ignoranza di Dio, aveva ragione S. Giovanni Paolo II. Capiamo bene questi pensatori e siamo noi cristiani i primi a voler farla finita con questo dio temibile. Non è affatto il Dio Padre misericordioso rivelato dal Figlio obbediente per amore, da cui, il Padre e Figlio, procede lo Spirito d’amore versato nei cuori che fa gridare Abba, Padre! È vero che da sempre l’uomo proiettava sulle divinità le sue idee, bisogni, desideri e paure. Quale Dio venera, prega quell’uomo, quella donna nel suo tempio, moschea, santuario? Possiamo chiedergli... dimmi chi è tuo dio oppure il dio che rifiuti e ti dirò chi sei. Da sempre l’uomo proietta se stesso, una parte di sé sul suo dio. Voltaire non diceva per niente qualcosa di nuovo. Questi dèi che tanti uomini venerano, temono, contro i quali si ribellano... sono idoli che non esistono. Perché carissimi il desiderio non produce mai la cosa desiderata, mai si è sentito dire che una grande voglia di torta ha potuto far esistere una torta. Una gran fame può dare forza per preparare, cuocere una torta ma non creare dal nulla farina, uovo e zucchero per farla, tutto quanto è ricevuto appunto. Il desiderio di Dio non può mai far esistere Dio. Ed è qui carissimi che la fede giudeo-cristiana è diversa da tutte le religioni. Uno dei primi comandamenti della Bibbia è proprio non fare immagine, rappresentazione di Dio. Perché è Lui, Dio da manifestarsi, è di sua iniziativa, è al modo suo che si rivela all’uomo. Con le sue leggi, interventi nella storia come abbiamo sentito nella 1ma lettura. Da questo sapranno che siete i miei discepoli.. dall’amore e dall’unità che avete gli uni con gli altri dice Gesù. Dio è Spirito, nessuno lo ha mai visto, ma Dio è amore, solo l’amore ricevuto, condiviso Lo fa vedere agli uomini. Se i pensatori dell’illuminismo si ribellavano contro un dio mostro, di cui si deve aver paura... forse la dottrina, le pratiche, gli atteggiamenti degli uomini di chiesa all’epoca c’entravano qualcosa. E oggi carissimi, quale Dio facciamo vedere, intuire ai nostri contemporanei? Siamo abitati dal Dio Figlio che ci spinge verso gli altri? Siamo abitati da Dio Spirito che grida in noi Abba, Padre? Siamo fiduciosi che qualunque cosa ci accada, abbiamo un Padre, Babbo nei cieli? Facciamo vedere delle comunità, parrocchie, famiglie nelle quale circola l’amore ? Celebrare bene la Santissima Trinità è entrarvi sempre più. Vuol dire rispondere sempre più all’invito del Figlio a lasciarsi amare dal Padre, accogliere lo Spirito amore. Entrare nella vita trinitaria è, come dicono i padri, entrare in una danza d’amore, di vita, gioia... Così sia per noi in questa festa, in questa Eucarestia.
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lunedì 21 maggio 2018 - Maria, Madre della Chiesa - Gv 19,25-34 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
L’avremmo ricordata come Madre di Dio, come Santa discepola del divino Maestro, come esempio incomparabile di apertura allo Spirito Santo.
Ma ci fu sul Calvario un avvenimento che rivelò a Maria di Nazareth una vocazione nella vocazione, stupenda, umanamente impensabile.
Maria era la madre di Gesù. Non aveva nessun altro figlio, anche se certamente aveva per tanti, se non per tutti, un amore materno.
Sul Calvario, era immersa nella più atroce sofferenza, spogliata di tutto, spogliata soprattutto del proprio figlio. Era la sua vera e propria kenosi. Un vuoto, una lacerazione interiore, un morire… indicibili. Maria è «morta sul calvario», era solito dire P.Pierre-Marie.
Nel momento in cui perde tutto, la voce del figlio crocifisso si fa sentire: «Donna, ecco tuo figlio!». (Gv 19,26) Tuo figlio ormai è Giovanni, il discepolo.
Giovanni non era senza madre, anzi la sua mamma, Maria Salomé, era proprio lì sul Calvario. Ma tu, Maria, sarai la madre della vita nuova. Giovanni è il primo. Apre il tuo seno nuovo, la tua maternità spirituale.
Non è buono, non è secondo Dio, che l’uomo sia solo (cfr. Gen 2,18) vale anche per l’Uomo-Dio che è il Redentore del genere umano. Ci vuole la Donna. La Donna la cui discendenza schiaccia la testa del serpente. (cfr. Gen 3,15)
Chi si prenderà cura di coloro che accoglieranno la Redenzione, affinché crescano nella vita nuova? Ci vuole una donna, una madre col cuore immacolato. Ci vuole l’Amore di un Cuore Immacolato. Ci vuoi Tu, Maria!
E chi si prenderà cura di coloro che non capiranno l’Amore redentore? Quelle schiere di uomini e di donne che passeranno accanto alla Croce, pur gloriosa, e rimarranno fermi a ciò che è solo umano? Ci vuole un amore materno. È forte, è violento come la morte, l’amore materno. Se la donna che ha perso una moneta accende la lampada, spazza tutta la casa e cerca accuratamente finché non la trova, (cfr. Lc 15,8-10) cosa non farà non per una moneta, ma per tanti figli perduti? E se il cuore di una madre è un cuore immacolato che porta fin dal suo concepimento l’impronta della Redenzione di Cristo, Dio non poteva non scegliere Lei, affinché la Redenzione fosse accolta non da pochi, ma da tutti.
Ci voleva una madre il cui desiderio fosse all’unisono col desiderio di Dio. Così, sul Calvario, rivolgendosi a Giovanni, il Crocifisso si rivolgeva a tutti, a te, a me: «Ecco tua madre!». (Gv 19,27) Divenne Madre della Chiesa, la Chiesa intesa come Sogno di Dio, Popolo sconfinato che radunasse tutti i popoli della terra nel Suo divino cuore.
Accanto ad Elia ci fu la donna di Sarepta che gli permise di portare avanti il proprio ministero. Accanto ad Eliseo, ci fu la Shunamita che lo accolse in casa sua. Accanto al Redentore, c'è la Madonna, serva della Redenzione, co-redentrice, affinché il Sangue non sia stato sparso invano.
«Ascolta,
figlia, guarda, porgi l'orecchio: il re è invaghito della tua bellezza».(Sal 44,11-12) Ti ha chiamato alla più alta vocazione. Entra nel Palazzo dell’Amore. Entra nel Patire che salva. La tua com-passione sarà per te immensa sofferenza. (cfr Ap 12) Ma sarà sofferenza di parto, per dar vita ad una moltitudine di anime; sofferenza materna, finché tutti siano in Gesù,
finché tutti siano una cosa sola.
(Gv 17,21)
«Ai tuoi padri succederanno i tuoi
figli;
Il tuo nome voglio far ricordare per
tutte le generazioni; «E da quell'ora il discepolo l'accolse con sé». (Gv 19,27)
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Domenica 20 maggio 2018 - Pentecoste - Badia Fiorentina - un monaco della Badia
A che cosa possiamo paragonare la Pentecoste? A tante cose... ma questa mattina vi propongo di contemplarla come la nascita della Chiesa! La Chiesa, questo organismo vivente per cui Gesù si è impegnato sin dall’inizio, stabilendo le fondamenta con la scelta dei 12 apostoli, plasmando le membra, i membri annunciando il vangelo. La Chiesa, alla quale Gesù aveva dato il seme della vita, il sangue e l’acqua scaturiti dal suo fianco trafitto. Ma la vediamo dopo la Risurrezione, Ascensione ancora nel seno della madre, chiusa nel Cenacolo al piano superiore (At 1, 13). Ecco la Chiesa, come un bebè giunto al termine dello sviluppo ma non ancora nato. Eppure è tutto lì, un cuore che batte, cervello che funziona, le membra formate, occhi sebbene ancora chiusi, orecchi, naso... gli manca solo il soffio di vita. È così la Chiesa nel Cenacolo, Maria la madre la porta nel cuore, gli apostoli, i discepoli sono i membri e le membra, il vangelo di Gesù crocefisso e risorto, la missione, il mandato per annunciare è già consegnato... gli manca solo il soffio di vita per dargli forza, coraggio e andare fuori. La differenza nel nostro paragone è che il bebè... per lanciare il grido primordiale e per ispirare il soffio di vita deve uscire prima dal seno della madre, mentre la Chiesa per uscire dal Cenacolo deve essere espulsa dal soffio di vita che è lo Spirito Santo! Ecco carissimi, la Pentecoste è la nascita della Chiesa! E qual è il grido primordiale della Chiesa, la sua prima testimonianza di vita? Luca lo dice negli Atti che abbiamo ascoltato nella 1ma lettura: la lode di Dio per le sue grandi opere, la lode nell’unità, nella comunione! In lingue molteplici ma uno nel contenuto, uniti nel messaggio! Un fenomeno che richiama quello di Babele quando gli uomini a causa dal distacco da Dio si sono anche staccati gli uni dagli altri, divisione manifestato dalla moltiplicazione di lingue, causa ed effetto dall’incomprensione, mancanza di unità fra loro. Anche a Pentecoste c’e molteplicità di lingue, ma tutto è comprensibile a tutti, segno dell’unità ritrovata tra gli uomini. Come capire, intendere questo fenomeno? È possibile che i discepoli originari dalla Galilea avevano parlato d’improvviso l’elamitico, l’akkadu, l’arabo, la lingua dei Parti, dei Medi... È uno dei doni dello Spirito Santo che si manifesta ancora oggi. Per annunciare la Buona Notizia, in modo inaspettato, un fedele può esprimersi in una lingua altra. È un dono diverso dalla preghiera in lingue oppure la “glossolalia” di cui ne avete già forse sentito parlare. Ne era testimone un noto biblista a Parigi agli inizi degli carismatici. Era scettico nei loro confronti, ma una sera per curiosità è andato ignoto in una assemblea carismatica. C’era stato la preghiera in lingue e poi nel silenzio che segue... d’improvviso una vecchietta intona con voce chiara un canto alla Vergine in aramaico antico. Stupore del biblista... dopo l’assemblea chiede alla signora se capiva quello che cantava. Rispose che “non” e che sperava che qualcuno venisse per interpretargliela. Lo Spirito aveva previsto lui, il biblista. Ma possiamo anche capire questo fenomeno in un altro modo. È possibile che a Pentecoste i discepoli avevano lodato Dio nella loro solita lingua... ma in un modo nuovo, con una intensità, una forza nuova in maniera tale che gli stranieri li hanno capiti come se fosse loro idioma. Per illustrare ricordiamoci di S. Bernadette, convocata in gendarmeria, un carabiniere la interrogava... mi dica Bernadette, questa Signora che dici di vedere, in quale lingua ti parla? Pensava di poter smascherarla perché Bernadette non era istruita in francese, parla solo il dialetto e la Vergine... lei non può mica parlare in dialetto pireneo. Bernadette risponde : non saprei dire in quale lingua si esprime, ma quando mi parla, dentro di me capisco tutto! Ecco carissimi, qualunque sia la lingua nella quale i discepoli lodavano Dio, si tratta di un linguaggio comprensibile a tutti, linguaggio del cuore, nuovo, divino, il linguaggio dell’amore, linguaggio che unisce gli uomini, fa entrare tutti nel Regno del Padre. È lo stesso che dice S. Paolo nella lettera ai Galati (2da lettura): il frutto dello Spirito è l’amore... uno solo.. ο δε χαρπος... il frutto al singolare. Poi segue le manifestazioni, espressioni dell’amore : gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. Contro di esse non c’è Legge, non c’è barriera di lingua, razza, cultura, provenienza... La folla di stranieri che viene a Firenze mostra come l’arte, la bellezza è una lingua comprensibile a tutti...tanto più l’amore...molteplice nelle sue espressioni, ma intelligibile a tutti... Chiediamo carissimi il dono, il frutto dello Spirito... sarà diverso per ciascuno di noi, ma uno nel messaggio... è quella la lode degno di Dio Padre! Dite forse... ovvia...a parole, è tutto bello! Ma...non mi dispiacerebbe ricevere questo dono. Certo che vorrei essere più magnanime nei riguardi del mio marito che qualche volta è un pezzo di marmo, non dice niente, sempre al computer; vorrei essere paziente con mia moglie che parla, parla, mi critica in tutto; vorrei un linguaggio nuovo comprensibile ai miei ragazzi adolescenti; vorrei essere più benevola verso tutti per uscire dalla mia solitudine; vorrei il dominio di sé per domare la mia collera; vorrei essere rinnovato nei doni dello Spirito per essere più credibile come cristiano, religioso... avere più gioia nel dono di sé...Come ricevere sempre più lo Spirito, come rinascere dall’alto sempre più come dice Gesù a Nicodemo? Certo, possiamo chiedere... e Dio può darci una nuova Pentecoste come ai discepoli impauriti per le prime persecuzioni... Dio li ha rinnovati nel coraggio per annunciare il vangelo (At 4, 31). Va detto però che già abbiamo tutti i doni dello Spirito in virtù del nostro Battesimo, della nostra Cresima. Purtroppo ce ne serviamo pochissimo... eppure carissimi, abbiamo un forfait illimitato di grazie, di doni spirituali! Peccato che molti vivono frugalmente, 2 ore al mese di “chat” con Dio, 90 minuti di sorriso, 60 minuti di pazienza, 2 ore di pace al mese... Non c’è da stupirsi di tanti cristiani di quaresima e non di Pasqua ! Telefonate illimitate al cielo, pace senza limite, tutti i giga che vogliamo per navigare nel mondo dello Spirito fra i santi, in comunione con gli altri... tutto compresso nel forfait Battesimo, Eucarestia, Confessione. Carissimi... non accontentiamoci di una esistenza mediocre, annacquata dice Papa Francesco nel Gaudete et exsultate (1) Come fare per usufruire del nostro forfait spirituale? Non è che si deve schiudere il cielo o la generosità di Dio, c’é da liberare il nostro desiderio, c’é da schiudere il nostro cuore, liberarlo dai desideri parassiti, potarlo dai desideri superflui... E sopratutto, dice ancora Gaudete et exsultate (15)... scegliere Dio di nuovo... rinnovare la decisione di seguirlo per rinascere sempre più dall’alto... dallo Spirito! Così sia per tutti noi in questa festa...
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sabato 19 maggio 2018 - Veglia di Pentecoste - Gv 7,37-39 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Lo Spirito Santo è un lavoratore instancabile. Agli inizi della Chiesa, ha aperto la danza del vangelo, guidando i primi apostoli sulle strade dell’Impero romano. Quando Impero e Chiesa correvano il rischio di mescolarsi, suscitò monaci e dottori per far risplendere la verità e la libertà del Vangelo. Quando il disordine dei barbari minacciava la Chiesa, suscitò Benedetto e i suoi figli come custodi della memoria viva del Vangelo, testimoni dell’ordine dell’amore. Quando la cultura occidentale andava centrandosi sull’uomo e le sue emozioni, suscitò Bernardo ed i suoi figli come testimoni dell’innamoramento di Dio. Quando la Chiesa rischiava di esser invasa dal clericalismo, suscitò santi laici, amici di Dio, testimoni della mistica nel mondo. Quando il rischio era di assolutizzare l’opera dell’uomo, anche nel campo spirituale, suscitò Teresina e tanti altri come testimoni della gratuità del Vangelo e della necessità di sedersi alla tavola dei peccatori. Quando trionfava il messianismo nazista e comunista, suscitò testimoni della Misericordia come Massimiliano Kolbe, Giovanni Paolo II o il Cardinale Van Thuan. Non si stanca mai….
E oggi?
Come opera oggi lo Spirito?
E che dire del mondo contemporaneo? Vorrei rispondere a questa domanda con una parola un po’ inusuale: «Anomia». «Nomos» in greco significa la legge. L’«anomia», nella tradizione ebraico-cristiana, è un sistema di pensiero ed un modo di vivere in cui si rigetta la legge di Dio. Non c’è più legge di Dio.
Già alcuni testi inter-testamentari, prima della nascita di Gesù, parlavano degli ultimi tempi come tempi di empietà e di violenza, segnati appunto dall'«anomia». Gesù stesso annuncia che negli ultimi tempi «sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti.» Ed aggiunge: «Per il dilagare dell'anomia, si raffredderà l'amore di molti». (Mt 24,11-12) Papa Francesco, nel suo messaggio per la Quaresima, ha scelto appunto questo versetto, come per dirci discretamente: guardate che siamo già nel tempo dell’«anomia»! Non è vero che oggi, per molti occidentali, non c’è più nessuna legge divina? Non è che ci si ribelli contro una legge o un’altra: è un rifiuto indeterminato del fatto stesso di dover obbedire a un Dio. La cultura occidentale di massa è una cultura dell'«anomia». Anche riguardo la legge, per molti oggi è legge il progresso tecnico e scientifico. È strano, ma è così: dobbiamo fare quel che la scienza ci permette. La speranza è nella scienza e nella tecnica. Speranza inebriante, perché si spera di plasmare un'umanità secondo i nostri criteri, e di far scomparire la stessa morte. Ma la legge di Dio… non c’è più!
Allora, in questa cultura, come lavora lo Spirito? Le risposte sono molte, perché l’amore divino è più che inventivo! Vorrei fermarmi su un’opera particolare dello Spirito Santo. Gesù aveva annunciato che lo Spirito ci avrebbe guidato verso la verità tutta intera, (Cf. Gv 16,13) cioè verso lo svelamento del mistero di Gesù, svelamento, in particolare, del mistero della Croce. Di fatto, oggi capiamo come non mai prima la portata delle parole di Paolo quando scrive che Gesù si è fatto peccato per noi. (Cf. 2Cor 5,21) Gesù ha fatto suo tutto il dramma dell’umanità, anche i gulag, anche Auschwitz. Ha abbracciato tutto il dolore, tutto lo smarrimento, tutto il disagio profondo, tutto il peccato dell’uomo. Tutto. Qualunque sia il malessere, la sofferenza, il peccato dell’uomo, Gesù lo conosce, Gesù vi è disceso. Anche l’ateismo più profondo, perché Gesù ha fatto l’esperienza dell’abbandono di Dio. Ha conosciuto il deserto più tenebroso dell’anima umana.
Cosa fa allora lo Spirito Santo? Ci insegna a riconoscere la presenza di Gesù che prende su di sé i nostri peccati, i peccati dell’intero mondo contemporaneo. Quando vediamo il medico ingannato dalla massoneria che promuove la cultura della morte, quando vediamo l’imprenditore ingannato dalla mafia che fa della gestione di donne schiave un commercio, quando vediamo l’infermiera che disprezza la mamma che non vuole abortire perché il figlio che porta nel grembo è dawn, quando vediamo la coppia che va sulla rete per comprarsi un bambino secondo le proprie esigenze, lo Spirito Santo ci insegna a riconoscere in tutte quelle situazioni Gesù abbandonato, Gesù che prende su di sé il peccato, anche più grave, Gesù che prende su di sé le sofferenze generate da questa cultura che fa della persona umana un oggetto di commercio.
E che atteggiamento ci ispira allora questo sguardo? Quello che avete fatto visitando chi è prigioniero, l’avete fatto a me… (Cf. Mt 25,40) L’atteggiamento che ci ispira lo Spirito Santo è di farci vicini a tutti coloro che partecipano a questa cultura senza Dio, a questa cultura dell’«anomia». Invece di esser presi dalla paura, di condannare ed odiare, ci facciamo vicini.
Va detto, perché c’è oggi un’altra risposta religiosa alla cultura dell’«anomia»: quella del fanatismo religioso che si manifesta nel terrorismo. Gli ultimi attentati in Indonesia ci hanno fatto vedere più che mai il carattere diabolico del terrorismo religioso: in quegli attentati, una famiglia con bambine di 9 o 10 anni ha seminato la morte, mentre la famiglia, per volontà di Dio, è cellula di vita e di amore… La risposta che ci ispira lo Spirito Santo non è la violenza: è riconoscere Gesù abbandonato nei drammi morali del mondo odierno e, a partire da questo sguardo, compire le opere che aiuteranno i nostri contemporanei ad uscirne.
È lo Spirito Santo che ci insegna il modo di farci vicini a chi è immerso nella cultura dell’«anomia». Una prossimità motivata non dalla condanna delle persone, ma dall’amore.
«Lo spirito del Signore Dio è su di
me,
Non posso qui non pensare al carisma della nostra Famiglia di Gerusalemme. È per sua natura un carisma di prossimità alla società malata del nostro tempo. Siamo in città, noi laici e monaci di Gerusalemme, non per condannare, ma per esser vicini a chi abita o visita la città, anche al medico massone o all’infermiera sprezzante.
In questa Pentecoste, possiamo chiedere allo Spirito Santo uno sguardo nuovo che vede Gesù abbandonato nelle persone smarrite, perché sono senza Dio, senza la Parola di Dio, senza la legge divina. Chiediamo allo Spirito Santo di insegnarci l’arte della vicinanza, una vicinanza piena di compassione e di verità, di amore e di luce. Una vicinanza, una prossimità che apra agli altri un sentiero per trovare o ritrovare Dio, per scoprire quanto è bella e liberante la legge di Dio, legge che è interamente contenuta nel comandamento dell’Amore. La nostra vita guidata dallo Spirito Santo farà vedere la bellezza dell’Amore, ma dell’Amore proprio come legge di Dio. Non un amore campato in aria, non un amore in balia dei soli sentimenti, delle sole emozioni. L’Amore che è obbedienza a Dio. L’Amore che è radicato in Dio. Ecco la nostra legge, ed è una vera e propria liberazione. Quest’Amore pieno di tenerezza e di verità è appunto l’opera dello Spirito Santo. È lo Spirito Santo in persona!
Spirito Santo, tu che sei l’Amore, donaci di farci vicini a Gesù abbandonato nelle vittime della cultura dell’«anomia», di farci vicini a Gesù come Maria, nel modo di Maria, con il medesimo sguardo, la medesima compassione, il medesimo desiderio di salvezza per tutto il genere umano.
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Domenica 13 maggio 2018 - Ascensione del Signore - At 1, 1-11 – Ef 4,1-13– Mc 16,15-20 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Vengono fuori le domande più reali, più concrete, che albergano nei cuori inquieti degli apostoli. Vorrebbero sapere. Vorrebbero che tutto fosse ben chiaro. «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?» (At 1, 6) È ora? È nella festa di Pentecoste che si sta avvicinando? Vorremo sapere! Il Regno per Israele, la fine dell’oppressione romana, il potere per noi, la libertà di culto quando verrà? Ora? Fra qualche mese? Qualche anno? Tra cinquant'anni, come un giubileo? Settant’anni come nel profeta Daniele?
E come risponde Gesù? La risposta è in due parti: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere» (At 1, 7). Non può essere più chiaro! Poi aggiunge: «Ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra». (Atti 1, 8)
Carissimi, sono soltanto gli apostoli ad avere questo tipo di domande? Noi, no?
Signore, quando finiranno le guerre in Siria ed altrove? Quando metterai fine alla tratta di essere umani? Quando finirà questa cultura in cui l’uomo si fa Dio e pretende di creare uomini secondo criteri suoi? Quando potremo offrire ai giovani una cultura sana, un creato pulito, una speranza luminosa? Quando i miei problemi finiranno? Quando la Chiesa rispecchierà il Tuo volto, il Tuo amore? Quando?
E cosa ci risponde Gesù? «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni (…) fino ai confini della terra». (Atti 1, 7-8) Vorremmo una data… e Gesù ci dà una missione. Vorremmo un calendario… e Gesù ci chiede di partire senza calendario. Ma non ci invia senza forza, senza luce, senza speranza. Riceveremo «la forza dallo Spirito Santo», e così potremo, sì, essere «testimoni».
Carissimi, cosa facciamo? Rimaniamo con le nostre domande, con il nostro desiderio di essere rassicurati, oppure diciamo di sì a Gesù?
Sì, rinuncio ad essere padrone del futuro e ti consegno la mia vita perché tu possa usarmi per il futuro che vuoi Tu, per essere Tuo testimone.
Ma come essere testimoni nel 2018? A chi interessa la nostra testimonianza?
La risposta ci viene dalla seconda lettura. Essa ci svela come possiamo offrire al mondo qualcosa di veramente diverso e che corrisponde all’anelito profondo dei nostri contemporanei… e di noi stessi. «Umiltà, dolcezza e magnanimità.» (Ef 4,2) «Sopportarci gli uni gli altri nell'amore». (id.) E qual è il traguardo di questi atteggiamenti? «L'unità.» Non l'unità formale, non l'unità superficiale, non l'uniformità, … ma l’unità dello Spirito. Non è essere uniti ad un altro perché si fa la stessa cosa, si pensa la stessa cosa. No! È un'unità che si gioca nello «spirito» che è la parte più interna dell’uomo, il nostro santuario. Un santuario che scopriamo soltanto quando entriamo in relazione con il Signore e con gli altri. Non è una cassaforte dove teniamo Dio prigioniero. È una porta sul cielo, una ferita aperta all’amore, un varco sull’oceano della comunione. Lì, si scopre e si tesse l’unità vera. L’unità, dice Paolo, «per mezzo del vincolo della pace». (Ef 4,3) Quello che ci tiene insieme è la «pace», cioè la riconciliazione con Dio, frutto del mistero pasquale. Non è un legame umano fatto solo di buoni propositi. È il sangue di Gesù che ci fa «uno». È lo Spirito Santo l’artigiano dell’unità.
Lo Spirito annunciato da Gesù e promesso dal Padre è colui che ci fa «uno», e che quindi fa di noi un segno vivo dell’Amore di Dio. Predichiamo con l’amore! Predichiamo con l’unità! L'unità è miracolo, perché abbiamo tutti i nostri difetti, le nostre chiusure, le nostre paure, i nostri bisogni affettivi sbagliati, le nostre passioni… L'unità plasmata dallo Spirito Santo… Ecco la testimonianza! Ecco il segno!
«Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri.» (Gv 13,35) Fu la preghiera stessa di Gesù: «Siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, (…) perché il mondo creda che tu mi hai mandato.» (Gv 17,21).
Ma Paolo non si ferma qui. Ci insegna che lo Spirito non lavora facendo di noi dei cloni. Clonare gli risulta impossibile! Fa il contrario: rende ciascuno più unico, più diverso, più speciale! «Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri.» (Ef 4,11)
Noi a volte vogliamo una Chiesa dove tutti siano identici, con le stesse mansioni, gli stessi carismi. Nessuna differenza, nessuna distinzione… Ma lo Spirito Santo non lavora così! Crea la diversità! È creatore di diversità! Genera tensioni! E questo «...allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all'uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo.» (Ef 4,12-13)
Lo Spirito Santo però non suscita solo la diversità, suscita al tempo stesso la capacità, il desiderio della sinfonia, del mettere le diversità a servizio degli altri. Il mio esser diverso rende me desideroso di te! E te di me! Tu sei un messaggio di Dio che nessun altro può sostituire, e ti voglio accogliere. Faccio silenzio dentro di me per accoglierti! E se anche tu fai spazio per accogliere il messaggio di Dio che sono io, la vita cambia! Diventiamo segno del mondo che viene. Siamo la risposta del Signore alla domanda sul futuro dell’umanità. La vera risposta, l’unica risposta è il cielo. E il cielo non è io e Dio in una camera chiusa. Il cielo non è neppure tu ed io, l’uno accanto all’altro, a contemplare Dio, come si guarda un film in una sala buia del cinema. Il cielo è un «noi» nuovo, un «noi» in Dio, un «noi» al modo di Dio, un «noi» in cui siamo cielo gli uni per gli altri.
L’Ascensione di Gesù è l’inaugurazione di questo «noi» del domani. Gesù non entra nel cielo per esservi solo. Non è un ambasciatore della specie umana che per sempre ne sarà l’unico rappresentante. Il suo entrare nel cielo con la sua umanità è già il nostro entrare nel cielo, il nostro entrare insieme, perché la nostra unità è Lui. È in Lui che siamo «uno». Essere «uno» è essere il suo corpo, e il suo corpo è ormai nella gloria del Padre.
Ecco la bellezza straordinaria di questa festa. Bello, bellissimo, luminosissimo fu Gesù risorto in questa sua ultima apparizione ed Ascensione, il quarantesimo giorno, in cima al Monte degli Ulivi. Bellissimo! Bellezza sublime del suo corpo di Gloria. Bellezza del Suo corpo che diventiamo noi! Sì, lasciamo la bellezza di Cristo invaderci, lasciamo che la Sua bellezza appaia in noi e tra noi. Saremo profeti mediante la bellezza del «corpo» che saremo. La bellezza dell’amore tra noi dirà Dio e risveglierà la speranza nel mondo! Vieni Spirito Santo, Vieni tu che ci rendi diversi e che fai della diversità una provocazione all’Amore!
Vergine Maria, Madre nostra, Tu che a Fatima ci hai svelato la tua straordinaria missione nella storia presente, ci affidiamo a te, ci consacriamo a te. Prendici nel tuo Cuore Immacolato, perché confessiamo con te Gesù Signore e ci apriamo come te allo Spirito Santo.
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martedì 8 maggio 2018 - sesta settimana di Pasqua - At 16,22-34 – Gv 16,5-11 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Che posto diamo allo Spirito Santo nella nostra vita? Siamo soliti iniziare ogni liturgia con una preghiera allo Spirito. Abbiamo imparato a invocarlo all’inizio di ogni incontro, anche all’inizio della lectio divina.
Ma poi che posto diamo al Paraclito, come Gesù lo chiama? Siamo all’erta, attenti alla Sua voce interiore, alle Sue mozioni? Siamo disponibili alle novità che può far sorgere nella nostra vita, come nella vita della comunità, della Chiesa? Che spazio Gli diamo?
Questa domanda ce la possiamo fare, in modo particolare oggi, in due modi: innanzi tutto con il Vangelo odierno. Lo Spirito Santo è Spirito di aletheia, di verità. Aletheia significa: svelamento. Lo Spirito ci svela ciò che è di Dio. Ci svela le vie di Dio che non sono le nostre. Anzi ci accompagna sulle vie di Dio che ci sono sconosciute. Egli ci svela in particolare la mondanità spirituale che alberga in noi e tra noi. Ci fa scoprire la vera realtà del peccato, che spesso non si trova là dove pensiamo noi. Ci svela il peccato che consiste nel non credere in Gesù, nel non fidarsi di Gesù, e nel porre la nostra fiducia in altre realtà che ci separano dall’amore di Dio. Poi, ci svela la giustizia, ci svela cioè la via giusta, la via che glorifica il Padre. Ci insegna come la nostra vita possa essere per il Padre una gioia, come possa diventare una vita di veri figli e figlie di Lui. Infine, ci svela il giudizio, la realtà splendida che è il frutto del mistero pasquale, ossia il fatto che «il principe di questo mondo è già condannato». (Gv 16,11) Siamo già stati redenti dal Sangue di Gesù, la vittoria sul male, sul Maligno, è già compiuta. La catechesi dello Spirito Santo è piena di forza, di gioia e di speranza! Ci dona delle ali, ci rende capaci di amare, di testimoniare, di sperare contro ogni speranza. Senza di Lui, viviamo da ciechi. In Lui, splende la verità della Croce, la luce gloriosa della Risurrezione!
E questo costituisce il legame con la prima lettura che ci indica un’altra azione dello Spirito Santo. Egli è Spirito di potenza, ci rende capaci di lodare Dio in mezzo alla prova. Come mai Paolo e Sila, pur umiliati, pur percossi, pur imprigionati con i ceppi ai piedi sono capaci di lodare Dio nel mezzo della notte, nel carcere? È la potenza, l’ardore dello Spirito! Il miracolo che opera lo Spirito è di renderci capaci di amare e di lodare là dove umanamente, da soli, saremmo nella sconfitta e nella depressione. E la sfida è immensa, perché, se noi siamo mossi dallo Spirito, ci sono delle situazioni, delle vite attorno a noi che saranno trasfigurate. Basti pensare al custode della prigione di Filippi. Stava per suicidarsi, spada in mano. Ma l’intervento di Paolo e Sila, entrambi mossi dallo Spirito Santo, cambia del tutto la vita di quell'uomo, che, invece di suicidarsi, sceglie la vita, la carità, lavando le piaghe dei condannati, e lui stesso si lascia lavare dal Sangue di Gesù, dalle acque del Battesimo. Magari, questa sera o domani, incontreremo una persona che pensa di suicidarsi, e la cui vita sarà trasformata perché, obbedendo allo Spirito Santo, avremo nei suoi confronti l’ascolto, l’atteggiamento, i gesti, le parole che servono la vita.
Ecco la potenza dello Spirito Santo! È l’autore della vita nuova. È Lui che trasforma il vivere la vita come vittime, il vivere la vita nella paura di vivere e nella paura di morire, in una vita che ha il gusto della vita. Fa sì che la vita divenga una lode, che la nostra vita contagi la vita. È davvero creatore di vita, donatore di vita.
Verità e vita: ecco il dono dello Spirito. A noi spetta accoglierlo, fargli spazio. Metterci nell’ascolto delle Sue mozioni. Quanto bene faremo allora attorno a noi!
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Domenica 6 maggio 2018 - VI Domenica di Pasqua - At 10,25..48 – 1 Gv 4,7-10 – Gv 15,9-17 - Eremo di Gamogna - f. Antoine-Emmanuel
Perché siamo qui oggi a messa? Perché Gesù ci ha scelti! (cf Gv 15,16) Siamo stati scelti dal Signore. Scelti perché siamo stati buoni e bravi? Perché abbiamo amato Dio? No! Perché Dio ci ha amati per primo! (cf 1 Gv 4,10) Nell’amore, Dio ha sempre l’iniziativa.
Sì, perché ci ha creati per amore! Siamo stati amati e scelti… Ed ora Gesù ci chiede: «Rimanete nel mio amore!» (Gv 15,9) Non fuggire dal Suo amore! Non andare via! Di fatto, quando uno è amato, ha la tentazione di fuggire dall’amore. Perché l’amore ti chiede di donarti. L’amore chiede tutto. L’amore ti porta ad un altro modo di vivere su questa terra, e questo ti spiazza.
«Rimanete nel mio amore!» (Gv 15,9) E come si fa a rimanere nell’amore di Gesù? Gesù ci risponde chiaramente: «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore.» (Gv 15,11) E Gesù ha tanti comandamenti? No! Ne ha uno solo: «Amatevi gli uni gli altri come ho amato voi.» (cf Gv 15,12) Quindi, il modo per rimanere nell’amore di Gesù è di «amarci gli uni gli altri come Egli ci ha amati.» Cosa vuol dire concretamente? Propongo alla vostra attenzione tre punti per obbedire a questo comandamento.
Il primo è di prendersi cura delle amicizie che Dio ci ha già date. Non perdere le occasioni di fare i piccoli gesti dell’amicizia, i «dettagli» dell’amore1. E comincia con chi ti sta accanto oggi. Inoltre cerca di andare più in profondità nell’amore per chi ti sta vicino. Questo significa che, per amore, svuoti te stesso per accogliere l’altro. E all’altro fai dono di te stesso, nella semplicità e nella verità.
Secondo punto: farti vicino alla persona con cui il rapporto è difficile, ascoltandola. Anche se non sei d’accordo, fai silenzio dentro di te, e accogli il suo lamento, il suo grido. Magari non nascerà un affetto sensibile, ma spunterà un inizio di comunione.
Terzo punto: lasciati guidare dal Signore verso amicizie nuove. Pietro non sapeva che ci sarebbe stato un certo Cornelio a cui avrebbe fatto così tanto bene! Pietro non sapeva che sarebbe stato un messaggio di Dio per un soldato romano. Allo stesso modo, magari c’è un Cornelio al quale Dio ti vuole mandare, oggi o domani, e tu sarai un messaggio di Dio per questo Cornelio. E Pietro è andato? Sì! Pietro ha fatto ciò che non aveva mai fatto? Sì! E la vita di Cornelio e della sua famiglia è stata trasformata.
Questo è l’amore: essere il messaggio di Dio che sono chiamato ad essere2, e fare all’altro il dono del messaggio che sono io. Essere il riflesso di Gesù che sono io. E l’altro ne è trasformato. E l'amore giunge alla sua pienezza, quando l’altro è anch'egli il messaggio di Dio che è chiamato ad essere. Allora siamo messaggio di Dio l’uno per l’altro.
Il segreto è il silenzio interiore per accogliere il messaggio che l’altro è.
Se si vive questo in coppia, in famiglia, in comunità, ne nasce una vera esperienza mistica3, e diventiamo insieme messaggio di Dio per il mondo! (cf Gv 17,21)
Gesù ci ha scelti per questo!
1 Cfr. Papa Francesco, Gaudete ed esultate, n.144 2 Cfr. Papa Francesco, Gaudete ed esultate, n.24 3 cf Papa Francesco, Gaudete ed esultate, n.142
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Domenica 6 maggio 2018
- VIa Domenica di Pasqua -
Badia Fiorentina - un monaco della Badia
E che cosa annunciare? L’amore di Dio Figlio per tutti, la sorgente del quale è l’amore di Dio Padre, rendendo possibile l’amore fra gli uomini per mezzo di Dio Spirito Santo. Annunciare che Dio è amore... amore che dà la gioia piena. Detto così il compito sembra tutto facile, ma sappiamo bene come l’amore può diventare complicato, pur essendo il primo slancio del cuore umano, perché siamo fatti per l’amore. Rileviamo prima di tutto l’orizzonte ampio, immenso dell’amore divino, é per tutti, nessuno escluso... diverso dall’amore come conosciamo noi che tende a limitarsi in un cerchio stretto di coloro che si assomigliano, si conoscono. Si dice infatti chi si assomiglia si piglia. E poi sia quello in una coppia, in famiglia, fra amici o altri relazioni... l’amore che conosciamo noi consiste spesso in questo: amami perché io ti amo, amami come ti amo io, mi ami perché io ti amo, ti amo perché tu mi ami... E quando le difficoltà arrivano e la reciprocità diventa problematica... ci si chiede è forse giunta l’ora di separarsi, di trovarsi un altro partner, ricominciare un altra avventura d’amore. Quando si è giovane... va bene, ma quando si è sulla quarantina... e poi si è già al 3zo, 4ta partner di vita... Intendiamoci bene, parlando così non scredito in alcun modo l’amore umano. Va detto però che ogni relazione d’amore in questo mondo è spesso destinata al fallimento, perché quando l’io dell’uno si schianta contro l’io dell’altro... ci sono delle scintille! E... se non si è collegato, connesso alla fonte inesauribile d’amore... amore fino al perdono, come volete che durano le nostre relazioni? Quanti sposi sopportano, si sacrificano, si rassegnano in una vita di coppia difficile, senza gioia, senza vita... non si separano... per i bambini... per salvarsi la faccia, perché il matrimonio è sacramento! Ora ci sono dei matrimoni forse non validi sin dall’inizio. Ci sono anche coloro che non ne fanno caso e si separano perché non ne possono più. Non si può chiedere a coloro che non credono davvero nel sacramento di portare il peso dell’indissolubilità... e se non ricorrono alla grazia dei sacramenti, come si può durare nella noia, sofferenza. Dicendo tutto ciò voglio sottolineare che se l’amore è scritto da Dio nel cuore di ogni uomo, donna, facendo di ognuno immagine e somiglianza sua, questo amore si sciupa, si guasta quando si stacca dalla sorgente, va storto quando si ferma in un circolo vizioso d’egoismo a due o a parecchi, limitandosi a coloro che si assomigliano, rinviandosi, palleggiandosi l’immagine di se. L’amore secondo il vangelo spezza sempre il cerchio chiuso nel quale l’uomo tende a ripiegarsi. Il dinamismo di questo amore suona così... come io tuo Dio ti amo, così, dello stesso amore ama il tuo prossimo. L’amore così inteso non si stagna mai, sempre collegato alla sorgente, come l’acqua viva sempre sgorga, dando vita dove passa. L’amore divino è DONO continuo, ricevuto e ridonato, moltiplicandosi nella condivisione senza venir meno, anzi diventando più profondo, autentico quando è ridato sopratutto a coloro che non ne hanno o poco. Ma prima di poter annunciare questo amore dobbiamo vedere come esso illumina la nostra vita, le nostre esperienze d’amore, in coppia, in famiglia, in comunità. Altrimenti non possiamo parlarne con credibilità. Per esempio tanti problemi, difficoltà, personali, familiari, professionali, pastorali provengono dal fatto di non aver chiarito in sè cosa privilegiare: il ricevere amore o il dare amore, l’azione immediato o la riflessione, l’esteriorità o l’interiorità, l’agire o l’essere, il corpo o il cuore... Prendiamo l’esempio di una coppia: lo sposo dice unione dei corpi per arrivare all’unione dei cuori, la sposa dice unione dei cuori prima perché l’unione dei corpi sia sorgente di gioia, vita. La filosofia antropologica di S. Giovanni Paolo II ha fatto notare la differenza fondamentale tra uomo e donna nella concezione dell’amore. Cioè l’uomo tende ad amare prima per essere amato poi in cambio, mentre la donna tende ad aspettare di essere amata prima di poter amare poi in cambio. Differenza... ma non in modo netto bianco o nero perché in ognuno di noi coesistono queste due tendenze, in proporzioni varie. E poi ci sono le ferite del cuore, le conseguenze del peccato che complicano tutto. Noi amiamo perché egli, Dio, ci ha amati per primo dice Giovanni (I Gv 4, 19). Ha capito che solo colui, colei che è stato amato davvero è capace di amare a sua volta, superando paure, diffidenze, ferite. Per primo, l’aggettivo “primo” qui non è solo nel senso cronologico perché Dio ci ama sempre in ogni istante, è sopratutto nel senso ontologico, al livello dell’essere. Il suo amore precede tutto, è Lui che ha l’iniziativa in tutto. Il credente è colui che ha capito questo, ha visto in Gesù l’apice di questo amore, lo riceve e ne vive. Ed è per questo che l’immagine più eloquente di Dio nel mondo è l’amore, l’unione di uomini e donne, coppie, famiglie, comunità che amano a vicenda, si perdonano. Dio è amore dice Giovanni e riporta queste parole di Gesù... da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri (Gv 13, 35). Nessuno ha un amore più grande di questo, dare la sua vita per i propri amici. L’umile Eucarestia che stiamo per ricevere è sacramento di questa vita donata. Riceviamola con fede per poter annunciarla intorno a noi.
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martedì 1 maggio 2018 - San Giuseppe, lavoratore - Gn 1,26 – 2,3 – Mt 13,54-58 - Eremo di Gamogna - f. Antoine-Emmanuel
Scorrendo il primo capitolo della Genesi, troviamo un succedersi di espressioni come: Dio creò, Dio disse, Dio vide, Dio separò, Dio chiamò, Dio pose, Dio benedisse, … Poi, all’improvviso, compare una nuova espressione: «facciamo...» Un «noi»! Qualcuno dirà:«Sarà Dio insieme ai suoi angeli, alla corte celeste?» Ma niente ce lo fa pensare. È un «noi» in Dio… come se, in quel momento, Dio si consegnasse più pienamente, si svelasse, facesse dono di sé come non mai. «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza…» (Gn 1,26) E poi il testo spiega: «Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, (cioè) maschio e femmina li creò.» (Gn 1,27)
È immenso questo! Essere maschio e femmina non è soltanto un fatto fisiologico necessario per la riproduzione, come per gli animali. C’è qualcosa di molto più grande che si gioca nell’essere uomo e donna. Come se Dio entrasse, si nascondesse nel nostro essere uomini e donne.
Quando si nega la differenza sessuale, si scaccia Dio dalla nostra esistenza: «Non voglio essere diverso; non voglio la diversità. Non voglio Dio.»
Quando si usa la differenza come luogo di dominio, di potere, di seduzione, si scaccia Dio dalla nostra vita: «Voglio dominare l’altro; voglio possedere l’altro, e, quindi, non voglio Dio che è il Tutt'Altro.»
Quando si usa la differenza come luogo di piacere egoistico, quando si usa l’altro come un oggetto, si scaccia Dio di nuovo: «Voglio l’altro come oggetto a mia disposizione.» Questo si chiama «sesso libero», si chiama pornografia. E Dio piange questa distruzione dell’essere intimo dell’uomo.
Ma quando la differenza uomo-donna è accolta, quando è vissuta nel rispetto, nello stupore, nell’amore, allora il «noi» di Dio si rende presente in un modo stupendo.
L’essere uomo e donna diviene un'esperienza di Dio, un’esperienza mistica, un’esperienza che ci fa crescere, che ci porta nella vera vita, che è comunione.
L’altro sesso ci apre all’alterità, ci apre a Dio!
Perché il mondo oggi è così in ricerca di esperienze sessuali? È perché anela a questa comunione! Ma… non la trova nel sesso, quando lo vive senza l’Amore vero, senza lo stupore dinanzi all’altro e dinanzi a Dio. E non trovando la comunione desiderata, la vuole avere ad ogni costo, e cade nella dipendenza del piacere sessuale che diviene ossessione, tristezza, rabbia, patologia, ….
Per questo sono necessari dei testimoni che indichino un’altra via, la via del rispetto, dello stupore, dell’Amore.
In primo luogo delle coppie che vivano in modo sano e rispettoso la vita sessuale, senza permettere che la farmacia entri nella loro intimità - a meno che la malattia non lo renda necessario – rispettando il ritmo del corpo, specie della donna, ed i desideri profondi e diversi delle anime. Sono coppie luminose queste!
E' anche necessaria la testimonianza di chi vive l’essere uomo e donna senza l’intimità sessuale. Non perché l’intimità sessuale sia cosa cattiva in sé, non lo è! Ma perché hanno la missione di testimoniare un “oltre”, un orizzonte che è al-di-là della generazione terrena.
Basti pensare a Maria ed a Giuseppe. Chi potrà dire la profondità del loro amore? La loro immensa stima reciproca? Il «noi» di Dio si rese visibile in loro come mai prima sulla terra. Si rese visibile nella virilità di Giuseppe che assunse il suo essere uomo, nella femminilità di Maria che assunse il suo essere donna, e nell’accoglienza della loro diversità sessuale che divenne il luogo in cui Dio fece irruzione, crebbe, imparò ad essere uomo e ci salvò!
Signore, per la preghiera di San Giuseppe e della Beata Vergine Maria, insegnaci ad essere pienamente uomini, pienamente donne, e ad accoglierti ed amarti nella nostra differenza. Amen.
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Domenica 29 aprile 2018
- Va Domenica di Pasqua - Badia Fiorentina - un monaco della
Badia Io sono il buon pastore... e voi siete le mie pecore! Era domenica scorsa. Stamani Gesù dice Io sono la vite...e voi siete i miei tralci. I vangeli di queste domeniche di Pasqua c’invitano a meditare il legame profondo tra il Risorto e coloro che accolgono la BN della Risurrezione. A scopo di consolidare la Chiesa come dicono gli Atti nella 1ma lettura. Oggi, meditiamo su un legame ancora più profondo tra quello del pastore e le sue pecore, il legame tra la vite e il tralcio. L’uno è prolungamento dell’altro, dalla vite il tralcio riceve la linfa e nutrimenti necessari per produrre foglie e con il sole, produrre fiori e uva. Il frutto dell’uno e anche quello dell’altro. E se per caso il legame tra vite e tralcio è danneggiato, tagliato... sappiamo bene, non si tratta di produrre meno o poco frutto... si tratta della sopravivenza del tralcio! Senza di me non potete far nulla. Se tagliato dalla vite, nulla... niente foglie, nemmeno viticci, tanto meno uva, niente di niente! Che deve fare il tralcio per portare frutto di vita eterna? Rimanere... l’evangelista Giovanni lo ripete 8 volte! Rimanete in me... chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto. Rimanere unito alla vite. Prima di tutto significa non dimenticare le promesse battesimali emesse o rinnovate la notte di Pasqua con le quali siamo innestati, inseriti nella vigna. Non allontanarsi dalla vigna vuol dire non allontanarsi da Dio Padre in un paese straniero come fece il figlio prodigo. E non si allontana soltanto con un solo balzo come ha fatto il figlio minore, si può anche allontanarsi dal Padre a piccoli piccoli passi, rimanendo sul posto, come fece il figlio maggiore. Piccoli omissioni, scelte più o meno chiare, piccoli compromissioni qua e la, piccoli trucchi con la verità... Si possono avere le sembianze di appartenere alla vigna, non si manca mai alla messa domenicale, si può essere membro del coro, del consiglio pastorale, si può essere monaco, religiosa... ma agli occhi del Signore essere un tralcio sterile, non porta frutto, solo foglie, viticci! Rimanere in Gesù significa sopratutto rimanere nel suo amore (15, 9)! Notiamo bene il luogo dove dobbiamo rimanere, nell’amore che Gesù ha per noi, più che nell’amore che noi abbiamo per Lui! Il primo è la sorgente, condizione necessaria del secondo. E rimanere nel suo amore, vuol dire permetterlo di amarci, permettere alla sua parola, al suo corpo e sangue di nutrirci, disponendoci per riceverli nella meditazione, preghiera e celebrazione dei sacramenti. Lasciare passare la linfa dello Spirito Santo.. vuol dire evitare che tra la vite e il tralcio si accumulano le barriere del peccato, dell’autosufficienza. Rimanete nel mio amore... poi Gesù aggiunge... e io in voi. Perché se da parte sua siamo sempre nel suo cuore poiché ci ama, da parte nostra purtroppo, il nostro amore per Lui può venir meno... Gesù allora non trova posto o poco nel nostro cuore. Ma anche con il poco d’amore che siamo in grado di dare, possiamo portare frutto. E coloro che ne portano, il Padre li pota. Cioè taglia non solo le parti morte o marce, cioè il male ovvio, ma anche i mali nascosti che si presentano sotto l’aspetto del bene. Che cosa sono questi? Qualche volta sono inclinazioni, appetiti, voglie, desideri, idee che partono in tutti i sensi... che come viticci, germogli, ramoscelli superflui non fanno che consumare la linfa, le energie senza produrre frutto. Un vignaiolo avvertito sa discernere quale ramo o viticcio tagliare. È una grazia da chiedere di poter riconoscere la mano del Signore nei momenti di difficoltà, che forse sono momenti di potatura. Grazia da chiedere per non lamentarsi, considerarsi vittima della sorte o delle persecuzioni, maledizione o chissà ancora, grazia per non resistere le mani di Dio Padre che ci pota. Se le nostre prove sono conseguenze delle nostre colpe, ne chiediamo perdono umilmente... ma se il nostro cuore non ci rimprovera come dice S. Giovanni (2da lettura), chiediamo al Signore la grazia di riconoscere la sua mano che ci pota, la grazia di non resisterle. E questa grazia chiediamo non solo per noi, a nostro livello personale. Perché la potatura può essere anche a livello familiare, comunitaria, ecclesiale, può essere anche a livello nazionale o di tutta l’umanità. Chiediamo la grazia di non scoraggiarci vedendo la nostra comunità per esempio potata dalla mano di Dio, la nostra Chiesa che ha bisogno di purificazione, non lamentarci che la Chiesa va male, non preoccuparci troppo perché non ci sono più vocazioni, non ci sono più fedeli in chiesa... Chissà? È forse la mano di Dio che sta potando la sua Chiesa. Non disperarci a causa delle tribolazioni che sembrano accanirsi contro l’umanità... guerre, cambiamenti climatici, movimento di popolazioni... è forse una potatura necessaria per l’orgoglio dell’uomo moderno che pensa di poter cavarsela senza Dio. Fra poco pregheremo... Benedetto sei tu Signore Dio dell’universo, dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo vino, frutto della vite e del lavoro dell’uomo, lo presentiamo a te perché diventi per noi bevanda di salvezza. Riceviamo con fede questa bevanda di salvezza, il pane della vita... rinnovino in noi la linfa vivificante dello Spirito Santo perché portiamo frutto per la gloria di Dio Padre, frutto di vero amore non a parole ma con i fatti dice Giovanni, di vera gioia, pazienza, pace, benevolenza, generosità, bontà...
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Giovedì 26 aprile 2018 - IV settimana di Pasqua - At 13,13-25 – Gv 13,16-20 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Ed ascoltiamo Paolo, il fariseo convertito che parla con fuoco. Fa impressione vedere come Dio può trasformare un uomo.
Sentendolo parlare, io penso a un dirottamento aereo: la passione in lui ha cambiato direzione! Paolo era pieno di passioni: per la legge, per la purezza religiosa; era pieno di violenza, anzi di odio… in nome di Dio. E ormai è pieno di passione per Cristo. Tutta l’energia delle passioni si è trasferita nell’amore per Gesù, per il Vangelo, per la Chiesa, per gli altri.
È splendido, perché si vede in lui una verità meravigliosa: in Cristo - e solo in Lui - la passione più violenta che è quella dell’ira può esser convertita in Amore… E quindi tutte le passioni in noi possono esser dirottate verso l’amore vero.
Guardate come Saulo, l’affamato di violenza, il testimone felice della morte di Stefano, diviene San Paolo tutto immerso nella luce dell’Amore, della vita, della gloria di Dio. Ricordiamocene quando abbiamo paura delle nostre passioni… Gesù è vincitore anche di ciò che è più buio, più violento, più menzognero in noi. Ma solo Lui lo è. Nessun altro. Solo Lui è capace di trasformare tutto in amore. Si capisce allora che la libertà dalle passioni non è essere senza passioni, ma essere appassionati in Gesù, con Gesù, condividendo la Sua Passione d’amore.
Ma non fu per Saulo una trasformazione immediata. Ci fu la grazia e ci fu il deserto. 3 anni o 10 anni di deserto, per cominciare questa conversione…
E di cosa parla Paolo oggi nella sinagoga di Antiochia? Racconta alla gente la loro storia: l’esilio, il deserto, i giudici, Samuele, Chis, Saul, Iesse, Davide… Fa loro scoprire che la loro storia era in realtà una preparazione all’incontro con Gesù, anche Chis, anche Iesse, di cui non si parla tanto. Tutto ciò che il Signore ha predisposto, fatto, operato nella loro storia, era per condurli a Cristo.
Ed è vero pure per noi: tutto ciò che il Signore ha predisposto, fatto, operato nella nostra storia, nella tua, nella mia, era per condurci a Cristo.
Se guardiamo bene alla nostra storia, vediamo che Gesù è stato presente in ogni tappa della nostra vita. Non come uno che ti guarda e basta. Non come uno che ti incoraggia e basta. Ma come uno che si impegna, che si coinvolge nella nostra storia, che piange con te, che opera con te, che lotta per te, che muore per te … Per che scopo? Perché tu divenga una cosa sola con Lui!
I nostri doni naturali, li attira a sé, perché siano a servizio dell’Amore. I nostri limiti, li consacra, perché ci siano di aiuto per dimorare nell’umiltà Sua. Le nostre passioni, le riorienta, perché servano il Vangelo. I nostri peccati? Ne fa il luogo in cui scopriamo la profondità del suo Amore.
Guardiamo bene: quante volte Gesù si è inginocchiato davanti a noi per battezzarci con il suo Amore, quante volte ci ha lavati allorché ci eravamo sporcati l’anima con il peccato! Quante volte ci ha accolti come si accoglie un viandante stanco e gli si lavano i piedi…
Meravigliosa opera di Gesù che oggi ci dice: “Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica.”(Gv 13,17) Beati siete voi, siamo noi se facciamo per gli altri come Gesù ha fatto per noi nella nostra vita. Come se Gesù ci dicesse: lasciatevi lavare i piedi dal mio Amore, e lavatevi i piedi a vicenda con il mio Amore in voi. Questa è beatitudine! Chiediamo in questa Eucarestia la gioia di entrare in questa beatitudine del catino e del grembiule.
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Domenica 22 aprile 2018 - IV settimana di Pasqua - Ac 4,8-12 – 1 Gv 3,1-2 – Gv 10,11-18 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Come guardi a Gesù? È la domanda che possiamo farci, ascoltando il Vangelo odierno. Perché c’è chi guarda a Gesù come Buon Pastore, e c’è chi guarda a Gesù – spesso in modo inconscio - come Pastore mercenario.
Cominciamo col guardare cos’è un pastore mercenario. Letteralmente, è il pastore salariato, il dipendente. Fa il pastore per un proprio interesse. Lavora, certo, e magari bene, per vegliare sulle pecore, per prendersene cura, ma non gli interessano le pecore. Gli interessa quel che guadagnerà. Il suo cuore non sta con le pecore, ma col suo guadagno. E quando le pecore sono in pericolo, scappa. Perché le pecore non sono sue. Non vuole rovinare la sua vita per delle pecore.
Poi c’è il Pastore buono o bello. È un pastore strano, sorprendente. Dà la propria vita per le pecore. Come se la vita delle pecore fosse più preziosa della sua stessa vita. Non gli interessa il guadagno. Gli interessa ciascuna pecora e il loro essere insieme. Il suo cuore è nel gregge. E se viene il lupo, affronta lui stesso la violenza del lupo, affinché le pecore non siano né ferite né disperse. In una parola: le pecore sono sue; ma lui non agisce come un proprietario, bensì come un amante.
Ed ecco la domanda: come guardi a Gesù?
Chi tra noi non ama il Salmo 22, che recita così: «Il Signore è il mio Pastore»? Ma, per te, Gesù è un dipendente che fa il suo lavoro, magari anche bene, o è un amante?
Perché c’è chi la pensa cosi: «Gesù si prende cura di me, certo. Gesù mi ha fatto tanti doni nella mia vita. Anzi, Gesù è morto per me. Ma… deve avere un interesse, anche un interesse dignitoso! E senz’altro, il suo prendersi cura di me, di noi, ha dei limiti: se faccio troppo la pecora nera, mi abbandonerà. Non è possibile che mi ami gratuitamente. Comunque, è possibile amare gratuitamente? Non ci credo.»
Allora, oggi, Gesù bussa alla porta del nostro cuore con quest’annuncio: «Io sono il Buon Pastore». (Gv 10,11) Non dice «Io sono un Buon Pastore», bensì: «Io sono il Buon Pastore». Perché Lui solo è pastore in questa maniera. Vi è, cioè, qualcuno che ti ama, che ti guida, che si preoccupa di nutrirti, di salvarti, che si preoccupa della tua felicità, quella più profonda, e che arriva a morire per te, e tutto ciò senza avere alcun interesse di un qualche guadagno. «Io sono il Buon Pastore» significa che Gesù non ti ama perché così sarai un buon cristiano o un buon religioso che farà salire di un punto le statistiche della Chiesa cattolica. Non gli interessano le statistiche della Chiesa cattolica. Non ti ama per avere un tifoso! Non ti ama per avere qualcuno che gli faccia buona pubblicità. Non ti ama perché si annoia e cerca buona compagnia. No! Quello che motiva il Buon Pastore, che gli fa sporcare i piedi e ferire le mani per cercarti nel fango e liberarti dalle spine, è l’amore. Quello che lo fa morire per te è l’amore. Solo l’amore.
L’amore nel senso dell’eros, del desiderio. Gesù desidera te e desidera inseparabilmente il nostro essere una cosa sola! Arde dal desiderio che siamo con Lui eternamente nel seno del Padre, e per raggiungere tale meta è pronto a perdere tutto, anche a perdere Dio sul Golgota. L’eros di Gesù è un fuoco ardente!
E pure l’agape è in Lui immensa. Gesù vuole darsi a te, darti tutto ciò che Egli ha, che Egli è. Il Buon Pastore dà la propria vita per noi, perché abbiamo la vita in abbondanza. L’agape di Gesù è un fuoco altrettanto ardente!
Eros e agape, totalmente uniti, riconciliati. Fuoco d’amore nel cuore del Buon Pastore. Follia d’amore.
E Gesù poi aggiunge: «Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me.» (Gv 10,14) E questa conoscenza non è quella dei libri. È la conoscenza dell’amore. Gesù ci conosce amandoci fino alle profondità più intime del nostro essere. Là dove non ce la facciamo ad entrare in noi, l’amore di Gesù ci precede.
Carissimi, è possibile essere amati a questo punto? Come l’Amore può amarci, dato il non-amore che ci portiamo dentro? «Conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre.» (Gv 10,14-15) Gesù ci ama dentro l’Amore che ha per il Padre. L’Amore per noi è come interiore all’amore che ha per il Padre. Non è che amando noi, ama di meno il Padre. No! È un solo movimento, un solo dinamismo, un solo slancio. Siamo amati come dentro un alto voltaggio d’amore che ci precede. «Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio» abbiamo sentito nella seconda lettura, e lo siamo realmente!» (1Gv 3,1)
Accogliamo quest’amore? Siamo pronti ad essere amati? Ad affidarci, nudi e vulnerabili, peccatori e ingiusti, all’Amore? A fare di quest’Amore la pietra angolare della nostra vita? «La pietra che è stata scartata dai costruttori è diventata pietra d’angolo.» (cf. At 4,11) L’Amore che è stato scartato dai costruttori, lo vai a prendere e lo metti come chiave di volta della tua vita!
Qualcosa allora “si strappa” in noi. Non sono più io a dover essere la sorgente dell’amore, come ho cercato in ogni modo di essere nel passato. Non ho più bisogno di fare buona figura. Non ho più bisogno di essere dio… Allora, in questo cuore strappato, aperto, pacificato… entrano gli altri. Non vi è più bisogno di proteggersi, di difendersi… E, naturalmente, cominciamo a diventare, anche noi, buoni pastorelli… Impariamo a non fuggire quando un lupo si avvicina ad un fratello. Quando il lupo sta sfigurando un uomo, non passiamo più sull’altro marciapiede. C’è il lupo della droga, della miseria, della lussuria, dell’avarizia, del gioco, della pornografia, delle dipendenze… Ci sono tanti lupi oggi. Che il gregge venga disperso diviene per noi una ferita, ne soffriamo e mettiamo in gioco la nostra vita: amiamo l’unità del gregge, la vogliamo servire, fino a dare la vita perché tutti siano una cosa sola.
Possiamo tutti diventare buoni pastorelli. Tutti. Perché non dipende dalle ricchezze né dal portafoglio né dagli affetti né dagli studi. Dipende dal lasciarci amare gratuitamente dal Buon Pastore Gesù, dal lasciare che il Suo amore pastorale divenga il motore della nostra vita. Allora vedremo i poveri come Lui li vede, col Suo sguardo. Non ne avremo più paura. E ci ricorderemo: «Il buon pastore dà la propria vita per le pecore.» (Gv 10,11)
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sabato 21 aprile 2018 - III settimana di Pasqua - Ac 9,31-42 – Gv 6,60-69 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
«Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura!» (Gv 6,60) E cosa dice Pietro ? «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68) Parola dura oppure parole di vita eterna?
Parole dure o cuore duro? Cuore duro, insensibile all’amore vero.
Ma «parole di vita eterna», dice Pietro. Pietro non dice a Gesù: «Abbiamo capito, quel che dici è chiarissimo per noi, e pensiamo che tu abbia ragione.» No! «Tu hai parole di vita eterna»! Le tue parole, cioè, hanno sapore di vita eterna. Non sono solo parole umane che possiamo capire con il solo sguardo carnale. Ci aprono a qualcosa d'altro, di diverso. Ci aprono all' al-di-là. Ed è chiaro che nessuno ha mai parlato così. Questa fu la risposta di Pietro alla domanda di Gesù: «Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,67)
E oggi? Oggi tanti lasciano Gesù. Tanti non vanno più in Chiesa. «Volete andarvene anche voi?» chiede anche a noi Gesù oggi. La nostra presenza in questa chiesa oggi è una risposta corale: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» ! Il mondo oggi è strapieno di parole, di immagini, di video, di messaggini, … Ma «Tu», Gesù, «hai parole di vita eterna» ! Quando ci parli di te come «pane dal cielo» (Gv 6,32) come «pane della vita» (Gv 6,35.48), come «pane vivo» (Gv 6,51), brucia il nostro cuore! Perché Gesù si è fatto pane per noi. La vita eterna, che è comunione di tutti in Dio, si trova a nostra disposizione sulla Mensa, come del pane sulla tavola di famiglia. Pane è la tua Parola che è «Spirito e vita»! (Gv 6,63) Pane è la tua Eucarestia, il tuo corpo offerto per noi. Noi tutto affamati d’amore, troviamo in te il Pane vero, il Pane sostanziale, il Pane quotidiano. Il vivere «sulla terra come in cielo» non è una chimera: ci viene offerto come un pane caldo e appetitoso. «Signore, da chi andremo? Tu sei il Pane della vita eterna!» (cf. Gv 6,68) Il Panificio del bell'Amore, sei Tu! Aprire le nostre mani per ricevere l’ostia del Pane tuo, è ricevere la vita eterna nel nostro cuore, è ricevere l’amore per viverne e esserne trasformati. La durezza del cuore si spezza quando l’Eucaristia vi entra con una fede viva. Si spezza la roccia del cuore, e straripa la tenerezza. Il fast food dei messaggini non basterà mai a colmare l’immensità del nostro desiderio. Ci vuole il «pane del cielo», il «pane della vita», il «pane vivo».
E cosa avviene allora? Il pane della vita fa di noi, come già avvenne per Pietro, dei portatori di vita. Dove vai, dove passi, gli Enea e le Tabità si alzano, risuscitano… Ce lo raccontano gli Atti degli apostoli: La barella di Enea è vuota. La camera mortuaria di Tabità è vuota. Perché è venuto Pietro, l’apostolo che si ciba di Gesù. Ed anche noi, se ci cibiamo con fede di Gesù, vuoteremo le barelle di tante vite paralizzate dalle paure e le camere mortuarie di tante anime sepolte nei piaceri del mondo. «E molti credettero nel Signore!» (Atti 9,42) E molti crederanno nel Signore. Perché insieme avremo accolto Gesù come Pane della nostra vita, Pane del nostro vivere insieme, Pane del nostro amore reciproco. |
giovedi 19 aprile 2018 - III settimana di Pasqua - Ac 8,26-40 – Gv 6,44-51 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
«Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato» (Gv 6,44) Ascoltando queste parole di Gesù, come non rendere grazie a Dio? Se siamo qui questa sera, se Gesù è il grande Amore della nostra vita, se Gesù è divenuto il centro, il senso, della nostra vita, è perché il Padre ci ha attratti a Gesù. Guardate com’è bello: Il Padre ci attira a Gesù! È una vera e propria attrazione. Gesù parla pure dell’essere istruiti da Dio. Quando ascoltiamo il Padre e siamo nei Suoi confronti come dei discepoli, allora il Padre ci attira a Gesù. Non è che vediamo il Padre, ma Lo ascoltiamo, questo sì!
Il Padre ci parla attraverso la Scrittura, e mediante Essa ci rivela Gesù come Colui che adempie ogni Sua promessa. Il Padre ci parla attraverso il creato, rivelandoci Gesù come Colui che è al principio e al termine del cosmo. Il Padre ci parla nel nostro cuore mediante lo Spirito Santo e ci rivela Gesù come il Suo Beneamato che ci salva e ci apre le porte del cielo. Il Padre ci parla attraverso gli altri, rivelandoci che in Gesù troviamo la vera comunione, l’unità, l’amore.
Quanto il Padre anela al nostro esser una cosa sola con Gesù, al nostro essere insieme un solo corpo in Gesù! Quanto lo desidera!
Perché? Perché è in Gesù che il Padre ci ritrova. È in Gesù che troviamo il volto del Padre, che scopriamo di non esser orfani, ma figli pieni di dignità e di bellezza. Nessuno può andare al Padre senza Gesù. Nessuno può andare al Padre senza gli altri. Chiudersi ad una persona significa chiudersi al Padre. Amare gli altri in Gesù è la via regale per entrare nel seno del Padre.
Gesù è in persona il pane della vita, il pane che alimenta la vita vera in noi. Abbiamo bisogno di Gesù come abbiamo bisogno del pane. Perché in Gesù si trova l’Amore, in Lui si trova la vita, in Lui si trova il Padre. In lui diventiamo vivi! * «Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato» Di questa attrazione noi possiamo essere i servi per gli altri. Possiamo mettere la nostra vita a disposizione del Padre perché Egli possa attrarre a Gesù altre persone, come fece Filippo, abbiamo sentito nella prima lettura. Si tratta di lasciarsi inviare dove il Signore vuole. Anche su una strada deserta… Che si fa per il Signore su una strada deserta, in una città divenuta deserto? Vi si incontra all’improvviso un volto sconosciuto. E Dio può chiederci di farci vicini a lui. Non per fare grandi discorsi, ma per porre domande, come Filippo che chiese a quello straniero che non conosceva: «Capisci quello che stai leggendo?» (Atti 8,30) Porre una domanda. Semplicemente. Mi ricordo della bellezza di tanti incontri sulla strada a Montréal quando si chiedeva alla gente: «C’è qualcuno per cui Lei vuole che io preghi?» Porre una domanda, farsi povero accanto allo straniero. E la povertà del cuore apre il cuore dell’altro. Cosa fece lo straniero incontrato da Filippo? Lo fece salire e sedere accanto a lui. Fecero la strada insieme attraverso le Scritture, fino alle acque del Battesimo.
Carissimi, non mancano gli stranieri a Firenze, vero? Senza dubbio, il Padre ci ha scelti per attrarre alcuni di loro a Gesù. Sei pronto a lasciarti inviare? Siamo desiderosi di diventare sempre di più strumenti di Dio per tante anime che viaggiano da sole nella vita? |
Domenica 15 aprile 2018 - IIIa Domenica di Pasqua - Badia Fiorentina - un monaco della Badia
Dio ha compiuto ciò che era annunciato dai profeti...il Cristo doveva soffrire... ma Dio l’ha risuscitato dai morti... noi ne siamo testimoni! Dice Pietro ai Giudei. È proprio quello che Gesù aveva detto... così sta scritto il Cristo patirà e risorgerà dai morti, nel suo nome saranno predicati la conversione e il perdono dei peccati... di questo voi siete testimoni ! Testimoni! Gesù avrebbe potuto dire siete messaggeri, araldi, annunciatori. Ma la parola “testimone” è scelta apposta. Perché carissimi, il messaggero o per esempio l’araldo imperiale.. non non ha bisogno di credere che Cesare è davvero una divinità, ha solo da ripetere ciò che gli hanno detto di annunciare. Una presentatrice alla televisione non ha bisogno di credere che quel detersivo lava davvero più bianco che la neve, gli basta imparare bene la formula, sorridere e recitare lo slogan. Per essere testimone, occorre di più, molto più. Bisogna averne l’esperienza, avere vissuto. Si dice testimone oculare per colui che ha visto, testimone auricolare per colui che ha udito. Perché carissimi l’essenziale dell’annuncio evangelico, cioè la risurrezione, non è una idea, dottrina da diffondere nello spazio e nel tempo. La Risurrezione è un evento, un fatto da vivere e far vivere, è una persona da incontrare: il Risorto. Da qui l’insistenza dagli apostoli del carattere tangibile della loro esperienza: abbiamo visto dai nostri occhi, toccato con le nostre mani, udito dai nostri orecchi! Ne siamo testimoni! Noi siamo... si riferisce agli apostoli e i discepoli che hanno visto, sentito il Risorto in prima persona. Ma che dire di coloro che non hanno conosciuto Gesù, come san Paolo, coloro che non erano in Palestina 2 mila anni fa? Che dire di noi? Possiamo essere veri testimoni... esserlo per sentito dire? Certo, possiamo essere testimoni, ma non per sentito dire. È proprio lo scopo di questi vangeli che ascoltiamo le domeniche di Pasqua: collegare l’esperienza dei primi testimoni all’esperienza dei testimoni successivi. Fare un legame, dimostrare la continuità tra l’esperienza dei testimoni oculari o corporei, del resto pochissimi, e l’esperienza dei testimoni spirituali che, già al tempo di san Paolo erano più numerosi fra i discepoli. E poi, il fatto di aver visto Gesù risorto non fa dell’osservatore un testimone. Matteo scrive che al momento dell’apparizione di Gesù in Galilea i discepoli presenti lo videro, si prostrarono, alcuni però... dubitarono (28, 17). Disse Gesù a Tommaso... perché mi hai veduto hai creduto, beati quelli che non hanno visto e hanno creduto (Gv 20, 29). Nel Vangelo stamani Gesù parla di due modi della sua presenza in mezzo ai discepoli, determinante per fare testimone un discepolo. Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi. Notiamo bene la differenza che Gesù fa della sua presenza nella carne (quando ero ancora con voi) e sottinteso, la sua presenza in quanto risorto. La porta per entrare nella sua presenza nuova è la Scrittura. E la chiave per fare il passaggio da una presenza all’altra è il ricordo delle sue parole, gesti, ricordo delle scritture su di lui... sono queste le parole che io vi dissi.. così sta scritto... fate questo in memoria di me... Per aprire questa porta, conviene essere con altri... 2 o 3 riuniti nel nome di Gesù, perché è quando si parla di Lui, quando si ricorda di Lui e si racconta la propria esperienza di Lui... ci si rende conto che Gesù è nell’altro, nel fratello, sorella, in ciascuno, è in mezzo dei discepoli, in mezzo a noi. Mentre parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro... Se Gesù era con i discepoli in Palestina 2 mila anni fa, oggi, per mezzo della sua parola, dei sui gesti e il suo Spirito versato nei cuori, Gesù può essere fra noi, in noi. Per questo sparì dalla vista dei discepoli di Emmaus (Lc 24, 31), quando i loro cuori sono stati aperti all’intelligenza delle Scritture, quando i loro occhi sono stati aperti per riconoscerlo nel pane spezzato... non avevano più bisogno di vederlo in persona. Gesù è in loro, nei loro cuori... possono testimoniare di Lui! Partirono senza indugio per farlo... È di questa esperienza di cui parla Giovanni nella 2da lettura: dire “lo conosco” è osservare la sua parola... conoscere l’amore di Dio che scaccia la paura. C’è una esperienza più profonda che quella degli occhi, orecchi e mani, una conoscenza nel senso biblico che fa del discepolo un testimone. Sperimentare la sua presenza, vivere di Lui per poter parlarne in seguito, manifestarlo in un modo o altro... è questo aver incontrato il Risorto, è questo avere una fede contagiosa, essere testimone credibile. Far capire che Gesù è consolazione nelle prove, perché è stato consolato, perdono per i peccati perché perdonato, misericordia nelle mie debolezze, sorgente di amore e forza per donare e donarsi agli altri... E Gesù mi dà tanto che ne ho anche per gli altri...misericordia nei confronti dei loro difetti, inadeguatezze e inefficienze... Di tutto questo ne abbiamo già fatto esperienza... più o meno. Si tratta di rinnovarli, sempre. Stamattina siamo riuniti nel nome di Gesù, parliamo di Lui, spezziamo il pane della sua parola e del suo corpo, beviamo al calice del suo sangue... come ci ha chiesto. Gesù è in mezzo a noi come ha promesso, non solo in pensiero... ma in persona, nello Spirito Santo, la sua presenza è reale perché lo Spirito è una persona. Apriamoci i cuori perché Gesù vuole donarsi a noi, per essere in noi! Così sia per ciascuno. |
Domenica 8 aprile 2018
- IIa Domenica di
Pasqua - Divina Misericordia - Badia Fiorentina - un monaco
della Badia
Fratelli e Sorelle, cari amici, Cristo è risorto!... Siccome crediamo nella risurrezione di Gesù, mi pare che non sia necessaria un’omelia sulle prove della risurrezione. Ma ciò che è indispensabile, urgente per tutti è di risvegliare, rinnovare in noi il fatto, l’evento della risurrezione, di incontrare sempre più il Risorto! Perché... se dentro le chiese risuonano le acclamazioni della risurrezione, fuori... nei nostri luoghi di lavoro, di vita, di passatempo... riecheggiano sussurri di dubbi, sospiri di scoraggiamento, rumori di fatica. E poi nei nostri tempi, si aspetta non tanto discorsi o libri sulla risurrezione oppure sul Risorto, quanto testimoni della risurrezione! Come fare per dare testimonianza della risurrezione di Gesù con grande forza come abbiamo sentito nella 1ma lettura dagli Atti? Come fare in modo tale che ciò che diciamo, facciamo, possano far sapere, intuire a coloro intorno a noi che la risurrezione è possibile in questa vita e questo anche per loro? Come diffondere la BN, la fede nella risurrezione, la speranza della risurrezione ? Anche se contribuiscono, sappiamo bene, non tanto le nostre belle parole che diffondono il vangelo. Si deve avere, dice Papa Francesco, una “faccia di risorto”, invece della “faccia da funerale” che s’incontra qualche volta nelle nostre chiese. Ma anche questo, non basta... occorre una fede che dia una testimonianza forte. E che cos’è una fede forte... Avete già sentito parlare del dono spirituale che si chiama fede contagiosa? La fede infatti, si diffonde come una malattia. È al contatto di un malato che si becca la malattia. Mai, mai la contaminazione avviene leggendo un libro sulla malattia o parlando, facendo una conferenza su di essa, per quanto erudita sia. Per essere infettato ci vuole di essere in presenza di un malato, al contatto con microbi, batteri o virus contaminanti. Se dunque cari amici, non siamo “malati” della risurrezione di Gesù, tutte le nostre parole, atti non riusciranno a contaminare gli altri, la nostra fede è innocua, non comunica, non diffonde l’evento della risurrezione. Forse trasmette delle conoscenze, una cultura religiosa... c’è chi direbbe... meglio che niente... è vero, ma non dà la vita, la gioia. Di questa fede ne avete già fatto l’esperienza, voi stessi, oppure l’avete visto negli altri... sentendo una parola ispirata, nella forza dello Spirito, gli occhi s’illuminano, il volto, gli orecchi si aprono, il cuore è toccato... qualcosa della vostra storia, della vostra vita si fa vedere sotto una luce diversa. Siete stati sfiorati dallo Spirito Santo, principio attivo di una fede contagiosa. Ci vuole l'essere malato oppure ferito dalla risurrezione di Gesù . Più precisamente, ci vuole l'incontrare Colui che è ferito ma vive in eterno. Ed è questo il primo senso delle ferite mortali che Gesù mostra a Tommaso. Perché come lui Tommaso, è difficile per noi, per tutti gli uomini capire che cos’è la risurrezione, capire la vita eterna nell’aldilà finché in questa vita non abbiamo toccato, visto, incontrato un risorto! Cioè qualcuno come noi con le sue ferite della vita, ma è vivo. Qualcuno che ha gli stessi problemi, difficoltà della vita, che ha tutte le ragioni per essere depresso, a terra... Ma è in piedi, con desiderio di vivere, andare avanti, animato da una speranza contagiosa. Giovanni nel libro dell’Apocalisse ci dà un altra immagine di Gesù ferito apparso a Tommaso, è quella dell’Agnello immolato, ma ritto, perché ha vinto (5,6). Vedere, toccare l’Agnello immolato e coloro che lo hanno seguito e lo seguono ancora.... è questo carissimi incontrare il Risorto, è questo sperimentare la risurrezione, la vita eterna che non è altro che una vita più forte della morte. Ma non basta sperimentare, gustare la risurrezione, bisogna andare oltre. Per poter dare testimonianza con forza, occorre risorgere anche noi dalle nostre morti, dalle nostre ferite. Per questo carissimi, bisogna lasciarsi raggiungere proprio nelle nostre ferite. Tommaso ci dà l’esempio. Gesù gli mostra le sue piaghe e lasciandosi guidare le mani per toccarle, è infatti lui Tommaso che è toccato, raggiunto nelle sue piaghe. Più esattamente nella ferita della sua capacita di fidare, di credere sulla parola degli altri. Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, se non metto il mio dito nel segno dei chiodi... io non credo! Non sappiamo cos’è successo nella storia di Tommaso... forse quand’era piccolo gli hanno promesso un regalo... mai arrivato, sicché da quel momento il Tommasino non poteva più fidarsi di nessuno, di niente se prima non vede e non tocca. E ha continuato così da grande e forse sarebbe morto tale se non ha incontrato Gesù Risorto. Ferite nella capacità di credere, di fidarsi... ferite non solo al livello intellettuale ma sopratutto ferite nel cuore. Quanti, tanti, tanti hanno queste ferite. Forse da piccolo ci è stato insegnato di non accettare mai niente per scontato, sicché ci è diventato un riflesso nella vita di verificare tutto, controllare tutto. Niente di male, certo, ma quando diventa tale che si dubita di tutto e di tutti, quando si critica tutto e tutti... su tutto e niente... diventa un handicap! Abbiamo tutti queste ferite, della memoria, dell’affettività, dell’intelletto, del cuore. Metti qui il tuo dito...guarda le mie mani, tendi la tua mano e mettila nel mio fianco! Ecco carissimi, la sorgente dell’incommensurabile Misericordia che Gesù aveva promesso a S. Faustina Kowalska. Dal suo fianco, dal suo cuore trafitto da una lancia sulla Croce, sgorga non solo acqua e sangue ma sopratutto il fiume del suo amore misericordioso. Ricevendo la comunione fra poco, tendendo le mani... lasciamoci toccare dal Risorto, presentiamoci a Lui tutti interi, le nostre ferite incluse. Chiediamo di essere rinnovati nella Risurrezione, chiediamo e riceviamo il dono di una fede contagiosa, dono della forza, coraggio per testimoniare, di non avere vergogna delle nostre fessure per poterci presentare come siamo con più umiltà. Allora come Paolo possiamo dire che portiamo sul nostro corpo, non solo le stigmate, il morire di Gesù (Gal 6, 17) ma anche la sua vita! Così sia per noi in questa Eucarestia della festa della divina misericordia, in questo tempo pasquale.
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Domenica 8 aprile 2018 - II Domenica di Pasqua - Festa della divina Misericordia - Ac 4,32-35 - 1 Gv 5,1-6 – Gv 20,19-31 -San Bartolomeo, Pistoia - fr. Antoine-Emmanuel
«La pace sia con voi!» (Gv 20,19) Ecco il grande dono offerto da Gesù agli apostoli la sera di Pasqua. A tutti gli apostoli? No! Mancava Tommaso. Era stato incapace di tornare con i suoi compagni, perché era enorme per lui l’umiliazione di esser fuggito, di aver abbandonato Gesù.
Tuttavia finalmente tornò. Ma tornò ancora incapace di credere alla Risurrezione del Maestro. Proprio incapace. Non avrebbe creduto finché non avesse messo il dito nelle ferite delle mani di Gesù, e la mano nel suo costato aperto. Il che era quasi come dire: «Poiché questo non avverrà mai, non ce la farò mai a credere…»
Tommaso dunque stava in comunità. Stava con gli altri. Pregava con gli altri. Ma il Tommaso del Settimo giorno è un praticante che non crede. «Va in Chiesa», ma non crede.
Poi, venne l’Ottavo giorno. E, quel giorno, Tommaso passò dall’incredulità alla fede. E come avvenne questo passaggio, che prima sembrava per lui impensabile? Fu il fatto di vedere Gesù vivo? Sì, certo! Fu il fatto di toccare il corpo del Risorto? Sì! Ma c’è un motivo più profondo che lo fece entrare nella vera fede. Tommaso fu sorpreso, anzi spiazzato, stupito. Perché Gesù non aspettò che egli fosse inginocchiato, contritissimo e piangente per prendersi cura di lui. Neanche aspettò che Tommaso gli chiedesse di vedere le piaghe e di toccarle. No… Gesù prese l’iniziativa. La Misericordia prese l’iniziativa. Da sé stesso, senza aspettare niente da Tommaso, gli offrì di mettere il dito nelle sue mani ferite, e di metter proprio la mano nel suo fianco. Come se Gesù dicesse senza aspettare nessun gesto di contrizione: «Ecco il mio corpo! Guarda! Prendi!» Mai Tommaso si sarebbe aspettato una tale iniziativa di misericordia da parte di Colui che aveva abbandonato dieci giorni prima, nell’ora della Passione. Mai si sarebbe aspettato un così grande amore. Mai! E Tommaso accetta questa iniziativa sorprendente di Gesù. Tommaso si apre alle sorprese di Gesù. E questo è vera fede.
Credere non è sapere tutto di Dio e del suo amore. Credere non è sapere già tutto ciò che Dio farà. Se io so già ciò che Dio farà, non credo in Dio: credo nell'immagine di Dio che mi sono fabbricata. E non è vera fede.
Credere è accogliere, anzi amare le sorprese di Dio. Credere è dare fiducia non a un Dio di cui so tutto, bensì a un Dio che è oltre la mia comprensione, oltre il mio orizzonte.
La fede nella Risurrezione non è solo sapere che Gesù di Nazareth è risorto: è fidarmi di Lui che viene nei modi più inaspettati. La fede non è un tesoro che mi rende ricco dentro. La fede non mi rende ricco: mi rende saldo! Povero e saldo! Saldo, perché ho fiducia non nelle mie certezze, ma in Lui, in Gesù, che agisce con una libertà ed una misericordia che sono ben al-di-là delle mie idee.
E qual è il frutto della fede nella Risurrezione? Cosa produce? Ci risponde la prima lettura. Cosa accade quando la Risurrezione è accolta, quando si lascia agire lo Spirito Santo? «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo ed un’anima sola.» (Atti 4,32) Ecco il grande frutto, la vera manifestazione della Risurrezione! Un cuore solo ed un’anima sola.
Ma come mai questo è il frutto della Risurrezione? È semplice. Se credo nella Risurrezione, se mi fido di Gesù che agisce oltre le mie certezze, allora divengo capace di morire, cioè divengo capace di dimenticarmi, di morire alla mia propria volontà; divengo quindi capace di preferire te, di preferire la tua vita alla mia. Posso, anzi, far spazio a te dentro di me. Tu sarai in me, ed io in te. Allora, sì, diventiamo un cuore solo ed un’anima sola. Invece di lottare per le mie idee, di arrabbiarmi quando non mi si seguono… mi rallegro. Allora l’unità è possibile. La fede nella Risurrezione mi rende capace di unirmi a Gesù abbandonato, di diventare radicalmente povero per accogliere gli altri. Ecco lo splendido frutto della Risurrezione.
Ma, sapete, è proprio bello ! Perché? Perché se sono veramente credente, mi lascio sorprendere da Gesù, lo lascio tessere, Lui, la comunione con chi vuole Lui! Non sono io che scelgo con chi si tesserò le relazioni più profonde. Non è il mio sentimento, la mia affettività che regna: è Lui! Questo è il dono della comunità cristiana, della parrocchia: non scelgo io con chi fare la strada; è Gesù che chiama chi Egli vuole, e che stabilisce rapporti di grande profondità tra chi vuole Lui.
Se viviamo questo, diventiamo persone libere. Non sono più schiavo dei miei affetti, e mi rallegro quando c’è un cambiamento, quando ci sono delle novità che non ho programmato io. Quello che ci interessa allora è di accogliere e servire la comunità cristiana come Gesù la pensa, come la vuole, come la guida.
E qual è la pienezza di questa fede? È di entrare nella divina Misericordia. Allora cadono i muri tra di noi. Cadono i pregiudizi. Cadono i rancori. E si aprono cammini nuovi. La novità della Risurrezione si fa presente in noi e tra di noi, e la comunità diviene un segno splendente del Regno!
Ecco il dono che Gesù vuole farci oggi: la fede viva nella Risurrezione che ci rende capaci di amare, di amare nella libertà dello Spirito, di amare fino a perdonare.
Se accogliamo questo dono, sarà molto grande e feconda la testimonianza che daremo! Sarà davvero l’opera di Gesù Risorto, la cui potenza si dispiega nelle nostre debolezze!
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venerdi 6 aprile 2018 - Ottava di Pasqua - Ac 4,1-12 – Gv 21,1-14 - San Paolo, Pistoia - f. Antoine-Emmanuel
Leggendo e rileggendo il Vangelo odierno, mi sono sempre soffermato su una parola: «nulla». «Non presero nulla.» (Gv 21,3) I sette apostoli sono andati a pescare per tutta la notte sul lago di Tiberiade, sapendo benissimo che la pesca notturna è di solito molto proficua, ma quella notte non presero nulla. Ma nulla. Neanche tre pesciolini. Nulla.
Certamente non erano di buon umore… Era già l’alba, la notte era finita, e la rete era vuota. E per giunta c’era quello sconosciuto che, dalla riva, chiedeva proprio se avessero qualcosa da mangiare. Una bella umiliazione... Non potevano che rispondere: no! Nulla!
Cosa avviene in quel momento? Quell’uomo dice loro di gettare la rete a destra. E ubbidiscono: gettano la rete a destra, e non riescono a tirarla su, per la stragrande quantità di pesci.
Vedete che contrasto: dal nulla si è passati ad una pienezza incredibile. Il nulla è divenuto il luogo di una fecondità mai conosciuta prima…
Avrebbero potuto chiudersi nella rabbia e nella disperazione. Hanno invece consegnato il loro nulla a quell’uomo che era sulla riva e la cui voce si sentiva nella barca, cioè a Gesù Risorto.
Guardiamo bene ancora. Nel racconto di Giovanni, c’è uno spostamento dell'attenzione. Il punto focale non rimane la pesca sovrabbondante. Qual è il punto focale del racconto? È la colazione, è quel momento di comunione, all’alba, sulla riva del lago, dopo la gioia della pesca miracolosa. È un momento straordinario. Gesù ha preparato la colazione. Gesù è lì, eppure Giovanni scrive che «viene», come per dirci che c’è una presenza molto speciale di Gesù sulla riva quel mattino. È un momento di comunione, di stupore…
A dire il vero, la pesca stessa già parlava di comunione, con l’immagine della rete che significa l’essere salvati dalle acque della morte, e l’essere radunati, l’essere insieme; con una diversità splendida, come simboleggiano i 153 pesci: 153 era il numero delle specie di pesci allora conosciuti. E, ci dice Giovanni, «la rete non si spezzò.» (Gv 21,11) Unità nella diversità.
Quindi siamo passati dal nulla, dal fallimento, ad una comunione stupenda. Com'è stato possibile? Grazie all’ascolto della Parola di Gesù Risorto! Che bell’insegnamento! Se affidiamo il nostro nulla a Gesù Risorto, entriamo in una comunione inaspettata, che assomiglia ad una colazione all’alba sulla riva del lago.
Bene. Ora, guardiamo alla prima lettura. Vi troviamo qualcosa di simile? Luca ci racconta il discorso di Pietro davanti ai sommi sacerdoti. Vi ricordate di Pietro nel cortile del sommo sacerdote? Quando un servo gli dice: «Anche tu sei uno di loro!», cosa risponde Pietro? Risponde: «non lo sono!» (Lc 22,58) Tre volte rinnega Gesù. E ora, dopo il dono dello Spirito Santo, cosa vediamo? Pietro non si trova più dinanzi ad una serva o ad un servo nel cortile di notte. Si trova dinanzi ai capi del popolo, agli anziani, agli scribi ai sommi sacerdoti Anna, Caifa, Giovanni, Alessandro e a quanti appartenevano a famiglie di sommi sacerdoti… Rinnega ancora il Signore? Come parla? Con una schiettezza, una libertà, una «parresia» formidabili! Vuol dire che ormai Pietro è pieno di sé, pieno di convinzioni, con una volontà ormai di ferro? No! Pietro è sempre fragile, sempre vulnerabile, ma la sua fragilità, il suo essere nulla, non lo vive più nell’ansia, nella paura, nella menzogna. Ha consegnato il suo essere nulla allo Spirito Santo, ed è divenuto capace di una testimonianza molto audace. Il suo essere nulla davanti a Dio è ormai un vuoto d’amore in cui la potenza di Dio si dispiega. Non ha paura di essere nulla. Anzi! Il nulla, un tempo pieno di ansia, è divenuto un vuoto d’amore.
Carissimi, ecco il grande dono pasquale! Quando facciamo spazio dentro di noi a Gesù Risorto e al Suo Spirito, non diventiamo pieni di virtù, pieni di sentimenti pii, pieni di consolazioni, delle creature perfette. No! Il dono è molto più profondo: la nostra fragilità diviene un’apertura, un vuoto d’amore. Non siamo più ripiegati su noi stessi, sulle nostre paure… Siamo aperti. Aperti a Dio, aperti agli altri. Diventiamo un vuoto d’amore che accoglie pienamente Dio, accogliendo pienamente gli altri.
Un giorno, Caterina da Siena chiese a Gesù: «Ma chi sei in verità?» «Io sono Colui che sono. Tu sei colei che non è.» E Caterina cadde in depressione per aver sentito questo? No! Capì che quella era la più bella verità! Da me solo, non sono! È Dio che mi fa esistere. È Dio che mi fa respirare. È Dio che mi fa amare. La gioia pasquale è poter ritrovare questa splendida verità. Da me solo, non sono!
Penso anche a Santa Myriam di Galilea, la cosiddetta «piccola araba». Diceva: « Je suis le petit rien du tout ». Io sono il piccolo nulla che appartiene a Colui che è tutto. Non lo diceva per piangersi addosso, per lamentarsi… No! Riconoscendomi un « petit rien du tout », mi apro, accolgo lo Spirito, mi lascio riempire da Dio.
La grazia di Pasqua è poter finalmente dire di sì alla nostra povertà più profonda, che è bella, ma bella! Consegno il mio nulla a Gesù e, con Lui, divengo un vuoto d’amore. Mi unisco a Gesù abbandonato, annientato, sulla croce, ed entro nella gioia della Risurrezione.
Poi se tu fai lo stesso, cosa avviene? Se tu ed io diventiamo un vuoto d’amore, e permettiamo a Gesù di tessere tra noi la relazione che Lui sa, che Lui vuole, cosa avviene tra noi? Una comunione che non è di questa terra! Eppure avviene quaggiù, nel quotidiano!
E' una realtà immensa che Chiara Lubich scoprì, facendone l’esperienza nel 1949 con Igino Giordano. Fu un’esperienza di una fecondità straordinaria, una nuova tappa nella storia della spiritualità. Anzi della storia stessa!
Se diveniamo un vuoto d’amore accogliendo Dio nell’altro, accogliendo e sintonizzandoci sul Dio dell’altro, allora entriamo nella vera comunione, viviamo un po’ sulla terra come in cielo. E questo è possibile in famiglia, in parrocchia, al lavoro.
Se viviamo questo, entriamo in un altro modo di stare al mondo. Ci rendiamo conto che gli altri non sono una minaccia. Anzi ci rendiamo conto che se non siamo aperti agli altri, non siamo veramente vivi. Cominciamo a dire agli altri: senza di te, non sono! Esisto veramente, sono pienamente vivo nella misura in cui sono un vuoto d’amore per gli altri.
Ecco, carissimi, il dono pasquale: la povertà del cuore dinanzi a Dio che si manifesta nella povertà del cuore dinanzi agli altri. E se viviamo questo, se diciamo di sì, allora la preghiera di Gesù è pienamente esaudita: viviamo un'unità stupenda in cui tu sei in me, ed io sono in te. Se viviamo questo … il mondo crederà!
per diventare strumenti dell’unità tra tutti che Tu desideri e per la quale sei morto sulla Croce. Amen!
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Giovedì 5 aprile 2018 - Ottava di Pasqua - Ac 3,11-26 - Lc 24,35-48 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Verrà? Alle donne è apparso. Ma è vero che loro sono state fedeli, fino al Calvario. Noi… no! Verrà a trovarci? Sarà vero che si fa vedere nel suo corpo ? E se fosse vero, può venire da noi Colui che abbiamo abbandonato, rinnegato, tradito?
E venne! Per pura misericordia, venne. E le sue prime parole furono: «Pace a voi!». (Lc 24,36) Pace a voi, che mi avete abbandonato! Pace a voi, che mi avete rinnegato! Pace a voi, che siete fuggiti!
Cosa fa Gesù quando finalmente si rende visibile agli Undici? Prima di tutto dà la pace ai cuori. Fa scendere il suo perdono come un'unzione sulle anime piene di sensi di colpa e di vergogna.
Poi cosa fa? Porta gli apostoli ad una fede salda nella Risurrezione. Bisogna che sia chiaro per loro: Gesù non viene come un fantasma, come uno spirito. Non è neanche un'apparizione solo mentale. Gesù è vivo nella sua carne umana.
Perciò Gesù fa due cose ben precise. La prima è di far vedere le proprie ferite alle mani ed ai piedi. Così è chiaro che chi sta davanti a loro non è Giovanni Battista; non è Elia; non è Mosè. È Gesù!
Poi Gesù fa un’altra cosa molto semplice: chiede da mangiare. E mangia una porzione di pesce essiccato. Sarà del pesce del mare di Tiberiade che i Galilei portavano con sé quando andavano in viaggio. E Gesù lo mangia davanti a tutti. Il suo corpo non è un ologramma o un fantasma. Ha la realtà del corpo umano. Gesù con la sua Risurrezione non ha lasciato l’essere umano, ma ha portato l’essere umano, corpo ed anima, nel mondo della Risurrezione. Il corpo di Gesù Risorto non è un corpo creato dal nulla, non è un prodigio solo per apparire magicamente. È il corpo di Gesù di Nazareth, loro Signore e maestro, il Suo vero corpo. Però è un corpo trasfigurato. Non è più prigioniero delle necessità di questo mondo. Appartiene già al mondo futuro. Solo rimangono le ferite dell’Amore, perché l’Amore non passerà mai.
Avendo detto così tanto, attraverso due gesti estremamente sobri e semplici, cosa fa Gesù? Fa loro una catechesi. «Aprì loro la mente per comprendere le Scritture». (Lc, 24,45)
Non basta che credano che è risorto. Bisogna che la loro fede abbia radici profonde in una terra salda. E la terra salda è quella dell’Antico Testamento. Non vi è niente di più saldo sulla terra. E le radici sono l’interpretazione della Thorah, dei Profeti e dei Salmi che dà Gesù. Allora la Risurrezione non è un happy end sorto dal nulla. Non è un colpo di bacchetta magica da parte di Dio. È il compimento di una lunga e paziente Rivelazione da parte di Dio. Tutto l'Antico Testamento era teso verso questa vittoria sulla morte. La divinizzazione della persona umana è il progetto di Dio, l’attesa di Dio, l'impaziente desiderio di Dio. Ed ecco che oggi quel desiderio impaziente di Dio diviene realtà.
Carissimi, nel Cenacolo ci siamo anche noi, in ogni Eucarestia. Perché Gesù non cessa di volerci portare nella vita della Risurrezione. La Parola che rende viva la fede la riceviamo anche noi : è Gesù che ci parla nella Liturgia! Ed il corpo del Risorto lo riceviamo, vivo, nelle nostre mani, per diventare con Lui un solo corpo. Gesù ci vuole vivi, vivo ciascuno e vivi insieme, perché la fede nella Risurrezione sarà viva in noi.
Quello che avvenne per il paralitico della Porta del Tempio, viene offerto anche a noi. Cosa abbiamo sentito? «Il nome di Gesù ha dato vigore a quest'uomo che voi vedete e conoscete;» Letteralmente, il nome di Gesù l’ha rinsaldato, l’ha reso saldo, sodo. Ecco quel che Gesù vuole offrirci: la solidità nella fede. La Risurrezione è la saldezza della nostra vita!
« la fede che viene da lui ha dato a quest'uomo la perfetta guarigione alla presenza di tutti voi.» (At, 3,16) Letteralmente, l’ha reso integro, ha ristabilito il suo essere nell’unità. Ecco il dono di Pasqua: ritrovare l’unità, avere un centro nella nostra vita. Non dobbiamo più rincorrere una perfezione che si mescola a tanta vanità. Dobbiamo riportare ogni cosa della nostra vita, anche le nostre fragilità ed ambiguità a questo centro che è Gesù Risorto. È lui il centro, il perno, il cuore, della nostra vita come lo è del nostro stare insieme. Solidità nella fede, unità del nostro essere. Ecco il dono pasquale che accogliamo nel nostro cuore umiliato e felice, povero e grato, come il cuore degli apostoli!
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sabato 31 marzo 2018 - Veglia Pasquale - Mc 16,1-7 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Una realtà espressa in cinque lettere: m.o.r.t.e. La morte. La separazione del corpo e dell’anima di Gesù. Una separazione che è totalmente contraria al piano di Dio. La natura umana nella sua bellezza, nella sua dignità si manifesta nell’intessitura dell’anima immateriale e del corpo nella sua materialità. Che splendore l’anima umana, santuario della gemma divina in noi che è lo Spirito! Anima spirituale e corpo sono tutt’uno nel disegno di Dio. Anima e corpo ricevono l’amore di Dio ed insieme lo esprimono. L’anima spirituale è tutta rivolta alla relazione, all’uscire da sé nel donarsi ed il corpo incarna quest’esodo amoroso da sé.
Ma venerdì, nel più bello, più santo, più puro degli uomini è stata frantumata quest’unità. Gesù ha preso su di sé il dramma del peccato che ha introdotto la divisione nell’armonia originale dell’anima e del corpo. Gesù ha fatto suo questo dramma. Il corpo di Gesù è ormai la salma fredda che la Madonna riceve nelle sue braccia ai piedi della croce ed imbalsama con le sue lacrime. È il cadavere inanimato deposto sulla pietra nel buio del sepolcro.
E venne rotolata la pietra. Un corpo senza anima stava per esser rinchiuso per sempre nel gelo della tomba.
E l’anima di Gesù? La terra l’aveva espulsa. L’abbiamo cacciata fuori da questo nostro mondo, volendo farci Dio, volendo plasmare noi un amore secondo le nostre ambizioni di potere. Sulla terra la sua anima non c’era più: «persona non gradita» …
Allora fu la fine di un tentativo di salvezza orchestrato da Dio? Fine? The end?
Non fu la fine, perché la misericordia di Dio si rivoltò contro la sua giustizia, portandola al suo compimento. Che avvenne dell’anima di Gesù? «In spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione» (1 Pt 3,19), scrive l’apostolo Pietro. In spirito scese negli inferi, nello Sceol, per compiervi ciò che sulla terra aveva sempre fatto: farsi vicino, unirsi alla nostra condizione di fragilità e di precarietà, farsi uno con noi per salvarci. Lì, per la sua divinità, abbatté le porte degli inferi, aprendo il varco verso il Paradiso, aprendo la via verso il cuore del Padre. Come il sole, si mise ad irradiare nel buio degli inferi tutta la tenerezza del Padre su chi volle accogliere il sangue di Gesù.
E la terra? Dimenticata? Condannata per aver ucciso il Figlio di Dio? Maledetta per sempre? NO! Matteo racconta di un grande terremoto all'alba del primo giorno della settimana (cfr. Mt 28,1-2): fu il primo segno di un’enorme sorpresa divina, di un’immensa prova d'amore, di un’assoluzione sconfinata. L’anima di Gesù, per pura misericordia, per volontà Sua e del Padre, venne a ridar vita al suo corpo inanimato che giaceva nel sepolcro. Ma non era un ritornare alla vita di prima, alla vita condannata alla morte. Era una vita nuova. Il peccato e la morte erano stati messi a morte sulla croce. Il loro impero era crollato. In sé stesso Gesù ha eliminato l'inimicizia (cfr. Ef 2,16), scrive Paolo. «Con lui Dio ha dato vita anche a noi, che eravamo morti a causa delle colpe (…), perdonandoci tutte le colpe, e annullando il documento scritto contro di noi (…): lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce» (cfr. Col 2,13-14) L’anima ed il corpo di Gesù erano oramai uniti per l’eternità, senza più nessuna possibilità di essere separati. Erano, sono, UNO nell’amore divino, uno IN Dio. Il corpo umano ormai è anch'esso destinato all’eternità. Esprimerà eternamente l’amore, senza nessuna divisione con l’anima, con lo spirito.
E cosa fa Gesù ormai entrato nella vita della risurrezione? Sant'Ignazio e Santa Teresa di Avila ci dicono che la sua prima apparizione fu alla Madre. Ma chi saprà descrivere lo scambio di amore e di gioia che ci fu in quell’incontro che fece risorgere Maria dall’estremo suo dolore? Poi si fece vedere, ancora prima di salire al Padre, dalla Maddalena. Avrebbe potuto farla aspettare di più? Far ancora aspettare un tale amore, un tale desiderio? No! Ma lei non poté toccare il risorto, poté solo gioire della sua presenza, per andare subito a farsi l’apostola degli apostoli.
Allora fu per Gesù il momento di salire al Padre col corpo umano ormai capace di accogliere l’eterno abbraccio del Padre.
E vi restò? Bastava aver abbracciato la Madre e consolato la Maddalena? No! Si rese visibile a tanti: alle altre donne che volevano ungere il suo corpo con la loro tenerezza; ma anche ai discepoli che stavano lasciando la comunità di Gerusalemme, delusi e depressi; pure agli undici che erano fuggiti… Di tutti, egli fece i suoi testimoni. Testimoni della risurrezione, dell'esplosione atomica che ha frantumato il potere del peccato e della morte.
E basta? E noi? A noi pure il Risorto ormai vivo nel suo corpo glorioso presso il Padre non cessa di farsi presente, di visitarci… Si fa vivo nella Scrittura dove ci rivela la Sua vittoria. Si fa vivo nell’Eucaristia e nei sacramenti con cui ci rapisce per portarci dentro questa vittoria. Si fa vivo nel fratello, nell’amico, manifestando la sua più radiosa presenza quando l’amore reciproco, frutto della sua croce, viene accolto.
Si fa vivo ora. Ora nel tuo cuore. Ora nel cuore della persona che sta accanto a te. Rallegrati: è vivo nel tuo cuore. Rallegrati ancora di più del fatto che è vivo nell’altro. Se te ne rallegri, stasera c’è già sulla terra una scintilla di vita eterna!
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Venerdì 30 marzo 2018 - venerdì Santo - Gv 18,1 – 19,42 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
«Lo crocifissero.» (Gv 19,18) Hanno crocifisso l’Amore. Hanno crocifisso l’Amore puro, l’Amore vero, l’Amore al quale tanto anela il nostro cuore. Hanno crocifisso l’Amore. Abbiamo crocifisso l’Amore.
La religione ha condannato a morte l’Amore. Il potere religioso ha deciso che l’Amore puro è solo maledizione L’ha schiaffeggiato, deriso, insultato. E l’Amore è rimasto silenzioso. Non ha cessato di amare. Tutta la rabbia della religione corrotta si è riversata su di Lui. È stato bandito, espulso, perché volevano preservare la religione dall’Amore che per loro era un pericolo. E l’hanno consegnato allo Stato perché fosse messo a morte definitivamente. Perché non se ne parlasse più.
Lo Stato è rimasto spiazzato, interdetto. Ha visto bene che erano l’invidia e la sete di potere che stavano scacciando fuori l’Amore. Ma lo Stato non avrebbe voluto tradire la giustizia, non avrebbe voluto condannare l’innocente. Avrebbe voluto liberare l’Amore. Eppure non ne fu capace, perché rimaneva prigioniero, anch’esso, della logica del potere.
Allora fece flagellare l’Amore. E presentò l’Amore umiliato e lacerato come il vero uomo, senza rendersi conto di quanto fosse vero quel gesto. Anzi lo presentò come il re. Il re che la religione avrebbe potuto liberare. Ma la religione corrotta andò fino all’apice della corruzione: professò di non aver altro re, se non il potere umano. Non volle più avere Dio come re. Allora lo Stato tremò. E per non perdere il potere, e per suggellare per sempre l’asservimento della religione al potere statale, condannò a morte l’Amore.
E l’Amore fu espulso sia dal tempio che dalla piazza, sia dal santuario che dalla città. L’Amore era come il portatore della vergogna che andava, sanguinante, e cadeva a terra, spossato com'era. E ancora amava.
Essi non vollero che fosse ucciso nella discrezione. Vollero che la sua messa a morte fosse pubblica, affinché tutti potessero imparare che l’Amore è sempre una via senza uscita. L’Amore sconfitto doveva esser visto, innalzato, per esser cancellato per sempre dal tempio, dalle strade e dalle case.
Allora denudarono l’Amore, lo esposero nudo. L’Amore era solo una piaga. Lo inchiodarono senza pietà alcuna. Ma l’Amore continuò ad amare. Amò chi lo insultava. Amò chi lo disprezzava. Amò chi lo denudava. Amò chi lo crocifiggeva.
Crocifisso, l’Amore diede l’assoluzione. E la chiese pure al Padre offeso, ferito nel Diletto Suo: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno.»(Lc 23,34) Prendere su di sé tutto il non Amore era suo desiderio, pur nel buio interiore, e nell’arsura del corpo e dell’anima.
In realtà chi conduceva ogni cosa era Lui, era l’Amore Suo per il Padre e per noi. Voleva, sì, voleva, caricarsi del rancore, dell’odio, dell’ingiustizia, della guerra, della gelosia, dell’invidia, della lussuria. L’Amore stava compiendo in totale libertà il più grande atto d’Amore che ci sia. Entrava nel non Amore fino in fondo; si immergeva nel non Amore. Fino ad esser l’Abbandonato dal Dio Amore. Sul patibolo, non aveva più né conoscenza né sentimento dell’Amore. Eppure continuava ad amare. E l’Amore entrò nella morte. Scese negli inferi, là dove l’Amore non poteva più esprimersi, e vi portò il respiro del Suo Amore incondizionato. E, per la prima volta, la morte fu attraversata dall’Amore. La morte ne fu sorpresa, sconcertata, arrabbiata, ma fu derubata per sempre del suo potere assoluto. La via era aperta. La via è aperta. Umilmente, senza rumore, anzi nel nascondimento, l’Amore ha vinto. È divenuto Lui stesso il passaggio, il varco, che da questa vita precaria conduce all’eternità.
Ormai la religione del potere, il culto del potere non attirano più se non chi non conosce il Crocifisso. La società incentrata sull’individuo, sul piacere ed il potere attira solo chi non ha mai incontrato il Crocifisso. Vera religione è quella dell’Amore crocifisso e risorto. Vera religione è l’immersione nel Nome di Gesù. E l’unica società che va costruita è quella che ha come legge l’Amore reciproco «come Gesù ci ha amati». Ogni altra impresa è vita sprecata.
E come ci giungeremo? Come troveremo e ritroveremo la via dell’Amore?
Ai piedi della Croce dove moriva l’Amore, c’era la Madre del Bell'Amore, e c’era il discepolo amato. «Donna, ecco tuo figlio!»(Gv 19,26) Prendilo nel tuo cuore, portalo sulla via dell’Amore. Figlio «Ecco tua madre!»(Gv19,27) Lasciati guidare dalla Madre del Bell'Amore, e a Lei presenta e consacra il mondo intero, affinché nessuno sia escluso dalla vittoria dell’Amore. Ormai l’Amore crocifisso avrà per sempre l’ultima parola.
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giovedì 29 marzo 2018 - Giovedì Santo Messa in Coena Domini - Badia Fiorentina - un monaco della Badia
Infatti gli altri evangelisti hanno privilegiato i SEGNI dell’Eucarestia, la materia visibile di questo sacramento (il pane e il vino). Giovanni invece ha privilegiato il SIGNIFICATO dell’Eucarestia, la materia invisibile, cioè l’amore di Gesù fino alla fine. Sapendo che era venuta la sua ora, avendo amato i suoi , Gesù li amò sino alla fine... Questo significato è proprio nel piccolo dettaglio della cena pasquale, diventato fondamentale a causa del senso che gli ha dato Gesù. Si tratta del rito della lavanda delle mani. Nel corso del SEDER, cena pasquale, prima di servirsi dell’agnello e del pane azzimo, essendo cose sante, i commensali si devono purificarsi le mani. Vi è messo a disposizione una brocca d’acqua e un catino e ci si lava le mani. Da qui viene il gesto del sacerdote all’Eucarestia, prima di aver parte dell’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, si lava le mani. Nell’ultima Cena Gesù compie le figure del passato. Non si tratta più dell’agnello immolato per la salvezza dei figli d’Israele in Egitto. È lui Gesù che è consegnato in Croce per la salvezza dei figli di tutti gli uomini. Non si tratta più del sangue dell’agnello sull’architrave e sugli stipiti delle porte, ma del suo sangue versato sulla Croce. Gesù voleva assicurarsi che i discepoli comprendono bene ciò che stavano per ricevere. Per questo ha innestato alla cena pasquale un gesto di accoglienza molto apprezzato nei paesi caldi : la lavanda dei piedi. Quello che fece Abramo per i 3 viaggiatori alle Querce di Mamre (Gn 18, 1). Capite quello che ho fatto per voi ? Chiede Gesù. Mangiare il pane che è il suo corpo, bere il calice del vino che è il suo sangue non è solo per la vita in questo mondo, si tratta della vita eterna, si tratta di essere amato sino alla fine, addirittura al di là della morte. Prima di prendere parte al pane della vita, al vino dell’immortalità Gesù lava... non le mani dei discepoli ma i loro i piedi ! Che cosa infatti i piedi nella Bibbia? È con i quali si cammina, si muove, è anche simbolo delle parti intime (Es 4, 25; Is 6, 2) ma i piedi sono sopratutto quelli con i quali si schiaccia, si calpestano i nemici (Sal 18,39; 47,4). Guardiamo bene carissimi ! Gesù lava i piedi che sa benissimo sortiranno fra poco per consegnarlo ai sommi sacerdoti, i piedi che sa benissimo, correranno di qua e di là per abbandonarlo. Quei piedi che calpesteranno il suo amore, amicizia, onore. Li lava perché ama coloro ai quali appartengono questi piedi, li ama infinitamente, sino alla fine, li ama da morire. È necessario che capiscono prima di andar via, devono sapere che Gesù li ha perdonati in anticipo, bisogna lavarli tutti, non solo le mani ma sopratutto i piedi. Farli capire col gesto di amore e tenerezza come il gesto di Maria di Betania ungendo i piedi di Gesù col profumo. Se non ti laverò non avrai parte con me dice a Pietro che pensa fare bene di rifiutare questo abbassamento del Maestro. Se si prende parte all’agnello pasquale con le mani, è anche con i piedi che i discepoli prendono parte con Gesù Agnello di Dio, alla sua vita, al suo amore. Gesù lava i piedi dei discepoli non col profumo, con acqua, ma già con l’acqua che uscirà dal suo costato trafitto. Capite bene quello che ho fatto per voi, quello che state per ricevere ? Ci chiede Gesù stasera. Forse capiamo un po’... capiamo che non siamo davvero pronti a lavare i piedi gli uni gli altri, a perdonare coloro che ci hanno calpestato l’onore, ci hanno calunniato, ci hanno fatto del male. Forse capiamo che non abbiamo la forza, l’amore per lavare i piedi che tuttora ci calpestano. Beati coloro che stasera come Pietro non capiscono bene l’amore di Gesù ma sono desiderosi di riceverlo. Coloro che dicono... Signore non solo i miei piedi ma anche le mani e il capo ! Presentiamo tutto... corpo e anima a Gesù. Perché ci lavi sopratutto gli occhi, il cuore per poter avere parte al suo corpo e sangue che dona la vita, al suo amore sino alla fine.
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Sabato 24 marzo 2018 - V settimana di Quaresima - Ez 37,21-28 - Gv 11,45-56 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
con cui avevo una bella amicizia. La passeggiata, il dialogare fu di una straordinaria bellezza, intessuta di semplicità, di fiducia, di trasparenza, di interiorità reciproca. Non credevo che ciò fosse possibile. Era un po’ di cielo sulla terra. E ne fui meravigliato. Appena finita la passeggiata, mi fermai da solo in una cappella vicina. Entrai e mi trovai dinanzi ad un crocifisso. Subito mi fu chiaro, chiarissimo: ciò che avevo appena vissuto era il frutto della Croce. È la passione, morte e risurrezione di Gesù che rende possibile la comunione sulla terra. Allora sentii in me un’immensa speranza per il nostro mondo dilaniato. La riconciliazione, l’amore, la comunione … sono possibili oggi sulla terra, per quanto lacerata sia.
Perché vi racconto questo? Perché è ciò che le letture odierne ci svelano.
Partiamo dal profeta Ezechiele. Mentre il popolo d’Israele era diviso tra il Nord, più ricco per risorse naturali e più mescolato con le nazioni confinanti e il Sud, meno ricco - in larga parte desertico - e fiero di una più grande purezza etnico-religiosa, Ezechiele ricevette dal Signore l'ordine di prendere due pezzi di legno, e di unirli nella sua mano. Poi di spiegare questo segno: esso era l’annuncio dell’opera del Signore che nella sua mano divina avrebbe fatto dei due popoli un popolo solo. Era l’annuncio profetico del dono dell’unità, poi sigillato da un’alleanza eterna di pace, offerta da Dio e benedetta dalla presenza di Dio stesso che avrebbe stabilito il suo santuario in mezzo a questo popolo, ormai riportato all’unità.
Splendida profezia… Splendida, ma non utopica, perché è esattamente ciò che Gesù ha realizzato, come ci fa intendere l’evangelista Giovanni oggi. Giovanni riporta la profezia di Caifa: «È conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». (Gv 11,50) E subito aggiunge che egli profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; «e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi.» (Gv 11,52) Gesù, quindi, è morto per radunare, per riportare nell’unità non solo Israele, ma tutte le nazioni della terra: tutti i figli di Dio che erano, letteralmente “dilapidati e dispersi”, cioè rovinati e disseminati, senza vita e senza unità.
Ecco il frutto della morte di Gesù: un’unità nuova, inaudita, quella di cui ci parlava Ezechiele, sigillata da una nuova alleanza di pace, nel sangue di Gesù, e benedetta dalla presenza di Gesù in mezzo a noi.
Questa unità si vede già ai piedi della croce? Sì e no ! Sì, in due persone che hanno acconsentito ad accogliersi, a riceversi, come dono di Gesù: Maria, madre di Gesù e Giovanni il discepolo diletto. Sono entrati nell’amore reciproco, amandosi come Gesù ci ha amati. Primo fiore della croce, pur nelle lacrime, nel dolore straziante del Golgota.
Sì e no. Perché Gesù è morto in mezzo a due uomini, due briganti, offrendo ad entrambi la riconciliazione con loro stessi, tra loro e con tutti. Uno ha detto di sì, perché, credo, ha colto l’amore materno della Madonna. Ma l’altro ha detto di no. Non ha voluto esser uno con gli altri nella mano di Dio. È rimasto solo.
Carissimi, ai piedi della croce in questa Pasqua che viene, preghiamo perché tanti, sì, tanti uomini, donne e bambini accolgano il dono dell’unità che viene da Gesù che muore a braccia aperte per radunarci, perché siamo in Lui una cosa sola.
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Martedì 20 marzo 2018 - V settimana di Quaresima - Num 21,4-9 - Gv 8,21-30 Badia Fiorentina f. Antoine-Emmanuel
Quante persone hanno l’anima sofferente, dilaniata, sanguinante, perché si sono lasciati travolgere dai fiumi di corruzione, di violenza, di sopruso che scorrono in tutti i continenti… Quante anime morse dal male, dal maligno ….
Noi abbiamo il compito di Mosè: «Mosè pregò per il popolo», dice il Libro dei Numeri. Alla scuola di Mosè, preghiamo, intercediamo, affinché il Signore non sia di nuovo sorpreso, deluso, mortificato nel vedere che non c’è nessuno che gridi verso di Lui.
«il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un'asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita». (Num 21,8)
Noi non abbiamo bisogno di fabbricare un serpente di metallo fuso. Perché il Signore stesso si è fatto serpente di bronzo, esponendosi sulla croce, prendendo su di sé tutta la corruzione, la violenza, il sopruso, di tutti i tempi. Facendosi peccato per noi, Egli è divenuto per noi il maledetto, il lebbroso di tutte le nostre lebbre.
Ma spetta a noi farlo conoscere. Spetta a noi invitare il mondo a guardare verso la Croce. Non è un caso se in tanti luoghi, in occidente, c’è chi chiede di sopprimere i crocifissi… È l’opera del male che vuole privarci di questo sguardo che salva. «Quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita.» (Num 21,9) C’è uno sguardo, un solo sguardo sul crocifisso che basta per ritrovare la vita. Certamente non uno sguardo distratto, alla svelta. Neanche uno sguardo solo sentimentale. O solo intellettuale. Ma uno sguardo che impegna tutto l’essere. Tutto il nostro essere si volge verso il Crocifisso. A lui rimettiamo tutto. Tutto il nostro peccato, i nostri dubbi, le nostre inimicizie, gelosie, lussurie, … Tutto. E in lui mettiamo tutta la nostra speranza. Tutta. Non solo per noi, mai solo per noi, ma per il mondo intero.
Dalla Croce si riceve tutto. La Croce è la grande cattedra di Dio. Dio non ha mai parlato così chiaramente come da questa cattedra. «Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo - dice Gesù nel Vangelo odierno - allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso.» (Gv 8,28). Che mistero! Quando noi innalziamo Gesù sulla Croce, allora scopriamo chi è. Quando mettiamo Gesù in croce, allora scopriamo chi Egli è. Al momento in cui riconosciamo che i nostri peccati mettono Gesù in croce, allora scopriamo il Suo mistero, il mistero della persona di Gesù.
«Io sono». Cioè, sono Dio. Vedendomi, vedete Dio. Vedete l’Amore.
«E non faccio nulla da me stesso». Sono Figlio di Dio, Figlio che senza sosta si riceve dal Padre.
Mistero dell'essere, di pienezza divina. E mistero di povertà, di apertura infinita. Ed è in questo suo mistero che Gesù entra nel peccato, entra nel morbo del cuore dell’uomo, e lo fa suo.
«Se non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati» (Gv 8,24) Ma se crediamo, il peccato perde il suo dominio su di noi, la morte perde il suo potere su di noi. Diventiamo donne e uomini liberi, capaci di amore, di tenerezza, di misericordia… «Guardate a Lui e sarete raggianti» dice il Salmo. (Sal 33,6) Sarete raggianti perché riconoscerete in Lui la fonte dell’amore per il mondo intero.
Lo sguardo sulla croce ci apre ad una grande speranza per i poveri, per gli abusati, per le vittime delle violenze, delle guerre. La Croce è il vero e definitivo Roveto Ardente della storia. Iddio vi pronuncia l’eterno IO SONO, consegnandosi per la salvezza di tutti gli schiavi del male e risorgendo perché abbiamo la vita in abbondanza. danza.
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Domenica 18 marzo 2018 - V Domenica di Quaresima - Ger 31,31-34 – Eb 5,7-9 – Gv 12,20-33 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
È splendido quello che il Signore ci offre oggi: una nuova alleanza ! Un’alleanza, un « berit » in ebraico, è un patto, un esser legati per la vita e la morte. Dio desidera legarsi di nuovo a te, a me, e più ancora a noi, al “noi” che formiamo insieme. E com’è quest’alleanza? «Questa sarà l'alleanza che concluderò con la casa d'Israele dopo quei giorni - oracolo del Signore -: porrò la mia legge dentro di loro,» e ancora più bello: «la scriverò sul loro cuore.» (Ger 31,33) Dio scrive sul tuo cuore. Si fa vicino a te, si avvicina al tuo cuore e poi vi scrive. Vi scrive la sua legge. Con il suo sangue, scrive. Cosa scrive? «Amatevi gli uni gli altri come ho amato voi.»(Gv 13,34) È scritto. È impresso. È inciso. E questo vuol dire che il tuo cuore è ormai capace di amare. Il tuo cuore porta l’impronta di Dio. «Non dovranno più istruirsi l'un l'altro, dicendo: “Conoscete il Signore”, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande - oracolo del Signore -, poiché io perdonerò la loro iniquità e non ricorderò più il loro peccato». (Ger 31,34) Ecco: l’amore entra nel tuo cuore quando accogli la misericordia. Ti lasci perdonare e ti trovi immerso nell’amore. Ti trovi col cuore ferito, ferito dal desiderio di amare che diviene la più grande sorgente di energia della tua vita.
Ma cosa significa amare? Amare è amare come Egli, Gesù ci ha amati. Amare è seguire Gesù. Solo Gesù può portarci sulla via dell’amore. Di questo amore Gesù ci parla oggi con una piccola parabola, quella del chicco di grano. È semplice, semplicissimo: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.» (Gv 12,24) Di chi parla Gesù ? Di sé stesso innanzitutto. Gesù si riconosce nella piccolezza, nella fragilità, del chicco di grano. Io sono un piccolo chicco di grano… Questo chicco di grano che sono io, se non muore, rimane solo. Se Gesù non entra nella Passione, rimane solo. Sarà solo ad accogliere l’amore del Padre come lo accoglie Lui. Sarà solo ad amare il Padre come lo ama Lui. Solo. Ma Gesù non vuole rimanere solo. Vuole attirarci nell’Amore del Padre. Vuole portarci nel Seno del Padre. E per questo, deve morire. Proprio morire. Deve prendere su di sé, deve come assorbire la morte, la nostra morte. Deve prendere su di sé la nostra condanna. Se Gesù non soffre per noi, se Gesù non muore per noi, è impossibile che entriamo nel Seno del Padre. Senza la sua morte, rimaniamo dei senzatetto, privi di Dio, estranei all’amore vero.
Ma se Gesù, chicco di grano caduto nella terra del nostro cuore, vi muore, prendendo su di sé tutto il disgusto del nostro peccato, allora porta molto frutto. Ed il frutto sei tu, sono io, siamo noi. Noi, il nostro vero essere “noi”, fatto non di interesse e di competizione, ma di ascolto reciproco, di stima, di tenerezza, di stupore, questo “noi” è il frutto della Pasqua di Gesù. Ecco la messe: il “noi”. Non una serie di individui, ciascuno chiuso nella propria santità! Non una schiera di santi, ciascuno nella propria nicchia! Non un insieme di uomini e donne, ciascuno egoisticamente appassionato del suo cielo. No! La messe vera è il “noi”. Il frutto della Passione e della morte di Gesù è l’essere io in te e tu in me. Gesù prende su di sé tutto ciò che è di ostacolo alla circolazione della vita trinitaria tra di noi.
Quando alziamo gli occhi verso la croce, cosa vediamo? Vediamo la nostra permalosità, i nostri giudizi e pregiudizi, le nostre gelosie, le nostre paure di amare e di esser amati, perché tutto ciò Gesù lo fa suo.
Ma lo può far suo nella misura in cui glielo consegniamo. Questo è il senso del pentimento, il senso della quaresima.
Gesù, tutto ciò che nella nostra memoria, nella nostra intelligenza e nella nostra volontà sa di rancore, di accusa, di calunnia, lo piangiamo oggi, e te lo consegniamo. Senza di te non possiamo fare nulla nell’amore! Ma la tua morte, Gesù, è la salvezza del nostro “noi”.
La messe che proviene dalla morte del chicco di grano è la comunione. «E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». (Gv 12,32) Non attira degli individui, ciascuno nella propria camera! Ci attira insieme, Ci fa diventare una cosa sola.
Cosa chiede Gesù al Padre quando si avvicina alla Sua Passione? «Siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa.» (Gv 17,22) Non chiede per noi un'unità di giustapposizione, in cui siamo cortesemente seduti gli uni accanto agli altri. Chiede l'unità che Egli vive col Padre.
E la chiede gridando e piangendo. «Nei giorni della sua carne egli presentò preghiere e suppliche, con grande grido e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte.» (Eb 5,7) Un grande grido. Un immenso grido. E lacrime. E sangue. Pregando, supplicando il Padre: «Padre, salvami da quest’ora!» No… «Padre, glorifica il tuo nome!» «Padre, glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te!» (Gv 17,1) «Padre, perdona loro: non sanno quel che fanno!» (Lc 23,34) «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46) «Nelle tue mani consegno il mio spirito.» (Lc 23,46)
E, «per la sua pietà, per il suo abbandono, venne esaudito.» (Eb 5,7) La parola greca – eulabeia - significa portare qualcosa con molta cautela, con rispetto, con santo timore. Gesù viene esaudito perché porta il Padre in cuor suo con infinito amore. È l’amore che ci ha salvati. L’amore ci ha creati, l’amore ci ha salvati! E l’autore della lettera agli Ebrei prosegue: «Gesù, pur essendo Figlio, da ciò che patì imparò l'obbedienza.» (Eb 5,8) L’umanità di Gesù è entrata nella pienezza dell’obbedienza, nell’infinita consegna della sua volontà umana alla volontà divina. Ha aperto così per noi la via dell’amore che va fino al dono totale di sé. Ci rende capaci di essere anche noi dei chicchi di grano che muoiono per amore e che dalla solitudine passano alla fecondità dell’amore. E «Gesù, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono». (Eb 5,9) Se obbediamo al suo comandamento d’amore, siamo già salvati: Gesù ha reso possibile che un po' di cielo si realizzi sulla terra. Il nostro pregare «Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra» non è un’utopia. È il dono della Pasqua di Gesù. Il principe di questo mondo è stato gettato fuori, (cf Gv 12,31) e possiamo diventare questo “noi” che ha sapore di cielo. A patto che come Gesù, in Gesù, il chicco di grano che sei tu, che sono io, accetti di morire.
«Gesù è nel “noi”, ma non è solo per noi» è stato il frutto della nostra preghiera domenica scorsa. Gesù ci ha chiamati a diventare questo “noi” nuovo che viene dall'essere uno in Lui. Allora chiediamo a Gesù che la sua Pasqua, che fra poco celebreremo, ci dia di accogliere questo dono. Cosa avverrà allora? Come i greci del vangelo odierno volevano vedere Gesù e si rivolsero ai suoi discepoli, cosi i turisti che vengono a Firenze per vedere Gesù lo vedranno nel nostro “noi”. E crederanno.
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Giovedì 15 marzo 2018 - IV settimana di Quaresima - Es 32,7-14 – Gv 5,31-47 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Nella cultura biblica sono necessari due testimoni perché un fatto sia riconosciuto vero. Nel brano evangelico odierno quante testimonianze parlano in favore di Gesù ? Non due, ma quattro.
Vi è la testimonianza di un uomo, Giovanni Battista. Tutta la sua vita è una testimonianza in favore di Gesù. Giovanni «venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. (Gv 1,7). «Ho visto, dice, e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio». (Gv 1,34)
Poi sono le stesse opere di Gesù, i segni da lui compiuti, che dicono che Egli viene da Dio. L’ultimo segno è stato la guarigione di un uomo che da trentotto anni giaceva paralizzato, dimenticato da tutti presso la piscina di Bezatha. E tanti l’hanno visto guarito, che portava la sua barella.
Ma c’è di più: c’è la testimonianza del Padre. Basti pensare alla voce del Padre che si è sentita presso il Giordano: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento» (Lc 3,22); oppure alla testimonianza avvertita nel profondo del cuore, come è avvenuto per Pietro: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli.» (Mt 16,17)
Vi è pure un’ulteriore testimonianza, quella delle Sacre Scritture. «Sono proprio esse che danno testimonianza di me», dice Gesù. (Gv 5,39) Tutte le Scritture confluiscono, convergono nel volto di Gesù.
Quattro testimonianze… Eppure i capi religiosi dei giudei non credono. Perché non credono? Gesù oggi rivela la ragione della loro impossibilità di credere: «Come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall'unico Dio?» (Gv 5,44) Ecco la ragione, la vera ragione.
Ma cos’è la gloria? La parola gloria, kabowd, viene dal verbo kabad,che significa, secondo il tempo usato, essere pesante, esser onorato, essere insensibile,oppure ricevere onori, esser arricchito.Si dirà di Abramo che era «molto kabad in gregge», cioè molto ricco.La gloria di una persona è il suo peso, il suo valore.Ma non il valore esterno, economico, visibile.Non la fama, non il prestigio,ma il valore interiore, se si può dire, la ricchezza interiore.Il peso della persona in quanto persona.
Nella nostra fragilità di creature, questo valore non lo possediamo da noi stessi. Caterina da Siena chiese un giorno a Gesù : «Chi siete, Signore?» «Io sono Colui che è, e tu sei colei che non è.» Questa è la nostra realtà. E quindi il nostro valore profondo lo dobbiamo ricevere da Dio. È nella relazione con Dio che diventiamo veramente chi siamo. Siamo fatti per Dio, per ricevere la Sua gloria, il Suo amore, la Sua misericordia. Siamo fatti per la gloria di Dio. Emergiamo veramente come persone in tutta la bellezza della nostra vocazione quando spalanchiamo il nostro essere a Dio.
L’atteggiamento dei capi religiosi era di ricevere non la gloria di Dio, ma quella degli uomini. Hanno, o meglio abbiamo, costruito tutto un sistema per ricevere gloria gli uni dagli altri. Lo spazio interiore fatto per la gloria di Dio, lo riempiamo con dei titoli umani, degli onori, dei pregi, delle lodi… umane. E non c’è più spazio per Dio. Questo avviene perché abbiamo difficoltà ad essere poveri dinanzi a Dio. Il maligno ci spinge a diffidare di Dio, ad aver paura di Lui. Essere vulnerabili, fragili, dinanzi a Dio ci sembra pericoloso. Ed invece è vero il contrario. Quello che ci giova è presentarci a Dio con la più grande povertà creaturale possibile, acconsentire ad esser mendicanti di Dio.
Senza cadere nella tentazione del deserto, quando il Popolo non sopportò di non aver Dio sottomano. Vollero che Yahweh fosse nelle loro mani, da loro portato, da loro gestito, da loro controllato. Non vollero dipendere dal volere di Dio. Non vollero che Dio fosse libero. Non vollero rimanere poveri dinanzi a Dio.
Questa è la vera libertà, la vera gioia: presentarci poveri, nudi, dinanzi a Dio. Don Milani, poco prima di morire, si mise nudo dinanzi ai suoi amici – maschi – più vicini, per far capire loro che nudo si voleva presentare a Dio. Non abbiamo paura di esser poveri, vuoti, nudi, dinanzi al Fuoco dell’Amore divino. Anzi … amiamo la nostra vulnerabilità dinanzi a Dio Trinità. Gettiamoci, nudi, spogli, nella Trinità, usando pure il pentimento per il peccato nostro come via regale per gettarci in Dio, per gettarci nel Fuoco del divino amore sulla terra che è la Croce di Gesù.
Nudi e fiduciosi. Vulnerabili e abbandonati. Senza mai fuggire da Dio. Poveri e felici dinanzi a Dio. Poverissimi e felici di esserlo, e così entriamo nel vero atto di fede.
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Domenica 11 marzo 2018 - IV Domenica di Quaresima anno B - Badia Fiorentina - un fratello della Badia
Come la Bibbia fa quando affronta argomenti importanti, partiamo dall’esperienza umana della gioia. La gioia per esempio per la nascita di un bambino. Passata la sorpresa di vedere un neonato ancora tutto raggrinzito... sono indescrivibili le emozioni che invadono il cuore dei nuovi genitori. Il loro amore condiviso si è fatto vedere e toccare, facendosi carne. C’è poi la gioia del bambino sentendosi amato dalla famiglia, e crescendo... la gioia del primo amore, scoprirsi speciale per qualcuno e poi il desiderio irresistibile di amare a sua volta. La gioia di un lavoro ben fatto, poi quella di aver trovato la persona o la causa giusta per la quale si può donare il meglio di se stesso, gioia di aver trovato la persona o le persone con le quali invecchiare, passare il resto della vita. Ecco ciò che può dare gioia, forza per andare avanti.
Detto così, tutto sembra facile, ma, nella realtà le cose non sono così semplici. Sappiamo bene che lo slancio della vita, dell’amore può essere spezzata a metà traiettoria, a causa degli imprevisti.... del peccato, debolezza della natura umana, l’infedeltà, tradimento oppure il semplice esaurimento, logorio fisico, psichico... Come la città e il Tempio di Gerusalemme, apice della gioia d’Israele... distrutta, incendiata, demolita in poco tempo, l’abbiamo sentito nella 1ma lettura. Può accadere che ciò per cui abbiamo lavorato, quello che abbiamo costruito con fatica, lacrime... sia distrutto in un istante. Come per Gerusalemme, passato il tempo di lutto, ci si rialza, si ricomincia, ricostruisce per poi essere distrutto ancora una volta. C'è chi non crede più nell’amore, nella gioia, a causa di troppa delusione, paura di ricominciare. Ci sono anche, per fortuna, coloro che ci credono sempre.
La gioia che dona Gesù è ogni volta simile e differente. Possiamo rifrasare le sue parole: vi lascio la mia gioia, vi do la mia gioia. Non come la dà il mondo, io la do a voi (Gv 14, 27) Colui che la riceve avrà il lui una sorgente di gioia che zampilla per la vita eterna (Gv 4, 14). Questa gioia carissimi è fondata sul nucleo non solo del vangelo di Giovanni ma il nucleo di tutta la Bibbia... Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Se la vera gioia, la vera pace viene dall’amore ricevuto, dato, condiviso, ecco la roccia salda sulla quale possiamo costruire con fiducia l’edificio della nostra vita : l’amore sconfinato di Dio Padre, manifestato nel Figlio, riversato nei nostri cuori dallo Spirito Santo. L’amore divino non è in concorrenza con l’amore umano nella nostra ricerca della felicità. Dio è allo stesso momento sorgente e apice di tutti tipi di vero amore.
Ed è dall’esperienza del suo amore che possiamo annunciare la buona notizia a tutti coloro che forse si scoraggiano nella loro ricerca o attesa della vera gioia. La vocazione di ogni cristiano è di essere missionario della gioia e per la gioia. Il nocciolo della missione dice Papa Francesco è dare gioia alla gente (18 maggio ’17). La ripete in vari modi da quando ne ha fatto il cuore della sua prima esortazione apostolica Evangelii Gaudium. Senza la vera gioia non saremo mai credibili, convincenti, qualunque cosa facciamo, diciamo nell’annuncio del vangelo diceva già Papa Benedetto XVImo. La gioia è il mezzo migliore per proclamare il cristianesimo dice M. Teresa come ha citato Fr P. Marie.
Anche se non se ne rendono conto, la gioia, la pace serena, senza ostentazione dei cristiani colpisce le genti, ha una forza missionaria incredibile, conduce gli uomini sulla pista di Dio. Dobbiamo essere convinti di questo: se ci sono e ci sarà sempre gente che vuole cominciare o ricominciare a credere nell’amore malgrado le delusioni nella vita è perché lo slancio dell’amore, la sete della gioia vera sono iscritti indelebilmente nel cuore di tutti gli uomini. Essendo all’immagine e somiglianza di Dio, l’uomo è fatto per l’amore e per la gioia.
L’altra cosa di cui dobbiamo essere convinti ne parla san Paolo nella 2da lettura: il nemico della gioia che è la tristezza ha una radice che è il peccato, il rifiuto di Dio le cui origini risalgono molto lontano. E al contrario di ciò che suggerisce sempre il maligno, la miseria del peccatore non attira la collera, la punizione di Dio, anzi attira la sua misericordia, prima di tutto. Dio ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morte che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo! Paolo lo ribadisce nella sua lettera ai Romani la prova che Dio ci ama è questo, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi (5,8).
E come ricevere sempre più quest’amore, farne il fondamento della nostra esistenza? Chiunque riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui e egli in Dio. Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi dice san Giovanni (1Gv 4, 15). Riconoscere, crederci... Potrebbe sembrare molto ovvio, scontato per noi credenti, fedeli praticanti, ma è una delle cose più difficili nella vita. Credere nell’amore di Dio...
Non abbiamo bisogno di parlare della sofferenza degli innocenti o della presenza del male nel mondo, abbiamo tutti degli argomenti personali, fatti nostri che ci fanno più o meno dubitare dell’amore di Dio per noi: vecchie ferite, nascoste, profonde... che Dio avrebbe potuto impedire, ma ha permesso... Un primo passo è di dire con umiltà... voglio credere Signore all’amore che hai per me... nonostante la mia storia, sopratutto per la mia storia...
Comunque non si può sbagliarsi con questa esperienza... o lo Spirito è riversato nei nostri cuori oppure no... come dice san Paolo (Rm 5,5). Lo Spirito Santo è l’amore tra il Padre e il Figlio e lo condividono a colei, colui che si lascia attirare dal Cristo Crocifisso.
In questa Eucarestia su quest’altare Gesù è ancora una volta elevato da terra. Possiamo riconoscere sempre più l’amore che Dio ha per noi, viverne e diffondere la gioia intorno a noi.
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venerdì 9 marzo 2018 - terza settimana di Quaresima - 24 ore per il Signore - Os 14,2-10 – Salmo 130(129) – Mc 12,28b-34 -Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Ventiquattro ore per il Signore! Ventiquattro ore durante le quali vogliamo esser in un modo speciale «per il Signore». Ventiquattro ore che sono per te, Signore, perché tu faccia in noi e tra noi le meraviglie che vuoi tu. Entriamo pienamente in questo dono! Mettiamo l’anima nostra in posizione di ascolto, di disponibilità, cioè di abbandono alla misericordia, di conversione.
Papa Francesco ci ha indicato per queste 24 ore un versetto del Salmo 130: «Presso di te è il perdono.» Vorrei accogliere con voi questo salmo, che spesso viene chiamato «De profundis». Cosa vive il salmista? Cosa dice? Cosa fa?
Il salmista dice di esser «nel profondo». È caduto, intrappolato, nelle profondità oscure che sono quelle del peccato, dell’oblio di Dio, dell’allontanamento da Dio, della disobbedienza a Dio.
Non dice di essere bersagliato da un nemico esterno, come spesso avviene nei salmi. Non dice neanche di esser vittima del tradimento di un amico, come pure avviene in altri salmi. La causa della sua caduta nel profondo delle tenebre è egli stesso. Lo riconosce. Non si giustifica. Non parla della propria giustizia, di opere buone del suo passato che potrebbero costituire un merito per essere salvato. Vi è nell’anima del salmista una vera povertà di cuore.
E cosa fa nel suo precipizio? Grida! Grida verso Dio, usando il Nome Suo di Misericordia: «Yahweh!» Chiede di esser ascoltato. Letteralmente, non dice: «ascolta la mia voce!» bensì: «ascolta nella mia voce!», ascolta cioè, dentro il grido della mia voce, il grido del mio cuore.
Poi egli fa una splendida confessione di fede: «I tuoi orecchi saranno attenti alla voce della mia supplica.» Pur essendo io nell’abisso del peccato, nell’allontanamento e nella ribellione, tu, Signore, mi ascolti. Sei un Dio «attento», come se tu fossi in attesa del mio grido, nell’attesa amorosa ed impaziente del mio tornare a te…
Segue il cuore della confessione di fede del salmista: «Se tu ritenessi le colpe, letteralmente: chi si alzerebbe?» Sottinteso: nessuno! Se non ci fosse la tua misericordia, sarei condannato a rimanere per sempre nei miei inferi, prostrato sotto il dolore delle mie colpe.
Ebbene…no! Dio non «ritiene» le colpe. «Presso di Lui vi è il perdono.» Il perdono di Dio è ciò che mi solleva, mi rialza, mi tira fuori dal precipizio, dalle oscurità interiori. Si potrebbe dire: il perdono è una vera e propria risurrezione. Non mi solleva da un sentimento spiacevole, da un malessere, va molto più in profondità: fa risorgere tutto il mio essere!
Ed il salmista prosegue: «Presso di te vi è il perdono affinché abbiamo timore di te.» Quando scopri la realtà divina del perdono, che, da dentro, il Signore ti rinnova, ti ricostruisce, allora entri nel timore di Dio. Sei meravigliato, spiazzato … Come fa Dio a trasformare l’orrore del mio dispetto nei suoi confronti in una risurrezione di tutto il mio essere?
Il salmista, avendo confessato la propria fede, può ora confessare la propria speranza. Letteralmente: «Io spero Yahweh-misericordia, Signore. La mia anima spera e desidero la Sua parola. La mia anima aspetta Yahweh più che le sentinelle cercano il mattino».
L’anima del salmista non moltiplica le parole. Spera. Tutto il suo essere diviene attesa. Non attende la salvezza da qualcosa di proprio.
È come le sentinelle che non hanno il minimo dubbio che spunterà la luce del giorno. Non può non venire il giorno nella mia anima. Non perché lo meriti, ma perché Dio è prigioniero del Suo amore. Il tempo, l’ora, la durata dell’attesa, non mi è dato conoscerli, ma il giorno spunterà. Il giorno verrà attraverso la Parola di Dio. «La mia anima spera e desidero la Sua parola.» Verrà a me la Parola che dà la vita. In mezzo alle tenebre delle menzogne del peccato, verrà una Parola, La Parola di Dio, e rischiarerà tutto il mio essere.
Il salmista a questo punto ci sorprende molto, perché non dice nulla della sua salvezza, eppure già egli invita tutto Israele a credere, a sperare: «Israele attenda il Signore!» Israele, non scoraggiarti mai! Perché? «perché la grazia appartiene al Signore. La liberazione, la redenzione sono a lui. A lui appartiene l’abbondanza della liberazione, della redenzione. Egli redime Israele da tutte le sue colpe.»
Il salmista, pur nella profondità della sua miseria, invita tutto Israele alla conversione. Presenta Yahweh come il Dio che possiede per tutti un immenso tesoro fatto di grazia e di liberazione, di riscatto. Come se dicesse a noi oggi: Non correre altrove! Dio è ricco di misericordia! Credi in questa misericordia e già tornerai ad essere interiormente vivo! Non rimanere con le tue immagini di un Dio che ti fa pagare le tue ribellioni. La liberazione te la vuole dare in abbondanza.
Ed è una «redenzione», cioè Yahweh-misericordia paga il prezzo del tuo riscatto con i suoi beni perché tu possa ritrovare la libertà. Con il peccato, hai venduto l’anima tua, hai perso la tua libertà. Ma Yahweh-misericordia paga per te, soffre per te, piange per te, entra nel dolore per te, viene arrestato perché tu sia liberato, viene umiliato per prender su di sé la tua vanità, viene torturato per prender su di sé la tua violenza, viene spogliato per prender su di sé la tua lussuria, viene deriso per prender su di sé la tua superficialità, viene crocifisso per prender su di sé il tuo orgoglio spirituale, viene abbandonato da tutti per prender su di sé le tue infedeltà nell’amore. E viene pure abbandonato da Dio per cercarti nell’abisso del rifiuto di Dio. «Egli redime Israele da tutte le sue colpe.» Tutte. Tutte. Tutte.
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Domenica 25 febbraio 2018 - II Domenica di Quaresima - Gn 22,1..9a – Rm 8,31b-34 – Mc 9,2-10 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Dopo la lunga permanenza di Gesù nel deserto, che abbiamo contemplato domenica scorsa, Gesù iniziò il suo ministero. Fu un inizio davvero bello, entusiasmante: tanta gente, guarigioni, esorcismi, moltiplicazioni dei pani … Esser stati scelti da Gesù, in questo contesto, era formidabile!
Ma poco dopo ci fu il disincanto. Le autorità religiose si opponevano apertamente a Gesù, i suoi famigliari lo reclamavano, le tensioni intorno a lui crescevano … Tuttavia ciò che sconcertò di più i discepoli fu l’annunzio, da parte di Gesù, della sua Passione. Ed ancor più la sua affermazione che non si poteva seguirlo senza rinunziare a se stessi. Fu l'inizio di una vera crisi interiore per chi lo seguiva: continuare a seguire uno che già annunzia il proprio fallimento e parla di una resurrezione che non si sa bene che cosa significhi?
Cosa fa Gesù? Prende con sé tre discepoli e li fa salire su un alto monte, letteralmente, li «porta» sul monte, per un'esperienza particolare, privata.
Giunto sulla cima del Tabor, mentre pregava, Gesù fu «trasformato». Era lo stesso Gesù, ma divenuto luce. Tutto luce! E con lui c'erano Elia e Mosè. Poi venne una nube, e, dalla nube, una voce: «Questi è il Figlio mio, l’Amato, ascoltatelo!» Ecco Il Messaggio. Ecco il cuore del Vangelo: Ascoltatelo! Quando vi annuncia la Sua Passione, ascoltatelo! Quando vi annuncia la Sua Resurrezione, ascoltatelo! Quando vi invita a rinunziare a voi stessi e a prendere la vostra croce, ascoltatelo! Come se tutte le richieste di ascolto del Primo Testamento fossero ormai concentrate in Gesù. «Questi è il Figlio mio, l’Amato, ascoltatelo!» Ascoltatelo perché è il Figlio mio. Ascoltatelo perché in Lui è tutto il Mio Amore. Ascoltatelo perché è la risposta al vostro desiderio più profondo.
Ma cosa vuol dire «ascoltare»? Oggi sembra che ascoltiamo tante cose. Siamo molto inventivi nel fabbricare dei gadget per ascoltare tutto, per ascoltare meglio, per ascoltare dappertutto, per ascoltare senza rete, senza filo…. Ma è ascolto questo?
Guardiamo cosa dice il Signore ad Abramo nella prima lettura: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, (…). Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai ascoltato la mia voce». (Gn 22,16..18) « Tu hai ascoltato la mia voce». «Shamata»: tu hai ascoltato, che si può anche tradurre: tu hai «obbedito» alla mia voce.
Abramo ha veramente «ascoltato» il Signore. L’ha ascoltato quando lo chiamava: «Abramo!», il che vuol dire che egli ha l’orecchio aperto alla voce di Dio, non è chiuso nella realtà umana, terrena… Poi ha ascoltato Dio, quando gli veniva chiesto di «portare in alto» il proprio Figlio, il che voleva dire «immolare, offrire in olocausto». Ma Dio non ha detto: «uccidi tuo Figlio». Ha detto: «fallo salire, offrilo totalmente a me». Ed Abramo si è messo in cammino per l'olocausto del proprio Figlio, il Figlio che amava col suo cuore di Padre. L’unico. La sua speranza. Il Dono di Dio. Il suo tutto… Ecco l’ascolto! Poi Abramo ha ascoltato, quando l’Angelo del Signore l’ha di nuovo chiamato per nome, due volte: «Abramo, Abramo!». (Gn 22,11) Ha ascoltato nel momento del dolore estremo in cui sacrificava ogni attaccamento umano… Non era chiuso nel dolore o nella rabbia. Ascoltava ancora. E ha di nuovo ascoltato quando l’Angelo gli ha detto: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito». (Gn 22,12) Ed ha ascoltato infine quando l’Angelo gli ha annunciato le molte benedizioni del Signore che sarebbero venute su di lui, perché aveva davvero offerto il figlio suo, perché Isacco non era più il suo «tutto». Dio era il suo «tutto»
Ecco l’ascolto vero. Un ascolto interiore, continuo, pronto ad accogliere le sorprese più inaspettate di Dio. Un ascolto non selettivo, che accetta le vie del Signore anche quando non si capiscono per nulla. Un ascolto che rimane aperto, che non si chiude né nel dolore, né nella rabbia, ancor di meno nell’autosufficienza. Un ascolto che accoglie sia la prova sia la benedizione; sia la chiamata che crocifigge, sia la dolce promessa di vita in abbondanza. Un ascolto che ti porta a riconoscere che Dio è il tuo «tutto».
Carissimi, ecco il dono che il Signore ci vuol fare in questa domenica: l’ascolto di Abramo; l’ascolto di Maria di Nazareth; l’ascolto di Gesù. Anche Gesù ascolta oggi. C’è un particolare nel Vangelo della Trasfigurazione di Luca: Luca scrive che Mosè ed Elia «apparsi nella gloria, parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.» (Lc 9,31) A chi ne parlano? A Gesù! E cosa fa Gesù? Ascolta! Ascolta con l'ascolto profondo in cui sei un vuoto d’amore per chi ti parla; con l'ascolto che rende possibile un po’ di cielo sulla terra. Fu una santa conversazione sul monte… Si ascoltavano. Si amavano. Gesù nella gloria non è solo. Condivide la Sua gloria con chi lo ascolta: con Mosè ed Elia che entrano pienamente nella santa conversazione; con Pietro, Giacomo e Giovanni che non sanno ancora entrarvi pienamente, perché hanno difficoltà ad ascoltare. Hanno bisogno del dono della Pasqua di Gesù che è un grande «Effata» sull’umanità. Hanno bisogno di una grande lavanda dei piedi e dei cuori. Hanno bisogno della veste bianca «nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderla così bianca». (Cf Mc 9,3) Un candore che non è della terra, ma che già sulla terra Gesù vuol farci indossare. Un ascolto che non è della terra, contaminata dal peccato, ma che Gesù già ci vuol donare. Accogliamo, carissimi, questo dono di ascolto che trasforma le nostre relazioni sia con Dio, sia con gli altri. È il gran bel dono di questa seconda domenica di Quaresima.
Concludo dando la parola a P. Pierre-Marie: «Dobbiamo scegliere tra la verbosità vuota, le parole oziose, i discorsi menzogneri ed i venti della calunnia, da una parte, e le parole vivificanti e vere, dall’altra, per poter accogliere, perdonare, educare e benedire. Dobbiamo scegliere tra l’ascolto dell’Accusatore, per incatenare gli altri, come fa lui, e l’ascolto del Difensore, per costruire insieme a Lui.
Bisogna prima di tutto imparare a tacere e a far tacere, cosi da non sentire più la parola che rimpicciolisce ed uccide. (…) L’ascolto non è un valore assoluto, e nella nostra vita è altrettanto importante imparare a discernere ciò che non si deve sentire da ciò che va ascoltato. Altrimenti (…) non ce la faremo mai a vivere un'autentica interiorità, una vita libera e feconda. È un dramma del nostro secolo che, uccidendo il silenzio, siamo giunti a parlare della «morte di Dio»; e che, lasciando che si dica qualunque cosa, siamo giunti a non credere più in niente. Bisogna imparare ad ascoltare, per non aver occhi per non vedere né orecchi per non sentire, per avere al contrario un’anima di credente, che ascolta sia il Cristo che la Chiesa che è Suo corpo.» (Tradotto da Sources Vives, n.30, pp.10-11)
«Questi è il Figlio mio, l’Amato, ascoltatelo!» Ecco Il Messaggio. Ecco il cuore del Vangelo.
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Domenica 18 febbraio 2018 - 1° Domenica di Quaresima - Gn 9,8-15 – 1Pietro 3,18-22 – Mc 1, 12-15 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Gesù è stato appena battezzato. Ha visto la grande colomba dello Spirito Santo scendere su di Lui. La sua umanità si è lasciata consacrare in vista della missione a Lui affidata.
E qual è la primissima mozione interiore dello Spirito Santo? Dove lo conduce? Lo conduce in un tempo di ritiro spirituale. Quaranta giorni, quaranta notti di silenzio. Dove? Lungo il mare di Galilea o sulle pendici dell’Hermon? No! Nel deserto! Cioè nello spogliamento, dove sarà privo di ogni conforto, di ogni visita, di ogni consolazione umana. E lì digiuna. Quaranta giorni di digiuno, che lo rendono sempre più vulnerabile. Subisce poi gli attacchi di satana che non sopporta l'amore per Dio. Quando vede l’amore per Dio nel genere umano, dove ha stabilito il suo regno di menzogna, dispiega tutta la sua intelligenza per uccidere l’amore.
Il suo scopo è sviare Gesù, farlo deviare… Gesù, scendendo nelle acque del Giordano insieme ai peccatori, ha scelto una via : la via dello spogliamento radicale di sé, per amore del Padre e per amore nostro. La sua via è farsi uno con i peccatori, pur rimanendo nell’Amore del Padre, il che comporta una lacerazione sconfinata. La sua via è portare l’Amore dove regna il male. Ed è da questa via che satana vuole farlo deviare ad ogni costo.
E cosa fa satana per sviare Gesù? Innanzi tutto l’invita a rifiutare il disagio del deserto e della fame, usando per questo la bontà paterna di Dio. Poi gli suggerisce di sottrarsi allo spogliamento, ottenendo per sé, e non per il Padre, una gloria umana immediata. Infine lo invita a rinunziare a Dio Padre, per adorare lui, satana, ed ottenere in modo soprannaturale, tutte le ricchezze del mondo.
La lotta per resistere a questo tsunami interiore fu terribile, essendo Gesù nella fragilità radicale di chi non ha mangiato da quaranta giorni, è logorato dalla fame e sperimenta il silenzio di Dio…
Gesù non si è lasciato sviare. L’amore per il Padre e, inseparabilmente, l’amore per noi, l’hanno fatto rimanere nella propria via. Ed è andato fino in fondo a questa via. Ce l’ha detto Pietro oggi: « Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nel corpo... “ (1 Pt 3,18-19) Gesù è andato fino in fondo nella via dell’amore. « Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1 ) Dove lo ha portato questa via dell’Amore? Sulla croce! Per raggiungere tutti i peccatori, per portare l’Amore dove regna la morte, come ci ha detto Pietro.
Già l’alleanza con Noè era un dono straordinario di misericordia, perché Dio rinuncia ad ogni forma di diluvio solo per amore, solo per misericordia… Anzi suscita l’arcobaleno per ricordarsi della Sua alleanza nel momento in cui la giustizia richiedesse un nuovo diluvio… Quello era già un amore grande, molto grande e paziente. Ma oramai Dio non soltanto non manda più il diluvio, ma manda il Figlio Suo. Non per far morire con l’acqua la nostra umanità ribelle, ma per salvarla, per salvarci mediante l’acqua. La via di Gesù è quella dell’Amore obbedientissimo al Padre che lo porta al cuore di ciascuno di noi, per offrirci le acque salvifiche del Battesimo!
E perché abbiamo bisogno di una tale salvezza? Perché tutti siamo stati sviati. Portiamo nell’anima nostra una ferita spirituale profonda che chiamiamo peccato originale. Quello che voglio, non lo faccio. Quello che faccio, non lo voglio. Siamo continuamente bersagliati da satana che, vinto dalla croce di Gesù, cerca di trascinarci nella sua perdizione.
Come cerca di sviarci? Il più spesso attraverso le tentazioni. La tentazione è un'attività molto sottile ed intelligente da parte di queste creature spirituali che sono satana e gli altri angeli malvagi. Un'attività che mira a farci deviare dalla via dell’Amore, pur iscritta nel profondo del nostro essere. Ci fa deviare per attrazione, per seduzione, usando le nostre fragilità, spesso senza che noi ce ne accorgiamo.
Ad esempio, ci invita, come fa con Gesù, a rifiutare ogni forma di prova. Ci porta a pensare che star bene sia un nostro diritto. Ma questa è una menzogna. La felicità non è un diritto, è un dono di Dio. Oppure ci porta a pensare che essere nello spogliamento sia la prova che Dio non si prende cura di noi… Altra menzogna… Ma, attenti! Quando si tratta di tentazioni, nessun ragionamento, anche il più ispirato dalla fede cristiana, basterà. Perché satana ha l’abilità di agire sulle nostre passioni e ci prenderà nei suoi lacci. Dobbiamo fare affidamento sulla Parola di Dio, come fece Gesù nel deserto. Solo la Parola di Dio sarà più incisiva dei discorsi del maligno. Ma non è qualcosa di magico… La Parola di Dio è efficace se accolta nella fede, accolta come più affidabile delle nostre certezze.
Come agisce ancora? Satana ci fa bramare il piacere, la gloria, la fama immediata. E questo è molto incisivo, perché siamo stati creati per la felicità, per la gioia, anzi per la gloria! Il discorso del tentatore è all’apparenza molto vicino alle promesse di Dio, ma le travisa radicalmente, senza che ce ne accorgiamo. Ci fa desiderare una gloria senza Dio, come ci sprona ad una compassione senza Dio.
Cosa lo fa scappare? Un grande strumento di liberazione è l’umiltà e ancor di più il pentimento. Egli non sopporta la verità. E l’umiltà è essere nella verità davanti a Dio. Il demonio scappa quando ci affidiamo con fiducia alla Chiesa di Dio, in modo particolare attraverso il sacramento del perdono, che è come un esorcismo potentissimo.
Come lavora ancora? Ci spinge a rinunciare a Dio Padre. Non so: fai da te ! Ma: vieni da me! Perché accontentarti di mezzi umani per essere potente? Usa pure mezzi soprannaturali… E di questo è piena la nostra città attraverso la massoneria, i rosacruciani, il reiki, le sette sataniche, e così via… È l’incanto della tentazione, che sempre mira a farci disperare, a rinchiuderci nell’inferno del potere, ad allontanarci da Dio, a negare Dio. È forte… è una lotta molto seria. Così seria che abbiamo profondamente bisogno non solo del Battesimo, non solo di un rapporto vivo con la Parola, non solo della Chiesa e dei suoi sacramenti e sacramentali, ma di un aiuto straordinario che deve diventare ordinario nella nostra vita. Si tratta in modo speciale dell’aiuto, del ministero di Maria Santissima. Ella fa fuggire i demoni. Non possono sopportare tanta umiltà. Non possono sopportare un amore così grande per Gesù, per il Padre, per lo Spirito Santo… e per noi. Ella è la Mediatrice della Grazia, fin dal suo Si a Nazaret. È la Co-redentrice presso il suo Figlio Unico redentore nostro e suo. È l’avvocata, l’arcobaleno della nuova alleanza. Immenso dono… Ogni volta che avvertiamo l’inizio di una tentazione, mettiamolo nel cuore immacolato di Maria, e quel pensiero perderà la sua forza. E capiremo quanto grande è il dono di Maria Santissima.
Maria Vergine… e San Michele Arcangelo. È il compagno straordinario della nostra vita, Colui al quale è affidato la vittoria su tutti gli spiriti malvagi. Dono immenso…
per lodare Dio che ci ha dato tutto nel Suo Figlio. Egli non si è lasciato sviare. E grazie a Lui ritroviamo insieme la via dell’Amore, la via sulla quale noi tutti diventiamo una cosa sola.
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Mercoledì 14 febbraio 2018 - Le ceneri - Gioele 2,12-18 – 2Co 5,20-6,2 – Mt 6,1..18 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Un ricordo indimenticabile del Congresso Eucaristico Internazionale che ebbe luogo in Canada nel 2008 è l’intervento di José H. Prado Flores, fondatore della Scuola di Evangelizzazione Sant' Andrea. Per illustrare quanto i nostri cuori possano raffreddarsi, venne tenendo in mano una bistecca congelata, immagine del cuore duro, freddo… È vero… il cuore umano può diventare duro come pietra, freddo come ghiaccio.
Oggi, all’inizio della Quaresima, il Papa nel suo messaggio ci invita appunto a riaccendere il fuoco nei nostri cuori… Parte da un versetto del Vangelo di Matteo che appartiene al discorso sugli ultimi tempi : «Per il dilagare dell’iniquità, si raffredderà l’amore di molti» (Mt 24,12) La carità, l’agape, si raffredderà nel cuore di molti a causa dell'espansione dell’anomia, cioè di un pensiero, di uno stile di vita che non vuole più sentir parlare dei comandamenti di Dio, che vuole eliminare Dio stesso.
È questo il pericolo che Papa Francesco vede per il nostro tempo che senz’altro appartiene agli ultimi tempi. Quando si lascia spazio al diavolo, si spegne la carità. Il Papa cita appunto il nostro poeta: «Dante Alighieri, nella sua descrizione dell’inferno, immagina il diavolo seduto su un trono di ghiaccio; egli abita nel gelo dell’amore soffocato. Chiediamoci allora: - scrive Papa Francesco - Come si raffredda in noi la carità? Quali sono i segnali che ci indicano che in noi l’amore rischia di spegnersi?»
Ecco il compito che ci viene dato all’inizio della Quaresima: Come sta il tuo cuore? Cosa c'è nel tuo cuore? Ghiaccio o fuoco? E guarda bene: quali sono le strade, i modi di fare, le abitudini che fanno sì che si raffreddi in te la carità? E, al contrario, quali sono le strade, i modi di fare, le abitudini che fanno sì che si accenda in te il fuoco della carità?
Il Papa ci aiuta a fare questo discernimento, in due maniere.
La prima è di individuare i falsi profeti che seguiamo in modo più o meno consapevole. Ascolto gli “incantatori di serpenti”, che approfittano delle mie emozioni umane per rendermi schiavo ? Mi parlano delle lusinghe del piacere di pochi istanti, che viene scambiato per felicità… Sono incantato dall’illusione del denaro, che mi rende in realtà schiavo del profitto? Penso di bastare a me stesso, e poi cado preda della solitudine?
Altri falsi profeti sono quei “ciarlatani” che offrono soluzioni semplici e immediate alle sofferenze: saranno i falsi rimedi della droga, di relazioni “usa e getta”, di guadagni facili ma disonesti. Saranno le lusinghe di una vita completamente virtuale, in cui i rapporti sembrano più semplici e veloci per rivelarsi poi drammaticamente privi di senso. Sarà l’inganno della vanità, che ci porta a fare la figura dei pavoni… per cadere poi nel ridicolo; e dal ridicolo non si torna indietro. Sono libero da tutto ciò?
Il Papa ci invita inoltre a guardare cosa avviene nelle nostre comunità, nelle nostre fraternità: «L’amore, scrive, si raffredda anche nelle nostre comunità.» E poi cita le malattie delle nostre fraternità: «L’accidia egoista, il pessimismo sterile, la tentazione di isolarsi, la tentazione di impegnarsi in continue guerre fratricide, la mentalità mondana che induce ad occuparsi solo di ciò che è apparente…» C’è tra noi l’accidia egoista? Sono entrato in un inverno spirituale, mi chiudo in me stesso, mi lamento di tutto e di niente… C’è tra di noi il pessimismo sterile? Sono nato con uno spirito critico, e questo nessuno me lo toglierà. È il mio modo di sopravvivere….
Ed è così che i cuori sono come di ghiaccio, gli incontri freddi, i rapporti umani raggelanti …
Ma il Papa non si limita a fare la diagnosi: propone anche il rimedio che è quello della Parola di Dio: il dolce rimedio della preghiera, dell’elemosina e del digiuno.
Perché il digiuno? Digiunare significa sperimentare fisicamente la fame. E questo ci apre, ci rende vulnerabili, fragili. È come aprire un varco all’Amore. È come rompere l’autosufficienza che uccide l’amore. Il vero digiuno fa entrare nella vulnerabilità, e, quindi, nell’amore. L’amore vero fa soffrire il cuore: il digiuno è un esercizio che ci allena in vista dell’amore.
Perché la preghiera? Perché la preghiera riscalderà i nostri cuori. Il contatto con la Parola di Dio, l’orazione silenziosa, l’adorazione sono momenti in cui, anche a nostra insaputa, la carità di Dio entra di nuovo nella nostra vita. La preghiera vera ci spiazza, ci disturba: svela i sentieri pericolosi che ci allontanano dall’amore e ci ricarica per camminare verso l’Amore. Non puoi pregare senza crescere nell’amore.
Perché l’elemosina? Perché ogni gesto di condivisione rompe il nostro isolamento. Ci apre all’orizzonte della comunione e, quindi, della gioia. Quei gesti, piccoli o grandi, ci fanno uscire da noi stessi ed entrare nella circolazione dell’amore divino.
Ecco i dolci rimedi….
Carissimi fratelli e sorelle, se scegliamo di dare più tempo alla preghiera, è per amare di più. Se scegliamo di condividere di più, è per crescere nell’amore. Se scegliamo di digiunare, è per amare veramente. E se tutto ciò non fosse per amare, lasciamo stare… perderemmo tempo!
E non è una scommessa cieca… Tutto il nostro sforzo poggia su un dono che ci precede: Il fuoco dell’Amore c’è già sulla terra, perché Cristo è morto e risuscitato per noi. Il fuoco dell'Amore di Dio è stato acceso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. (Rm 5,5)
Il cammino della Quaresima è un cammino verso il fuoco del Mistero Pasquale. È un avvicinarsi quotidiano al fuoco dell’Amore divino. Non è un tempo di tristezza: tutt’altro! È un tempo di conversione all’Amore, e l’Amore è ciò di cui l’anima nostra ha sete, una sete infinita!
Oggi riconosceremo che l’amore spesso si è spento in noi, che siamo spesso come le ceneri che riceveremo sulla fronte; ma le riceviamo perché crediamo nel Fuoco del divino Amore. Crediamo che il Signore può rendere il nostro cuore come una viva fiamma d’amore per Lui, per gli altri, per i poveri, per i nemici. In una parola: crediamo nell’Amore! Vero?
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Domenica 11 febbraio 2018 - VI Domenica T.O. B - Fraternità Monastiche de Gerusalemme - un fratello della Badia Fiorentina
Le misure imposte dalla Legge intorno alle malattie, sopratutto quella della lebbra che abbiamo sentito nella 1ma lettura, offendono le nostre mentalità del 21mo sec. Non basta la disgrazia di beccare la malattia, si deve strappare le vesti, arruffarsi i capelli, coprirsi il viso, gridare il suo male. E il colmo, invece di ricevere cura premurosa, compassione dalla famiglia o amici si deve rinunciare, scartato dalla comunità dei sani, il destino del malato è la solitudine fino alla fine dei suoi giorni. È scioccante! Dov'è la dignità del malato, il rispetto della persona umana indebolita? Proprio di cui parla Papa Francesco nel suo messaggio per la giornata del malato. Possiamo dire... guardate quant’è superiore il NT, la misericordia verso i piccoli, gli esclusi i primi dei quali sono appunto i lebbrosi. Possiamo parlare della durezza della Legge, ma il fatto è che la Legge è semplicemente imparziale, neutra. Fa la sua funzione di evidenziare il male dell’uomo e di proteggere gli altri, evitando il contagio. Nella Bibbia la lebbra è strettamente legata al concetto di peccato. È l’immagine visibile di ciò che il peccato opera nell’uomo interiore. Dimostra il disfacimento lento e orribile dell’essere, della persona, la discesa agli inferi. Ricordiamoci di Miryam la sorella di Mosè e il suo peccato di gelosia... Il Signore ha forse parlato soltanto per mezzo di Mosè? Dice alle spalle del fratello (Nm 12,2). Convocati con Aronne nella tenda del convegno, quando la nube della presenza se ne andò, Miryam si è trovata tutta coperta dalla lebbra... segno esteriore della sua condizione interiore. Per l’evangelista Luca (17,12), i dieci lebbrosi guariti sono simbolo di tutti gli uomini peccatori ai quali è offerta la salvezza, dieci essendo il numero della totalità. Uno solo fu salvato, colui che è tornato indietro per ringraziare Dio. Ma se la lebbra è simbolo per eccellenza del peccato, notiamo bene che Gesù sembra respingere un rapporto di causalità fra peccato e malattia o tutt’altro male che accada all’uomo. Né lui ha peccato né i suoi genitori dice Gesù dal cieco nato (Gv 9, 1). Credete che fossero più peccatori di tutti gli abitanti di Gerusalemme ? Dice ancora delle 18 vittime del crollo della torre di Sìloe (Lc 13, 4). Certo, è per mezzo del peccato che la morte è entrata nel mondo, più precisamente la morte dell’essere, la morte mortale (moth thamut... di morte mortale morirai dice il Libro della Genesi 2, 17). Ciò che Gesù respinge carissimi, è quel luogo comune tanto diffuso quanto difficile da smentire, quella idea sbagliata - secondo quale - le malattie, le seccature che ci capitano sarebbero punizioni inviati da Dio per i nostri peccati. Chi di noi non ha mai pensato così...? Ed è qui che la Legge ci aiuta mostrando che cos’è davvero il peccato perché noi desideriamo davvero distogliercene. Non è solo un sentimento di colpevolezza di cui ci si riesce a liberare tramite una terapia, per esempio. La legge ci fa discernere il vero male del peccato che è la morte dell’essere, perché il peccato è la lontananza del cuore dalla sorgente di Amore e di Vita, peccare è volgere le spalle a Dio e i risultati non sono punizione venendo da Lui ma conseguenze inerenti al peccato. Se nei nostri giorni, si conosce poco il peccato è anche forse perché nel passato i pastori hanno mancato al dovere di far comprendere la vera posta in gioco dietro i precetti, gli insegnamenti della Chiesa. Alcuni si sono accontentati oppure tuttora si accontentano di dire ciò che è permesso e non permesso. Per esempio il tema del corpo, è stato un argomento tabù, producendo generazioni di cattolici nevrotici, di mentalità ristretta sulla sessualità, sull’affettività, per i quali "IL" peccato è sopratutto quello contro il sesto comandamento. San Giovanni Paolo II ha tanto fatto per porre rimedio alla situazione, i suoi insegnamenti sul corpo, sulla sessualità, sul matrimonio sono da scoprire e diffondere sempre più. Ma se la Legge è buona per educare l’uomo, la Legge non basta. Può costatare ciò che è sano, può discernere ciò che puzza di morte... ma la Legge non può dare guarigione, purificazione, vita. Quest’ultima spetta a Dio solo, l’autore della Legge. Se l’evangelista Marco (2, 1ss) mette insieme peccato e malattia nel passaggio del paralitico calato dal tetto scoperchiato, era appunto per dimostrare la signoria di Gesù sul peccato e sulla malattia... perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e và a casa tua! È proprio il senso dell’ammonimento severo al lebbroso guarito, severo cioè importante ... va’, mostrati al sacerdote e offri per la tua purificazione ciò che Mosè ha prescritto...come testimonianza per loro. Testimonianza, cioè segno che Colui di cui la Legge e i profeti parlano, è giunto. Il perdono che salva, purifica, dona vita è sceso nel mondo! Se vuoi, puoi purificarmi! Come questo lebbroso, noi, molti degli uomini crediamo che Dio, che Gesù può fare qualcosa, è onnipotente. Ma... forse non lo vuole! Eccoci alla radice del dramma, della tragedia umana. Il problema non è solo la non credenza in Dio, ma anche il fatto che tra i credenti, non sono tanti che credono che Dio vuole davvero il nostro bene, la nostra vera gioia. Che Dio vuole i nostri sacrifici, sofferenze... a questo ci crediamo volentieri! Se vuoi.... pensate come lo sguardo del lebbroso, queste sue parole vanno dritto al cuore di Gesù. Ne ebbe compassione, dice Marco. Certo che lo vuole! Tese la mano, lo toccò... Quanta potenza in quella mano tesa, è la stessa potenza di quelle mani tese sulla Croce per prendere su di Lui tutti i nostri peccati, le nostre malattie. In questa Eucarestia Gesù tende le mani a ciascuno di noi. Possiamo toccarle, stringerle con fede... per poter anche noi... tendere le nostre mani a coloro che sono più deboli, più malati intorno a noi...
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Domenica 4 febbraio 2018 - V° Domenica T.O. anno B - un
fratello della Badia Un duro servizio l’esistenza dell’uomo sulla terra...i suoi giorni scorrono veloci... svaniscono senza un filo di speranza! A questa riflessione disincantata di Giobbe corrisponde la realtà che vediamo nella pagina del vangelo: l’uomo sotto il peso della sua fragilità... malattie di tutti i tipi, pensate un po’ siamo nel 21mo secolo e si muore ancora di influenza, affanni di ogni genere, l’invecchiamento, dominio non solo del maligno ma anche delle ideologie che possiedono oppure condizionano e si aggiunge nei nostri giorni il dominio sull’uomo delle cose, immagini, sostanze, giochi che creano dipendenze. Quanti possono dire con Giobbe... a me son toccati notti di dolore...se mi corico, dico “quando mi alzerò”? La notte si fa lunga e sono stanco di rigirarmi fino all’alba. Altrove si aggiungono terrori delle guerre, persecuzioni, carestie, catastrofi naturali. Per moltissimi la vita è davvero una dura battaglia di ogni giorno. Per altri la vita è bella...sì.. ma anche lì, non dura che per un tempo più o meno fugace. Tutto il sapere e i miliardi di Steve Jobs non hanno potuto trattenerlo più lungo in questa vita, è andato via a solo 56 anni. La vita è un sogno (la vida es sueño) dice un drammaturgo spagnolo del 17mo sec. Pedro Calderon. La vita è un’illusione dice la filosofia fisica quantistica. Ma Giobbe dice meglio... la vita è un soffio. Perché la vita non è un miraggio inesistente come il sogno o l’illusione. Come il soffio la vita è reale, esiste... ma è molto fragile, effimero, come il soffio. Ce la caviamo come possiamo, più o meno bene. Vediamo che il nostro vangelo stamattina è di attualità per tutti i tempi. Accade qualcosa fuori dell’ordinario, una guarigione, un miracolo, una apparizione... come a Cafarnao in quel giorno, la gente ci accorre nella speranza di trovare qualche sollievo, una luce, una guarigione... Medjugorje, a Banneux in Belgio, Madonna di Zaro nell’isola d’Ischia, Madonnina di Civitavecchia... Eppure non è così nel disegno originale per l’uomo. A sua immagine e somiglianza Dio lo creò, maschio e femmina, e li benedisse, siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra, soggiogatela... (Gn 1,27). Lo hai fatto poco meno degli angeli dice il Salmista, di gloria e di onore l’hai coronato, gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi (8,6). Da dove viene questo scarto fra il progetto bellissimo e la realtà brutta come la conosciamo? Forse dobbiamo fare una denuncia di pubblicità ingannevole? Il Buddismo dice grosso modo che la sofferenza viene dall’attaccamento dell’uomo alle cose, alle persone. La via d’uscita sarebbe la rinuncia, togliere la bramosia dal cuore. Jean-Jacques Rousseau dice che il male dell’uomo viene dalle strutture ingiuste create dalla società, facendo l’uomo cattivo, infelice. Il rimedio sarebbe il ritorno alla sua natura di base, primitivo... selvaggio forse, ma buono. Karl Marx dice che il malessere dell’uomo viene dall’ineguaglianza della distribuzione dei beni, dividendo gli uomini fra oppressori e oppressi. La soluzione sarebbe un ritorno all’uguaglianza dalle origini anche a costi umani altissimi. Niente di davvero nuovo. L’AT ci ha provato con l’anno giubilare del Libro di Levitico (25), una ridistribuzione dei beni ogni 50 anni, la liberazione degli schiavi, remissioni dei debiti. Per Gesù la salvezza non è un ritorno agli inizi, ritrovare un paradiso perduto. Ci propone un meglio che non è nel passato ma si trova più avanti nel tempo, anzi è già in mezzo a noi. E per trovarlo, occorre prima di tutto rivolgersi nella direzione giusta, cioè convertirsi perché il peccato ci ha fatto volgere le spalle a Dio e alla vera vita. Il rimedio alle sofferenze umane non è tanto la sradicazione di tutte le malattie oppure la cancellazione della morte corporale. Ricordiamoci che Gesù non ha guarito tutti i malati nel suo tempo, ha ridato vita fisica a solo pochi morti... la figlia di Giairo, il figlio della vedova di Nain, Lazzaro. La soluzione del malessere umano non è tanto una ridistribuzione più giusta dei beni della terra. Ricordiamoci, Gesù non voleva essere ridotto a un giudice per dividere l’eredità fra due fratelli (Lc 12, 14). Le guarigioni che Gesù faceva, le liberazioni da condizionamenti psichici o possessioni demoniache... tutti non erano che segni di quello che vuole operare nel cuore dell’uomo, cioè ristabilire il legame con Dio, rapporto interrotto dal peccato, avvenuto per opera del Maligno. Svelando il vero nome, mostrando il vero volto del Padre suo che è amore e misericordia, Gesù vuole sradicare il dubbio, la sfiducia nel cuore dell’uomo nei riguardi di Dio. Perché lontano, staccato dalla sorgente di vita, l’uomo vive sotto il dominio del Diavolo, in preda alla paura di tutto, paura di mancare soldi, affetti, di essere solo, di essere abbandonato, paura della sofferenza, dello sconosciuto, della morte. Liberandoci dal Maligno e facendo di noi figli e figlie di Dio Padre, Gesù stabilisce in noi un giusto rapporto con tutto e tutti, sopratutto con le nostre fragilità, ferite, limiti. Questi non sono l’annientamento del nostro essere, come suggerisce il serpente, bensi luoghi di apertura agli altri e ultimamente all’Altro con A maiuscola. La Buona Notizia, il Vangelo di Gesù è quella della VITA, proprio il tema di questa 40ma giornata nazionale per la Vita. Vita non solo di quaggiù, ma quella più forte della morte, quella eterna. Quella che ci dà la forza e la gioia per donarsi anche noi agli altri, ai figli, alla famiglia, ai più piccoli. Per questo Gesù non vuole rimanere solo a Cafarnao...andiamocene altrove dice... andate, annunciate la BN a tutta la terra dirà agli apostoli. Guai a me se non annuncio il Vangelo dice Paolo. Guai a noi se non condividiamo in un modo o altro la vita divina di cui viviamo, se diciamo niente al collega, al vicino di casa, a chi come Giobbe trova la vita troppo dura. Come la suocera di Simone siamo tutti sempre più o meno malati, feriti. In questa Eucarestia Gesù vuole rialzarci di nuovo prendendoci la mano... tendiamole con fede e fiducia... per continuare a servire e annunciare il vangelo della Vita.
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Domenica 21 gennaio 2018 - IIIa Domenica T.O. B - Badia Fiorentina - un fratello della Badia
Il tempo è compiuto... il regno di Dio è vicino! Quando queste parole riecheggiavano per la prima volta in Giudea, il clima sociale, politico del luogo era pesante, problematico, teso. Il regno di Erode e i suoi grandi progetti avevano impoverito il paese. La sua morte ha lasciato un vuoto di potere dando luogo alle lotte intestine fra i suoi eredi, costringendo i Romani a instaurare prefetti sul posto, Ponzio Pilato ne era di Giudea dall’anno 26 al 36. La situazione religiosa nemmeno era chiara, poiché era Erode che nominava il capo sacerdote. Le ricchissime famiglie dei capi sacerdoti compromessi con il potere erano contestati dai farisei, scribi e zeloti. Rivolte, agguati, sollevamenti, repressione sanguinosa.... disordini nei quali lo spirituale e il socio-politico sono strettamente interconnessi. Eppure tra le prime parole di Colui che è chiamato Principe della Pace non era una chiamata alla tregua, all'intesa, alla tolleranza. Dice perfino... pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione! (Lc 12, 51). L’attuale clima in cui viviamo non è ben diverso. Sullo sfondo di disparità sociali, economiche, di frustrazioni, di disordini morali in tutti settori... covano le violenze degli estremisti nei quali lo spirituale e il socio-politico sono strettamente interconnessi. Chiusure identitarie si manifestano. Con droni e altri armi high tech si taglia la testa di un gruppo terrorista, ma altre teste emergono gridando vendetta, le si taglia e altre rinascono e così via... Non fingiamo, le cose vanno male…molto male e non solo in un angolo della terra. All’inizio del suo ministero, Gesù non voleva illudere la gente parlando di una pace che il mondo non può donare. Certo che parole di saggezza da parte dei grandi di questo mondo sono necessarie per scongiurare il peggio. Ma per Gesù c’è qualcosa di molto più importante, più urgente che evitare una guerra mondiale o nucleare. Ricordiamoci di ciò che aveva risposto a quelli che gli parlavano degli Galilei uccisi mentre sacrificavano e delle vittime dalla caduta della torre di Siloe (Lc 13, 1). Gesù vuole darci qualcosa molto più grande, più alto. Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete nel Vangelo. Quattro punti che riassumono tutta la missione di Gesù. Due affermazioni annunciando il regno, due imperativi chiamandoci ad entrarvi. Il regno è vicino! È già in mezzo a noi. Il tempo dell’attesa è finito. Attesa più o meno chiara. Per alcuni come per Israele, l’attesa è articolata, ben definita dalla Legge, dai profeti e dalle promesse. Attesa più o meno confusa per molti uomini, guidata solo dal loro desiderio di ciò che è buono, vero, bello, giusto. Attesa indistinta per altri che non si pongono nemmeno la domanda perché, per quale scopo esistono in questa terra e per cui la sola cosa sicura è la morte alla fine. Questa mattina rappresentiamo tutti qui delle attese, desideri, speranze... più o meno chiare, definite. Aspirazioni che dobbiamo sempre chiarire, purificare, elevare. A tutti noi Gesù dice il tempo della vostra attesa può finire. Il regno di Dio è qui. Colui che ha messo nei nostri cuori i desideri più profondi, Colui che li ha rivelati come promesse ad Israele viene a compierli. Che cosa aspettate? La riconoscenza, l’ammirazione degli altri, l’attenzione del vostro marito, della vostra moglie, figli, dei membri della vostra comunità? È Lui Gesù che ci guarda con amore totalmente gratuito senza contropartita. Desiderate forse il dominio, il potere sulla gente? È Lui Gesù che ci dona la possibilità di instaurare legami durevoli, rapporti di amicizie vere che resistono nel tempo e nella distanza. Siete sempre in ricerca dell’affetto grande, quello che vi colmerà davvero? È Lui Gesù che con le sue qualità e capacità infinite di pazienza, bontà, generosità, fedeltà... può davvero corrispondere alle attese, desideri che possono trovarsi nel cuore degli uomini: desiderio di verità, libertà, pace, unità... Può essere qui e ora, hic et nunc, l’adempimento dei nostri desideri, sogni. I bei vecchi tempi carissimi non sono nel passato, nemmeno nel futuro immaginario. Perché passa questo mondo e il tempo si fa breve come per i Niniviti. Una vita nuova possiamo cominciarla qui e adesso! E come fare? Tramite la conversione, la fede! Convertitevi e credete nel Vangelo! Se è vero che la conversione non è produzione nostra, è un dono dall’alto, noi possiamo disporci per riceverla. Come? Semplicemente cambiando la nostra direzione, orientarci diversamente. In questo consiste la conversione per noi. E come essere sicuro della buona direzione? Gesù ci ha detto come, occorre mettersi dietro a Lui, perché Lui è sempre rivolto verso il Padre. Seguendo Lui non perdiamo mai la rotta. E poi credere nella sua Parola, nel Vangelo. Credere non è solo l’adesione dell’intelligenza ad una verità. In questo senso anche i demòni credono che Gesù è Figlio di Dio e ne tremano, sono loro i primi a proclamarlo. Si tratta, carissimi, di decidere quale tipo di rapporto vogliamo instaurare con Gesù. I demòni hanno scelto un rapporto di opposizione, negazione. Molti uomini, purtroppo anche cristiani scelgono un rapporto di conoscenza con Gesù. Non è rifiuto nemmeno indifferenza, ma... certo hanno sentito parlare di Lui, lo si conosce da piccoli, si ammira le sue parole, il suo coraggio, certo si crede in Lui... ma lo si segue a distanza... con più o meno impegno... Non è questo il rapporto che Gesù vuole. Lui desidera, spera un legame di amicizia stretta con ciascuno di noi. Appunto vuole rinnovarla stamattina, rafforzarla, nutrirla dandosi a noi corpo e anima. RiceviamoLo con fede e gratitudine per poter annunciare non la distruzione di questo mondo come Giona, ma annunciare la speranza, la buona notizia della vera pace!
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giovedi 18 gennaio 2018
- II sett. T.O. - 1Sam 18,6..19,7 – Mc 3,7-12 Badia Fiorentina
- f. Antoine-Emmanuel
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sabato 13 gennaio 2018 -I sett. T.O. - 1Sam 9,1..10,1 – Mc 2,13-17 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Cosa faceva Saul? Era andato a cercare le asine del padre Kis, perché si erano smarrite… Cosa faceva Levi? Stava al banco delle imposte, a fare il suo lavoro.
E la loro vita fu trasformata, non dal cercare le asine, neanche dal riscuotere le tasse a Cafarnao, ma dall'iniziativa di Dio.
Il Signore, tramite Samuele o nella persona di Gesù, si è fatto vicino a Saul e a Levi, nel loro quotidiano. Non è che facessero un ritiro spirituale. Non erano neppure nel santuario di Silo o nella sinagoga di Cafarnao. Erano al lavoro di ogni giorno, onesto per Saul, sporco per Levi. E Dio si è fatto vicino…
Che splendida chiamata a tener il cuore aperto alle visite di Dio nel quotidiano più ordinario! Anche quando sei molto impegnato nel lavoro dinanzi al computer, al telefono, e così via...
Dio non è casalingo. Esce e si reca dove sei tu. L’Amore lo fa incessantemente uscire da Sé per venire a cercarci, a chiamarci: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mc 2,17)
Dio non ha paura di disturbarci… anzi non ci lascia innamorare delle nostre attività. Ci chiama … Ci vuole per Sé. Vuole il primo posto, il posto regale nel nostro cuore.
Ma questo non avviene senza lotta per noi. Guardiamo Levi. Levi era un funzionario delle tasse. Il suo mondo, i suoi amici erano peccatori e pubblicani, cioè altri funzionari delle imposte, e peccatori pubblici. Si possono immaginare protettori, mafiosi, trafficanti di ogni genere…
Senza dubbio metteva non pochi soldi nelle proprie tasche. E senza dubbio conosceva già Gesù, perché se non l’avesse conosciuto prima, non si sarebbe alzato immediatamente.
Se si alza cosi velocemente, è perché c’era in lui come un’attesa, un desiderio di seguire Gesù, di esser con Gesù.
Da un lato c’è in me il desiderio di essere di Gesù, di diventare una cosa sola con Lui, di essere trai suoi discepoli, nella famiglia che sta nascendo attorno a Lui…
Ma dall’altro mi vergogno. Col mio passato, non posso essere all’altezza. Con le mie cattive abitudini, non posso essere una cosa sola con Gesù. E come potrei fare a meno del denaro, del sesso, del potere?
Possiamo immaginare la lotta interiore di Levi, lacerato tra il desiderio di seguire Gesù e il timore che sia impossibile per lui…
Vorrei, ma non posso. Amo, ma mi vergogno. Desidero, ma sono indegno.
È una lotta. E vincitore non può essere che Gesù! Gesù è stato vincitore nell’anima di Levi. «Vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: ‘Seguimi’» (Mc 2,13) Ci voleva lo sguardo e la Parola di Gesù perché Levi fosse liberato dal carcere della vergogna e dell’attaccamento al peccato. Ha vinto Gesù!
Carissimi, se siamo qui oggi, è perché nella nostra vita, nella nostra anima, Gesù ha vinto. Senza di Lui, non sarei qui a parlarvi… La nostra stessa fedeltà è vittoria Sua, vittoria che non avviene senza di noi, ma che non è mai vittoria nostra.
E' vittoria della Misericordia. È ciò che celebriamo ogni giorno nell’Eucaristia. È ciò che celebriamo oggi. Andiamo al banchetto della gratitudine, del rendimento di grazie.
«Mi
avevano spinto con forza per farmi cadere,
Mia forza e mio canto è il
Signore,
Grida di giubilo e di
vittoria
la destra del Signore si è
innalzata,
Non
morirò, ma resterò in vita (Salmo 117,13-17)
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sabato 6 gennaio 2018 - Epifania del Signore - un fratello della Badia
I magi affascinano piccoli e grandi. Hanno conquistato un posto nella devozione popolare, nelle tradizioni, nell’arte e perfino nella gastronomia. Il vangelo parla dei “magi”, sapienti ma la tradizione ne ha fatto di loro anche dei “re”. Semplicemente per associazione di idee tra il vangelo di Matteo e il versetto di Isaia della 1ma lettura cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere e del salmo responsoriale i re di Tarsis e delle isole portino tributi... tutti i re si prostrino a lui.... Alcuni magi dice Matteo senza dire quanti sono, ma anche lì la tradizione ha dedotto “tre” basandosi sul numero dei doni : oro, incenso e mirra. Gli ha dato anche dei nomi: Gaspare, Baldassarre, Melchiorre e delle reliquie che si trovano a Colonia trasferiti lì nel 1164 da Federico Barbarossa dalla chiesa di Sant’Eustorgio a Milano. Reliquie provenienti probabilmente da una chiesa in oriente riportati in occidente all’epoca delle crociate.
Si vede che il fascino intorno ai magi non è nuovo, senza dubbio suscitato dal mistero che sembra avvolgere la loro sapienza, la loro provenienza, la loro ricerca. Ma anche dal fatto che non essendo Ebrei, i cristiani provenienti dalle nazioni possono identificarsi con i magi. Obiettivo doppiamente riuscito dunque per Matteo che scriveva il suo vangelo per i credenti provenienti dagli Ebrei, primo per dir loro che i pagani sono chiamati a partecipare alla stessa eredità, ad essere partecipi delle promesse (Ef 3,6), e secondo, per dire ai credenti provenienti dai pagani che i tra i primi beneficiari della grazia dell’incarnazione ci sono dei non Ebrei.
La figura dei magi ci colpisce sopratutto del fatto che ci parla delle due grandi domande che preoccupano non solo gli Ebrei ma tutto il genere umano: il quando e il dove. Sono questi i due limiti dell’esistenza umana: il tempo e lo spazio, oppure due parametri della nostra esistenza, se preferite dire così. Cosciente della sua fragilità, che il suo tempo è limitato, misurarlo è per l’uomo l’inizio della sapienza... Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore (Salmo 90,12).
Meravigliarsi del cielo, scrutarvi il ritmo che scandisce il passare del tempo, della storia, il succedersi dei giorni, mesi, anni, stagioni, regni... ecco ciò che possiamo chiamare una scienza primaria. È quella dei magi venuti dall’oriente. Scienza sempre valida anche con i nostri orologi atomici che scrutano il ritmo non dal macrocosmo ma dal microcosmo. Scrutando i cieli, i magi hanno compreso la venuta della pienezza dei tempi... Ora, la sapienza, l’intelligenza non deve fermarsi nel costatare ciò che è, l’uomo non deve accontentarsi dalle sue scoperte, deve andare oltre ponendo l’altra domanda : dove. Da dove ci viene tutto ciò che è, dove ci conduce? Ed è per questo che i magi lasciarono il loro paese per cercare, anche Abramo lasciò la sua patria e famiglia alla ricerca della terra promessa.
Perché l’uomo cari amici non ha la sua dimora vera quaggiù, siamo soltanto pellegrini in questa terra, la nostra vera casa, vera patria è altrove. E saremo sempre alla ricerca di qualcosa altro finché non troviamo ciò che ci dà l’essere, saremo sempre alla ricerca della nostra stella finché non abbiamo provato una gioia grandissima come i Magi arrivando al termine della loro ricerca. Parola rara nei vangeli questa “gioia grandissima”, Matteo utilizza la stessa parola davanti alla tomba vuota, la gioia grandissima delle donne (28,8). È la gioia, la pace del cuore di colui, colei che è giunto alla sua casa, ha toccato il fondo dell’essere.
Ci sono forse tra noi stamani che non hanno ancora trovato il loro posto, destino nella vita... che sono sempre in ricerca... lì dove saranno finalmente riconosciuti, accettati per quel che sono, amati in quanto figlio, figlia di Dio. Con rispetto infinito per la loro storia, senza alcun giudizio... li incoraggio ad andare avanti, a non mollare, continuare a cercare la loro stella con perseveranza e rettitudine di cuore. E di prendere come guida nella ricerca non solo la luce della ragione ma sopratutto alla stregua dei Magi, prendere la GIOIA come guida. La vera gioia del cuore. Perché carissimi, alla fine, non c’è altro criterio degno dell’uomo che la gioia. La gioia nel profondo del cuore quando liberamente l’uomo s’inchina, si prostra davanti ad un Altro e dona gratuitamente per amore non tanto il suo tesoro ma il meglio di se stesso!
Coloro tra noi che hanno già trovato il “tesoro di grande valore”, che già conoscono Gesù nella fede, lo seguono più o meno con fedeltà, chiedono di essere rinnovati nella grazia dell’Epifania. In questa Eucarestia, ritroviamo Maria e Giuseppe che tengono tra le braccia e ci presentano la LUCE del mondo, la sorgente della vita e della vera gioia. Maria e Giuseppe sono qui figura della Chiesa nella quale scopriamo sempre più Colui che ci svela il volto di Dio Padre, ci svela e ci dona i nostri fratelli e sorelle, ci svela la nostra vera patria e vera casa.
Essere rinnovato nella grazia dell’Epifania vuol dire conoscere sempre più il mistero di Cristo come dice san Paolo nella 2da lettura. Più incontriamo Gesù, più lo conosciamo col cuore, più diventiamo liberi e capaci di dare come i magi la nostra offerta. Non tanto l’oro, ma ciò che simboleggia, cioè le nostre gioie, il più prezioso di quello che possediamo, non tanto l’incenso, ma ciò che simboleggia cioè le nostre preghiere, i nostri desideri di ciò che non possediamo, non tanto la mirra, ma ciò che simboleggia cioè l’accettazione dei nostri limiti, dolori della vita.
Solo allora, nella misura in cui apriamo gli scrigni dei nostri cuori, posiamo ricevere tutto che Gesù ha, tutto ciò che è.
Così sia per tutti noi in questa festa, in questa Eucarestia.
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sabato 30 dicembre 2017
- 1Gv 2,12-17 - Lc 2,36-40 - Badia
Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
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Lunedì 25 dicembre 2017 - S.Natale - Gv 1,1-18 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
che risuona nel Profeta Isaia? «Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme.»(Is 52,9) E' un grido rivolto alla città per dirle: “C'è una speranza !! Oggi viene la consolazione del Signore!” Una bellissima notizia.
Mi ha colpito il brano che introduce questa profezia. «Il mio popolo conoscerà il mio nome, comprenderà in quel giorno che io dicevo: «Eccomi!»» (Is 52,6) Chi è Dio? Colui che dice: «Eccomi!» Sembra che questo testo sia scritto appunto per oggi! Dio che dice: «Eccomi!»… “Eccomi !” nel volto, le manine, i piedini di un bambino, ma piccolo, piccolo!
Per te, per me, per ogni persona su questa terra. “Eccomi !” Per la casalinga e per il sindaco, per il pescatore ed il senatore, per il musulmano ed il cristiano, per l’innocente ed il terrorista, per il ricco ed il povero.
“Eccomi !” Per te ! Sei stanco? “Eccomi!” Sei malato? “Eccomi!” Sei depresso? “Eccomi!” Sei stanco di vivere? “Eccomi!” Sei pieno di gioia? “Eccomi!”
E dove si trova quel bambino che è Dio e dice «Eccomi!» ? Si trova in una mangiatoia. Una mangiatoia è un posto dove si mette qualcosa da mangiare! Vero? Quindi il bambino viene per esser mangiato… Dio viene per esser il pane di cui la tua anima ha profondamente fame…
E chi c’è attorno a lui? Il gonfalone della città? La garde républicaine francese? La guardia della Regina d’Inghilterra? No! Ci sono dei poveri pastori! Sono i primi ad essere accorsi! Gli altri dormivano…
Vi siete mai chiesti che fine abbiano fatto i pastori di Betlemme? Cosa siano divenuti? Se siano divenuti grandi credenti, veri discepoli ? Se siano stati tra i più coraggiosi nell’ora della Passione?
Sono stati i primi scelti, i primi chiamati, prima degli apostoli, prima della Maddalena …
Qual è la loro vocazione nel Vangelo? Sono i testimoni dell'Incarnazione di Dio. Né Pietro né Paolo hanno visto il bambino appena nato … Loro hanno visto il neonato, hanno visto la grotta, hanno visto Maria, Giuseppe…
Avrebbe potuto essere soltanto la nascita di un bambino in una famiglia di migranti, come tante, tantissime, famiglie di migranti di oggi. Ma… avevano visto e sentito prima gli angeli. E questo faceva la differenza. Questo bambino assolutamente simile a tutti i bambini della terra, simile ai bambini che nascono nei campi profughi di Siria o del Bangladesh, questo bambino è «Il salvatore, Cristo Signore».
Da quel momento i pastori sono divenuti testimoni, in greco si dice «martiri», testimoni dell'Incarnazione… Testimoni della vicinanza di Dio. Nel Libro di Isaia si dice che Dio è «indomabile» … Tanto indomabile… che arriva a farsi bambino per entrare dentro la nostra storia. Non viene come uno spettatore o un manager… viene nello stadio a giocarsi la partita con noi. Con noi….
Di questo i pastori sono testimoni… Hanno visto! Perché Luca ci racconta dei pastori? Per farci capire che la venuta di Dio nella carne umana non è una leggenda o un mito. Non è uno star wars o un Harry Potter di 2000 anni fa, che ha così bene funzionato da attraversare la storia fino a noi. No! È realtà. È vita. È toccabile con mano. Quindi quando l’apostolo Giovanni scrive: «E il Verbo si fece carne»,(Gv 1,14) non è una definizione teologica campata in aria. È una storia fatta di carne ed ossa, di lacrime e di sorrisi, di sangue e di esultanza, come la tua e la mia storia.
Quando poi Giovanni ci dice che Gesù «viene dal Padre, ed è pieno di grazia e di verità» (Cfr Gv 1,14) ed aggiunge: «la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.»(GV 1,17) anche queste non sono solo belle parole. Sono una realtà straordinaria che è costata a Dio lacrime e sangue, per donare a noi, in cambio, gioia ed esultanza…
Torniamo ai pastori. Cosa fanno i pastori? Per prima cosa accettano l’idea che Dio sia nato nella città, e che, cercando nei nascondigli della città, vi si possa trovare la presenza di Dio. E ci vanno senza indugio. Erano soliti cercare pecore… ora cercano il Pastore, Colui che a tutti darà la salvezza…
E… «riferirono ciò che del bambino era stato detto loro» …(Lc 2,17) cioè sono apostoli della realtà dell'Incarnazione. Il Vangelo non se lo tengono per loro… Lo condividono. E poi?
«Se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.»(Lc 2,20) Sono quindi dei portatori della gioia del Vangelo del Dio vicino, così vicino, così vicino, così vicino… che si è fatto tutt’uno con noi…. Di questo sono i messaggeri!
Vi ricordate la prima lettura?
«Come sono belli sui monti Sono i piedi dei pastori, vero? E sono i nostri piedi… Guardiamoci un instante i piedi, questi piedi che fra un’oretta cammineranno per le strade di Firenze. Come sono belli per le strade di Firenze i piedi del messaggero che annuncia la pace, i tuoi piedi, i piedi nostri che sono quelli dei messaggeri di buone notizie che annunciano la salvezza, che dicono a Firenze: «Regna il tuo Dio».
Carissimi, a nome di Gesù vi mando… Vi mando per le strade di Firenze, per le mense, nell’emergenza freddo, all’Albergo Popolare… Andate come i pastori… Andate a cercarvi Gesù…. Andate per riconoscere il volto di Gesù nel cuore di ogni persona che incontrerete. Vi chiedo di posare su coloro che incontrerete lo sguardo che dice all’altro: “Credo che Gesù è nato in te”. “Credo che Gesù crescerà in te”. “Credo che crescerai in Lui, con Lui…” “Credo che, con Gesù, cambierai la tua vita…”
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Notte di Natale 2017 - Badia Fiorentina - Un fratello della Badia
Abbiamo tutti dei ricordi belli di Natale, teneri pensieri del Bambino Gesù nella stalla di Betlemme, canzoni natalizie, i doni più belli ricevuti... Ma per entrare sempre più nel mistero della festa, non basta ricordare... bisogna capire sempre più il segno dato dall’angelo... questo per voi il segno...troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia. Per comprenderlo sempre più occorre lo sguardo di un piccolo. Non necessariamente da bambino, anche se è vero che i bambini hanno il segreto di questo sguardo. Bisogna la piccolezza che si meraviglia, si stupisce sempre delle cose semplici: la luce di un giorno nuovo, un neo-nato, un sorriso da un sconosciuto, ogni piccolo passo verso l’altro, ogni piccola vittoria del bene sul male... Essere piccolo in spirito è avere uno sguardo nuovo su tutto, come se fosse per la prima volta che si scopre il mondo, la vita, prima volta che s’innamora, che perdona, che incontra Dio. È piccolo colui, colei che non si lascia bloccare dai preconcetti, pregiudizi di coloro che hanno già visto, udito, capito, detto tanto nella vita. Colui, colei che si crede grande entra difficilmente nel mistero di Natale. Mistero di un Dio che si fa piccolo. E credersi grande non è solo comportarsi come l’imperatore Cesare Augusto o il governatore Quirinio. Aderire più o meno ai valori di grandezza secondo il mondo ci fa perdere più o meno la semplicità, l’innocenza dello sguardo. Che cos’è essere grande da renderci difficile entrare nella stalla di Betlemme? Pensare per esempio che Gesù avrebbe fatto meglio di nascere in una casa regnante della stirpe di Davide, una famiglia di potenti, eruditi. Sarebbe stato “vero uomo e vero Dio” lo stesso! Forse avrebbe potuto diffondere il suo messaggio anche più efficacemente in quanto figlio di re o di governatore invece di essere figlio di falegname. E se avesse fatto degli studi teologici, avrebbe potuto convincere facilmente gli scribi e i farisei. Bouddha era un principe, Mohammed era di una famiglia di notabili, Mosè stesso era figlio adottivo della figlia di faraone. I protagonisti religiosi del mondo erano tutti grandi agli occhi degli uomini. Israele aspettava un principe della casa di Davide, un bambino nato con l’insegna del potere sulle spalle... Non si aspettava qualcuno di un ramo decaduto della stirpe di Davide, una famiglia così povera da non avere nemmeno un pezzetto di terra da coltivare e il padre deve esercitare un mestiere per vivere. Non possedere anche un piccolo pezzetto della Terra Santa era segno di povertà. Nessuno avrebbe mai pensato che il Messia tanto atteso si faccia così piccolo in una famiglia di falegnami. Smettiamo carissimi, di rappresentarsi, pensare alla stalla di Betlemme in modo idilliaco... era veramente un concentrato di piccolezza, vulnerabilità, di umiltà. Non era per comporre un immagine campestre commovente... le pecore, i pastori, il bue, l’asinello... la Santa Famiglia era davvero in una situazione di bisogno non finto... Per Dio, nascere povero e umile fra gli uomini è altrettanto importante che farsi uomo, non l’avrebbe fatto se non come l’ultimo. Perché è così importante per Lui? Perché Dio è amore. Venire fra noi e proporre il suo messaggio dall’alto di un trono o da una sedia di sapienza metterebbe a rischio la libertà della nostra risposta. Andremmo a Lui non solo per il suo messaggio ma anche più o meno soggiogati dalla sua grandezza. La nostra adesione non sarebbe una risposta d’amore al suo amore, perché lì dove non c’è libertà non c’è nemmeno amore. Proporre il suo messaggio cominciando dai grandi del mondo comprometterebbe la possibilità che questo giunga fino ai più piccoli, ai più lontani. È venuto per tutti gli uomini, per questo deve cominciare con gli ultimi. Per questo, la sede ove Maria e Giuseppe lo presentano al mondo è una mangiatoia, il trono ove Gesù regna e attira tutti a sé è la Croce. E infatti i primi venuti sono i piccoli e i lontani: i pastori, i magi... L’icona della Natività mostra bene come le fasce del Bambino Gesù sono già il sudario della sepoltura, la mangiatoia già un sarcofago. Ecco carissimi, capire sempre più il segno che ci è dato è entrare sempre più nella povertà della stalla di Betlemme, capire col cuore perché Dio è venuto per essere l’ultimo. Capire sempre più come l’annuncio dell’angelo è una grande gioia per tutti i popoli. È davvero grazia apparsa che porta salvezza a tutti gli uomini come dice san Paolo a Tito perché i piccoli e gli ultimi non sono dimenticati, anzi sono i primi nell’agenda di Gesù. Capire il segno della mangiatoia di Betlemme non solo con la mente ma sopratutto col cuore... come? Dite forse. Come diventare più piccolo in spirito per entrare sempre più nel mistero di Natale? Possiamo cominciare nell’addomesticare le nostre fragilità, povertà, ferite della vita. Riconciliamoci con esse, non averne paura, nasconderle agli altri... forse, ma non a noi stessi e a Dio. È così che possiamo avvicinarsi alla stalla di Betlemme, presso Colui che per amore ha proprio abbracciato le nostre fragilità. Se siamo attratti dai bambini, piccoli, fragili é anche perché ci riflettono la nostra piccolezza. Come tutti i neonati, il Bambino Gesù é la vulnerabilità stessa, aspetta tutto dagli altri: calore umano, nutrimento, protezione. Ma ciò che distingue Gesù Bambino da tutti i piccoli, fragili é che... chinandoci su di Lui nel presepio, ci può trasmettere l’amore con cui ha assunto le nostre fragilità, piccolezze. Come tutti i neonati il Bambino Gesù è il volto dell’innocenza, ma ciò che lo distingue da tutti i neonati è che chinandoci su di Lui nel presepio, può darci, può rinnovarci nella nostra innocenza. In un istante, un altro segno d’amore ci sarà dato, altrettanto umile, fragile. Il segno del pane spezzato, del vino versato. Possiamo accoglierLo con lo sguardo di un piccolo, con fede e riconoscenza.
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sabato 23 dicembre 2017 - Mal 3,1..24 - Lc 1,57-66 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Quasi alla vigilia di Natale, la liturgia ci propone un brano del profeta Malachia, ossia dell’ultimo profeta che ascoltiamo nella Bibbia. Egli annuncia il Giorno del Signore come il sorgere del sole di giustizia.
Ma prima che sorga quel sole, ci sarà, dice Malachia, una visita divina preparatoria: verrà un messaggero divino, un nuovo Elia. Poi, subito ed in modo intimo, verrà il Dio dell’Alleanza.
Ora, perché questa visita preparatoria? Per due motivi: per la conversione dei sacerdoti, e per la riconciliazione dei padri e dei figli. Vi è quindi un'attenzione particolare agli uomini: ai preti e ai padri.
Ai preti perché vengono meno alla loro vocazione, che Malachia descrive in modo splendido:
«La mia alleanza (con Levi) era alleanza di vita e di benessere,
che io gli concessi,
Un insegnamento veritiero era sulla sua bocca Ecco ciò che i preti hanno tralasciato, da cui la necessità, l’urgenza, della conversione dei sacerdoti perché siano – siamo – veri messaggeri del Signore.
L’altro richiamo è rivolto ai padri.
«invierò il profeta Elia prima che giunga L’urgenza è quindi che il cuore dei padri torni verso i figli, che, cioè, i padri tornino ad essere veramente padri.
Ecco quello che è necessario prima che venga il giorno del Signore.
Oggi gli uomini sono veramente uomini? I padri sono veramente padri? I sacerdoti veramente sacerdoti?
Come va il carisma maschile? Come va il genio maschile? Come va la paternità?
È una domanda cruciale questa! Perché c’è un legame fondamentale tra il rapporto con la figura paterna ed il rapporto con Dio. Ce lo insegna lo stesso Malachia. Nel capitolo primo, si sente Dio che dice: «Il figlio onora suo padre e il servo rispetta il suo padrone. Se io sono padre, dov'è l'onore che mi spetta?» (Cfr Mal 1,6) E nel capitolo secondo, parla il popolo: «Non abbiamo forse tutti noi un solo padre? Forse non ci ha creati un unico Dio?» (Cfr Mal 2,10)
La paternità umana è chiamata ad essere un riflesso della paternità divina. Non parlo qui della caricatura della paternità che è il paternalismo oppure l’onnipotenza e l’arroganza; neanche dell'assenza, del venir meno dei padri. Di questo dramma, le prime vittime sono le donne, ci dice ancora Malachia: «Hai tradito la donna della tua giovinezza, mentre era la tua compagna, la donna legata a te da un patto.» (Cfr Mal 2,14) Vittime sono pure i figli, privati del dono che viene tramite il cuore del padre, quando è rivolto a loro.
Una società senza padre è una società molle, senza distinzione creativa, senza spina dorsale.
Allora… torniamo al dominio maschilista? No! Oggi occorre imparare una vera e propria mutualità, una sana e viva reciprocità, in cui l’uomo accoglie con gratitudine e stupore il genio femminile, e la donna accoglie con gratitudine e stupore il genio maschile.
Chi può instaurare questa mutualità? Ci vuole un terzo! Ci vuole una mutualità originaria, primaria: quella tra Dio e la famiglia umana. Anche questo è dono del Natale. Dio entra nella famiglia umana per ristabilire i carismi dell’uomo e della donna, e per portarli al loro compimento nel regno di Dio cioè nell'unità dell’Amore divino in cui c’è sia la distinzione, sia l’esser perfettamente uno, o «uni» come diceva Chiara Lubich.
Gesù, ti affidiamo oggi in modo particolare I padri e i preti. Che siano – che siamo – né molli né arroganti, né inesistenti, né onnipotenti; ma che siano riflesso dell’amore paterno divino che è forte e dolce, presente e casto. Siano uomini in piedi con l’anima in ginocchio. Amen.
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giovedì 21 dicembre 2017 - Ct 2,8-14 Lc 1,39-45 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
abbiamo ripetuto, cantato: «Vieni!» «Vieni, Signore Gesù!» «Vieni presto!» «Vieni a salvarci!» Quanti canti nella liturgia ci fanno pregare così! Ma oggi non siamo noi a cantare «Vieni», è il Signore a parlarci ed a dirci: «Alzati, amica mia, mia bella, e vieni, presto!» (Ct 2,10) Lo dice e poi lo ripete: «Alzati, amica mia, mia bella, e vieni, presto!»
L’invito è quindi rivolto a tutti noi, qualunque sia la nostra storia con Dio, qualunque sia il nostro desiderio o la nostra rabbia nei confronti di Dio: «Alzati, amica mia, mia bella, e vieni, presto!»
Ha fatto un cammino più che lungo, anzi, infinito… il cammino dal Creatore alla creatura. Ma ora spetta a noi fare un po’ di strada.
E dove ci attende? Nel Vangelo odierno, dove si trova il Dio che viene? Nel seno di Maria. Elisabetta l’ha riconosciuto dall’effusione dello Spirito Santo di cui ha fatto esperienza. E Giovanni Battista ne ha danzato di gioia!
Dio viene nel seno di Maria; Dio viene nel seno di ogni uomo, di ogni donna. È lì che nasce. È nel cuore dell’altro che Dio sta per nascere. Bisogna essere molto attenti, stare in ascolto, osservare bene. Perché nascerà nel cuore del marito, della moglie, del fratello, della sorella, dell’amico, del vicino, del collega…
Sarebbe tanto significativo se questo Natale, il nostro presepe fosse il cuore dell’altro…
Non è detto che l’altro faccia a Gesù buona accoglienza, e spesso avviene ciò che avvenne a Betlemme. Ma anche dove c’è freddezza e rifiuto, Egli si offre, Egli si fa presente. E noi lo adoreremo.
«Alzati, amica mia, mia bella, dice Dio nel cuore dell’altro, e vieni, presto! (…) mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è incantevole».
Con la tenerezza che manifesterai all’altro, darai tenerezza a Gesù. Con l'accoglienza che manifesterai all’altro, darai accoglienza a Gesù. Con la misericordia che manifesterai all’altro, darai amore a Gesù. Lo sguardo d’amore che porrai sull’altro, Gesù lo riceverà come una carezza per lui…
Alzati! Alziamoci… Natale è una strada. Si passa attraverso le luci scintillanti delle strade. Si incrocia per strada Babbo Natale con i regali. Bene… Ma si va oltre: si va all’albero di Natale, e vi si vede il ricordo dell’albero di vita, della speranza cristiana che non appassisce mai. Ma si va oltre: si va al Presepe. Ci si ferma un momento al presepe perché il cuore possa aprirsi alla bellezza del Natale. Ma si va oltre, si va nel presepe che è il cuore dell’altro, amico o nemico, E, lì, ci si prende cura del Bambino. E questo alla luce dell’Eucarestia che ci insegna a scoprire Dio presente nella nostra realtà tutta umana. E, questa volta, non si va oltre… perché l’amore è in sé una strada sempre nuova.
Natale comincia nel nostro cuore quando si ama Gesù nell’altro. Vuoi avere Natale nel cuore? Alzati! E va' a dar tenerezza a Gesù nell’altro.
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Domenica 17 dicembre 2017 - Is 61,1-11 - 1Tess 5,16-24 - Gv 1,6..2 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Oggi in questa Badia, in mezzo a noi, sta uno che non conosciamo.
del Suo amore, del Suo sguardo. Ma non lo conosciamo come Lui vorrebbe esser da noi conosciuto. «Adesso conosco in modo imperfetto, scrive Paolo, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto.» (1 Cor 13,12) «Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia.» (idem) Egli sta quindi in mezzo a noi nell’attesa di esser conosciuto, di esser accolto, di esser amato. Non attraverso uno specchio, ma faccia a faccia… «Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.» (Ap 3,20) È aperta la tua porta? La mia? Siamo pronti a dire a Gesù: voglio conoscerti come tu mi conosci ? A dirgli: voglio aprirti tutto il mio essere ? «Tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo» (1Ts 5,23), abbiamo sentito nella seconda lettura. Spirito, anima e corpo. Tutto di me per te.
Per te il mio «corpo», cioè io in quanto essere corporale, con la capacità di incontro, di relazione, che il corpo rende possibile. Ma anche con le mie infermità.
Per te la mia «anima», cioè io in quanto essere capace di riflettere, di ricordarmi, di volere, con la capacità di accordarmi con gli altri, di costruire una famiglia, una comunità, la stessa società. Ma anche con i miei handicap interiori.
Per te quella parte della mia anima che è il mio «spirito», cioè io in quanto santuario di Dio, con la capacità di comunione che lo spirito rende possibile, la capacità di morire a me stesso per far spazio all’altro. Ma anche con i miei peccati, la mia ribellione verso l’amore crocifisso.
Tutto di me per te, significa proprio il mio «spirito», Ma, ahimè, «io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto» (Rm7,15), come dice Paolo. E perciò il Signore ci manda Giovanni il Battista, - colui che ci raggiunge nel nostro deserto interiore, come nel nostro deserto culturale - che ci ribadisce, anzi, ci grida: «Rendete diritta la via del Signore» (Gv 1,23).
La via, il passaggio per il quale deve entrare il Signore, rendiamolo diritto… Non nascondiamoci. Non Gli nascondiamo le nostre passioni, le nostre finzioni, i nostri difetti … Perché? Perché non viene per giudicarci, bensì per salvarci. (Cfr Gv 12,47) Viene, ci ha detto oggi, «a fasciare le piaghe dei cuori spezzati». (Is 61,1) Ma occorre presentargli le piaghe del nostro cuore.
Egli viene a riconciliarci con la fragilità. È stato vero da sempre, ma lo è ancora di più nella nostra società che è talmente destabilizzata dalla fragilità che crea delle leggi per bandire dalla vita sociale chi è debole.
Questo si capisce nella luce dell’umanesimo ateo. La compassione senza Dio, oramai divenuta il pensiero di tanti, esige l' eutanasia, perché è una compassione senza speranza, senza cielo, una compassione per la quale le Beatitudini sono un non senso.
Teresina stessa fu tentata di mettere fine ai suoi giorni. « Quelle grâce d'avoir la foi ! Si je n'avais pas eu la foi, je me serais donné la mort sans hésiter un seul instant. » «Che grazia avere la fede! Se non avessi avuto la fede, mi sarei data la morte senza esitare neppure un attimo.» E chi di noi non è stato tentato anche una sola volta?
Ma la luce dell’umanesimo ateo… non è luce. Sembra esser luce… ma produce la morte, non la vita. E Teresina non cedette ad essa.
La Luce vera è quella di cui Giovanni è il testimone, (Cfr Gv 1,7) letteralmente il martire.
Come mai la luce ha bisogno di un testimone, di un martire? La luce si vede! Certo, la luce del sole si vede. Ma la luce del sole non è che il riflesso timido di un'altra luce, della Luce divina.
C’è un'altra luce, una luce sotto la quale le persone, gli avvenimenti, le cose appaiono in un modo totalmente altro.
Vi invito a leggere l’articolo dell’Avvenire di ieri. Si tratta di Ljuba, una ragazza con tetraparesi spastica, epilettica, cieca, ipoudente, alimentata con sondino. Ljuba non poteva vedere, giocare, afferrare, mangiare da sola, parlare. E la mamma spaventata la lascia in ospedale e va. E' accolta in una casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII, da Robi e Patti.
Nella luce dell’umanesimo ateo, Ljuba soffre e fa soffrire chi le sta attorno, quindi non alimentarla è legittimo. Nella luce di Dio, Ljuba è un dono di Dio. È cresciuta, tra sondini, baci e carezze, raccontano Robi e Patti, insieme ai nostri figli naturali, che con lei hanno condiviso tutto, anche il cognome. Figli che non hanno subito traumi per questa ingombrante presenza – si pensi al tempo da dedicare, ai macchinari vari, alla carrozzina – ma che hanno riconosciuto il Dono che è stata la Vita passata con Ljuba, un patrimonio affettivo, emozionale, motivazionale. Non avremmo mai potuto immaginare di toglierle l'alimentazione e l'idratazione. La vita è un diritto, la morte no! Ljuba ci ha insegnato l'amore puro, incondizionato e disinteressato. Perciò, semplicemente, non possiamo che dire grazie a Ljuba per aver vissuto con noi. Per averci trasmesso tanta vita piena, piena, piena.1
Non è facile nella cultura di oggi vivere dell’altra luce. Ci vuole il Natale, ogni anno, per richiamarci a questa luce. Natale è la Luce che ci invita: vieni alla luce, vieni a ricevere la gioia che non passa. Vieni, così da poter gridare con il profeta: «Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito» della luce che non passa. (Cfr Is 61,10) Allora canteremo con allegrezza: «i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele». (Lc 2,31-32) Amico, dice la Luce, vieni!
1 https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/vita-e-morte-di-ljuba
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Domenica 10 dicembre 2017 - IIa Domenica di Avvento anno B - un monaco della Badia
Nel deserto. Ritroviamo il deserto di quaresima, l’Avvento essendo una “piccola quaresima” preparativa per accogliere il Salvatore. Qual è questo luogo “deserto” dove risuona la Parola di Dio? Per la quaresima il deserto è un luogo ostile alla vita, luogo di morte ove Gesù fu condotto per raggiungere l’umanità espulsa dal giardino di Eden. C’è di questo nel deserto di Avvento, ma con accento diverso, già perché il deserto di quaresima è quello di Gesù mentre quello dell’Avvento è di Giovanni Battista. Gli evangelisti hanno riconosciuto in lui quella “voce” nel deserto di cui Isaia parlava. Ma se è lui la voce che prepara la Parola, il Verbo di Dio, che cosa questo deserto è la via da prepararvi? Il deserto nella Bibbia, oltre che luogo di morte è anche luogo di passaggio. Gli Ebrei che vi si trovavano stavano sia fuggendo la schiavitù e l’ingiustizia in Egitto verso la libertà in terra promessa, sia andando verso l’esilio in Babilonia dopo aver peccato contro l’Alleanza, oppure ritornando in terra santa dopo aver espiato i loro peccati. È proprio sulla strada di ritorno dall’esilio che risuona l’oracolo di Isaia...consolate, consolate il mio popolo... la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa scontata... Non ci si ferma nel deserto, vi s’incammina verso qualcosa...una promessa, punizione o consolazione. Se per caso ci si trova nel deserto, si deve sempre andare avanti per sopravvivere, anche i Beduini che vivono ai bordi del deserto si spostano sempre alla ricerca di acqua o di pascolo scarso. Guai a chi vi si ferma, guai a chi non vuole andare avanti, corre il rischio di morire di sete sul posto. Ma se il deserto è luogo della mancanza... è anche il luogo del desiderio. Desiderio di vita, più di vita appunto perché c’è ne poca nel deserto, desiderio di giustizia perché ha forse sofferto o ha commesso ingiustizia, desiderio di libertà perché ha forse sofferto la schiavitù o l’oppressione. Davide perseguitato da Saul era andato nel deserto, Mattatia e i suoi figli Maccabei fuggirono nel deserto durante l’occupazione ellenistica, Giovanni Battista andò nel deserto per denunciare i peccati del popolo, gridare la parola di Dio, chiamare alla conversione. Il deserto è quel posto tra Egitto / Babilonia e la terra promessa, tra il passato e il non-ancora, tra la promessa e il compimento, tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere. Luogo importante per conoscere le cose che si ritengono essenziali nella vita, i suoi desideri profondi, luogo per conoscersi meglio, conoscere più il suo Dio. Giovanni Battista sta nel deserto sopratutto perché è l’uomo di desiderio, l’ultimo del popolo dell’attesa millenaria e ne dichiara il compimento prossimo. Ecco carissimi, il deserto ove risuona il grido del Battista è il luogo della nostra sete di più di vita, più di bontà, giustizia, libertà. L’Avvento è il momento propizio per visitare i nostri desideri più profondi, forse quei sogni che facevamo da giovani, gli ideali che avevamo a cuore. Che cosa ne abbiamo fatto, dove li abbiamo archiviati? Forse visitare anche le delusioni, frustrazioni nella vita. Metterli in confronto alle promesse ricevute o fatte, agli sforzi compiuti per realizzarle, in confronto anche alle mancanze nostre, perché abbiamo sempre una parte di responsabilità di ciò che è. Ma guai a chi si rassegna al suo stato di insoddisfazione, guai a chi si ferma nel deserto, chi non vuole cambiare o andare avanti, a chi si scoraggia e si accontenta, si abitua della mediocrità. Per lui, per lei c’è e ci sarà solo amarezza, tristezza. L’Avvento è il momento opportuno per lasciarsi condurre da Dio nel deserto perché ci parli nel cuore come dice il profeta Osea (2, 16). Accogliamo la parola del Battista e lasciamoci ridestare i desideri più veri, quelli che ci conducono alla vita vera, accogliamo la parola di Dio per ciascuno di noi stamattina... consolati, consolati figlio mio, figlia mia... voglio porre fine alle tue tribolazioni, volgiti a me, apriti al mio amore... La conversione che il Battista annuncia non è che questo: cambiare direzione per volgersi sempre più verso la sorgente di vita, verso Dio Padre da cui vengono tutti i beni e le benedizioni. La conversione non è come si pensa di solito, una impresa dolorosa, fatta di sforzi, sacrifici, penitenze o chissà ancora... È sopratutto correggere la rotta della vita, ri-orientarla perché le nostre strade tendono sempre a sviare, spesso impercettibilmente, anche perché c’è un nemico della nostra felicità che sempre propone altre vie. Lo sforzo della conversione, perché c’è ne, è proprio nel distaccarsi dalle cose o dalle vie che conducono a un meno di vita, meno di luce, il sacrificio quello di un bene per un bene più grande. Se il deserto dell’Avvento è il luogo dei nostri desideri, la via da preparare, da spianare sta nello scarto tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere, convertirsi è percorrere la strada che ci porta da ciò che siamo oggi a ciò che siamo chiamati ad essere domani... perché ci sarà sempre un scarto finchè siamo in questa vita. Ciò che conta è di non lasciare indebolire il desiderio, anzi renderlo più vivo... appunto in questo tempo propizio di Avvento, perché l’uomo carissimi è quello che desidera, perciò l’importanza di essere rivolto, orientato verso la direzione giusta e buona. Raddrizzare, preparare la via al Signore è indirizzargli i nostri desideri, verso Lui e le sue promesse. Desideriamo non solo cose piccole, ma grandi, non solo i doni, ma il Donatore stesso. E Dio viene a nostro incontro su questa strada. Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa ci ricorda san Pietro nella 2da lettura. Nello Spirito Santo compie oltre ogni nostro desiderio, non solo a Natale, ma già oggi in questa Eucarestia.
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venerdì 8 dicembre 2017 - Gn 3,9..20 – Ef 1,3..12 – Lc 1,26-38 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
La liturgia oggi ci fa gridare di gratitudine e di gioia verso Dio! «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, scrive Paolo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo (Ef 1,3-4)
Ecco... che meraviglia! Ognuno di noi è stato voluto, scelto, amato da Dio; non da ieri, ma da prima della creazione del mondo! Siamo tutti nel pensiero di Dio da prima della creazione del mondo! Non è che Dio ci abbia soltanto immaginati! Non è che siamo solo nella «immaginazione» di Dio: Siamo incisi nel suo cuore. Abitavamo il Suo amore già prima della creazione del mondo. Ed in Dio non c’è il tasto «cancellare» o «cestino»: non esiste! Dio è Amore, e nel Suo Amore ci sei, che tu lo voglia o meno, che tu lo sappia o meno.
Siamo stati scelti prima della creazione del mondo. Ma per che cosa? In vista di che? «per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (Ef. 1,4) Santi ed immacolati… Lo siamo santi ed immacolati? No! Ma è questa la nostra predestinazione, la nostra vocazione. E cosa vuole dire «santi»? Santo non vuol dire esser in una specie di perfezione, da vetrina, come delle persone intoccabili, senza corpo, immateriali… No! Santi vuol dire pieni di amore. È santo colui che ama! La santità è l’Amore di Dio che ti entra dentro e ti trasforma.
Ti sei già innamorato? Questo è l’inizio dell’amore. È un primo uscire da te stesso, chiamato poi a crescere, a convertirsi in amore pieno dove c’è un desiderare l’altro ed un donarsi all’altro. È come un' espropriazione di sé. Non mi appartengo più, appartengo all’Amore. Divengo un vuoto d’amore che fa spazio all’altro e che si dona all’altro.
Bastano due o tre «clic» per giungere all’amore vero? No! No… perché c’è un combattimento, una lotta. La prima Lettura di oggi ci fa vedere una parte essenziale di questa lotta. Vi si vede che il serpente, ossia il demonio, viene a sussurrare all’orecchio: “... ma non è vero che Dio ti ama; non è vero che Dio vuole che tu possa amare. Dio è geloso dell’amore. Dio non vuole che tu ami. Richiuditi in te, cerca i tuoi interessi, cerca di essere potente”. Ecco la menzogna contro la quale bisogna lottare. E se non sei consapevole di questa lotta che si chiama «combattimento spirituale», sarai sempre nella frustrazione, perché l’anima tua, come la mia, è fatta per l’Amore.
Oggi, nei nostri tempi, la lotta spirituale c’è di meno? No! La lotta è diventata più esigente che mai. Perché? Perché viviamo in mezzo a tanti rumori, con tanti giocattoli e telefonini. Abbiamo trovato il modo di essere tutti indaffarati, tutti come dei dirigenti di azienda con tanto business! E non vediamo più qual è la vera posta in gioco nella nostra vita.
Poi un dettaglio… che non è un dettaglio: A chi si rivolge il serpente? Alla donna. Perché? Perché la donna ha un compito del tutto particolare per quanto riguarda l’amore.
San Giovanni-Paolo II ci dice che l’ordine dell’amore costituisce la vocazione della donna, ed afferma che «La forza morale della donna, la sua forza spirituale si unisce con la consapevolezza che Dio le affida in un modo speciale l'uomo, l'essere umano. Naturalmente, Dio affida ogni uomo a tutti e a ciascuno. Tuttavia, questo affidamento riguarda in modo speciale la donna - proprio a motivo della sua femminilità – ed esso decide in particolare della sua vocazione.» (Mulieris dignitatem, n.30)
La vocazione della donna è una realtà straordinaria: una capacità di accoglienza, di tenerezza, di interiorità che la fa essere non solo madre, ma anche maestra nell’amore. L’uomo è sempre pronto, col rischio di sfigurare l’amore. La donna ha bisogno di tempo, e quindi si può aprire in profondità all’amore.
Ed è per questo che il diavolo si rivolge alla donna. Cerca di distruggere in lei la bellezza dell’amore per distruggerla pure, attraverso di lei, nell’uomo.
Apro una parentesi: vedete il dramma della pornografia e della prostituzione di cui tante donne sono vittime? È una profanazione dell’amore, come è una profanazione del sesso, una profanazione del corpo. E quindi rovina l’anima, rovina i rapporti interpersonali. Chiudo la parentesi.
È santo colui che ama! E la donna ne porta in modo speciale la responsabilità, il carisma. Questo però non avviene senza lotta spirituale.
Ora c’è, sempre nella prima lettura, un versetto che è come nascosto. Cosa dice Dio al serpente? «Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». (Gen 3,15)
Ne soffrirà, ma quella donna schiaccerà la testa del serpente. Dovunque questa donna verrà accolta, la testa del serpente sarà schiacciata. È quindi una donna in cui la vocazione femminile, il genio femminile potrà dispiegarsi pienamente; una donna che veramente ci porterà sulla via dell’Amore, e che, quindi, verrà odiata dal demonio.
Carissimo, carissima, vuoi amare? Vuoi giungere all’Amore vero, qualunque sia la tua vocazione? Prendi con te Maria, l’Immacolata Concezione, perché è Lei la donna che schiaccia la testa del serpente, e che ti porta all’Amore. Se vuoi amare, affidati alla Madonna.
Madonna, mia donna, la donna che Gesù mi dona perché io entri nel Regno dell’Amore. Nostra Signora, la Signora che è nostra, che il Padre ci dona perché viviamo appieno di Gesù, Suo Figlio. La Vergine, la Sposa dello Spirito Santo, che Egli ci dona perché viviamo di Lui, che è in persona l’Amore.
Chi ci salva dal peccato? Gesù! Chi ci salva dal non amore? Gesù! Chi ci salva dalla paura di amare? Gesù! Ma come viene a noi Gesù? Attraverso Maria! Sempre attraverso Maria!
A chi ci affidiamo? A chi vi affidiamo? A Maria Santissima. Al suo cuore immacolato.
Quando Madre Teresa aprì la sua prima casa per i morenti, Le diede il nome di «casa del cuore puro», riferendosi alla Madonna. Madre Teresa sapeva per esperienza che il cuore immacolato di Maria è una vera e propria dimora. Occorre dimorare, rimanere nel cuore di Maria, cioè nel suo amore: Non andartene mai! Non lasciare mai il cuore di Maria. Allora l’amore fiorirà in te, perché Gesù fiorirà in te. Perché la Madonna è Santa Maria del Fiore, e «il Fiore» è Gesù.
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martedì 5 dicembre 2017 - Is 11,1-10 - Lc 10,21-24 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
un tempo benedetto che viene a scavare in noi il desiderio di Dio, affinché il Signore ci trovi «vigilanti nell'attesa», come dice la liturgia, ardenti nel desiderio di Lui.
E come lo scava in noi questo desiderio? Mediante la Parola, in modo particolare mediante il Profeta Isaia.
Oggi dobbiamo lasciarci sedurre dalla visione che ci propone Isaia. Egli ci descrive una realtà splendida: «Il lupo dimorerà insieme con l'agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme
e un
piccolo fanciullo li guiderà.» (Cfr Is 11,6) È un mondo riconciliato, dove Il lupo, il forte, è capace di dimorare insieme all’agnello, a chi è fragile. La violenza è stata trasformata in convivenza. Chi guida il vitello ed il leoncello è un bambino: è un mondo dove non c’è più né paura né angoscia e quindi non c’è violenza. Il serpente velenoso rinuncia ad uccidere, non ha più bisogno di uccidere, perché regna la fiducia reciproca.
È difficile per noi immaginare un mondo così pieno di pace. Quale ne è il segreto? Come tale riconciliazione può divenire realtà? Ce lo dice Isaia: «Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare.» (Cfr Is 11,9)
La riconciliazione tra uomini, tribù, e popoli avviene quando cresce la conoscenza del Signore. Chi conosce il Signore depone le armi, perché chi conosce il Signore non ha più paura: è liberato dalla paura di morire. Sappiamo che nella Bibbia conoscere, in ebraico yada’, significa una conoscenza intima, amorosa, a cuore aperto e nel donarsi dei corpi. Ed è così che il Signore desidera essere da noi conosciuto. È una tale conoscenza di Dio che trasforma i nostri rapporti interpersonali.
allo Yemen che entra nel caos; agli Stati Uniti che vogliono spostare a Gerusalemme la loro ambasciata e già provocano l’ira dei palestinesi e dei paesi musulmani; a tutti gli altri conflitti che formano ciò che Papa Francesco chiama “la terza guerra mondiale a pezzi”.
E come può realizzarsi questa conoscenza del Signore che sconfigge ogni paura ed apre alla riconciliazione? Avverrà tramite quel germoglio che spunterà dal tronco di Iesse, quel virgulto che germoglierà dalle sue radici, sul quale si poserà lo spirito del Signore. (Cfr Is 11,1-2) Come ha fatto notare il Papa nell'omelia, questa mattina, confluiscono qui la piccolezza, l’umiltà del germoglio, ed il dono grande dello Spirito. Solo quel germoglio umilissimo e traboccante del dono dello Spirito può farci conoscere ed amare Dio. Solo Gesù può farci conoscere Dio! “Nessuno sa ... chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo” (cf Lc 10,22) come abbiamo sentito nel Vangelo.
La nostra preghiera questa sera è quindi rivolta al Padre: Venga il tuo Figlio, ci riveli il tuo volto troppo sconosciuto agli uomini! Venga Colui che rivelandoti ci disarmerà! Venga Colui che guidandoci verso di Te, ci porterà gli uni verso gli altri. Ci faccia passare dalla diffidenza reciproca all’amore reciproco! Amen.
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Domenica 3 dicembre 2017 - Is 63,16 ..64,7 – 1Cor 1,3-9 – Mc 13,33-37 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Da sveglio, ho fatto un sogno strano! Guardavo: vedevo la Chiesa, i cristiani del nostro tempo. Li ho visti impegnati. Pregavano. Si incontravano. Leggevano la Bibbia. Erano espertissimi nei dogmi della Chiesa. Ho visto un gran darsi da fare tra loro in parrocchia. Facevano anche opere di bene, specie per i più poveri. Il loro stare insieme non era molto gioioso, ma si incontravano. Ho visto pure che tutti invecchiavano. Erano sempre gli stessi volti. La gente da fuori non è che li disprezzasse, ma era come se non esistessero. Li guardava come un gruppo nostalgico, totalmente fuori dalla realtà, non parlavano più la stessa lingua. Una realtà anacronistica. No… non si guardava neanche a loro: la loro vita non diceva più niente a chi non era dentro la loro cerchia. Erano divenuti un club. Una realtà chiusa. Senza nessuna intenzione cattiva. Chiusa.
Brutto sogno, vero? Ma quando ho letto il Vangelo odierno, mi son detto: «Vegliate» vorrà dire: fate attenzione a non diventare un club di questo genere?
Vi si parla di un padrone che affida la propria casa alla custodia dei suoi servi. È chiaro che si tratta di Gesù, Gesù che passa dal mondo al Padre e che ci affida la sua «casa», chiedendoci di vegliare, di non addormentarci fino alla sua venuta gloriosa alla fine dei tempi.
E cos’è questa «casa» a noi affidata? Sono tutte le ricchezze che Gesù ci affida nel Suo mistero pasquale. E nel cuore di esse, cosa c’è? Qual è la grande novità che Gesù ci porta ? È Lui stesso! E' l’esser Dio e uomo, veramente uomo e veramente Dio: questa è la grandissima novità!
La preghiera d’Isaia che abbiamo sentito nella prima lettura è stata esaudita! Dio ha squarciato i cieli. È disceso a dimorare in mezzo a noi facendosi uomo. (cfr Is. 63,16).
La «casa» a noi affidata è il divino nell’umano, l’umano nel divino. Non nella confusione, bensì nell’unione, nell’amore che fa unità tra ciò che è assolutamente diverso.
A noi uomini, risulta impossibile tenere insieme le due realtà. Come è avvenuto in Gesù? Con Maria e nello Spirito Santo. Come potremo custodire la “casa”, custodire questa unità? Con Maria e nello Spirito Santo.
Ebbene, noi cristiani d’occidente abbiamo custodito questa “casa”? Credo sia lucidissimo su questo lo sguardo di La Pira. In un saggio scritto nel 1950 sull’Assunzione di Maria, parla degli effetti dell’«immanentismo (marxista) o idealista (egheliano) che hanno spezzato il rapporto tra l’uomo e il suo termine (la risurrezione) avendo spezzato (o almeno tentato di spezzare) il rapporto reale che unisce l’uomo a Cristo.»1 Quattro anni dopo, scrisse alle claustrali: «Ascolti, Madre reverenda: sa cosa è questo materialismo ateo, marxista, teorico? È un cristianesimo spezzato radicalmente in due; è Cristo diviso, spezzato; la natura divina violentemente divisa dalla natura umana.»2 Ed aggiungeva:«Né è scaturito il dramma immane e doloroso della storia di oggi, e, forse della storia di domani».
La cultura occidentale nella quale viviamo è una cultura in cui la natura divina è stata violentemente divisa dalla natura umana. Ecco l’aria che si respira oggi in occidente: l’occidente ha creato un Vangelo senza Cristo, un Natale senza Dio, una compassione evangelica senza Dio, una Chiesa senza Gesù che è lo Stato che crea leggi ingiuste nel nome della compassione. Ad esempio, su che cosa si fonda la volontà di rendere l’eutanasia legale e pagata dallo Stato? Sulla compassione. Ma una compassione senza Dio.
Allora possiamo farci una domanda. Noi cristiani praticanti non abbiamo respirato, anche noi, quest’aria? Oscilliamo tra un umanesimo senza Dio, che è di moda e un culto senza umanità. In altre parole, anche dentro la stessa Chiesa, io per primo, siamo contagiati da questo pensiero che non sa riconciliare l’umano e il divino e continuamente li divide
Quanto ci risulta difficile essere nel mondo senza allontanarci da Dio! Com’è difficile adorare Dio senza tagliarci fuori dal mondo!
Questo vide perfettamente Padre Pierre-Marie, fondatore delle nostre fraternità, quando pose come fulcro del nostro carisma questa frase del Vangelo di Giovanni: «Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno.» (Gv 17,15) Non è una richiesta che Gesù ci fa, è una preghiera che Gesù rivolge al Padre: Lui solo ci rende capaci di questa unità tra il divino e l’umano.
Cosa avviene invece se ci immergiamo in un'adorazione che si allontana dall’uomo? Si crea il club del mio brutto sogno! Nel club ci si addormenta, per riprendere le parole del Vangelo odierno. Addormentarci è chiudere poco a poco gli occhi sul mondo. E questo in nome di Dio! Finché un giorno ci si accorge che non si è più in grado di portare Dio al mondo.
Già San Giovanni-Paolo II parlava del rischio di cadere «preda di una specie d’introversione ecclesiale»3 E Papa Francesco nella Evangelii Gaudium parla della necessità di «trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione». 4 Ecco la sfida: vegliare per non cadere nella introversione, e convertirci all’amore che, gli occhi aperti sul mondo, vuole portare a tutti la gioia del Vangelo.
Si deve allora lasciare il tappeto di preghiera? No! Anzi… questa conversione richiede una maggiore fedeltà alla preghiera, ma una preghiera col cuore aperto sul mondo. Una preghiera con la finestra dell’amore aperta sugli altri, specialmente sui più poveri. Una preghiera col cuore ferito non da un qualche sentimentalismo, ma ferito dalle stesse ferite di Cristo. Una preghiera che diviene olocausto, sacrificio d’amore unito al sacrificio di Cristo per il mondo. E questo insieme a Maria santissima, colei che custodisce la Casa fino al ritorno in gloria del Figlio Suo.
Carissimi, tremo, perché non vorrei tradire la chiamata forte dello Spirito Santo in questo nostro tempo… Ma mi rassicura il fatto che stiamo per iniziare qui in Badia un cammino sinodale in cui tutti insieme cercheremo la via di questa conversione. In questo cammino entriamo fiduciosi perché in Gesù siamo stati «arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza. La testimonianza di Cristo si è stabilita tra noi così saldamente che non ci manca più alcun carisma». (cfr 1 Cor 1,3..7)
E fin d'ora, con voi, affido a Maria Santissima questi 9 mesi, dall' 8 dicembre all’8 settembre in cui insieme chiederemo al Signore: “Mostraci il tuo volere!” Insegnaci come esser nel mondo ed esser in te. Pienamente nel mondo e pienamente in Dio.
1 Giorgio La Pira, L’Assunzione di Maria, Ed Fondazione La Pira, 1996, p.23 2 Giorgio La Pira, Lettere alle claustrali, Ed Vita e Pensiero, 1978, p.85 3 Citata da Papa Francesco, Evangelii Gaudium, n.27 4 Papa Francesco, Evangelii Gaudium, n.27
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Venerdì 1 dicembre 2017 - Fil 2,5-11 – Salmo 21 – Lc 14,15-24 - San Paolo, Pistoia - f. Antoine-Emmanuel
Innanzitutto vorrei dirvi che sono molto colpito dalla vostra scelta di mettere i poveri al centro della preghiera dei primi venerdì del mese. Sono certo che questo sarà molto gradito al cuore di Gesù.
Sono rimasto molto impressionato dal messaggio di Papa Francesco per la prima Giornata del povero. Si conclude così: «Questa nuova Giornata Mondiale, pertanto, diventi un richiamo forte alla nostra coscienza credente affinché siamo sempre più convinti che condividere con i poveri ci permette di comprendere il Vangelo nella sua verità più profonda. I poveri non sono un problema: sono una risorsa a cui attingere per accogliere e vivere l’essenza del Vangelo.» Che cambiamento di sguardo… vedere il povero, il migrante della Nigeria, il rifugiato di Siria, come colui che ci fa entrare nel Vangelo, che ci fa entrare nel Regno… Chiediamo al Signore questo cambiamento di sguardo !
Ora mettiamoci all’ascolto del Vangelo che abbiamo appena sentito. E qui occorre un po’ di fantasia per entrare nel capitolo 14 del Vangelo di Luca.
Immaginate che voi abbiate organizzato una grande cena. Ma… bella, preparata con cura… Avete poi invitato una persona che sta diventando famosa… Gesù! Avete anche invitato amici e persone religiose come voi. Una bella serata, in prospettiva!
E cosa capita? Tre cose, una dopo l’altra.
La prima è che in casa avete anche una persona disabile. E siamo di sabato, giorno in cui non è lecito lavorare. Ora Gesù prende per mano quel disabile, lo guarisce e lo congeda, il che mette i vostri ospiti molto religiosi in un profondo disagio! Poi Gesù domanda ai vostri ospiti: «Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?». E non potevano rispondere nulla a queste parole, ci racconta Luca. (Lc 14,5-6) Il clima della cena ne viene non poco alterato…
Avviene poi una seconda cosa. Gesù osserva la gente e nota come i vostri invitati scelgano i primi posti. Cosa fa Gesù? Tace? No! Si rivolge ai vostri ospiti e dice loro: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, (…) va' a metterti all'ultimo posto», ci dice ancora Luca. (Lc 14,8...10) Nuovo disagio attorno alla mensa!
Ma non è finito! Ora, Gesù si rivolge a te, e dice: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini» (…) come appunto tu hai fatto. Al contrario, «quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti». (Lc 14,12...14)
Carissimi, voi lo invitereste di nuovo questo ospite chiamato Gesù?
La verità è che Gesù scuote le nostre abitudini. Ci disturba! Mette fortemente in discussione tre abitudini, tre criteri a cui teniamo. Primo: ciò che mi interessa è la mia spiritualità. Mi interessa esser a posto con il sabato. Il disabile non è la mia priorità. Secondo criterio: tutte le occasioni son buone per ricavare un po’ di onori, per esser al primo posto. Lo fanno tutti, comunque! Infine, terzo criterio: scelgo ciò che mi fa comodo e che mi garantisce un vantaggio…
Ecco tre leggi della mondanità spirituale: A me interessa la mia spiritualità A me interessa il mio posto. A me interessa il mio profitto.
Ed è questo che Gesù demolisce. Gesù ci sposta dal centro, dall’esser noi al centro.
Questo l’ha capito Teresina quando scrive: «Dal giorno in cui ho rinunciato a cercare me stessa, ho vissuto la vita più bella che ci sia.»
Ascoltando e vedendo come Gesù agiva, gli disse: «Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!» (Lc 14,15)
Sembra che quest’uomo abbia come intuito qualcosa di ciò che avverrà nel Regno. Sarà una tavola di poveri ove tutti si serviranno a vicenda. La grazia, la vita di Gesù, circolerà dall’uno all’altro. Tutti saranno appassionati alla felicità dell’altro. La povertà di tutti permetterà alla vita divina di passare dall’uno all’altro. Un grande, grande gioia! La Beatitudine! Questa mattina parlavo con un nostro amico cieco. Mi raccontava come, pur cieco, alzava Piero, un disabile, la mattina e lo coricava la sera, finché è morto, pochi anni fa. E mi raccontava del sorriso di Piero, che non vedeva, ma che lo colma ancora di gioia! Penso anche alla famiglia di Louise in Canada. Ha adottato 28 figli disabili. Ed è stupendo vedere Louis-Étienne, un ragazzo down, che dà da mangiare a Catherine che sta sulla sedia a rotelle. Lì si vede già il Regno… La povertà in cui fiorisce l’Amore.
Ora, cosa risponde Gesù a quest’invitato che ha intuito la bellezza della mensa del Regno? Hai capito bene! Non ti sei sbagliato! Hai saputo interpretare le mie parole ed i miei gesti. È vero che essere alla mensa del Regno è cosa straordinaria. MA… Ma, vedi, cosa avviene? Io, Gesù, vengo ad offrirvi questa mensa. Ma quando ve l’offro, uno mi risponde: scusami, ma sono occupato con i miei beni! Un altro mi risponde: scusami, ho un' urgenza sul lavoro! Ed un terzo non si scusa neppure, e mi dice: son occupato con mia moglie. E Gesù aggiungerebbe oggi: un quarto mi dice: ho da fare con il mio smartphone. Tutti hanno cose urgenti da fare…
Ora, in questo Vangelo, chi sono tutte queste persone così occupate? Sono persone molto religiose! E cosa fa colui che li aveva invitati? Manda a cercare persone meno religiose ma col cuore libero: «conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi» dice al servo. Anzi va a cercare vagabondi, rifugiati, gente senza tetto… «Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare.» (Lc 14,21...23)
Ecco la realtà. Dove si fa strada il Vangelo? Nel cuore dei poveri! Chi è centrato sulla propria spiritualità e sulle sue ricchezze non ha spazio né tempo per il Vangelo. Si va a messa la domenica per esser a posto, ma il Vangelo non penetra nel cuore.
Sarebbe questo l’elogio della disoccupazione, della mendicità, della miseria? No! Ma è una costatazione: solo i poveri di cuore accolgono il Regno di Dio.
Allora…finisco con quattro suggerimenti.
1 - Guarda in che cosa sei povero. E riconosci che lì sta per te la via della Beatitudine. Non maledire la tua povertà. Guarda ad essa come al varco per l’amore vero.
2 - Fatti vicino ai poveri. Bisogna che diventiamo amici dei poveri, almeno di un povero, di un migrante, di un rifugiato. Sono loro che ci insegneranno ciò che non passa. Charles de Foucauld scriveva ad un amico: «Devo essere fratello universale, devo essere un fratello molto tenero e molto dedito verso tutti sull’esempio del CUORE di Gesù, maestro e modello che adoriamo.» (Lettera a M. de Balthazar, 2.03.1902)
3 - Non lasciarti affascinare da ciò che la TV e lo smartphone ti presentano come via di felicità. La felicità, la troverai nell’amicizia con i poveri. Penso ad una lettera di Charles de Foucauld scritta al suo vescovo in cui parla della sua gioia perché gli abitanti di Beni Abbès cominciano a comprendere che nella sua casa appena costruita i poveri vi hanno un fratello. (Lettera del 19.01.1902) Charles viene riconosciuto come fratello dai più poveri. Ecco il Vangelo !
4 - Innamorati di Gesù povero. L'essenziale è innamorarci di Gesù povero ! La povertà vera, la povertà umile, è quella di Gesù. È la povertà di chi si fa povero per gli altri. Guarda a Gesù Eucarestia: è Gesù nel vertice della sua povertà. È tutto puramente dono. Ed è glorioso, luminoso…
«Signor mio e Sposo mio, pregava Charles de Foucauld, datemi la grazia di condividere nella mia vita e nella mia morte la vostra povertà, il vostro spogliamento, di non mancare mai un’occasione di farmi vicino a Voi spogliandomi.» Amen.
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Martedi 28 novembre 2017 - Mc 1,16-20 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Esercizi spirituali nel quotidiano – 1° giorno
«Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.» (Mc 1,16-18) Nel primo giorno degli Esercizi spirituali nel quotidiano, possiamo accogliere questo testo come metro per guardare al nostro passato, ed in modo particolare all’anno che si sta concludendo.
Cosa fa Gesù? Si fa vicino a Simone e Andrea, e poi a Giacomo e Giovanni. Li raggiunge nel luogo in cui vivono che è il lago, e nella loro occupazione che è la pesca. Li guarda. Li chiama. Li chiama a seguire lui, che vuol dire mettersi in cammino dietro a lui, prendere la sua strada. E annunzia loro che la loro vita ne sarà trasformata: «vi farò diventare pescatori di uomini». E che fanno? Obbediscono! Lasciano il lago e la pesca, la famiglia e le loro abitudini, e seguono Gesù.
E tu, ed io? Gesù non ha raggiunto anche noi nei luoghi in cui viviamo, e nelle nostre occupazioni? Ricordiamoci dei momenti particolari in cui Gesù ci si è fatto vicino. --- Come avvenne alla finestra con la mamma, per Agostino, sulle scale, la sera di Natale, per Teresa di Lisieux; nel confessionale della chiesa di Sant' Agostino a Parigi, per Charles de Foucauld, sul treno per Madre Teresa. Circostanze spesso molto ordinarie della vita in cui lo sguardo, la voce di Gesù ci hanno raggiunti. A casa? Per strada? Nell'incontro con un amico? In una condivisione sul Vangelo? Alla Badia? Cerchiamo di ricordarci almeno un incontro con Gesù. ---- L’incontro con Gesù viene a ridestare le profondità del nostro essere, come se qualcosa in noi si fosse addormentato e all’improvviso si risvegliasse. Vi è in noi un movimento, una vita, un risveglio dell’Amore. Vi è una chiamata, come la necessità di metterci in cammino. L’intimo mio mi chiama a uscire da me, a rinunziare alle mie comodità, ai miei egoismi. Dal di dentro Gesù bussa… Bussa perché io esca verso gli altri, verso l’Amore. Ma le vecchie abitudini, i vecchi condizionamenti riaffiorano, mille ragioni per non cambiare strada, per restare fermi in ciò che ci fa comodo… Poi ci sono le paure, soprattutto la paura di perder il controllo sulla nostra vita. L’avversario lavora in tutto ciò Infondendo in noi il sospetto che chi ci chiama non ci ami, non voglia il nostro bene…
Eppure, se siamo qui questa sera, è perché la chiamata di Gesù non è rimasta senza risposta da parte nostra. Abbiamo zoppicato sul cammino, le resistenze sono state molte, le cadute non sono mancate. Ma questa sera, possiamo dire a Gesù: eccoci!
Eccoci grati, anzi gratissimi, perché il Tuo amore è stato più forte di tutte le lusinghe del demonio e di tutte le pesantezze dell’uomo vecchio. Gesù, sei stato forte in noi! Ci hai sostenuti… Ed eccoci!
Il Vangelo odierno ci invita poi ad un’altra presa di coscienza. «Vi farò diventare pescatori di uomini», dice Gesù. Cioè Io trasformerò la vostra vita, Io vi trasformerò! Guardiamo bene: la nostra risposta alla chiamata di Gesù non ci ha trasformati? Sei lo stesso di quando ti sei veramente messo in cammino alla sequela di Gesù? Non sei cambiato?
Il segno più sicuro del cambiamento è questo: come vivi ora le prove della vita? Come prima? E lo spazio del tuo cuore… guardiamo allo spazio che Gesù ha aperto nel nostro intimo! Non si è dilatato? E la speranza per il domani? Non si è incarnata nel quotidiano, donandoci forza contro tutte le disperazioni nella nostra mente e nel mondo intorno a noi?
«Vi farò diventare pescatori di uomini», cioè farò sì che la vostra vita faccia uscire altre persone dalle tenebre, dalla tristezza, dall’angoscia… Non si è avverato questo? In parte, non lo sappiamo, non lo possiamo misurare. Ma non ne abbiamo avuto qualche segno? Signore, ti presentiamo le nostre reti, te le offriamo. Tu solo sai chi c’è in queste reti. E queste reti, te le offriamo oggi nel primo giorno dei nostri esercizi.
Un altro aiuto per offrire a Gesù la trasformazione e la fecondità della nostra vita è di partire dalla prima lettura della liturgia di oggi. Vi si vede una statua enorme di straordinario splendore. «Ma una pietra si staccò dal monte, senza intervento di mano d'uomo, e andò a battere contro i piedi della statua, che erano di ferro e d'argilla, e li frantumò.» (cfr. Dn 2,34) Gesù non ha fatto anche questo nella nostra vita? La piccola pietra del Vangelo è venuta ad abbattere la statua della nostra immagine di noi stessi. Non abbiamo perso un po’ di autosufficienza? La pietra evangelica è venuta a frantumare o il disprezzo di noi stessi o la superbia… Ci siamo resi conto che non possiamo esser i giudici di noi stessi né di nessun altro. Abbiamo trovato in Gesù la verità, il giudizio, lo sguardo che non ci inganna. La statua è a terra o sta crollando… Ma rinasce la vita, la nostra vera identità di figlie e figli amatissimi del Padre. Anche questo ha fatto Gesù!
Gesù, con Pietro ed Andrea, con Giacomo e Giovanni, ti ringraziamo di esserti fatto vicino a noi, di averci chiamati e di aver trasformata la nostra vita. Questa sera, lasciamo che tu rinnovi questa meraviglia Accogliamo il tuo sguardo. ... La tua voce. --- E confessiamo con gioia: Sì, crediamo che puoi trasformare profondamente la nostra vita. Fin d'ora ti offriamo la rete che Tu riempirai!
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Domenica 26 novembre 2017 - XXXIVa Domenica del Tempo Ordinario Anno A Cristo Re dell’Universo - Badia Fiorentina - un monaco della Badia
Era nel 1925 quando il Papa Pio XI istituì la festa del Cristo Re. La fine del 19mo e l’inizio del 20mo secolo era un tempo instabile: regni, paesi, i grandi del mondo, potenze politiche, intellettuali... adottavano atteggiamenti ostili, non solo gli uni verso gli altri, ma diventavano anche indifferenti, avversi nei confronti della fede. La Chiesa ha risposto proclamando il regno di Cristo su tutto e tutti : non è solo Re dei re della terra, ma anche dell’universo. Ogni cosa, tutto gli è stato sottomesso, ha ridotto al nulla ogni principato, ogni potenza e forza, ha posto tutti i nemici sotto i suoi piedi, annientando anche la morte...dice Paolo ai Corinzi nella 2a lettura. Ma di che natura è il regno di Cristo? Non è come il regno di Davide, suo antenato, una delle figure di questo regno. Confondere regni era causa di errori nel passato, tentazioni di scambiare, mescolare regno di Cristo e regno cristiano o regno della Chiesa. Il regno di Cristo non si misura coi criteri del mondo: territorio, numero dei sudditi, dell’esercito, prestigio mondiale. Mio regno non è di quaggiù dice Gesù a Pilato (Gv 18, 36). È da notare, era lo stesso Pio XI a rinunciare agli stati papali per sbloccare la situazione complicata fra l’Italia e il Vaticano dal 1870. Per esprimere più chiaramente il carattere fuori del mondo di questo regno, Paolo VI nel 1960 sposta la celebrazione del Cristo Re all’ultima domenica del tempo ordinario, sottolineando così la sua prospettiva escatologica. E che cosa ci aspetta alla fine? Molti religioni lo intendono come un incontro temibile con un giudice universale. Non è così per noi. Il profeta Ezechiele ci fa capire nella 1ma lettura che è come un pastore che accoglie il suo gregge dopo il suo viaggio in questa terra, in questa vita. Ecco, io stesso cercherò il mio gregge, come un pastore lo radunerò da tutti i luoghi dove era disperso, io stesso lo condurrò, lo pascerò... È vero ci sarà un giudizio, ma il nostro pastore sa quanto è pericolosa la traversata di questa vita, quanto è facile smarrirsi, ferirsi nel corpo e nell’anima nei giorni nuvolosi e di caligine. Ed è proprio come buon pastore che ci fa ascoltare in quest’ultima domenica dell’anno il vangelo sul giudizio finale, non per spavertarci... MA per avvertirci che : primo, non tutte le vie verso Dio si equivalgono come di solito si dice, secondo, il verdetto che ci aspetta siamo noi oggi a deciderlo. Quando, Signore, quali sono i segni della venuta di questo giorno ? Sentivamo i discepoli domandare questi ultimi giorni. Quel giorno è oggi, risponde il nostro vangelo, i segni della sua venuta sono la piccolezza, vulnerabilità, l’umiltà...del povero, dello straniero, malato, prigioniero. Colui che incontreremo il quel giorno non ci è sconosciuto, viene già oggi al nostro incontro... tutto quello che avete avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me! Ed è appunto provvidenziale l’iniziativa di fine anno della nostra Chiesa Fiorentina : esercizi spirituali per incontrare Gesù, conoscerlo sempre più, seguendolo incontrare i piccoli, riconoscerci in essi: nel paralitico, nell’emorroissa, in Bartimeo.... E così potremo distinguere Gesù oggi nascosto nei panni del piccolo, povero, malato, cieco. A giudicarci infatti siamo noi stessi, la sentenza nostra la redigiamo oggi nel nostro quotidiano. All’ultimo giorno il giudice universale non farà che aprire il libro di vita e leggere ciò che vi scriviamo ora. Ci sarà in quel giorno una luce abbagliante per rendere manifesta tutta la nostra vita. Il giudizio è questo: una distinzione chiara, netta tra bene e male, vita e morte, pecore e capre. E qual è il criterio di questo giudizio, distinzione, selezione? Non è qualcosa di segreta, intesa solo da pochi privilegiati iniziati. Non ha nemmeno a che fare con criteri di valutazione di questo mondo: appartenenza sociale, razziale, culturale, averi materiali, intellettuali. Questi criteri lo sappiamo bene, scompaiono con la morte. Che cosa valgono davanti a Dio tutti i nostri averi, conoscenze se non sono impiegati in questa vita per amare? Non c’è, non ci sarà altro criterio di selezione fra tutti gli uomini se non l’amore. Alla sera della vita saremo [tutti] giudicati sull’amore ha detto San Giovanni della Croce. Sull’amore per tutti, ma in particolare per i più piccoli, deboli, poveri. Gesù rivela qui un criterio di vita comprensibile a tutti gli uomini, criterio che va oltre tutte le barriere ideologiche, politiche, culturali, religiose. Criterio d’azione intelligibile a Donald Trump e Kim Jong-un, comprensibile ai musulmani, buddisti, induisti, taoisti... Ma se vale per tutti gli uomini, per noi cristiani però.... si tratta di qualcosa di molto più serio. Si tratta di un imperativo, un comandamento... nella misura che abbiamo conosciuto quel Dio che si è identificato con il più piccolo. Il catechismo c’insegna 2 presenze palesi del Signore e ci dice come comportarsi. La prima è nei sacramenti, nel tabernacolo per esempio, si deve inchinarsi o inginocchiarsi davanti al Santissimo esposto. L’altra presenza del Signore è nei poveri, malati, emarginati. Carissimi, saremo giudicati su come ci siamo comportati davanti a questi ultimi e non quella della prima presenza. Per questo Nìnive, Tiro, Sidone, Corea del Nord... saranno giudicati meno duramente di noi che abbiamo udito il vangelo (Mt 11,22). Ma non a nostro svantaggio! È vero.. tutti, credenti e non credenti, battezzati o no, siamo tutti smarriti, limitati, feriti nella nostra capacità di amare. MA il nostro vantaggio immenso di noi cristiani è questo... sappiamo dove attingere, da cui ricevere l’amore necessario per amare. Conosciamo Colui che ci ha amati per primo e ci ha amati fino alla morte e al di là della morte. Conosciamo Colui che ci da la forza per amare... non solo i più piccoli, deboli... ma anche i più grandi, i più forti che forse ci guardano dall’alto in basso. Amare non solo chi ci ama, ma anche coloro che non ci amano, perfino coloro che ci perseguitano. Per questo Giovanni l’evangelista può dire... colui che ama è già passato dalla morte alla vita (1Gv 3,14), dalle tenebre alla luce, cioè è già citato in giudizio. Colui che ama ha fiducia davanti al giudice universale, teme nulla... perché l’amore scaccia il timore, il che suppone un castigo. Con fede, attingiamo adesso a piene mani dall’Eucarestia, tutto l’amore che ci occorre per amare, servire, per regnare con Cristo
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Sabato 25 novembre 2017 - XXXIII sett. T.O. - 1 Mac 6,1-13 - Lc 20,27-40 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Il pensiero contemporaneo è non poco paradossale. Da un lato sta emergendo il transumanesimo. Esso sostiene che non è detto che l’uomo debba morire, ed incoraggia lo studio scientifico, medico, tecnologico che farà sì – credono – che non si muoia più. Dall’altro lato, si sta sviluppando l’eutanasia. In alcuni paesi, come il Canada, viene chiamata «soins de fin de vie», cura di fine vita, ossia viene presentata come una cura, ed è a spese dello Stato, come ogni cura.
Quando penso a questa moderna filosofia, non posso non sentire in cuor mio il Salmo 81: «Se il mio popolo mi ascoltasse! Se Israele camminasse per le mie vie! (…) Lo nutrirei con fiore di frumento,lo sazierei con miele dalla roccia». (Sal 81,14..17) Se i nostri contemporanei ascoltassero il Vangelo odierno, come sarebbero illuminati… È un Vangelo di una tale ricchezza! Cosa ci insegna? La prima cosa è che possiamo esser giudicati degni dell’altro mondo. (Lc 20,35) E quindi c’è un altro mondo. La morte non è un cadere nel non essere, nel vuoto, nell’oblio. Non è scomparire, bensì, per chi ne è degno, approdare in un altro mondo, un «mondo», cosmos in greco, che significa che vi è ordine, anzi bellezza. Ma c’è di più. Gesù parla di coloro che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti. L’altro mondo non ha come traguardo uno sheol, ordinato ma senza vita. La parola risurrezione significa uno svegliarsi, un mettersi in piedi. Si tratta quindi di vita, di una vita nuova, dell’esser rigenerati a vita nuova. L’altro mondo non è il mondo della morte, ma l'ingresso in una vita nuova. Per grazia, saremo figli della risurrezione, ci dice Gesù. Questo significa che la risurrezione la si riceverà come dono.
Ma cosa vuol dire essere figli della risurrezione? Il Vangelo odierno ci rivela tre cose. La prima è che i figli della risurrezione sono figli di Dio.(Lc 20,36) Vi è quindi una relazione di figliolanza con Dio Padre. I figli della risurrezione sono riempiti della vita divina che ricevono dal Padre. Ricevono la sovrabbondanza dell’amore divino.
Non divengono angeli, ma sono simili a loro. Ora gli angeli sono gli inviati di Dio, i servi di Dio, i messaggeri di Dio, e sono adoratori di Dio. In tutto sono di Dio. In tutto esistono per Dio, esistono per l’Amore. Sono servi e cantori dell’Amore. Cosi sono i figli della risurrezione, come rapiti dall’amore divino!
Gesù aggiunge infine che non potranno più morire, quindi non ci sarà più la paura della morte che è il grande ostacolo all’amore sulla terra. L’Amore non sarà più soffocato dalla paura. L’amore divino potrà finalmente dispiegarsi pienamente in noi.
E cosa dice ancora Gesù? Non prendono moglie né marito. Perché? Perché sono entrati in un Amore infinitamente più ampio di quello del matrimonio. E perché non c’è più bisogno della procreazione per assicurarsi una posterità. Allora, significa che non si darà più vita, che saremo sterili? No! Al contrario, sarà un continuo dar vita gli uni agli altri. L’Amore reciproco vissuto in pienezza sarà costantemente fecondo.
Se il mio popolo mi ascoltasse! Se ascoltasse il Vangelo! Se ascoltasse questo Vangelo… lo sazierei con miele dalla roccia, lo sazierei col miele della speranza che non delude… E non ci sarebbero più uomini che, come il Re Antioco nella prima lettura, muoiono nelle più profonda tristezza (1Mac 6,13) essendo anche vissuti con una profonda tristezza nell’anima, perché privi di speranza.
Carissimi come i nostri contemporanei potranno scoprire questo Vangelo? Lo scopriranno sul nostro volto e nella nostra vita se viviamo già come figlie e figli della risurrezione e se ci facciamo vicini a loro… Non è questa la bellezza della nostra vocazione?
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venerdì 24 novembre 2017 - XXXIII sett. T.O. - 1 Mac 4,36..59 - Lc 19,45-48 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Il primo Libro dei Maccabei ci parla di una «grandissima gioia» nel giorno in cui il Tempio di Gerusalemme fu riconsacrato. Il santuario ritornò ad essere luogo di adorazione del Dio d’Israele. Era stato profanato, consegnato al culto degli idoli… e ritrovò quel giorno la vera Adorazione. E «grandissima fu la gioia del Popolo»! Carissimi, questa è una figura, un avvenimento storico che rimanda a qualcosa di più profondo e di universale. Quando è avvenuta una riconsacrazione, non più circoscritta ad un luogo e ad un momento, ma illimitata e che attraversa la storia fino a raggiungere ciascuno di noi? La Pasqua di Gesù è una riconsacrazione del cuore umano! Il primo santuario, il vero santuario di Dio su questa terra non è fatto di pietra né di oro. È il tuo cuore, il mio, quello di ogni persona. Ed è la comunione dei nostri cuori. Cosa fa Gesù quando entra nel Tempio, sia all’inizio del suo ministero che a pochi giorni della Sua Pasqua? Scaccia “quelli che vendevano”. Riporta il santuario alla gratuità dell’incontro con il Padre. E cosa dice? «La mia casa sarà casa di preghiera.» E non più un «covo di ladri». E questa è una citazione del Libro di Isaia che annunzia che la Casa di Dio sarebbe «casa di preghiera per tutti i popoli».(Is 56,7) Gesù apre l’adorazione vera a tutti i popoli. Ogni cuore torna ad essere santuario di Dio, nella gratuità e nella preghiera. Questo è il frutto della morte di Gesù sulla croce. Il suo sangue versato è venuto a purificare i nostri cuori dagli idoli, dal culto offerto a ciò che non è Dio. E «grandissima fu la gioia del Popolo»! Grandissima è la nostra gioia quando torniamo alla vera adorazione. Se adoriamo qualcosa, come il successo, i soldi, il sesso o se adoriamo qualcuno in un affetto che diviene idolatria, allora il nostro cuore può essere nell’ebbrezza, ma perde la gioia, perché adoriamo una realtà che non corrisponde alla sete profonda del nostro cuore, fatto, creato per Dio! Ma quando il Sangue di Gesù ci libera dagli idoli, subentra una grandissima gioia… Il nostro cuore e la comunione dei cuori vengono riconsacrati a Dio… O Signore, «l’uomo, una particella del tuo creato, vuole lodarti.» scrive Sant' Agostino. «Sei tu che lo stimoli a dilettarsi delle tue lodi, perché ci hai fatti per te, e il nostro cuore non ha posa finché non riposa in te.» (Agostino, Le Confessioni, 1) Finché non è da te riconsacrato a te!
Signore Gesù, in questa tua Santa Eucarestia, vieni, te ne preghiamo, a riconsacrare i nostri cuori a te! Amen.
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Giovedì 23 novembre 2017
- XXXIII sett. T.O. - 1 Mac 2,15-29 - Lc 19,41-44 - San
Paolo, Pistoia - f. Antoine-Emmanuel
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Domenica 19 novembre 2017 - XXXIII sett. T.O. - Pv 31,10..31 – 1Tess 5,1-6 - Mt 25,14-30 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Carissimi fratelli e sorelle, chi siamo noi cristiani? Siamo tutti «figli della luce e figli del giorno», risponde oggi Paolo! Ed aggiunge: «Noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre». (1Ts 5,5) Siamo cioè uomini e donne che vivono nella luce, e la Luce, lo sappiamo, è Cristo. È un dono, è una gioia, è pure una responsabilità: a vantaggio del mondo dobbiamo riflettere la Luce di Cristo. Come rifletterla? Vediamo che risposta ci dà il Vangelo odierno. Parlando del Regno, “avverrà”, ci dice Gesù, “come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.” (Mt 25,14-15). Ma quando è avvenuto questo? Quando il Signore, mentre partiva per un misterioso viaggio, ci ha consegnato i suoi beni, affidando a ciascuno di noi quello che corrisponde alla nostra «dunamis», alla nostra capacità? Una partenza di Gesù? Un momento in cui abbiamo ricevuto doni suoi? Ricordiamoci del capitolo 13 del Vangelo di Giovanni : «Sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine.» (Gv 13,1) La partenza di Gesù è la sua morte in croce e la sua glorificazione. E cosa ci ha lasciato mentre partiva, cosa ci ha affidato? «Vi do un comandamento nuovo» (Gv 13,34) «Vi lascio la pace, vi do la mia pace» (Gv 14,27) «Perché ... la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11) «Ecco il mio corpo» (cfr Lc 22,19) «Ecco il mio sangue» (cfr Lc 22,20) «Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20,22) Ecco il dono che Gesù fa, quando se ne va! A ciascuno di noi, Gesù si è donato. Per ciascuno di noi, si è consegnato. E questo è avvenuto per ciascuno di noi nel giorno del nostro battesimo. Il nostro essere è ricco di un dono esattamente proporzionato a ciò che siamo. Siamo stati abbelliti di una bellezza divina.
Ma, ci chiede il Vangelo odierno, cos’hai fatto con questi doni? Hai avuto paura di Dio, hai considerato che Dio fosse duro ed intransigente e hai nascosto il dono nel terreno? Oppure hai, letteralmente, lavorato nel dono, col dono ricevuto? La vita cristiana è questo: un lavorare usando il dono del battesimo! Su questo saremo giudicati: sulle opere che avremo compiuto a partire dai doni di Gesù.
«Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri»(1Ts 5,6) come ci dice Paolo oggi. E, aggiungerei, diamoci da fare per sapere bene che doni abbiamo ricevuto. Come possiamo lavorare con i doni di Gesù se non sappiamo cosa sono?
Ora, oggi, c’è un dono molto particolare che Papa Francesco ci invita a scoprire. Un dono straordinario nella prospettiva della salvezza. È un dono di cui ci parla la prima lettura: cosa fa la donna forte e santa di cui ci parla il Libro dei Proverbi? «Apre le sue palme al misero, stende la mano al povero.» (Pr 31,20) Ecco il dono: la presenza del povero, la presenza del povero vista nella luce di Cristo. La conclusione del Messaggio del Papa per la giornata di oggi è impressionante: Questa nuova Giornata Mondiale diventi un richiamo forte alla nostra coscienza credente affinché siamo sempre più convinti che condividere con i poveri ci permette di comprendere il Vangelo nella sua verità più profonda. I poveri non sono un problema: sono una risorsa a cui attingere per accogliere e vivere l’essenza del Vangelo. (Messaggio per la giornata del povero 2017) Per te, per me, i poveri, che cosa sono? Un problema o una risorsa per vivere il vangelo? Un fastidio o un dono meraviglioso per andare incontro a Gesù in verità? Bisogna capire che, con Gesù, il povero è divenuto sacramento… Siamo chiamati, pertanto, a tendere la mano ai poveri, a incontrarli, guardarli negli occhi, abbracciarli, per far sentire loro il calore dell’amore che spezza il cerchio della solitudine. La loro mano tesa verso di noi è anche un invito ad uscire dalle nostre certezze e comodità, e a riconoscere il valore che la povertà in sé stessa costituisce. (ibidem) Di questo La Pira aveva chiara consapevolezza: Egli contava sui poveri, contava sulla loro preghiera. Sapeva che il povero apre il cammino all’amicizia con Dio. Possiamo chiedergli di aiutarci con la sua preghiera, perché il nostro sguardo sui poveri cambi, per poter vivere le Beatitudini di cui parla il Papa oggi: Benedette, pertanto, le mani che si aprono ad accogliere i poveri e a soccorrerli: sono mani che portano speranza. Benedette le mani che superano ogni barriera di cultura, di religione e di nazionalità versando olio di consolazione sulle piaghe dell’umanità. Benedette le mani che si aprono senza chiedere nulla in cambio, senza “se”, senza “però” e senza “forse”: sono mani che fanno scendere sui fratelli la benedizione di Dio. (ibid.) Ed il Papa si fa concretissimo: In questa domenica, se nel nostro quartiere vivono dei poveri che cercano protezione e aiuto, avviciniamoci a loro: sarà un momento propizio per incontrare il Dio che cerchiamo Concludo con queste parole che collegano l’Eucaristia che ora celebriamo e la vicinanza con i poveri: Se vogliamo incontrare realmente Cristo, è necessario che ne tocchiamo il corpo in quello piagato dei poveri, come riscontro della comunione sacramentale ricevuta nell’Eucaristia. Il Corpo di Cristo, spezzato nella sacra liturgia, si lascia ritrovare dalla carità condivisa nei volti e nelle persone dei fratelli e delle sorelle più deboli.(ibid.)
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sabato 18 novembre 2017 - XXXII sett. T.O. - Sap. 18,14..19,9 - Lc 18,1-8 - Badia Fiorentina f. Antoine-Emmanuel
“Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”(Lc 18,8) Cosa troverà? Macerie di distruzione atomica? Oppure fede ed amore? Questa domanda non è per curiosità: è una domanda che ci impegna. Nella storia degli uomini, come ho contribuito io? La mia vita, le mie scelte quali conseguenze hanno avuto sulla storia? Hanno portato al “nucleare” oppure all’amore? È una domanda decisiva. Anzi è l'essenza del giudizio finale, alla fine dei tempi, in cui sarà portata alla luce la mia vita e ciò che ne è conseguito. È quindi una domanda più che seria.
Ora, le due grandi mani che ci sono state affidate per lavorare alla storia umana sono la preghiera e l’amore. Sono attive queste mie mani? Il Vangelo odierno ci invita a guardare la preghiera, la preghiera che è una leva potentissima per trasformare la storia, per portarla a Dio. È nota la frase di Teresa del Bambino Gesù : «Un sapiente ha detto: datemi una leva… e io solleverò il mondo. Ciò che Archimede non ha potuto ottenere perché la sua domanda non si indirizzava a Dio (…) i santi l'hanno ottenuto… L'Onnipotente ha dato loro come punto d'appoggio Lui stesso, e Lui solo…»
Oggi Gesù ci invita a usare questa leva con perseveranza. Ci dice una parabola «sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi». (Lc 18,1) Naturalmente, con le nostre forze, la nostra preghiera è come una batteria: si scarica velocemente. Prego per un malato... poi prego meno… poi mi dimentico. Prego per la pace... poi prego meno… poi mi dimentico. Prego per poter rinunziare ad una cattiva abitudine, poi prego meno, poi mi dimentico. Non è sempre facile perseverare nel rivolgersi di Dio, nell'invocare Dio, anche perché la nostra cultura ci spinge a vivere tutto senza Dio. Ma Gesù ci chiede questa perseveranza. E, come sempre nel Vangelo, quello che ci chiede, ce lo dona. Il dono che ci vuol fare oggi è di perseverare nel contare su Dio: passare dalla preghiera a batteria alla preghiera collegata alla rete. E come si fa questo collegamento? Dove si va a cercare questo contatto con Dio che non si esaurisce? Credo che la fedeltà all'Adorazione Eucaristica sia una risposta.
L’Adorazione è un collegarsi alla preghiera di Gesù. Ci lasciamo attirare da Lui secondo la Sua promessa, e diventiamo una cosa sola con Lui: Lui in noi, noi in Lui. Ed in Lui apriamo il cuore al mondo. In Lui, preghiamo, supplichiamo, ringraziamo, piangiamo, esultiamo. Uniti a Lui, il nostro cuore diviene un cuore che presenta il mondo al Padre, che benedice il mondo, che lo avvolge nell’amore divino. «Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente.» (Lc 18,7-8) Se il mio cuore è nella notte, pregherò per il mondo con Gesù nella Sua Passione e nel Suo abbandono, guardando verso la Risurrezione. Se il mio cuore è luminoso come il giorno, contemplerò la Sua Risurrezione chiedendone la grazia per il mondo intero, ricordandomi della Sua Passione che continua. Giorno e notte diverranno amore. Giorno e notte mi serviranno per portare il mondo a Dio.
Dio non è un giudice a cui non piace esser disturbato: è un Padre che tanto desidera il nostro esser importuni!
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martedi 14 novembre 2017 - XXXII sett. T.O. - Sap 2,23-3,9 - Lc 17,7-10 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Davvero concretissimo ! Di che si tratta ? Di un servo che ha lavorato: ha lavorato bene, ha lavorato tutto il giorno nei campi. Poi viene la sera e torna nella casa del padrone. Per il servo, nella cultura dell’epoca, è ovvio che prima servirà la cena al padrone, poi mangerà lui. È ovvio perché è servo, cioè schiavo, appartiene al padrone. Dopo aver servito nei campi, rimane servo nella casa!
E noi, quando abbiamo lavorato per la Chiesa, per la comunità, per la missione, per gli altri nelle opere di carità, per la famiglia, la parrocchia... come viviamo questo «dopo» ? Cosa ci aspettiamo in modo conscio o inconscio ? Ciò che ci aspettiamo ci rivela che rapporto abbiamo con il Signore.
Pretendo gratitudine dagli altri ? Pretendo stima, complimenti ? Pretendo riconoscenza da parte di Dio ? Pretendo la salvezza in virtù dei miei meriti ?
Tutte queste nostre reazioni oggi le possiamo offrire al Signore col cuore pentito... Farne un fuoco d’Amore... Signore, quanto è vero che il mio cuore non è puro e che talvolta pretendo di esser ringraziato, riconosciuto...
Questo non vuol dire che non si debba accogliere gratitudine, stima, complimenti dagli altri ; e che non si debba accogliere tenerezza e salvezza da parte di Dio.
Ma accoglierli con un cuore di povero è tutt’altro ! Diviene stupore, meraviglia ! Niente mi è dovuto, perché l’amore non può pretendere nulla. Allora ogni espressione di gratitudine o di tenerezza diviene una sorpresa, un carezza per l’anima !
Carissimi, siamo servi del Signore. E lo siamo in ogni momento. Non accumuliamo meriti, ma accumuliamo motivi di ringraziamento al Signore che ci ha fatto il dono straordinario di chiamarci al suo servizio.
Rimaniamo servi ! Non lasciamoci tentare dalle voci che ci invitano a riprenderci il dono della nostra vita perché non abbiamo il contraccambio che aspettavamo.
Perché celebriamo l’Eucarestia ? Per unirci a Gesù servo, per entrare nella gratuità del Suo amore per il Padre che non pretende nulla, ma accoglie l’infinita sua tenerezza, che si manifesterà in eterno :
Anche se agli occhi degli uomini ci capita di
subire castighi, Per noi. Gratuitamente !
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Domenica 12 novembre 2017 - XXXII sett. T.O. - Sap 6,12-16 – 1 Tess 4,13-18 - Mt 25,1-13 - San Bartolomeo, Pistoia - f. Antoine-Emmanuel
Questo è un Vangelo che ha di che scandalizzarci! Non è che ci dispiace sentir parlare di queste vergini che non condividono l'olio? O di questo Sposo che non apre la porta alle vergini che ne sono sprovviste? Non è un Vangelo facile! Ma non è vero che il Vangelo non è facile ? È un continuo richiamo alla conversione. Cerchiamo di capire il senso di questo brano.
Partiamo da un esempio semplice. Con un po' di fantasia, pensate che un amico vi abbia promesso di venire a trovarvi. Bene! Cosa faccio? Beh! Non faccio nulla. Verrà. E la camera degli ospiti la preparerò quando egli arriverà. Quindi la venuta dell'amico non appartiene al mio quotidiano. Egli arriverà un giorno e quel giorno ci penserò!
Ma cosa ci dice Gesù nella parabola odierna? Che tale modo di fare non va bene quando si tratta della venuta dello Sposo. E chi è lo Sposo? Gesù l'ha rivelato fin dal suo primo segno : lo Sposo è Lui. L'unico vero Sposo è Lui. L'eterno Sposo nostro è Lui. E non posso dirmi : verrà, sì, e a preparare il suo arrivo ci penserò allora! Perché questo non va... Per riprendere l'immagine dell'ospite, il tempo per preparare la camera non ci sarà! Come mai? Per una ragione semplice, a causa del modo di venire di Gesù-Sposo che avverrà in tre modi.
Gesù, lo incontreremo nella nostra morte : ci verrà incontro con il corpo piagato e glorioso; e la morte non sappiamo quando avverrà. Bisogna essere pronti all'incontro.
Inoltre sappiamo che il traguardo finale della storia è la venuta in gloria di Gesù e di questa venuta, nessuno sa né il giorno né l'ora. Bisogna essere pronti all'incontro. Infine Gesù viene in tanti modi ed incessantemente nel nostro quotidiano, ed occorre essere pronti ad accoglierlo. La vita cristiana, appunto sta in questa prontezza. Oggi siamo pronti ad accogliere Gesù nel momento in cui verrà a manifestarsi nel nostro cuore! Pronti anche ad accoglierlo quando si farà vivo attraverso la Parola. Pronti a riconoscerlo nel povero che ci verrà incontro. Pronti a vederlo nell'amico che incontreremo e nel nemico che ci rende la vita difficile. Pronti ad accoglierlo nel dolore, nella sofferenza in cui Lo abbracceremo. Sempre pronti. ... Si tratta di una prontezza del cuore. Di un desiderio anzi di incontrarlo, per fargli festa, per abbracciarlo, per consolarlo , per essere da Lui abbracciati e consolati per portare, poi, il suo sorriso e il suo amore dovunque intorno a noi.
Il salmo odierno già ce lo faceva capire : O Dio, tu sei il mio Dio, dall'aurora io ti cerco. O Gesù, tu sei il mio Dio, dall'aurora io ti cerco Ha sete di te l 'anima mia Desidera te la mia carne! (Sal. 62 (63),2 ). Questa è la vita cristiana. Questa è la vera sapienza. La sapienza del cuore che in tutto cerca Gesù e lo trova. Anche nel dolore. È la sapienza di cui ci ha parlato la prima lettura. "È splendida e non sfiorisce" Non sfiorisce perché Gesù è vivo e nella sua resurrezione, non cessa di venire. Perciò rimaniamo pronti, desiderosi di Lui!
Ma è facile, immediato, scontato questo incontro? La parabola ci dice di no! Perché la venuta di Gesù come avviene? Avviene di notte. Con gli occhi della carne, non lo vedi. Ti viene detto : Eccolo venire, ma tu con i tuoi occhi non Lo vedi. Tu devi partire ed andare incontro a Lui nel buio, nella notte. E perciò ci vuole la lampada e l 'olio così da poter giungere al luogo dell'incontro. E cos'è la lampada? È una vita ordinata all'amore, il vivere secondo i comandamenti. E l 'olio? È il desiderio vivo di Gesù, l'apertura costante ad accoglierlo. È la fiducia, una fiducia concreta e profonda in Lui : se, dinanzi a Dio, ti fidi delle tue opere buone, sei senza olio; se dinanzi a Dio, ti fidi dell'amore misericordioso di Gesù, morto sulla croce per te, allora l'olio ce l'hai . San Serafino di Sarov diceva che l 'olio e' lo Spirito Santo, l 'acquisizione dello Spirito Santo, cioè il lasciare lo Spirito irrigare e trasformare il più profondo del nostro essere. Allora, sì, la prontezza, il desiderio di Gesù ci sarà in noi!
In una recente condivisione su questo Vangelo con diversi giovani, una ragazza ha detto: devo essere pronta non tanto per un avvenimento, che è la venuta gloriosa di Gesù, non tanto per "salvarmi ", ma devo essere pronta per qualcuno, per Gesù. È tanto vero! ! * Carissimi, verrà un giorno in cui sarà troppo tardi. Ma ora non lo è! ! Oggi, ora, prepara la camera dell'ospite, prepara, anzi la stanza nuziale del tuo cuore per accogliere Gesù che viene. Viene ora nell'Eucarestia. Non lo vedi con i tuoi occhi, per gli occhi del corpo è notte, ma con la lampada accesa del tuo cuore, ora gli vai incontro : ti lasci visitare ,abbracciare, amare, gli offri la tua vita, tutto il tuo essere. Poi, cosa farai uscendo da questa chiesa? Andrai a proporre l'olio a tutti coloro che non ce l'hanno; andrai a condividere la gioia immensa che c 'è nell'amare Gesù e nell'essere da Lui amati.
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Domenica 12 novembre 2017 - XXXIIma Domenica del Tempo Ordinario Anno A - Badia Fiorentina - un monaco della Badia
La liturgia ci incoraggia appunto a porre sempre più seriamente la domanda: dove sto andando? Che cosa faccio per arrivarci? Non siamo come gli altri che non hanno speranza dice san Paolo ai Tessalonicesi nella 2a lettura. Il traguardo della nostra esistenza non è di quaggiù. Come questi vergini della parabola, siamo in questa vita in attesa dell’incontro finale con Dio. Incontro, sia quello personale alla fine del nostro cammino in questa vita, sia quello universale alla fine di questo mondo, al termine della storia. Questa parabola è una delle più belle immagini bibliche dell’esistenza umana. In questa storia però, non so se avete notato, manca stranamente un personaggio centrale. Ci sono le damigelle d’onore, c’è la sala di nozze la cui porta fu chiusa ad alcune, c’è lo sposo, ma dice niente sulla sposa, non se ne parla mai. È dimenticata! Che cos’è uno sposalizio senza sposa? Le dieci damigelle son venute appunto par accompagnarla con fiaccole / lampade quando lo sposo verrà di notte per prenderla dalla sua famiglia. Come mai non è nemmeno citata? Perché carissimi, questi dieci vergini sono una figura. Dieci è il numero di totalità, è il numero che rappresenta tutta l’umanità. Le dieci vergini sono tutte insieme la sposa. Come nella guarigione dei dieci lebbrosi (Lc 17, 12), la purificazione dal peccato è offerta a tutta l’umanità, ma pochi riconoscono la sorgente della purificazione, pochi sono salvati. Così in questa parabola, è tutta l’umanità che Dio vuole sposare. Gesù è venuto per renderla bella, santa, tutta gloriosa, senza macchia (Ef 5, 26), pronta per le nozze eterne. Deve essere preparata, sempre in attesa perché non è tanto che lo sposo tarda, per Lui un giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno. Lo sposo usa pazienza verso tutti (2 Pi 3, 8), è infatti Lui che aspetta, vuole dare tempo a tutti. È sicuro che verrà ma non si sa quando, perciò si deve essere pronti ad ogni momento. Vediamo qui la serietà della vita, non sappiamo quanto tempo ci rimane. Sappiamo che moriremo tutti un giorno, ma non sappiamo quando e come. Non sapevano tutti quelli che stamattina sono usciti di casa per andare... chi in Chiesa, chi per divertirsi, chi per lavoro, chi per altre cose... ma chi stasera non torna più a casa perché oggi incontra la morte. È la condizione comune a tutti, grandi-piccoli, ricchi-poveri, giovani-anziani, malati-sani... la spada di Damocle sulla testa, come un ladro atteso e temuto. Ma per noi cristiani, non è la falce della morte che aspettiamo, è lo sposo delle nostre anime che viene in quel giorno, in quel ora stabilita per ciascuno. E quando verrà, si farà una distinzione. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, le sagge dalle stolte, coloro che hanno costruito sulla roccia o sulla sabbia, che hanno impiegato il loro talento o l’hanno sepolto, il grano dalla zizzania, a destra e a sinistra (Mt 25, 32). Il vangelo ce lo dice, la liturgia ce lo ripete...non per spaventarci, ma per responsabilizzarci! Le nostre lampade si spengono, dateci un po’ del vostro olio! I padri della Chiesa e molti altri hanno scritto tanto su questo olio delle dieci vergini. Si ritiene che si riferisca allo Spirito Santo. Gregorio Magno, Agostino dicono che rappresenta le opere buone, Girolamo precisa che sono opere perseveranti, per Ilario sono le preghiere, penitenze e altre opere meritevoli. Ma perché le vergini sagge non lo condividono? La carità se è vera si verifica appunto nel dono. È vero, possiamo capire l’olio qui come figura dello Spirito Santo, l’amore infinito di Dio che c’è sempre per tutti e non mancherà mai ogni volta che lo chiediamo. Non è dunque l’olio dello Spirito che manca alle vergini stolte... Ma l’olio di scorta in piccoli vasi... cioè la nostra risposta d’amore all’amore, alla misericordia ricevuta da Dio. Ci vuole quello che abbiamo guadagnato impiegando i talenti ricevuti. E questa risposta, nessuno può farla a nostro posto. Non si può condividerla . L’olio di scorta è l’amore dato, scambiato, è la misericordia, il perdono donato durante la vita... da cui saremo riconosciuti o no come discepoli di Gesù quando busseremo alla porta della sala nuziale. Senza abito di nozze non possiamo entrarvi. Non basta aver ricevuto la misericordia, essere invitato alle nozze, non basta essere innestato alla vigna...non basta dire “Signore, Signore”, aver cantato tutta la vita “Kyrie Eleison”...pur con voci angeliche e in polifonia... occorrono dei frutti, ci vuole una lampada accesa che dia luce e calore tutto intorno. 5 sagge, 5 stolte. Saggezza e stoltezza nella stessa proporzione. Ci è data la responsabilità di far crescere l’una e sminuire l’altra. Anche se ne abbiamo poca, amiamo la sapienza, chiediamola, cerchiamola. Facilmente si lascia vedere, trovare da coloro che la desiderano dice la prima lettura. Anzi lei stessa va in cerca di quelli che sono degni di lei, va loro incontro. Se siamo ancora qua stamattina, abbiamo ancora, ci è dato ancora tempo per comprare l’olio di scorta presso i venditori. E chi sono questi venditori? Non dobbiamo cercarli lontano, sono accanto à noi : i poveri, i piccoli, quel fratello, quella sorella complicata, penosa, quel visitatore della Badia chiassoso... mostriamo loro pazienza, misericordia e guadagniamo ancora più misericordia, aumentiamo nostro olio di scorta. Riceviamo con fede questa Eucarestia, nuovo capitale di carità, amore da impiegare, far fruttificare sempre più attorno a noi.
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martedi 7 novembre 2017 - XXXI sett. T.O. - Rm 12,5-16a - Lc 14,15-24 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
- siamo sempre a pranzo nella casa di un capo dei farisei, di sabato - ad invitare, quando si dà un banchetto, poveri, storpi, zoppi, ciechi. E Gesù concludeva con una beatitudine : « sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti". (Lc 14,14)
Uno dei presenti, probabilmente colpito da questa promessa, esclama : «Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!» (Lc 14,15) Egli ha capito che a chi sceglie l’amore disinteressato per i poveri, viene promessa la gioia del Regno, il banchetto eterno !
Ma una cosa è capire, altra cosa è mettere in pratica. E perciò Gesù racconta una parabola che fa vedere che spesso chi è invitato al Banchetto del Regno non vi partecipa perché è troppo preso da altri interessi : « Tutti, uno dopo l'altro, cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: “Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi”. Un altro disse: “Mi sono appena sposato e perciò non posso venire”. (Lc 14,18-20)
Possedere un campo è una cosa legittima, vero ? Lavorare nel campo è una cosa buona ; sposarsi e prendersi cura della propria sposa è cosa eccellente... Ma, capita che queste realtà arrivino ad occuparci talmente il cuore che l’invito per il Regno viene trascurato o disprezzato.
che la chiamata del Signore non vi trova più spazio...
Siamo invitati al banchetto dell’Amore, ma siamo troppo impegnati per andarci...
È un invito a guardare bene nei nostri cuori e nella nostra agenda : siamo disponibili quando l’Amore ci chiama ?
Nella mia agenda c’è spazio per i poveri, gli storpi, gli zoppi, ed i ciechi ? Nella rubrica del mio cellulare ci sono dei poveri, degli storpi,degli zoppi, e dei ciechi ?
O, per riprendere le parole di Paolo ai Romani che abbiamo sentite : nel nostro cuore c’è spazio per la sollecitudine verso le necessità dei fratelli, per la premura nell'ospitalità, per benedire coloro che ci perseguitano, per rallegrarci con quelli che sono nella gioia, per piangere con quelli che sono nel pianto ? (cfr Rm 12,13-15)
Signore, guardaci dall’aspettarci tutto da ciò che, pur benedetto, non è che terreno. Insegnaci a mantenere il cuore disponibile, anzi come insoddisfatto, nella costante apertura a ciò che non passa. Dacci i gusto del cielo nel quale entriamo già, quando scegliamo l’amore disinteressato !
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Domenica 5 novembre 2017 - Dedicazione della Cattedrale S.Maria del Fiore - 1Re 8,22..30 – 1 Pt 2,4-9 – Gv 4,19-24 Badia Fiorentina - fr. Antoine-Emmanuel
Una delle più belle esperienze che ho vissuto a Montréal è stata la dedicazione del Santuario del Santissimo Sacramento a noi affidato. Che liturgia splendida ! Rimane nella mia memoria l’aspersione del Popolo e dell’altare; la consacrazione dell’altare, unto col Santo crisma e trasformato in un roveto ardente dal fuoco che vi si accende sopra, dopo che le reliquie dei santi vi sono state murate dentro ; la benedizione e l'illuminazione della croce di consacrazione ; l’incensamento del Popolo di Dio e poi dell’intero edificio, e la splendida preghiera della dedicazione.
Ma ciò che maggiormente ci ha segnati è stato, quel giorno, una vera e propria esperienza spirituale : quella liturgia è stata come un battesimo, il battesimo della comunità eucaristica che si raduna in quella chiesa. C’è un prima ed un dopo quel giorno, perché è stata una consacrazione del Popolo di Dio, che si raduna nell’edificio che è stato consacrato appunto per questo popolo. «Dio è spirito, dice Gesù alla donna di Samaria, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità.» ( Gv 4,24) Il fulcro, l’essenziale non è più il luogo di culto, bensì il popolo santo che si raduna in quel luogo.
Celebrare l’anniversario della Dedicazione della Badia come si è fatto la domenica scorsa, o celebrare oggi l’anniversario della Dedicazione della Cattedrale, è quindi un'occasione bellissima per riprendere coscienza che apparteniamo ad un popolo santo, ad un popolo consacrato. Il Signore ci ha consacrati come Suo popolo ! Tempio vero e proprio siamo ... noi ! Siamo stati « impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo» (1Pt 2,5), abbiamo sentito nella prima Lettera dell’Apostolo Pietro. Siamo un Popolo per Dio ! Un Popolo profondamente sacerdotale che trova la sua identità e la sua gioia nel comune movimento ascendente di azione di grazia, di lode, di offerta a Dio delle nostre vite e della nostra comunione. «Noi, un tempo eravamo esclusi dalla misericordia, ora invece abbiamo ottenuto misericordia.» «un tempo eravamo non-popolo, ora invece siamo il popolo di Dio» (cfr. 1Pt 2,10), dice ancora Pietro.
Anzi, noi siamo «la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa,
il popolo
che Dio si è acquistato.» (1Pt 2,9)
« Signore, siano aperti i tuoi occhi notte e giorno verso questa casa, verso il luogo di cui hai detto: Lì sarà il mio nome! Ascolta la preghiera che i tuoi servi innalzano in questo luogo !» (cfr 1 Re 8,22..30) E cosa chiediamo ? Di diventare ciò che siamo : di diventare, cioè, in questo centro storico di Firenze, un Popolo profondamente sacerdotale.
Come esserlo ? Che offerta aspetta il Signore ? Che sacrificio aspetta ? Il Sacrificio amorevole della nostra vita, certo ! Ma in qual modo ? La risposta, per noi cristiani che preghiamo nel centro storico di Firenze, mi sembra che la si trovi nella Lettera ai Romani, nel capitolo quindicesimo. Paolo vi parla della grazia che gli è stata «concessa da parte di Dio». (cfr Rm15,15)
Quale grazia
? esercitando l'ufficio sacro del vangelo di Dio perché i pagani divengano una oblazione gradita, santificata dallo Spirito Santo. » (Rm15,16)
Paolo ha capito che il suo compito, la grazia per lui, è di far sì che i pagani possano offrirsi a Dio in Cristo Gesù. Incontra le folle di uomini e donne del suo tempo, con la diversità di religioni, di riti, di filosofie, e vorrebbe offrirli tutti a Dio in Cristo Gesù. Questo era nel suo cuore come un fuoco divorante. (cfr Ger 20,9) Paolo è un uomo profondamente sacerdotale. Vuole offrire l’umanità intera al Padre mediante il Sangue di Gesù, conducendo tutti all’obbedienza della fede. (cfr Rm 1,5)
Carissimi, è questa la nostra vocazione di Popolo sacerdotale nel centro storico di Firenze. Non è di lamentarci perché Firenze è affollata di turisti. Non è di vivere di nostalgia. E ancora meno di guardar passare i visitatori, come si guarda passare un treno. È di darci da fare perché queste anime che visitano la nostra città possano innalzarsi nell’Amore di Gesù verso il Padre. Firenze ha la vocazione di spazio nuziale per le anime vive che vi lodano Gesù, aiutate dalla bellezza dell'arte sacra; è di sala operatoria per le anime malate o morte che vagano per le strade di Firenze e che attraverso l’arte sacra scopriranno Colui che è la Vita. Per noi, la Chiesa in uscita è l’andare incontro ai mille volti che guardano al volto di Gesù nei musei, senza sapere che questo volto è il volto del loro Salvatore...
Il Professore, Giorgio La Pira, morto 40 anni fa, in questo giorno, aveva un senso profondissimo della vocazione santa di Firenze. Chi, oggi, ci provoca a ritrovare questa vocazione santa ? Sono i turisti ! Sono loro che, come avvenne a Paolo nella sua visione di Filippi, ci chiamano : « Aiutateci ! » (cfr Atti 16,9) « Parlateci di Gesù !»
Non dovrei dire i «turisti» perché per La Pira non ci possono esser «turisti» nella santa città di Firenze! Perché non parlare di pellegrini in cerca di bellezza, di bellezza sacra ? Assomigliano ai magi del Vangelo che hanno visto una stella, sono venuti fin qui, e che noi dobbiamo accompagnare perché entrino nella casa, adorino il Bambino nelle braccia di Maria, e ripartano per un’altra via.
Ecco la nostra vocazione : un Popolo santo che vorrebbe servire l’incontro di ogni visitatore con Gesù. E questo si traduce nel concreto in un sorriso, una parola di benvenuto, un colloquio, una visita guidata della Badia, come alcuni di voi fanno così bene... ... comunque : in un incontro personale. Non è vero che siamo « il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce» ? (1Pt 2,9)
Signore, ascolta la preghiera che i tuoi servi innalzano in questo luogo Fa che ci svegliamo e diventiamo ciò che siamo : un Popolo profondamente sacerdotale che, attraverso il ministero dell’incontro e dell’amicizia ti offra i «pellegrini» di Firenze.
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venerdi 3 novembre 2017 - XXX settimana T.O. - Rm 9,1-5 – Lc 14,1-6 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Gesù lo sa. Lo sa benissimo. Anzi ha tutto il rispetto e l’amore che si deve a questo giorno santo.
Per di più si trova a pranzo non da chiunque, ma da uno dei capi dei farisei.
Ora, la legge mosaica è chiara : « Il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro.» (Es 20,10-11).
Allora perché Gesù compie un miracolo appunto in questo giorno, e in questa casa? Sarà una provocazione gratuita ? Una sfida ? Gesù prese l’idropico per mano, lo guarì e lo congedò... Perché ?
La risposta è quest’uomo stesso! A causa di quest’uomo. Ciò che spinge Gesù a guarire quest’uomo non è una teoria, non sono dei concetti, delle idee.. È questo uomo, con il suo volto, la sua storia, la sua sofferenza... È lui !
Noi siamo immersi in un sistema di pensiero che fa sì che, spesso, non vediamo più la persona. Gesù vede. Di lui, e di lui solo, si può dire che pienamente «ha occhi e vede». Come se la sua «legge» fosse la persona accanto a lui ! Perché la sua legge è l’amore.
Meditavo oggi su questo Vangelo in codesta prospettiva quando mi sono trovato a leggere ciò che Papa Francesco ha detto pochi giorni fa in un convegno sull’Europa. Ascoltate :
che i cristiani possono portare all’Europa di oggi è ricordarle che essa non è una raccolta di numeri o di istituzioni, ma è fatta di persone. Purtroppo, si nota come spesso qualunque dibattito si riduca facilmente ad una discussione di cifre. Non ci sono i cittadini, ci sono i voti. Non ci sono i migranti, ci sono le quote. Non ci sono lavoratori, ci sono gli indicatori economici. Non ci sono i poveri, ci sono le soglie di povertà. Il concreto della persona umana è così ridotto ad un principio astratto, più comodo e tranquillizzante. Se ne comprende la ragione: le persone hanno volti, ci obbligano ad una responsabilità reale, fattiva, “personale”; le cifre ci occupano con ragionamenti, anche utili ed importanti, ma rimarranno sempre senz’anima. Ci offrono l’alibi di un disimpegno, perché non ci toccano mai nella carne.» ( Ai partecipanti alla Conferenza “(Re)Thinking Europe” organizzata dalla Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (Comece) in collaborazione con la Segreteria di Stato . 27-29 ottobre 2017)
Benedico il Signore per questa chiamata di Papa Francesco a smettere di ridurre la persona umana ad un principio astratto, più comodo e tranquillizzante. Tutta la Amoris Laetitia è su questa linea. Si china sulla realtà di ciò che vivono le persone, le coppie, le famiglie. Ci obbliga ad uscire da un sistema di pensiero che faceva comodo. Che mi faceva comodo... Conta la persona che mi sta davanti. Anche se deve dar fastidio al “fariseo” che vede non la persona ma la legge...
Signore Gesù, donaci il tuo sguardo attento ad ogni persona, donaci la tua obbedienza che ti rende disponibile a chi ti sta vicino. Liberaci Signore ! |
mercoledì 1 novembre 2017 - Tutti i Santi - Ap 7,2-14 – 1 Gv 3,1-3 – Mt 5,1-12 - Badia Fiorentina - fr. Antoine-Emmanuel
«
Guarda ad oriente, Gerusalemme,
Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell'afflizione,
Ecco l’invito della festa di Tutti i Santi ! Un invito a guardare verso l’oriente che è Cristo, Cristo circondato dalla folla di tutti i santi. Ciascuno di loro riflette in un modo unico il volto di Gesù. Tutti partecipano al coro che intona le lodi eterne di Dio. È « una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: "La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all'Agnello"». (Ap 7,9-10) Essi invitano anche noi ad entrare in questa lode, in questa gioia ! Come se ci dicessero : non perdete tempo ! Non sprecate nessun giorno del vostro pellegrinaggio terreno : Entrate, entrate già nella gioia del Regno, come abbiamo fatto noi, mentre camminavamo come voi sulla terra. Anche noi eravamo peccatori, deboli, fragili, ma ci siamo lasciati plasmare dall’Amore divino e il Regno di Dio è entrato nel profondo del nostro cuore. Siamo passati attraverso la grande tribolazione e abbiamo lavato le nostre vesti, rendendole candide nel sangue dell'Agnello. (cfr. Ap 7,14) Ed eccoci che oramai intercediamo per tutti voi, specie per i più poveri.
Carissimi, l’amore dei santi per noi è immenso. Ci scelgono, ci accompagnano, pregano per noi ... E se noi corrispondiamo al loro affetto, allora entriamo in una vera e propria amicizia con loro. Penso a Caterina di Sant'Agostino, una religiosa canadese, il cui padre spirituale era San Giovanni di Brébeuf, già deceduto, che veramente la guidava ! Penso a Marcel Van, un giovane redentorista del Vietnam che viveva un'amicizia profondissima con Santa Teresa del Bambino Gesù !
« Anche noi dunque, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento.» (Eb 12,1-2) E come correre ? Si tratta di correre sulla via delle Beatitudini, che è la via maestra della Santità !
La bellezza delle Beatitudini sta in questo : che sono vere ! Sono vere e concretissime ; e dobbiamo esser attenti a non farne degli slogan un po' idealistici. Le Beatitudini sono vicinissime a ciò che viviamo giorno per giorno. Ma bisogna entrarci !
Sei stata paziente e misericordiosa con il marito ? Entra nella beatitudine dei misericordiosi : insieme a tutti i misericordiosi della terra, sei beata perché insieme a loro troverai misericordia.
Hai accolto con mitezza un'umiliazione sul posto di lavoro ? Entra nella beatitudine dei miti: Insieme a tutti i miti della terra, sei beato/a perché insieme a loro erediterai la terra.
Hai pianto perché è venuta a mancare una cara amica ? Entra nella beatitudine degli afflitti: Sei beato/a perché insieme a tutti i afflitti della terra sarai consolata.
Hai cercato di riconciliare i tuoi familiari che non si parlano più ? Entra nella beatitudine degli operatori di pace: sei beata/o perché insieme a tutti gli operatori di pace sarai chiamato figlio di Dio
Ti sei dato da fare per prenderti cura di alcuni migranti, malgrado tutte le resistenze che sentivi dentro di te ? Entra nella beatitudine di coloro che hanno fame e sete della giustizia: sei beata/o perché insieme a loro sarai saziato.
Ti hanno preso in giro perché hai testimoniato la tua fede in una cena tra amici, e hai risposto con amore ? Beato/a te ! Insieme a tutti i perseguitati a causa del nome di Gesù, rallegrati ed esulta, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
La povertà in spirito, l’afflizione, la mitezza, la fame e la sete della giustizia, la misericordia, la purezza di cuore, l’artigianato della pace, la persecuzione a causa dell'obbedienza a Dio e della fede in Gesù... sono altrettante porte per entrare ogni giorno in ciò che Gesù chiama la Beatitudine, che non è altro che la sua gioia umile e profonda.
Ma spesso noi non ci entriamo. Dimentichiamo le Beatitudini e rimaniamo nella sofferenza, nelle lacrime e talvolta nel dolore dell’ingiustizia e nella collera.
Come sarebbe proficuo se guardassimo all’ultima settimana o all’ultimo mese, a ciò che abbiamo vissuto... alla luce delle Beatitudini ! Sarebbe probabilmente per noi una grande sorpresa, proveremmo un senso di stupore. Signore Gesù, con la tua Croce e la tua Risurrezione hai cambiato la faccia della terra : il nostro pianto diviene speranza, la misericordia ci apre già un po' di cielo, la mitezza ci rende ricchi di un tesoro che non passa... la povertà del cuore ci fa entrare nel Regno dell’Amore ! E tutto ciò comincia nelle più piccole cose del quotidiano.
Davvero : guarda ad oriente, Gerusalemme, osserva la gioia che ti viene da Dio ....
Santi e sante di tutti i paesi, di tutti i tempi, conosciuti e sconosciuti, pregate per noi affinché entriamo già ora nella gioia delle Beatitudini !
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Domenica 29 ottobre 2017
- Dedicazione della Badia Fiorentina - XXX sett. T.O. - un monaco della Badia Fiorentina
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venerdi 27 ottobre 2017 - XXIX sett. T.O. - Rm 7,18-25 - Lc 12,54-59 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Sappiamo noi, uomini e donne del XXI° secolo, giudicare l'aspetto della terra e del cielo ? (cfr. Lc 12,56) Certo ! Anzi, siamo divenuti esperti, con tutte le scienze a partire dalla meteorologia. La nostra capacità di osservare la natura è oramai più che impressionante ! Non è vero che, ad esempio, siamo capaci di individuare un quasar che si trova a circa 3 miliardi di anni luce da noi ?
Ma siamo esperti nell'osservare i segni dei tempi ? Siamo capaci di fermarci e di riflettere su ciò che avviene sulla terra e nell’intero creato oggi ? Sappiamo «giudicare questo tempo» ? (cfr. Lc 12,56)
Cosa ci dice il progressivo degrado del creato ? La ripresa di grandi movimenti migratori ? E l’esistenza di carestie in un mondo pur globalizzato e super-tecnologizzato ? La mancanza di lavoro per tanti o il lavoro forzato ? Cosa ci dicono la ipersessualizzazione della cultura e la destrutturazione della famiglia ? E la perdita di fiducia nella politica e l'emergere di poteri intransigenti ? Cosa ci dicono il diritto assoluto all’aborto ed il crescente diritto a uccidere gli anziani, i malati, gli inermi ? Cosa ci dice l’onda di radicalismi religiosi sia musulmani che ebrei, induisti o cattolici ? Cosa ci dice l’inizio già avvenuto della terza guerra mondiale, quella guerra a pezzi di cui parla Francesco ?
Ma pure, cosa ci dice il progresso nel riconoscimento non solo della dignità della donna, ma del genio femminile ? Cosa ci dice il desiderio crescente di comunione tra gli uomini ? L’incontro delle culture ed il desiderio di dialogo interculturale ? Cosa ci dicono i progressi della medicina, della solidarietà, dell'attenzione ai diversamente abili ?
Cosa ci dice il dono del Concilio Ecumenico Vaticano II che ha aperto per noi il cammino di una conversione profonda ? E il dono da parte di Dio di un Papa che ci invita instancabilmente a andare verso il mondo, uscendo dal nostro guscio ?
Cosa ci dice il Signore quando ci fa il dono di tante apparizioni mariane ? Quando a Lourdes Maria ci invita alla conversione: "Pénitence, pénitence, pénitence. Priez pour les pécheurs"? Quando a Fatima ci invita alla preghiera ed al sacrificio per i peccatori ? Quando, sempre a Fatima, Maria ci svela il compito storico, affidato al suo cuore, che la salvezza di Gesù sia accolta e non rigettata. Quando in Olanda, in India, e altrove ci invita a riconoscere in lei la mediatrice della grazia, la coredentrice e l’avvocata nostra ?
Cosa ci dice la costante offerta di Misericordia da parte di Dio ? Il dono sempre rinnovato della eucaristia di Gesù? Il dono di sacerdoti e di consacrati, di famiglie cristiane e di laici santi ? Le molte conversioni e la santità di tanti, spesso nascosta ? E soprattutto il Segno dei segni : Gesù presente nella storia ?
Sappiamo giudicare questo nostro tempo ? Non ci viene chiesto un giudizio assoluto , complessivo e indiscutibile. Ma ci viene chiesto di giudicare ! Ci viene chiesto un discernimento, con le azioni che ne conseguono.
Non c’è un'emergenza della preghiera di lode e di intercessione, del sacrificio e della testimonianza, perché nessuno vada perduto ? Perché nessun' anima venga avvelenata da una cultura che gioca a Dio ? Perché i semi di bontà, d’amore, di perdono e di tenerezza crescano con potenza ? Ed i semi di verità diano tutto il loro frutto ?
Tu il Risorto che effonde in noi lo Spirito, tu sei la salvezza del mondo, e non vuoi altro che la salvezza di tutti. Insieme al Padre, hai scelto la Vergine Maria affinché la meraviglia della tua salvezza giunga fino ad ogni persona, specialmente ai più smarriti. Come posso servire quest’amore infinito ? Come la mia vita può inserirsi pienamente nel tuo disegno di comunione eterna di tutti in te ? Non posso esser su questa terra come un semplice passeggero ancora di meno come un consumatore... Apri i miei occhi sul mondo, dammi l’occhio « semplice» di cui parli nel Vangelo (cfr. Mt 6,22) dammi il tuo sguardo limpido sulla storia perché io possa esser pienamente il tassellino che desideri nel tuo tuo piano d’emergenza-salvezza e d’eterno abbraccio di tutti. Amen.
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Domenica 22 ottobre 2017 - XXIX sett. T.O. - un monaco della Badia Fiorentina
Il regno dei cieli è simile a una vigna...ascoltavamo da parecchie domeniche. Il regno dei cieli è simile a un banchetto... era domenica scorsa. Ancora oggi si tratta del regno dei cieli, ma questa volta accanto al regno di questo mondo, addirittura vedremo come i due sono intrecciati l’uno nell’altro. Come stiamo nel regno di questo mondo in quanto cittadini del regno dei cieli? Appunto questa domenica missionaria ci chiede: come svolgiamo la nostra missione nel mondo, in quel posto lì... dove siamo stati piantati..? Come vi lavoriamo come operai della vigna del Signore, quale frutto vi portiamo come tralci della vera vite di Gesù, come ci presentiamo in quanto commensali del banchetto celeste, come agiamo davanti a Cesare come sudditi del Re dell’universo? Il rapporto tra il regno di Cesare e il regno di Dio, l’autorità civile e l’autorità religiosa, il potere temporale e il potere spirituale, la Chiesa e lo stato è come un campo minato. Tale che i predicatori vi si avventurano solo con tanta prudenza, in punta di piedi, ma non deve impedire però una parola cristiana sulla politica. Vediamo un po’ come questo piccolo versetto rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio ha influito sulla storia del mondo. Guardiamola a distanza di tempo e sopratutto con gli occhi della fede, astenendoci da giudizi sui fatti degli antenati che hanno agito, deciso in contesti che non possiamo pretendere di conoscere. Rendere a Cesare quello che è di Cesare fu interpretato come fusione o confusione tra i due regni. Ha dato la consacrazione del potere temporale dal potere spirituale. Motivi più o meno nobili guastano però questa intesa: difesa della fede, libertà, interessi propri, tentativi di dominazione, strumentalizzazione dall’uno e l’altro... Rendere a Cesare quello che è di Cesare fu interpretato come collaborazione tra i due regni. Ha dato l’alleanza tra il trono e l’altare, la corona e la mitra... ma anche lì non è nemmeno sintonia perfetta. Rendere a Cesare quello che è di Cesare fu anche interpretato come separazione tra i due regni. Autonomia senza interferenze tra dominio temporale e spirituale. Ha dato la separazione dello Stato e della Chiesa come oggi negli Stati Uniti o in Francia. In Italia, ne abbiamo visto nella storia... nei nostri giorni, l’articolo 7 della Costituzione, i Patti Lateranensi, l’Accordo Madama, l’8 per mille... dovrebbero trovarsi in qualche parte tra queste interpretazioni... che non pretendono essere esaustivi, perché il rapporto tra potere spirituale e temporale si attua tuttora in vari contesti. In ambito ostile per esempio, come in Cina oppure in contesto favorevole come in Grecia ove l’Ortodossia è tuttora religione di Stato. La Chiesa, le chiese particolari, i fedeli, ognuno di noi siamo tutti chiamati a testimoniare della libertà di Gesù di fronte a Cesare. Rendere a Cesare quello che è di Cesare vuol dire prima di tutto la libertà di sottomettersi all’autorità civile in quanto opera per il bene comune. Lo capiamo anche con la prima lettura di Isaia su Ciro, pagano ma eletto da Dio per un compito, e sopratutto nel 13mo capitolo della Lettera di Paolo ai Romani: l’autorità è strumento di Dio per condurre gli uomini al bene. I fedeli devono non solo obbedire ma anche partecipare alla vita comune, alla vita politica. Firenze ha dato Giorgio La Pira al mondo non solo come esempio, ma una guida per l’impegno cristiano in ambito politico. Ma questa libertà di obbedire a Cesare è anche libertà di dire NO a Cesare, libertà dalla paura quando si tratta di difendere la verità, il bene comune, libertà per resistere fino al martirio se necessario. I Cesari andati storti nella storia cioè i tiranni sanno bene che devono temere più di tutti uomini e donne liberi dalla paura, perché la loro libertà compromette ogni potere oppressivo. Grazie a Dio, non ci troviamo in questo contesto, ma ciò non deve addormentare le coscienze. Si può infatti che Cesare non sembra intromettersi nel dominio spirituale, ma quando la dignità dell’uomo immagine di Dio è in gioco, i cristiani devono opporsi a Cesare. Su tematiche etiche, bioetica, politica familiare.... e così via... Rendere a Cesare quello che è di Cesare non è dunque dicotomia, scompartimento della coscienza o del cuore in parti distinte, temporali e spirituali, politici e religiosi. Con questo si crea un vuoto nelle coscienze dando luogo agli estremismi oppure all’indifferenza alla vita politica. Rendere a Cesare quello che è di Cesare non è nemmeno scontro, concorrenza tra i 2 regni. Che cosa c’entra la cavalcatura di Gesù, un puledro d’asina... coi cavalli e carri armati dei potenti di questo mondo? Che cosa hanno in comune la Croce dove Gesù regna... e i troni elevati dei grandi di quaggiù, le spine intrecciate sulla sua testa... e le corone pregiate dei sovrani? Che cosa c’entra il sangue versato per amore, la lavanda dei piedi... con il sangue sparso dall’ingiustizia, violenza, dominazione dei potenti della terra? Che cosa hanno in comune le tasse imposte ai sudditi... e l’amore liberamente dato per tutti? Non c’è concorrenza... ma i due regni sono intrecciati l’uno nell’altro, esattamente come il sale si scioglie negli alimenti per dare sapore, come il lievito nella pasta per fermentarla. Così i cittadini del regno di Dio nel regno di Cesare per far lievitare la pasta umana affinchè gli uomini possono finalmente e veramente rendere a Dio quello che è di Dio. E che cosa sarebbe di Dio? Tutto e tutti vengono da Lui, sono di Lui. A Dio si deve l’onore, la gloria, la potenza da tutto il creato, da tutte le creature. Ma c’è una cosa particolare che viene da noi uomini che Dio aspetta... diciamo, anche con ansia... la nostra risposta libera al suo amore. Questa Eucarestia faccia crescere la nostra libertà, solo allora sapremo che cosa è di Cesare, che cosa non è di Cesare, solo allora compiamo la nostra missione, solo allora sapremo e potremo veramente rendere quello che è di Dio... tutto noi stessi. Così sia in questa Eucarestia nella quale, Dio per primo si dona tutto se stesso a tutti coloro che lo riconoscono e lo accolgono.
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Domenica 15 ottobre 2017 - XXVIII sett. T.O.- Is 25,6-10 – Fil 4,12..20 - Mt 22,1-14 - Badia Fiorentina - fr. Antoine-Emmanuel
Cosa ci prepara il Signore sul suo monte santo ? Un brodino?
Il
Signore degli eserciti preparerà per tutti i popoli, su questo
monte, Delle vivande grasse ! Dei vini eccellenti ! Dei cibi succulenti ! L’abbiamo nel cuore questa promessa ? Crediamo nel dio del brodino oppure nel Dio del banchetto ? A dire il vero, spesso noi crediamo di più nel dio del brodino. Perché ? Perché ci risulta non credibile che Dio ci faccia festa. Viste le nostre bischerate, i nostri peccati ripetuti, le nostre cattive abitudini, riteniamo di non meritare più di un brodino... Quanto è forte, quanto è radicata in noi, l’idea di un Dio che è soprattutto il dio delle punizioni ! Non il Dio delle carezze e della festa.
Di un banchetto non riservato a pochi eletti che ci vanno con la limousine, ma per tutti i popoli, a partire dai poveri. « Tu sei sostegno al misero,
recita Isaia subito prima della nostra profezia,
Anzi, il dono di Dio è più splendido ancora di quanto possiamo pensare : Isaia ci fa vedere Dio che, con un gesto potente,
« strappa il velo che copriva la faccia di tutti i popoli
Cosa vuol dire ? Significa che il lutto non c’è più. Il banchetto non è una festa passeggera e poi l’indomani si torna con il muso lungo nell’amarezza e nella paura della morte. No ! « Il Signore eliminerà la morte per sempre. »
Anzi,
facendosi vicino a ciascuno di noi,
Ecco la promessa di Dio. Il nostro Dio non è il dio del brodino, bensì il Dio del banchetto. Parliamoci chiaro : Se il tuo vivere quaggiù sulla terra è fatto di banchetti egoistici, non lo vedrai il banchetto eterno. Ma se non hai quaggiù nient'altro che il brodino e metti in Dio la tua speranza, allora al banchetto di cui Isaia ci parla, tu ci sarai.
Ora, questa promessa, ce la conferma Gesù ? Non solo la conferma, ma la porta a compimento. La conferma : questo è chiaro nel Vangelo odierno « ll regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio» (Mt 22,2) Quando si vede, ad esempio, la ricchezza, il lusso, delle residenze del re Erode in Terra Santa, si capisce che la festa di cui ci parla la parabola non è una festicciola attorno ad una pizza... È un banchetto sontuoso che dura diversi giorni.
Ora, come mai gli invitati non vengono ? Anzi, uccidono i messaggeri che portano l’invito regale ! Sembra una storia non vera, impossibile... Come puoi rifiutare un invito cosi bello ed inatteso a far festa ? Uno ti viene ad invitare e tu uccidi il messaggero ? Non è possibile ! Si, è possibile, perché è quello che noi uomini abbiamo fatto con Gesù. Inviato dal Padre, è venuto ad invitarci al proprio banchetto di nozze, e l’abbiamo messo in croce...
E la meraviglia è che Dio non si è scoraggiato ! Non ha rinunziato a condividere con noi la gioia del banchetto eterno. Ci vuole con Lui per l’eternità. « Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze...» (Mt 22,9) dice il re ! Ed è così che noi ci troviamo qui oggi ! Il Signore ha scelto di chiamare persone fragili, poveri, peccatori, ... noi tutti ! Allora si riempie la sala del banchetto.
La parabola prosegue poi con un fatto che ci spiazza. Viene gettato fuori dalla sala di nozze un uomo che non portava l’abito nuziale !
Ce l’hai tu oggi l’abito nuziale ? Ce l’ho io ? Mi son vestito per le nozze ? Oppure : si, son venuto, ma non ci credo veramente in questo invito. Non voglio credere che io possa essere amato/benvoluto/ ed invitato da Dio. Mi giudico io, e mi giudico non degno. Che Gesù sia morto per me mi sembra esagerato. Che sia risorto per portarmi con lui in cielo, non lo merito. E poi, non voglio crederci fino in fondo perché crederci significa lasciare le mie vecchie abitudini di peccato. E quindi, vengo, ma non mi vesto... E quindi, non potrò rimanere nella sala di nozze.
Ecco la posta in gioco: vestirci il cuore. Rivestire il mio cuore di fede nell’amore gratuito di Dio. Rivestire il mio cuore di stupore dinanzi al suo perdono. Mettermi addosso la veste nuziale che è ricamata con due fili : il pentimento e lo stupore. Allora, al banchetto, ci sarò, ci saremo ! Eternamente !
Ora, vi è una meraviglia : Questo banchetto eterno, il Signore ha voluto che noi lo possiamo pregustare.
Ha inventato per noi un banchetto che abbia già il sapore del banchetto eterno, mentre stiamo ancora sulla terra. Un banchetto che non è fatto di lusso, di vivande riservate ai ricchi... eppure è un banchetto stupendo. Un banchetto dove si sta insieme, uomini e donne, giovani ed anziani, ricchi e poveri, persone di ogni cultura; Un banchetto dove il Signore ci serve. Lui ci serve, Lui si dona... L’Eucarestia.... Solo Dio poteva inventare un tale banchetto, un pezzo di cielo sulla terra.
Dio ha una tale voglia di invitarci a questa mensa che Egli mette da parte degli uomini, i sacerdoti, perché siano i servi di questo banchetto!
L’Eucarestia è una festa di nozze.. Vi si celebra l’amore, vi si celebra la vita. Non è un funerale. Non è un rito freddo : è uno sposalizio. Chi è la sposa ? Siamo noi ! E cosa fa lo Sposo ? Si dona a noi. Non si dona con delle idee e basta : si dona nel suo corpo, nel suo sangue, anima e divinità.
L’Eucarestia è Gesù che si consegna. Si mette nelle nostre mani, al punto di permetterci di guardare a Lui a lungo, di contemplarlo. Ora, la Chiesa ha scoperto il tesoro di questo lungo stare dinanzi a Gesù Eucarestia. Ha intuito che poteva – che doveva – disporre del corpo di Gesù. Con un rispetto immenso. E con uno spirito di adorazione, di gratitudine.
Egli c’è ! L'Eucarestia è sua presenza. Non è solo un segno. Non è una reliquia. Non è un ricordo di un Gesù ormai partito. È Lui vivo !
Anzi : Gesù Eucarestia è ben più vivo di noi. L’umiltà Sua lo nasconde, ma chi da la vita è Lui. Non è tanto che noi esponiamo il Santissimo, bensì che noi ci esponiamo a Lui ! Veniamo ad aprirGli il cuore. Veniamo a ricevere i raggi del Suo Amore. Veniamo ad accogliere la grazia, il perdono, la gioia, per noi, per i nostri cari, per i nostri nemici, per la città, per tutte le anime, in particolare quelle che hanno più bisogno della divina misericordia. Siamo i delegati della città per ricevere a nome di tutti e a beneficio di tutti i flutti dell’amore divino.
L’Adorazione è una missione. Un adoratore è un missionario in mezzo alla città secolarizzata...
Carissimi, è un grande onore, un grande dono che il Signore ci fa invitandoci all'adorazione eucaristica... Non rifiutiamo l’invito. E andiamoci col vestito nuziale, con un sì del cuore all’Amore. Il Signore ci ha scelti per ricever e trasmettere la potenza dell’Amore suo. Egli sia benedetto !
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Venerdi 13 ottobre 2017 - XXVII sett. T.O. - Gl 1,13..2,12 - Lc 11, 15-26 - Badia Fiorentina - fr. Antoine-Emmanuel
TRIDUO EUCARISTICO – PRIMO GIORNO 100.mo anniversario dell’ultima apparizione della Vergine a Fatima
Il racconto del profeta Gioele ci presenta oggi una situazione devastante in Israele. Una terribile carestia :
Devastata
è la campagna, Carestia drammatica, anche perché non è più possibile offrire nessun sacrificio nel tempio. Sono scomparse offerta e libazione dalla casa del Signore. (Gl 1,9) Allora, dice Gioele, si è inaridita la gioia tra i figli dell'uomo. (Gl 1,12) È il dramma di un popolo che non può più offrire niente a Dio. È un popolo privo della gioia di alzare le mani verso Dio con un’offerta a Lui gradita. Immensa sofferenza per l’Israele fedele che ama Dio...
Questo ci fa intravedere quanto noi cristiani di oggi siamo benedetti. Siamo privi della possibilità di offrire a Dio un sacrificio a Lui gradito ? No ! Ci viene concesso di offrirGli ogni giorno Il Vero ed Unico Sacrificio d’Amore che risponda all'ampiezza del Suo Amore di Padre. Anche con qualche briciola di pane e qualche goccia d' acqua - come si faceva nel lager di Auschwitz – si può offrire a Dio la più bella offerta che ci sia : quella di Gesù sulla croce. La letizia e la gioia non mancano nella casa del nostro Dio ! (cfr. Gl 1,16). L’Eucarestia è davvero il sacramento della gioia divina perché è il sacramento della comunione. Rompe l’isolamento dell’umanità ! Perché ? Perché Gesù abbandonato ha preso su di sé ogni isolamento umano. Ha preso su di sé ogni sofferenza senza orizzonte, ogni vergogna senza luce, ogni angoscia, ogni tristezza. Ha preso su di sé ogni nostra chiusura nei confronti di Dio. Nell' Eucarestia si trova la sorgente sempre viva della comunione !
Anzi, l’Eucarestia è La divina calamita. Gesù Eucaristia ci attira a sé. Ci attira nel suo sacrificio d’amore. Ci attira nel cuore del Padre.
Perché veniamo all’Adorazione eucaristica ? Perché vieni anche se hai molto da fare ? Perché vieni anche quando sei un po' malato ? Perché vieni anche quando non ne hai tanta voglia? La ragione fondamentale non sarà perché Gesù ci attira ? È un' attrazione d’amore !
E perché ti capita di non venire ? Perché non hai sentito, o non hai voluto sentire, la voce dello Sposo che amorosamente ti chiamava ! * Ma, torniamo al testo del profeta Gioele. Egli ci parla del Giorno del Signore, un giorno, quello, di oscurità, di nube, di caligine. Ora, questo non è un mito ... È la realtà verso la quale ci porta l’arroganza dell’uomo contemporaneo che gioca a Dio. « Date l'allarme sul mio santo monte! » (Gl 2,1) dice il profeta Gioele ! È ciò che a Fatima è avvenuto 100 anni fa. Un grido di allarme portatoci dalla Vergine, dalla Madre che ha premura dei suoi figli. A Fatima come a Lourdes.
L’arroganza dell’umanità è offesa all’Amore di Dio, e non può non avere conseguenze. Fatima è stato un invito pressante alla conversione, alla penitenza, alla riparazione ed alla preghiera.
Nella terza apparizione dell’Angelo ai tre pastorelli, l’Angelo portava tra le mani « un calice sormontato da un'Ostia da cui cadevano nel calice gocce di sangue. Lasciando il calice e l'Ostia sospesi nell'aria, l’Angelo si prostrò a terra e ripeté questa preghiera tre volte: "SS. Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, vi adoro profondamente, Vi offro il preziosissimo Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù Cristo, presente in tutti i Tabernacoli del mondo, in riparazione degli oltraggi, sacrilegi e indifferenze da cui Egli è offeso. E per gli infiniti meriti del Suo Sacratissimo Cuore e del Cuore Immacolato di Maria, Vi chiedo la conversione dei poveri peccatori ". Meditando tale apparizione, si capisce quanto l' Adorazione eucaristica sia una missione. Una preghiera che è missione. Questo i fanciulli di Fatima l’hanno capito, anche perché poi, alzatosi, l'Angelo prese il calice e l'Ostia. Diede l'Ostia a Lucia e il contenuto del calice a Giacinta e a Francesco, dicendo nello stesso tempo: 'Prendete e bevete il Corpo di Gesù Cristo, orribilmente oltraggiato dagli uomini ingrati. Riparate i delitti e consolate il vostro Dio ".
In una teologia fredda che indaga su idee e concetti su Dio, la realtà della riparazione sembra superata, non più di moda. Ma in una teologia irrigata dall’Amore, la riparazione è una necessità del cuore, una necessità dell’amore. Chi ama lo sa.
Carissimi, ogni nostro vero inginocchiarci dinanzi a Gesù Eucarestia è un atto di amore che non solo consola il cuore di Dio, ma anche si irradia sul mondo, sulle anime !
Quando, con amore, tu dai del tuo tempo allo Sposo, vivendo qui o altrove un’ora di adorazione, quest’amplesso tra lo Sposo, Gesù, e la sposa che è l’anima tua non può non irradiare raggi d’amore e di pace sulla città.
Tu scavi un misterioso pozzo di luce che porta luce alle anime attorno a te.
L’Adorazione non è mai un atto individuale tra te ed il «tuo» Gesù. Non è, non può essere una pietà individualistica : Tu permetti a Gesù Eucaristia di dispiegare sul mondo la potenza del suo amore di fermare le guerre, di salvare le anime, ... « Pregate, pregate molto; e fate sacrifici per i peccatori, perché molte anime vanno all'inferno perché non c'è chi si sacrifichi e interceda per loro » disse la Madonna ai pastorelli il 13 agosto del 1917.
Concludiamo col Vangelo odierno che ci insegna che nella persona di Gesù è venuto il Regno di Dio. Gesù è nella piccola parabola l’Uomo più forte del demonio che lo vince, gli strappa via l'armatura nella quale confidava e ne distribuisce il bottino. (cfr Luca 11,22). E noi, nel cuore a cuore dell' Adorazione, ci uniamo a questo combattimento. Offriamo il nostro tempo, il nostro cuore, le nostre gioie, la nostra stanchezza, talvolta le nostre lacrime, perché la vittoria di Gesù possa compiersi oggi in ogni posto dove l’Amore non regna...
Quanto è prezioso il tuo stare con Gesù ! Puoi essere stanco, puoi essere distratto, puoi esser nel buio interiore senza nessuna consolazione, ma ci sei ! Il Signore non aspettava idee belle, aspettava te ! Non conta per Lui la tua presenza ? Sì, conta moltissimo ! Solo perché sei tu ! Poi, se ci vai, mettendo il tuo cuore nel cuore di Maria, se ci vai, chiedendo a Maria il suo cuore per amare Gesù come Lei lo ama , se ti affidi al cuore immacolato di Maria, allora giungi ad una grande grande fecondità ! « Il mio cuore immacolato sarà il tuo rifugio - disse la Vergine a Lucia - sarà la via che ti condurrà a Dio. » Ed aggiunse il 13 luglio : « il mio cuore immacolato trionferà !» Che splendida speranza !
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Giovedi 12 ottobre 2017 - XXVII sett. T.O. - Mal 3,13-20 - Lc 11, 5-13 Badia Fiorentina - fr. Antoine-Emmanuel
È inutile servire Dio: che vantaggio abbiamo ricevuto
dall'aver osservato i
comandamenti del Signore degli eserciti? pur facendo il male, si moltiplicano e, pur provocando Dio, restano impuniti". (cfr. Mal 3,14-15)
Carissimi, chi tra di noi non ha mai proclamato, con invidia, in cuor suo : Beati i superbi Beati i ricchi Beati coloro che hanno successo Beati coloro che non soffrono,...
Vi ricordate del salmo 73 :
« ho
invidiato i prepotenti, Invano dunque ho conservato puro il mio cuore .» (Sal 73,3.4.13)
Ma tutto cambia quando si entra in un altro sguardo, un’altra luce :
Riflettevo per comprendere,
confida il salmista :
Con quest’altro sguardo, tutto cambia. Viene messo in luce il dramma di chi vive oggi nella corruzione, e domani finirà nelle tenebre ... se io non prego.
Non è più l’ira che mi anima, bensì una compassione rivestita di urgenza. Quella solidarietà spirituale che l’angelo insegnò ai pastorelli di Fatima : «Mio Dio, io credo, adoro, spero e Ti amo. Ti chiedo perdono per quelli che non credono, non adorano, non sperano e non Ti amano».
La « cattedra » di Fatima ci insegna quanto la nostra preghiera, la nostra penitenza e tutto ciò che con amore offriamo cosi povero, modesto, che possa essere ha un impatto grande sulla salvezza delle anime. E farà si che non ci verrà detto nell’ultimo giorno : Dov'è Abele, tuo fratello? (Gen 4,9)
Un'offerta di sé piccola, ma animata da grande amore e fiducia può cambiare la sorte di altre anime. È ciò che il Vangelo odierno ci fa scoprire. Vado nella notte della fede e busso alla porta del cuore di Dio per chiedere la salvezza delle anime che sono più in pericolo. E Dio mi esaudirà, a causa della mia «invadenza» dice il Vangelo. Perché avrò chiesto non una piccola cosa, bensì qualcosa che a Dio è costato niente meno che il sangue della croce.
Al Signore piace una domanda sproporzionata ai nostri meriti e ben proporzionata all’amore suo.
Ad insegnarci questo è il buon ladrone. Non aveva nessun merito per chieder la salvezza. Anzi, considerava come giusto, come meritato, il suo morire in croce. Ma ha avuto la schiettezza dell’umile che chiede non secondo i propri meriti, ma secondo l’infinita tenerezza di Dio.
"Gesù,
ricordati di me quando entrerai nel tuo regno".
affinché siano con te in Paradiso. Per loro, sorga il sole di giustizia con raggi benefici (cfr. Mal 3,20)
Carissimi, il sorger del sole di giustizia sulle anime Dipende anche da noi, da te, da me.
Chiediamo e ci sarà dato,
cerchiamo e troveremo, bussiamo e ci sarà aperto. Se dunque noi, che siamo cattivi, sappiamo dare cose buone ai nostri figli, quanto più il Padre nostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!" (cfr. Luca 11,9-13) E lo darà ancora di più se lo chiediamo per i più bisognosi di salvezza. |
Venerdì 6 ottobre 2017 - XXVI sett. T.O. - Ba 1, 15-22 - Lc 10, 13-16 - Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
Corazin, Betsaida, Cafarnao. Com’è Corazin oggi ? Un campo di ruderi con erbe folte sulle colline sopra il lago di Galilea a nord-ovest. Com’è Betsaida ? Delle rovine che pochi visitano a nord del lago. Com’è Cafarnao ? Delle rovine ben valorizzate dai francescani ad ovest del lago.
Delle rovine… Come se la storia volesse darci un segno a conferma delle parole di Gesù’. Queste città che hanno visto tanti miracoli non sono fiorite, non si sono sviluppate come Tiberiade che oggi e’ diventata una grande città.
I miracoli sono avvenuti, ma la città non si e’ aperta al Vangelo. Cafarnao pensava di essere innalzata al cielo per la sua fama… ma, dice Gesù, “sprofonderà nell’inferno”.
E le nostre città ? E la nostra città ? Ci sentiamo responsabili del destino storico ed escatologico di Firenze ? Cosa avverrà di Firenze?
E’ questo un Vangelo che ci mette in discussione…
Senza dubbio, noi come cristiani, non apparteniamo al mondo; non dovremmo appartenere al mondo in quanto realtà chiusa sul proprio orizzonte umano che fa a meno di Dio.
Ma questo non essere dal mondo ci spinge nel mondo con un senso di solidarietà spirituale fortissimo: con quel prendersi cura della città che fece piangere Gesù quando si avvicinò a Gerusalemme.
Ci capita di piangere per l’offesa al Signore, la disubbidienza, il dispetto a Dio, ben descritti nella prima lettura, che le nostre città d’occidente “offrono” a Dio ? E ci capita di esultare vedendo tutto ciò che di amore, di solidarietà, di compassione la città odierna sa vivere per la gloria di Dio ?
Cafarnao aveva ragione quando desiderava essere innalzata al cielo! Ma non prese la via giusta, che e’ quella di fare spazio a Gesù nell’orizzonte cittadino.
Ciò che “innalza” una città, ciò che la rende umana, lieta, aperta alle diversità, luogo di incontro e di amicizia, rifugio dei poveri e degli emarginati … è l’accoglienza che essa fa a Gesù.
Ogni città ha una vocazione nuziale. Ha bisogno di Gesù, ha bisogno del seme della sua Parola, allora la città concepisce un'umanità rinnovata.
Cosa ha fatto Firenze con Gesù ? L’ha messo nei musei, dietro le vetrine, l’ha relegato nel passato. Gesù e’ divenuto il modello affascinante degli artisti del passato…
Ma la Parola non si incatena. Il Verbo fatto tacere risorge più vivo che mai ed offre compassione e redenzione.
E come fa Gesù per tornare a camminare sui marciapiedi e nelle botteghe di Firenze? Ha scelto te, ha scelto me !
Se tu ti lasci bruciare dal Roveto Ardente della Sua presenza eucaristica; se ti lasci ferire nel cuore dalla spada della sua Parola, allora tu divieni presenza di Gesù nella Firenze di oggi.
Lo sguardo tuo di compassione, di bontà, di tenerezza, ma anche di giustizia e di verità, racconterà ai fiorentini e ai visitatori la presenza di Gesù e il suo costante appello alla conversione.
Gesù ha bisogno dei tuoi piedi, delle tue mani, del tuo volto e soprattutto del tuo cuore per uscire dai musei e farsi vedere. Tu sarai, saremo, gli strumenti di una rinnovata mattina di Pasqua a favore di tutti coloro che ignorano che il bel volto incontrato nel museo e’ il volto più vivo che ci sia: Il Volto di Colui che e’ Egli stesso la vita , la via e la verità.
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Martedi 3 ottobre 2017 -XXVI sett. T.O. - Zc 8,20-23 – Lc 9,51-56 - Badia Fiorentina - fr. Antoine-Emmanuel
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Domenica 1 ottobre 2017 - XXVI Domenica T.O. A - Un fratello della Badia
Domenica scorsa siamo stati chiamati a lavorare nella vigna di Dio, alcuni dalla prima ora, altri alla terza, nona ora e poi quelli dell’undicesima ora. Se siamo qua stamattina, è buon segno che noi vogliamo sempre rispondere positivamente al Signore. E Lui si rallegra di noi, della nostra presenza e vuole condurci più in là nella sua chiamata. Ci è chiesto dunque a ciascuno stamattina: quale tipo d’operaio sei tu? Da parte di Dio, è più semplice, più chiaro. Ci vede come figli suoi, avete sentito: figlio, figlia, oggi va’ a lavorare nella vigna. Un figlio...una figlia è ben diverso da un bracciante della parabola di domenica scorsa. Un operaio a giornata è già contento del fatto di essere preso a giornata, avrà una paga alla fine del giorno. I figli del vignaiolo, vadano nella vigna o no rimarranno sempre figli, eredi. Certo... il padre sarebbe contento se i figli si interessassero alla vigna, per ora uno non ha voglia... pazienza! Da parte dei figli, non si tratta di una paga da ricevere alla fine del giorno, si tratta della gioia da dare al padre, di essere d’accordo con lui, di compiere la sua volontà, il che è loro proprio bene, della famiglia. Ebbene Fratelli e Sorelle carissimi, la domanda rivolta a noi diventa più chiara, più precisa. Perché, per che cosa, per quale motivo siamo nella vigna del Signore? Per una paga oppure per la gioia di obbedire a Dio Padre, la gioia di collaborare alla sua opera di salvezza? Come vi lavoriamo in questa vigna? In quanto operaio oppure in quanto figlio o figlia ? Non ci illudiamo cari amici, qualche volta aspettiamo una specie di “paga” da Dio. Lo sai Signore vado in chiesa tutte le domeniche, qualche volta anche in Badia Fiorentina ove la messa è lunga, do del mio tempo in parrocchia... ma...Signore...fa che il mio figlio riesca a scuola, che non succeda sfortuna ai miei... dacci pace in famiglia, che il mio marito smetta di gridare... Guardate, carissimi, anche i doni celesti più elevati, la pace, gioia, salvezza... diventano “paga” dal momento che pensiamo di poter contraccambiare con Dio. Dove non c’è gratuità vera, c’è paga, c’è commercio... non c’è ancora dono gratuito d’amore. Ma andiamo più in là nel disegno di Dio per noi, ove non si tratta di paga, contraccambio, ove siamo più liberi nei riguardi di Dio e dei suoi doni. Immaginiamoci direbbe S. Ignazio di Loyola, immaginiamoci presso Dio in quanti suoi figli, sforziamo di vederlo come nostro Padre amabile. Ed è lì che il vangelo vuole condurci. Vi si tratta di due figli, ben diversi, come i due figli di un altra parabola, quella del figlio prodigo che giustapponiamo qui per aiutarci di capire. Non cerchiamo di identificarsi all’uno oppure all’atro, nemmeno identificarsi con un terzo figlio ipotetico che avrebbe risposto come il secondo e agito come il primo. Non c’è un terzo figlio perché questi figli sono infatti 2 figure che rischiarano l’una l’altra. Di questi due si tratta in realtà di un solo personaggio, si tratta di me, di ciascuno di noi in cui coesistono questi due figli. Un po’ sono io il primo figlio della nostra parabola, il figlio minore dell’altra parabola che trasgredisce la volontà del padre, se ne allontana e poi torna a casa dopo aver toccato il fondo della scelta sbagliata. Un po’ sono io il secondo figlio della nostra parabola, il figlio maggiore dell’altra parabola che obbedisce al padre, ma in cuor suo, invidia la “libertà” del figlio minore, del primo figlio che ha avuto coraggio di dire “NO” al padre e ha sperimentato, vissuto, gustato delle cose. In realtà, questi figli sono in una stessa situazione: non conoscono davvero il loro padre. Hanno ancora una falsa idea di lui, cioè di un padrone severo contro il quale si deve ribellarsi oppure al quale ci si deve sottomettere servilmente. Devono cambiare la loro idea del padre, scoprire come lui è amore, liberamente dato e atteso. E noi... a questo punto, che cosa dobbiamo fare? Si tratta di sapere come scoprire sempre più il vero volto di Dio. Lo si fa rendendo conto che come il secondo figlio della nostra parabola, il nostro SI a Dio è spesso con le labbra e che con il cuore, per le mani e le opere... gli diciamo NO più o meno. Lo si fa rendendo conto che qualche volta rispondiamo “si Signore” come a un padrone che ci fa paura, al quale non si può dire NO. Scopriamo sempre più il volto di Dio rendendo conto che come il primo figlio della nostra parabola, c’è in fondo di noi come un eco del “NO” a Dio di Adamo e Eva, perché come loro crediamo di sapere ciò che è meglio per noi Se ci rendiamo conto che questi figli sono in noi, allora e solo allora possiamo davvero pentirci. Allora possiamo esercitare questa capacità inalienabile dell’uomo di convertirsi. Capacità di pentimento spiegata benissimo dal profeta Ezechiele in tutto il capitolo 18 di cui abbiamo sentito un brano nella 1ma lettura. Se il malvagio si converte... riflette, si allontana dalle colpe commesse...egli certo vivrà ! Nulla dice Ezechiele, ci può togliere totalmente questa facoltà, né i nostri peccati, nemmeno quelli degli antenati. Davanti a Dio, l’uomo avrà sempre l’occasione di pentirsi, mai è rinchiuso nei suoi peccati. Ecco carissimi, si scopre più in fondo il volto misericordioso di Dio rendendo conto delle nostre miserie, dei nostri peccati nascosti. Guardate bene cari amici, l’umiltà del nostro Dio, ancor prima di farci sperare nel suo perdono, Lui già spera in noi, nella nostra capacità di pentirci. È da meditare questa. È solo nelle braccia di Dio Padre che scopriamo il suo vero volto, che è tenerezza, amore, misericordia. E possiamo entrarvi, in queste braccia, solo in quanto peccatori... figlia, figlio prodigo, buon ladrone, pubblicano, prostituta... come quelli che vi ci hanno preceduto. Solo allora nostro SI a Dio Padre sarà veritiero, in quanto passato dalla prova del NO. Un SI che raggiunge in Gesù il SI di Dio all’uomo e il SI dell’uomo a Dio. Solo allora diciamo in verità... SI Padre voglio lavorare nella tua vigna per ricevere da te, portare frutto d’amore, comunione fraterna, tenerezza, carità, umiltà... gli stessi sentimenti di Cristo Gesù tuo Figlio... Così sia per ciascuno di noi in questa Eucarestia...
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Domenica 1 ottobre 2017
- XXVI sett. T.O. - Ez 18,25-28 – Fil
2,1-11 - Mt 21,28-32 - Eremo di Gamogna - fr. Antoine- Emmanuel
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Sabato 30 settembre 2017 - XXV sett. T.O. - Za 2, 5-9.14-5a - Lc 9, 43b-45 - Badia Fiorentina - fr. Antoine-Emmanuel
Impressionante...
Dalla giovinezza era muto, sordo, con crisi epilettiche tremende. Si butta nel fuoco, nell’acqua, … come per suicidarsi. Il padre non ne può più, E non si parla della sofferenza della madre.
I discepoli di Gesù... non sono stati capaci di fare niente per lui… È un dramma, sono anni di tragedia per questa famiglia.
Ora arriva Gesù dalle pendici del Monte Tabor. E con una parola minaccia lo spirito maligno, e il ragazzo è liberato.
Ma fu impressionante: il ragazzo è stato un momento come morto, poi si e’ rialzato vivo, libero.
Tutti sono presi da stupore, è qualcosa che da’ i brividi. Mai vista. Un' opera di Dio che mette il santo timore nel cuore.
E’ immenso ciò che fa Gesù… con una semplicità straordinaria, senza nessuna magia, senza effetti speciali. Immenso !
… Ora ci dici che stai per essere consegnato come un ladro, un brigante, un poveraccio? Non possiamo capire, non vogliamo capire! Non vogliamo che l’opera di Dio avvenga attraverso il dolore. Basta con il dolore, la sofferenza!
Eppure ci dici : “Mettetevi bene in mente queste parole: Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato in mano degli uomini…” (Lc 9,44)
Quanto ci risulta difficile accettare che la liberazione dell’umanità passi attraverso la sofferenza, la vergogna della croce.
Noi abbiamo paura di soffrire. Di più, edifichiamo dei muri per non soffrire. Prendiamo le distanze da coloro che amiamo per paura di soffrire a causa dell’amore; e da coloro che ci fanno soffrire per paura di soffrire di più.
Muri, muri… e diventiamo un’isola deserta. Ci ritroviamo soli… con le nostre sofferenze.
Anche da Dio prendiamo le distanze, perché abbiamo paura che il suo giudizio ci faccia soffrire, che la sua croce ci sia dolorosa e che frustri la nostra voglia di essere perfetti da noi stessi.
Un’isola deserta...
Eppure il Signore ci dice: non costruite muri… Io sarò muraglia di fuoco attorno a voi. E se lasci che il Signore sia lui stesso la tua protezione allora avviene ciò che dice Zaccaria: la gloria di Dio ti abiterà: Se l’amore di Dio e’ il tuo muro di fuoco, il fuoco dell’Amore ti brucerà anche dal di dentro.
La domanda è quindi: vuoi consegnarti all’amore di Dio ? Accetterai che Lui sia la tua protezione ?
La sofferenza ci sarà, ma non ne avrai più paura perché non sarai più solo.
Signore, ti presentiamo i muri saldi e compatti che abbiamo costruito per proteggerci… ti chiediamo di demolire quei muri. Sii tu muro di fuoco attorno al mio cuore, alla mia vita, alla mia comunità. Il nostro unico baluardo sia la tua tenerezza.
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venerdì 29 settembre 2017 - Santi Arcangeli - Dn 7, 9-10.13-14 - Jn 1, 47-51 Badia Fiorentina - f. Antoine-Emmanuel
E’ con immensa gratitudine al Signore che si fa memoria degli Arcangeli e in modo speciale di San Michele.
Michele: MikaEl… “ Chi e’ come Dio? ”
Il suo nome e’ una domanda. Il suo essere, la sua persona e’ una domanda. Chi e’ come Dio ? E’ il Puro Servo di Dio, che destabilizza chiunque vuol farsi uguale a Dio.
La grandezza di Michele sta nell’essere grande, nell’essere Arcangelo, essere a capo di tutti gli angeli di Dio. È un essere luminoso, ... ma che non perde mai il senso della Santità assoluta di Dio.
Non vi e’ creatura spirituale, angelica, più grande di lui… ma non cerca mai di appropriarsi del mistero di Dio.
E’ tutto l’opposto dell’atteggiamento orgoglioso di Lucifero … il che suscita tra l’uno e l’altro una guerra implacabile raccontataci dal libro dell’Apocalisse.
Chi e’ come Dio ? La risposta e’ Gesù… immagine del Padre Celeste, icona della sua Sostanza, riflesso dell’eterna bontà del Padre, Gesù e nessun altro senza Gesù.
Ed è di questo mistero che Michele e’ il garante, il difensore, il servo. Michele e’ il protettore del mistero della Redenzione che ci fa entrare nella piena somiglianza di Dio…
E’ perciò il protettore del Popolo di Dio, della Chiesa, come si vede a Roma nel Castel Sant’Angelo posto ai piedi del Monte Vaticano.
Se tu vuoi per diffidenza giocare a Dio… troverai la spada di S. Michele sul tuo cammino.
Ma se tu vuoi per amore entrare nella somiglianza divina, se tu vuoi amare come Gesù ama, lodare come Gesù loda, soffrire come Gesù soffre, allora trovi in S. Michele un aiuto straordinario.
Quante volte io l’ho invocato, pregando il cosiddetto esorcismo di S. Michele. Ed ho visto le forze del male lasciare la loro preda perché non sopportano la verità di cui Michele e’ servo: … Chi e’ come Dio?…
In quanto servo del mistero della Redenzione, Michele non può non essere a servizio della prima serva della Redenzione, di Colei che si e’ consegnata perché la salvezza di Gesù possa raggiungerci : Maria.
Sono certo che c’è una santa alleanza tra il Principe degli Angeli e la Regina del cielo, la Madre di Dio.
Quando Maria Santissima si manifesta come mediatrice della grazia, accorre Michele perché niente vada perduto di questa mediazione.
Quando Maria si rivela nella sua compartecipazione alla Redenzione, Michele si fa vicino perché riceviamo la bellezza di tale rivelazione.
Quando Maria ci confida che lei e’ nostra avvocata che rallegra il cuore di Dio e allontana la giusta ira conseguenza delle nostre disubbidienze, Michele ci sprona a fidarci di tale dono…
Sempre con la sua domanda: Chi e’ come Dio ? Chi crea come Dio crea ? Chi ama come Dio ama ? Chi da’ vita eterna fuorché Dio ? Chi perdona come Dio perdona ?
E’ l’Angelo che ci riporta nel mistero divino, nella sua Santità’.
Invochiamolo non solo per non entrare nella cultura odierna che gioca a Dio, ma soprattutto per essere insieme a lui servi del Regno. Affinché regni l’amore in terra come in cielo.
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giovedì 28 settembre 2017 - XXV sett. T.O. - Ag 1,1-8 ; Lc 9,7-9 - Chiesa di San Paolo a Pistoia - fr. Antoine-Emmanuel
La Parola di Dio è di grande chiarezza oggi “Riflettete bene sul vostro comportamento” Riflettiamo quindi bene sul nostro comportamento.
Perché capita che seminiamo molto e raccogliamo poco? Perché capita che un salario lo si riceve, ma è come se andasse in un sacchetto forato? Perché ci stanchiamo molto negli impegni famigliari o parrocchiali per un risultato che ci delude? Perché ci nutriamo della Parola, ci nutriamo anche dell'Eucarestia e questo non ci toglie la fame?
Il Signore risponde schiettamente. C'è una ragione! C'è un perché... “Perché la casa del Signore è in rovina mentre ognuno di voi si dà premura per la propria casa” Il Signore cioè ci dice: datevi da fare per costruire il tempio del Signore ... rinunciando a voi stessi; allora tutto nella vostra vita troverà il suo senso e la sua fecondità.
“Costruire il Tempio del Signore”... E' chiaro che non si tratta di un'opera edilizia. Costruire il Tempio è mettersi più che mai al lavoro nel cantiere delle relazioni fra di noi.
Noi siamo il tempio di Dio quando l'amore circola tra di noi. Le pietre... siamo noi; pietre imperfette, storte, con difetti. Ma quando l'amore ci unisce diventiamo tempio.
La bellezza del tempio non è fatta di oro o di pietre preziose. Non è fatta di successo, di fama secondo il mondo. La bellezza del tempio è la misericordia per chi mi fa soffrire, la pazienza con chi mi dà sui nervi, la bontà nei confronti di chi mi tradisce. E' anche accogliere io la misericordia degli altri per i miei tradimenti, la tenerezza degli altri per le mie fragilità.
Quando è che seminiamo molto e raccogliamo poco? Quando l'amore nel nostro cuore si affievolisce, si raffredda...
Diverse volte ho partecipato a delle preghiere per l'effusione dello Spirito Santo e c'era sempre qualcosa che mi lasciava un po' deluso finché ho capito che in quei momenti non dovevo desiderare lo Spirito soltanto per me, bensì chiedere la sua venuta sulla mia comunità, sulla Chiesa, sugli altri... Finché ero centrato su di me, ero a disagio. Quando invece ho cominciato ad appassionarmi all'unità, è venuta la vita, la gioia!
E' quello che ci chiede l'Antico Testamento: Ama il prossimo come te stesso. E Gesù ci porta più lontano, insegnandoci con la sua vita: Ama il prossimo più di te stesso.
Con che preghiera Gesù è entrato nella Sua Passione? Ha pregato “perché tutti siano una cosa sola, come tu, Padre, sei in me, ed io in te.”(Gv 17, 21)
In Gesù l'Amore si è fatto carne... Aveva ragione Erode a chiedersi:”Chi è costui?” Perché Gesù non è soltanto un profeta come Elia o Geremia, che ti indica la via dell'Amore. E' l'Amore in persona. L'Amore fattosi carne che dà fastidio all'Erode prepotente che si annida nel mio cuore... Come costruiremo il tempio tra di noi e con tutti? Unendoci a Gesù... E' lui la pietra angolare... Senza di Lui nessun Tempio può reggere e gli sforzi umani sono delusi...
Avviciniamoci quindi, questa sera, a Lui, Gesù, Pietra viva, rifiutata dagli uomini – quelli di ieri e quelli di oggi - Pietra rifiutata, ma scelta e preziosa davanti a Dio; Avviciniamoci quali pietre vive e saremo costruiti anche noi da Gesù come edificio spirituale, per un sacerdozio santo. Così potremo offrire sacrifici spirituali graditi a Dio mediante Gesù Cristo. Perché noi siamo il sacerdozio regale che Dio si è acquistato, perché proclamiamo le opere ammirevoli di Lui che ci ha chiamati dalle tenebre. (cf 1Pi 2,4-5) alla sua luce meravigliosa. (cfr.1Pt 2,4...9)
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Martedi 26 settembre 2017 - XXV sett. T.O. - Esd 6 7-20 - Lc 8, 19-21 - Badia Fiorentina - fr. Antoine-Emmanuel
Sabato, abbiamo ascoltato la parabola del Seminatore con il richiamo ad offrire al piccolo seme della Parola di Dio il cuore buono ed integro, il profondo delle nostre anime.
siamo soliti ascoltare la Parola. Con la verifica: l'ascolto fa sì che io porti luce agli altri o no ?
una persona che sarà un esempio per noi in questo atteggiamento di ascolto vero. Meglio : non un modello, bensì il modello. E quindi ci racconta un avvenimento semplice, quotidiano del ministero di Gesù.
Siamo in Galilea, nella casa, secondo Matteo e Marco, la casa dove Gesù era solito fermarsi a Cafarnao. E c’era tanta gente. Arrivano i famigliari di Gesù insieme alla Madonna, ma non possono raggiungerlo. Nella cultura ebraica di quest'epoca, il legame con i famigliari è cosa fortissima, sacra. Quindi quando dicono a Gesù: “Tua madre e i tuoi fratelli sono fuori che ti cercano”, è ovvio che dovrebbe o andare lui da loro o far sì che possano raggiungerlo. Ora...Gesù non si muove. Perché? Perché ormai la Sua famiglia si è estesa e trasformata. I famigliari non sono quelli del sangue, ma quelli che condividono un medesimo ascolto obbediente della Parola.
E' l'obbedienza alla Parola che ci rende membri di un'unica famiglia ! “Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica”. Voi che siete qui ad ascoltare come discepoli, se mettete in pratica la mia Parola, ecco che saremo legati per la vita e per la morte, nella vita presente e nella vita eterna, da un legame di famiglia che non passerà mai.
E chi è la persona che è la prima ad ascoltare e metter in pratica la Parola? “E' mia madre”. Tra i veri ascoltatori, la prima è sempre Maria, la Madre di Gesù. Gesù in questo brano non respinge Maria. Al contrario. La indica come la prima ascoltatrice obbediente alla Parola. La prima e la madre di tutti.
Quanto Maria è stata in tutto obbediente alla Parola! Prendiamo un esempio. Diverse volte Gesù ha detto che chi vuol seguire Lui deve rinunciare a se stesso, prendere la propria croce e seguirlo.
Questo, Maria fu la prima a farlo! Maria rinunciò più che a lei stessa, rinunciò al proprio figlio; acconsentendo alla sua morte in croce, per amore nostro. Maria prese più che la propria croce... prese pure la nostra croce, assumendo una collaborazione alla redenzione come nessuno ha fatto o farà. Maria è la tutta obbediente... che ci indica la via dell'ascolto vero.
Ora a che Parola di Dio noi dobbiamo obbedire? Non sarebbe quella consegnataci nella Prima Lettura?
Si tratta della ricostruzione del tempio di Dio. Ora, non c'è più un tempio di pietre da ricostruire! Qual è il vero tempio? Siamo noi, non come una somma di individui, ma come comunità eucaristica. Ciò che ci fa essere tempio di Dio è la qualità delle relazioni fra noi. Quando ci sono state divisioni, ira, conflitti... la ricostruzione è necessaria. E per ricostruire per bene, si deve ripartire da una base solida, kerigmatica.
Il cantiere relazionale del Popolo della Badia non è che deve ripartire dal kerigma? Dall'essenziale del mistero della fede?
Coraggio Zorobabele, coraggio Giosuè ! Al lavoro, perché io sono con voi. Il mio spirito sarà con voi, non temete. (cf Aggeo 2,4-5)
Non sarebbe questa la Parola cui obbedire insieme ? insieme a Maria Santissima ?
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Domenica 24.09.2017 – XXV settimana T.O - un fratello della Badia
Oggi in tutta la diocesi di Firenze è la Domenica della Parola auspicata dal Papa Francesco nella sua lettera apostolica Misericordia et misera (n°7) per rinnovare l’impegno per la conoscenza, l’approfondimento della Sacra Scrittura.
Rendersi conto cioè come la Parola di Dio é veramente sorgente di vita, luce, gioia, amore... per la nostra vita di ogni giorno. Vedere come il nostro vangelo stamattina sui primi e ultimi arrivati nella vigna di Dio può far luce per esempio, sulla vicenda della legge ius soli… sui primi e ultimi arrivati in Italia. Vedere cioè che alla fin fine, in ultima analisi, siamo tutti arrivati... chiamati all’esistenza... qui in Italia o altrove. Nessuno di noi ha scelto dove nascere, in quale famiglia, religione... Ciò che conta davvero è la bontà del Signore che chiama alla vita a tutte le ore. L’importante è riconoscere i doni che abbiamo ricevuti, riconoscere il DONATORE per poi condividere ciò che abbiamo e ciò che siamo.
Cantiamo Colui che per il battesimo ci ha resi non solo operai nella vigna di Dio ma anche figli e eredi della vita eterna.
Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri dichiara il Signore. Di quale vie e pensieri di Dio ne parla qui? Si tratta del tema della parabola che è la giustizia di Dio. Se ne parla all’inizio... quello che è giusto ve lo darò... a metà della storia ... i primi arrivati mormoravano contro la giustizia strana del padrone, eppoi alla fine quand’essi risponde... amico, non ti faccio torto.
La giustizia di Dio è altra, supera, sovrasta quella degli uomini. La vediamo all’opera in questa parabola assai trasparente. Il padrone è Dio, gli operai sono gli uomini, lavorare nella vigna è mettersi al servizio della volontà di Dio, la giornata di lavoro è il tempo della nostra vita su terra, la sera - la sua fine e la paga, il giudizio che ci aspetta.
Questa giustizia è di natura diversa in quanto quella degli uomini si misura secondo il mérito o demerito: colui che ha lavorato 1 ora deve ricevere la paga di 1 ora. La misura della giustizia di Dio è superiore, non è ingiusta, arbitraria ma è secondo il bisogno dell’uomo per vivere. Un denaro al giorno era la paga minima all’epoca, di cui ha bisogno un operaio per far vivere la sua famiglia per un giorno. Il padrone prende cura degli operai e vuole che gli ultimi venuti possono vivere anche loro come i primi venuti.
La giustizia di Dio non considera la sufficienza dei nostri meriti, bensì l’insufficienza di questi. La giustizia degli uomini è cieca, appunto rappresentata da una donna bendata. Cerca l’uguaglianza tra gli uomini. Per Dio la giustizia non è cieca perché Lui vede il fondo di ogni uomo, considera ciascuno di noi per quello che siamo in verità, tenendo conto dei nostri bisogni per vivere degnamente come figli di Dio.
A chi Gesù indirizzava questa parabola? A coloro che sono in pericolo di rinchiudere la giustizia in una idea troppa umana, nel suo tempo gli scribi e farisei che guardano con occhio critico la misericordia mostrata da Gesù a favore dei pubblicani, prostitute e altri peccatori noti. Gesù sperava che questi farisei imparassero, conoscessero la giustizia misericordiosa di Dio Padre.
Al tempo dell’evangelista Matteo a chi era indirizzata questa parabola? Ai cristiani di origine ebraica che guardano con sfavore i pagani ammessi “facilmente” tra i credenti... senza circoncisione, senza aver supportato il peso della legge di Mosé, accogliendo solo il vangelo. Quei cristiani devono imparare che la grazia di Dio è per tutti gli uomini e non solo per Israele.
Nel nostro tempo, a chi Gesù indirizza questa parabola? Ad alcuni di noi che sono in pericolo non solo di rinchiudere la grazia, la giustizia in una misura troppa umana ma anche in pericolo di “capitalizzare” i doni spirituali ricevuti. Questa parabola è per coloro che lavorano nella vigna di Dio da lungo tempo, da sempre... e che rischiano di vedere negativamente gli ultimi venuti nella scena ecclesiale: carismatici, neo-catecumenali, movimenti laicali, nuove comunità un po’ trionfanti. Questa parabola è per alcuni di noi che lavoriamo sotto il peso delle esigenze della vita cattolica da quando siamo piccoli e rischiano di vedere negativamente i nuovi convertiti, ricomincianti che vivono la loro nuova fede senza complessi, lanciandosi nella vita spirituale a grandi passi, arditi nella testimonianza, generosi nell’impegno, sembrano graditi dal Signore per i frutti spirituali che portano. Questa parabola è per coloro che rischiano di vedere ciò che hanno - fede, speranza, carità - come beni meritati. Rischiano di dimenticare che questi sono sempre doni continuamente e gratuitamente ricevuti.
Tutto questo discorso può essere riassunto in due parole: paga o dono. Come vediamo ciò che abbiamo, i nostri beni materiali e spirituali? Compresa la cittadinanza... Li vediamo come doni gratuiti da Dio oppure come beni ricevuti perché li abbiamo meritati? Per i primi venuti il rischio è grande di vederli come beni meritati. Per gli ultimi venuti il rischio è meno perché è ovvio che sono doni immeritati.
Spunta allora la domanda ipotetica: quale vantaggio c’è, che senso ha lavorare presto nella vigna di Dio? Se il Signore dona la grazia, la salvezza anche all’ultimo arrivato come il buon ladrone, non è forse meglio fare tutto quel che voglio poi convertirmi dopo... verso la fine? Dicevo ipotetica, perché spero che non ci sia tra noi chi ci pensa davvero. Quelli di fuori sì, pensano spesso così...mi pentirò alla fine...per ora, viviamo, godiamo della vita... Il problema è che.... non si sa mai quando e come arriverà la fine, se davvero avrò tempo per convertirmi.
Non siamo carissimi, come il figlio maggiore della parabola del figlio prodigo che invidiava il fratello minore fuori casa, lontano dal padre. Pensava che egli fosse felice, fortunato...col suo denaro, divertimenti, vivere senza regole, senza il padre che dice cosa fare, non fare, come farlo, quando farlo... Non sapeva che fuori casa, lontano dal padre, il figlio minore viveva nell’illusione, alienazione e finalmente nell’avvilimento totale. Fuori della vigna del Signore, cosa c’è? Certo, ci sono le cose buone del creato dato da Dio a tutti, ma con il peccato c’é anche incertezza, inquietudine, insicurezza, brancolare nel buio...come va a finire tutta questa vicenda...la mia vita, la storia del paese, dell’umanità... crisi economica, crisi migratoria, climatica... sopratutto... che cosa mi aspetta aldilà?
Accostiamoci all’Eucarestia con umiltà, senza pretese, come gli ultimi arrivati nella vigna del Signore, quelli dell’undicesima ora...riconoscenti al padrone che ci ha chiamati all’esistenza, alla vera vita nel suo Regno. Questa Eucarestia faccia conoscere sempre più a tutti noi la giustizia misericordiosa di Dio, rendendoci sempre più misericordiosi, accoglienti, generosi gli uni per gli altri. Questa Eucarestia rinnova sempre più in noi la gioia di trovarsi all’interno del’ovile del Buon Pastore, di lavorare nella vigna di Dio, partecipare all’annuncio del vangelo della vera vita e dire con Paolo… per me vivere è Cristo.
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Domenica 17.09.2017 – Mt 17,21-35 - Badia Fiorentina - fr. Antoine-Emmanuel
Quando si sentono tali parole dalla bocca di Gesù, il nostro cuore si apre! Perché stiamo per capire meglio cosa avviene quando Dio regna, quando l’Amore regna. È come un cammino di luce che si apre e che porterà le anime nostre alla vita alla quale tutti aneliamo.
Il Regno di Dio, quindi, è simile ad un servo indebitato che si trova dinnanzi al Re. Il suo debito è enorme : milioni di Euro... Rimborsare subito è impossibile... Allora chiede pazienza. Il Re dice di si ? No ! Il Re gli da molto di più ! Ha chiesto pazienza ... e riceve misericordia ! Il Re « condonò il debito ». Questo re non si mostra generoso, bensì smisurato nell’amore.
Carissimi, dove Dio regna, regna la smisuratezza nell’amore! E questo ci spiazza. Perché non siamo abituati a questa smisuratezza. Non la comprendiamo. La nostre cultura non comprende, anzi spesso condanna, la smisuratezza nell’amore. Anche nelle nostre famiglie, non regna tale smisuratezza. Entrarci è un cambio culturale immenso.
Però, non è che non siamo generosi! Anzi, tutti assomigliamo a Pietro : vogliamo esser generosi nell’amore e nel perdono! Era davvero bella la generosità di Pietro: perdonare 7 volte al fratello! Perdonare chi mi umilia anche una sola volta ci risulta difficile, soprattutto quando chi mi offende è una persona cara. Ma perdonare 7 volte... è eroico! Sette volte uno mi prende in giro, e lo perdonerei ? Sette volte uno mi manca di rispetto, e lo perdonerei ?
Ma Pietro ha ben capito che Gesù ci chiede tale generosità. Pietro non ha soltanto ascoltato le parole di Gesù: ha visto la misericordia di Gesù: Ha visto come si prende cura delle persone povere Ha visto come fa misericordia a Giuda. Ha visto come non chiude mai il cuore ai farisei ed ai dottori della legge. E vuol fare come Gesù !
Ma oltre 7 volte, il rancore e la vendetta si capiscono, sono giuste ! No ? In altri termini, Amore e misericordia : Si ! Ma... c’è un limite alla misericordia ! Lo richiede la giustizia !
Cosa risponde Gesù ? « Bravo Pietro !» ? No ! Risponde : « Non ti dico fino a sette volte, ma fino a 70 volte 7.» Pietro, non mettere limite all’amore ! Non pensare che oltre una certa cifra il rancore sia giusto... La giustizia non entra quando la misericordia ha raggiunto il suo limite. La giustizia deve sempre esser presente. Perdonare non significa far come se l’offesa non esistesse. Ci vuole la verità dei fatti, ci vuole la giustizia. E la misericordia non cancella la giustizia, la porta al suo vero compimento.
Ma come possiamo perdonare 70 volte 7? Nessuno di noi ne è capace ! Il nostro cuore è limitato... non si può allargare all’infinito !
Puoi perdonare perché tu per primo sei stato perdonato. No! Non «sei stato», ma sei continuamente perdonato da Dio. Dal cuore di Dio sgorga continuamente Il condono di un debito d’amore immenso. Se le offese tra noi uomini sono come, diciamo, 100 Euro, il debito d’amore nostro di fronte a Dio ammonta a milioni d’Euro! Con me, con te, Iddio non ha messo misure all’amore ! Abbiamo oramai un capitale d’Amore immenso che incessantemente riceviamo. Occorre investirlo ! Meglio: attingervi e donare gratuitamente e senza misura. Non è che l’amore di Dio per noi si spegnerà se noi siamo misericordiosi oltre misura con noi stessi e con gli altri ! Al contrario: più perdoni tu, più l’amore di Dio trova posto dentro di te ! Più ti vuoti nell’amore, più entri nel vuoto d’amore che è il segreto della vera gioia !
Ma qui, entra una difficoltà. Perché il Libro del Siracide che abbiamo sentito insiste sulla necessità di rinunziare alla collera ? Perché abbiamo una fastidiosa tendenza a attaccarci alle nostre collere. Alimentiamo delle erbe amare dentro di noi, e sembra che non siamo in grado di far a meno di quest’amarezza. Come se fosse una protezione, una difesa... Ma Dio non coabita con l’amarezza del cuore. Dio non coabita con il cattivo spirito critico. Dio non coabita con il rancore. Sono tutte realtà alle quale dobbiamo aver il coraggio di rinunziare. Le erbe amare del mio e tuo cuore vanno gettate nel fuoco della Misericordia divina mediante il sacramento del Perdono.
Allora, che si fa con le offese ricevute, se non ci è consentito alimentare il rancore? Qui ci risponde San Paolo nella seconda lettura. Ecco : Sei battezzato? Si! Allora, dice Paolo ai cristiani di Roma : « Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. » Cioè a dire : Ciò che nel tuo quotidiano ha sapore di vita, di gioia, di felicità, vivilo «per il Signore». Ne fai un’offerta piena di amore a Gesù ! E ciò che nel tuo quotidiano ha sapore di sofferenza, di umiliazione, di morte, vivilo «per il Signore». Ne fai pure un’offerta piena di amore a Gesù ! Quindi, le 7, 8 o più offese, le vivi «per il Signore». Le offri a Gesù. Non c'è niente che tu offri a Gesù che Lui riceverà come una cosa da quattro soldi che Egli disprezzerà. No! Tutto ciò che tu offri a Gesù è per lui dono prezioso, per una sola ragione: perché viene da te. Perché vien dal diletto suo, dalla diletta sua, che sei tu. Allora, tutto nel tuo vivere diviene Eucarestia. Tutto diviene la tua Messa.
In altri termini : L’offesa che trattieni dentro di te e che nutre il rancore ti uccide l’anima. Ma l’offesa che offri a Gesù ti santifica, ti dona la vita.
A Gesù offriamo tutto... Per le mani di Maria, sempre.
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venerdì 8 settembre 2017 - Mt 1,1-23 - Badia Fiorentina - fr.Antoine Emmanuel
«Benvenuti, fratelli, benvenute, sorelle ! Santa Maria del Fiore stende su di voi il mantello della sua misericordia, affinchè, sempre più conformi al Fiore che è Gesù, diventiate fiori profumati splendidi nel giardino della nostra Chiesa ! » Così ci accolse il Cardinale Silvano Piovanelli in Duomo, 19 anni fa ! Era un invito chiaro a lasciarci coprire dal mantello della tenerezza di Maria Santissima. Metterci insieme sotto il suo mantello... Trovarci sostegno, compassione e misericordia ! Ecco ciò che possiamo far di nuovo in quest’oggi, perché celebrare la natività di Maria significa ricevere di nuovo Maria come dono. Dono preziosissimo, vero ?
«Non temere di prendere con te Maria, tua sposa». (Mt 1,20) Non temiamo di prendere con noi Maria. La sua santità non la rende distante da noi. Al contrario: la sua santità, la verginità e la giovinezza del suo cuore la rendono vicina, vicinissima al tuo cuore, alla tua vita, a tutto ciò che fa il tuo quotidiano.
Come San Bernardo sul quadro del Lippi, alziamo lo sguardo e contempliamo il volto luminoso di Maria che ci viene incontro.
Ci viene incontro per condurci, perché diventiamo insieme un popolo santo. Come Padre Pierre-Marie scrisse con audacia nel Libro di vita : È Maria che guida il cammino che porta dalla Gerusalemme terrena a quella celeste. Ci guida insieme, come popolo.
« Quelli che (Iddio) da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli e sorelle.» (Rm 8,29)
Ecco ciò che chiediamo a Maria : di guidarci perché diventiamo ciascunoquel riflesso unico ed irripetibile di Gesùche siamo chiamati a diventare. Tutti «conformi all’immagine» di Gesù. Tutti ed insieme.
Il più bel riflesso di Gesù non è solamente quello che diverraì, ma quello che diventeremo. Diventeremo insieme Gesù ! Un unico corpo. Un corpo vivo. Diventeremo Gesù che si china con amore sul mondo di oggi.
Sostenuti dall’amore materno di Maria, diventeremo come popolo santo della Badia una presenza viva di Gesù che si prende cura dei tanti che soffrono e muoiono di anoressia spirituale; dei tanti che sono « stanchi della trascendenza» perché della trascendenza hanno un’immagine triste e brutta.
Com’è bella la nostre vocazione di cristiani, di popolo santo della Badia : Far vedere Gesù ! Questo, per mezzo di una vita convertita alla misericordia. Una vita che non ha più paura della fragilità e della piccolezza. Anzi, una vita in cui la debolezza diventa la nostra forza, la nostra gloria.
Maria santissima non è madre di una vita intessuta di successi e di gloria umana: È madre della vita tua con tutta la tua fragilità, con le tue incertezze, le tue angosce, i tuoi fallimenti.
Maria ci insegna a riconoscere Gesù dentro i fallimenti, dentro la fragilità, ed a amarlo, a stringerlo, e, quindi, a diventare un riflesso vivo della sua presenza, insieme, come popolo rinnovato e saldato dalla divina misericordia.
Carissimi, non temiamo di prendere Maria come madre, di metterci sotto il suo mantello di misericordia, non per separarci dal mondo di oggi, bensì per diventare il dono che Dio vuole che siamo al mondo odierno. Le mani sante di Maria ci accolgono per lenire le nostre anime e donarci, rinnovati, al mondo Il cuore immacolato di Maria ci accoglie per purificarci e donarci, pacificati, al mondo.
Maria Santissima, in questa Badia, ti cantiamo con gioia :
Donna, se'
tanto grande e tanto vali, E, come non vogliamo volare senza ali, a te ricorriamo e ti offriamo il nostro cuore così da ricever il tuo ! Amen.
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A maggior Gloria del Signore |